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Autore: Lelusc    21/05/2013    3 recensioni
Sofia ogni giorno porta al parco la piccola Sam, ed ogni giorno guarda separata solamente da una rete il ragazzo che le fa battere forte il cuore,poi un giorno.... Spero di ricevere delle recensioni,almeno per sapere se è bello grazie e fatemelo sapre.Lelusc :D
Genere: Fluff, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Che belli i fiori, l’erba è verde e dopo una lieve pioggerella, la terra umida propaga un olezzo intenso e rilassante, ad un tratto sento delle urla, mi giro e in lontananza lo vedo ,è lì, che gioca a calcio con un dolce sorriso sulle labbra. Comincio a corrergli incontro. “Sorellona! Sorellona svegliati!” Sento improvvisamente, ma non capisco cos’è e non m’interessa, voglio raggiungerlo, ma è come se a ogni distanza che tolgo fra di noi, lui si allontanasse ancora di più e cominciasse a sparire,vedo il suo volto sfocato e poi…

Apro gli occhi di scatto. Sono nella mia stanza, sdraiata sul letto, la finestra è aperta e lascia entrare una leggera brezza estiva che muove le tendine ricamate, le guardo dondolare assonnata, poi mi giro dall’atra parte, ed ecco che mi trovo di fronte un visino angelico e due allegri occhi nocciola che mi guardano.

“Finalmente ti sei svegliata sorellona!” Esclama la bambina. Mi sveglio all’istante e mi metto a sedere sul letto ancora un po’ stordita.

 “Sam, perché sei qui?”

  “Volevo giocare con te sorellona, mi porti al parco?” Alzo lo sguardo e noto mio padre guardarci intenerito, appoggiato allo stipite della porta.

“Va bene Sam, ora mi vesto ok?”

“Sì! Che bello!”Esclama abbracciandomi.

 “bene, allora noi scendiamo di sotto ad aspettarti. Sofia, sul tavolo in cucina c’è la colazione” dice mio padre

 “grazie papà, scendo subito”

papà da la mano a Sam e chiude la porta.

Soffoco con la mano uno sbadiglio e mi alzo. Vado alla finestra e mi sporgo un po’ per cercare di vedere meglio fuori e trovo sempre lo stesso panorama deprimente, la strada grigia, i palazzi scrostati e vecchi, alcuni più nuovi di altri, e mi sento profondamente demotivata.

Sospiro e apro l’armadio per scegliere cosa indossare.

Indosso una camicetta bianca con merletti e una gonna rosa con dei sandali bianchi, prendo una piccola borsetta e ci metto il portafoglio, il cellulare, nel caso mio padre mi chiamasse, un pacchettino di fazzoletti che stando con una bambina sono fondamentali, le chiavi e sono pronta.

Mi spazzolo i capelli e li lego in una coda alta, sistemo il letto e scendo di sotto.

Non appena scendo l’ultimo gradino delle scale, mi trovo nella sala ben illuminata ed areata per via delle finestre aperte. Tutto è tranquillo, come se ci fossi solo io in casa, ma in cucina, seduta al tavolo, c’è Sam intenta a intingere i biscotti nel latte, mentre mio padre, accanto a lei, beve un caffè.
Mi siedo, tiro fuori il cornetto dalla sua bustina bianca e lo mordo. Fa un delizioso e orecchiabile scricchiolio e comincio a masticare notando che al suo interno comincia a fuoriuscire della crema.

 Golosa come sono, finisco in un minuto il cornetto e mi verso del latte nella mia tazza floreale, mentre guardo la piccola Sam seduta di fronte a me tenere in mano un biscotto troppo inumidito, che le cade nella tazza. Sorrido all’espressione irritata del suo faccino e ritorno a fare colazione.
“Va bene papà, noi andiamo al parco”lo avviso poco dopo ferma sull’uscio mano nella mano con Sam.

“Buon divertimento” ci augura, chiudo la porta ed entriamo nell’ascensore già sul posto. Vedo la piccola avvicinarsi allo specchio e spingo il pulsante per il piano terra, per poi divertirmi a vedere Sam fare le boccacce allo specchio che la ricopia in tutto e per tutto.

Mi ricordo come se fosse ieri la prima volta che l’ho conosciuta, tre anni fa. Mio padre dopo la separazione dalla mamma e dopo aver ricevuto la mia custodia, lasciatagli tranquillamente da lei che preferiva il lavoro alla famiglia, decise di andare via da quella zona della città e trasferirsi con me, in un appartamento in questo palazzo.

Allora avevo quindici anni e non conoscevo nessuno. La prima persona che conobbi, fu Marina, la mamma di Sam. Lei fu la prima a rivolgermi la parola e ad aiutarci in quei primi momenti delicati, tanto che la sua bambina si affezionò a me come ad una sorella maggiore.

 La piccola Samanta non ha né fratelli né sorelle, sua madre era rimasta in cinta dopo essersi fidata di un uomo, che quanto scoprì che aspettava un bambino, la lasciò così che dovette crescere Sam da sola. Marina abita sotto di noi, io e mio padre abitiamo al sesto piano e loro al quinto. Normalmente la madre di Sam sta la maggior parte della giornata al lavoro e chiama una baby sitter per occuparsi di sua figlia, ma da quando ci conosce, lascia tranquillamente Sam a noi, sapendo che siamo una buona famiglia e che la bambina si è affezionata a me.

E adesso che sto nel bel mezzo delle vacanze estive, la piccola ha preso l’abitudine di venirmi a chiamare per andare a giocare al parco, e naturalmente, non sa che sono in vacanza e che vorrei dormire un po’ di più la mattina e non svegliarmi presto come mi sveglia lei, ma pazienza.

Uscite dal portone, porgo la mano a Sam che me la prende e c’incamminiamo lungo il marciapiede alla nostra sinistra. La strada nonostante sono le nove, è molto frequentata e rumorosa, ma non gli do molto peso e continuo a camminare verso il parco che già vedo dinanzi a noi.

Il parco in verità è solamente una zona erbosa in mezzo alla strada, l’hanno recintato con un alto cancello di ferro, laccato di bianco, il posto è curato per creare un piccolo e confortevole parco giochi per i bambini. Hanno anche costruito un campo da calcio per quelli più grande, ma viene raramente usato.

Facendo attenzione, attraversiamo la strada e scendiamo i tre scalini che fungono da entrata per il parco o meglio solamente per la prima zona, quella dove ci si può riposare sedendosi sulle numerose panchine disposte una accanto all’altra e dove si può prendere dell’acqua fresca dalla fontanella lì accanto, per bere, rinfrescarsi o eventualmente pulire le ferite se si è fatti male. Quella zona è l’unica all’ombra grazie ai gazebi di legno che riparano le panchine.

 C’incamminiamo verso il cancelletto di ferro che porta in un’altra parte del parco, e una volta entrate ci ritroviamo a camminare su una stradina di mattoncini bianchi.

Da un lato c’è la verde e rilassante vegetazione, alberi, aiuole di fiori dai colori vivaci e panchine, e dall’altro lato il campo di calcio. Mi fermo e mi giro come richiamata da qualcosa, e lo vedo. Lui, la mia ossessione sta giocando a calcio insieme ai suo amici, lo vedo correre verso la porta e tirare in rete; i suoi serici capelli d’oro fluttuano nell’aria per la velocità della corsa e le gocce di sudore  sulla fronte colpite dai caldi raggi del sole sembrano brillare.

Rimango a guardarlo rapita, come corre, come sorride, con quel suo sorriso che ogni giorno vedo e m’incanta, e che non mi stancherei mai di guardare.

“Sorellona! Quello è il ragazzo che ti piace, vero?” Mi volto verso Sam.

 “No, perché pensi questo?” Le chiedo calma.

“Perché ogni volta che veniamo qui ti vedo guardare da questa parte,e non perdi di vista il ragazzo biondo”

 “ma no, è che mi piace come gioca a calcio”

 “va bene, se lo dici tu. Mi spingi all’altalena?”

Annuisco, anche se so che non mi ha creduta e c’incamminiamo verso  l’ultima parte del parco, quella con  i giochi per i bambini.

Sam si siede sull’altalena e mi attende.

 Possibile abbia davvero capito che mi piace quel ragazzo? Mi chiedo guardando quella bambina sorridente seduta sull’altalena, poi scuoto il capo e la raggiungo.

“Eccomi, pronta?”

 “Sì!”Esclama felice. Stringe la catena dell’altalena con le sue piccole e delicate manine, mi sorride e allunga le gambe davanti a se facendo
un’espressione determinata. Sorrido e gli do una spinta, ride divertita e continua a spingersi da sola.

Mi siedo sulla panchina proprio accanto a lei e la guardo, nonostante il mio pensiero ritorni al ragazzo che ormai è diventato la mia ossessione e che mi occupa anche i sogni.

Passano delle ore in cui giochiamo a tutto. È una bambina molto tranquilla e socievole, per un po’ la guardata giocare con gli altri bambini, ma quando piano piano giungeva l’ora di pranzo e i bambini andavano a casa, nonostante rimase sola, non si rattristava per niente, venne da me, mi prese la mano e mi chiese di giocare insieme lei, da allora, l’ho spinta sull’altalena, l’ho aspettata davanti allo scivolo, abbiamo giocato a fare una montagna nella sabbiera, l’ho aiutata ad arrampicarsi, prendendomi ad ogni sua scivolata degli infarti, e poi mi sono finalmente seduta, mentre lei continuava a giocare sullo scivolo.

Curiosamente dopo diverse scivolate si ferma e s’incammina verso di me.

“Sorellona ho fame” le sorrido.

 “Infatti è ora di pranzo, andiamo a casa a mangiare”

“no, io voglio giocare ancora”

“ma hai fame”

“sì, ma…”

“allora facciamo così, andiamo a prendere un hamburger e delle patatine fritte e ritorniamo a mangiare qui, che ne pensi?” Le chiedo alzandomi.

 “Sono d’accordo”.

 Mi porge la mano, gliela prendo e c’incamminiamo verso l’uscita per andare a lavarci le mani alla fontanella e poi andare a prendere il pranzo.

“Io voglio un hamburger grosso  grosso, così” mi dice allargando le braccia,mentre c’incamminiamo verso l’uscita.

 Le sorrido, quando una pallonata colpisce la rete accanto a noi. Faccio un salto spaventata e mi giro verso il campo. Vedo venirmi incontro un ragazzo e
il mio cuore accelera i battiti, è lui.

Si ferma davanti a me, c’è solo la rete a separarci. Posare le mani sulla rete e far passare le dita fra le maglie e mi guarda con i suoi magnifici occhi verdi, svengo.

 “Scusami, non volevo spaventarti” lo guardo senza trovare la voce per rispondergli, poi ci provo e gli parlo balbettando.

 “N-n-niente, figurati, non è successo niente” dico sentendomi tanto stupida, faccio un lieve sorriso e con ancora il cuore che mi batte all’impazzata e non
so se per lui o per lo spavento, prendo la mano a Sam e a passo veloce m’incammino verso l’uscita.

Fuori dal parco mi calmo, faccio un sospiro di sollievo e mi sento tirare la gonna.

Abbasso la testa e trovo Sam guardarmi preoccupata.

“Sorellona tutto bene?” Le accarezzo il capo e le faccio un sorriso.

“Sì tutto bene, mi sono solo spaventata”mi sorride a sua volta e stringe un po’ di più  la mia mano.

 “E ora andiamo”dico allegra.

Entrate al McDonald, facciamo un bel po’ di fila fino a che non arriva il nostro turno.

Avevamo già deciso da tempo cosa volevamo mangiare, così quando arriva il nostro turno mi fermo davanti al bancone dove una giovane con uno sfavillante sorriso attende le nostre ordinazioni e comincio a parlare.

 “Buongiorno, vorremo un menù per bambini, una boccetta d’acqua naturale, un cheeseburger, petti di pollo panati, patatine medie e due coca cole piccole”dico tutta d’un fiato per poi pagare e uscire.

Tornate al parco noto che il campo di calcio è vuoto, non c’è più la mia ossessione e i suoi amici che giocano a calcio, penso triste, poi mi ritorna in mente la sua immagine davanti alla rete che mi chiede scusa e divento rossa.

 “Andiamo sorellona, ho fame” dice Sam lamentosa tirandomi la gonna e attirando così, la mia attenzione.

“Oh, sì, scusami, andiamo”.

Mi siedo sulla nostra solita panchina.

 “Allora? Dai, siediti”le dico. Si siede vicino a me e le metto il sacchetto sulle gambe, poi la guardo mentre prende il suo hamburger semplice e gli da un
morso, io prendo il mio e faccio altrettanto.

Finisco di mangiare e divido con Sam i miei bocconcini di pollo, termino la coca cola e rimane solo la bottiglietta d’acqua. Mentre Sam è intenta a giocare con l’omaggio ritrovato insieme al pasto, accartoccio le carte degli hamburger facendo una grossa palla unta e la metto nel sacchetto,poi prendo tutto e lo butto nel secchio accanto a me.

Dopo alcuni minuti, Sam mi posa il giochino sulle ginocchia e va a giocare sull’altalena. Così mi accoccolo sulla panchina e alzo lo sguardo al cielo, ma avendo un albero sopra di me, guardo solo i rami e l’enorme e verde fronda, e affascinata fisso i riflessi che la luce crea fra le foglie, poi ritorno a guardare Sam, si sa che i bambini sono imprevedibili, mai distogliere lo sguardo da loro o ignorarli, se non vuoi ricevere brutte sorprese e infondo per quanto Sam sia intelligente ed educata e pur sempre una bambina.

Mi metto a guardarla mentre rincorre una farfalla e senza distogliere lo sguardo da lei prendo un sorso d’acqua dalla bottiglietta, il caldo è a dir poco soffocante e il sole sta diventando ancora più forte, prendo dalla borsetta un fazzoletto e mi asciugo la fronte madita di sudore.

“Scusa”mi sento dire da dietro. Mi giro sorpresa e lo vedo, ma non era andato via? Mi chiedo fra me e me, e invece no, è ancora qui.

 “Posso sedermi accanto a te” annuisco e gli faccio posto.

Santo cielo, ecco il nervosismo.

Lo guardo sempre da lontano, ed ora eccolo vicino a me e mi sta parlando.

“Ti volevo chiedere scusa”dice intimidito.

 “Di cosa dovrei scusarti?” Chiedo perplessa.

Mi sorride,il suo sorriso che amo.

“Per prima, per averti spaventata” non lo guardo più ormai,troppo nervosa e imbarazzata, ma mi rigiro verso Sam che è intenta a giocare con la sabbia.

“Te l’ho detto, non c’è bisogno che mi chiedi scusa, stavi giocando a calcio”

“davvero, mi fa piacere non averti turbata e tua sorella?”

 “Mia sorella?” Chiedo senza capire.

“ La bambina”

 “ah, Sam, lei non è mia sorella, e comunque non si è spaventata” dico guardando la piccola affettuosamente.

“ne sono felice”

 “scusa la sfacciataggine, ma tu abiti da queste parti?” Chiedo abbassando il capo imbarazzata.

“sì, perché?”

“Niente, è solo che ogni volta che vengo al parco ti trovo in campo a giocare a calcio”

“allora vieni spesso”

 “sì, porto Sam qui ogni giorno”dico indicando la bambina.

Guarda Sam e poi posa nuovamente lo sguardo su di me.

“Davvero ogni giorno? Non è stancante?”

 “sì, ma mi piace venire qua, e poi lei si diverte”dico guardando Sam, e quando lui non mi risponde mi volto e lo noto intento a fissare la bambina con
sguardo indecifrabile, ma non ostile.

SI volta verso di me cogliendomi in flagrante, mentre lo fisso, e spero non pensi male, sarebbe imbarazzante.

“Ah, scusami, non mi sono ancora presentato, sono Adam”disse porgendomi la mano.

 “Sofia”gli rispondo afferrandogliela.

Ci stringiamo la mano e il mio cuore fa un sussulto e continua a battere accelerando sempre di più, e mi esce un sorriso istintivo e agitato. Non so per quanto rimanemmo così, ma nessuno dei due voleva sciogliere la stretta o solamente non ci pensavamo, fino a che abbasso lo sguardo sulle nostre mani ancora unite e le ritraiamo entrambi di scatto, imbarazzati, poi chiudo la mano a pugno e la porto al cuore per tenermi il suo calore e la sensazione del suo tocco ancora per un po’.

Lo noto guardare da un’altra parte, sicuramente anche lui è imbarazzato e all’improvviso mi frulla per la mente una domanda.

 “Adam”. Oddio, dire il suo nome è così emozionante, e poi è così bello chiamarlo per nome, penso.

 “Giochi a calcio per qualche altra ragione oltre al fatto che ti piace come sport?” chiedo lanciando una fugace occhiata a Sam, per poi girarmi verso di lui attendendo la sua risposta.

Si gira verso di me e mi fa il suo dolce sorriso e noto nei suoi vivaci occhi verdi, calore.

“Vedi, io amo il calcio e l’ho sempre praticato da quando avevo tre anni, volevo diventare un cannoniere bravissimo e portare i miei amici alla vittoria in
ogni partita, se possibile, ma è vero, c’è qualcosa oltre a questo. Fra poco ci saranno delle partite che organizzerà il club di calcio della mia scuola, e voglio essere in buona forma per partecipare e vincere, ecco perché ci alleniamo ogni giorno, qui”.

 “Capisco, è un bellissimo obiettivo il tuo, e quello dei tuoi amici, sono certa che c’e la farai a diventare il miglior cannoniere, e porterai la tua squadra alla vittoria o almeno per quanto ho visto mentre passavo con Sam, ho fiducia in te e nelle tue capacità”dico sicura e allegra.

“Grazie Sofia, spero tu abbia ragione per quanto tu possa conoscermi”.

 Annuisco e mi sento al settimo cielo. Mi ha chiamata con il mio nome,quanto è dolce e delicato pronunciato dalle sue labbra, penso diventando un tantino rossa.

Improvvisamene con la coda dell’occhio vedo Sam incamminarsi verso di me.

 “Sorellona, ho sete”mi dice ignorando Adam.

Le passo la bottiglietta d’acqua e comincia a bere.

 “Scusa Sofia, ma se non è tua sorella più piccola, chi è?”

“è la figlia della signora che abita sotto di noi, che sta quasi tutto il giorno a lavoro così penso io a lei”

 “sì, ma per me Sofia è la mia sorellona”dice Sam intromettendosi.

 “Sorellona, ho caldo”

 “Andiamo a prendere un bel gelato?”

“Sì!”Esclama contenta alzando le braccia al cielo.

“Allora Adam, a presto, è stato veramente un piacere conoscerti”dico alzandomi dalla panchina e lui fa altrettanto.

 “Anche per me Sofia, e visto che vieni spesso da queste parti, credo c’incontreremo molto spesso” dice sorridendomi.

Sorriso.“Allora a domani”

  “a domani”.

Lo saluto con un cenno della mano e c’incamminiamo verso l’uscita, dirette alla gelateria. Per tutto il tragitto fui maggiormente attenta alla strada perchè non riuscivo a mandarmi via dalla mente Adam. Alla fine entriamo, e aspettiamo, ci sono ancora due persone davanti a noi, così ce la prendiamo comoda
per scegliere i gusti.

“Sorellona, non vedo bene”dice Sam mettendosi in punta di piedi e poggiando le manine sul vetro.

 “Sam, non toccare la vetrinetta, o farai tutte impronte” gli dico per poi prenderla in braccio così che possa vedere.

 “Desiderate?” Chiese la signora di mezz’età dietro il bancone.

 “Un cono e una coppetta”

 “no, sorellona, io voglio il cono”

“due coni piccoli ”mi correggo e Sam sorridere felice.

“Gusti?”

 “Che gusti hai scelto?” Le chiedo.

 Fragola e cioccolato, dice Sam con la sua vocetta infantile e allegra.

 “Ecco piccola” le passo il cono e poi dico i miei gusti, prendo una manciata di fazzolettini, prevedendo una catastrofe eminente, ed entrambe con il cono in mano ci sediamo ad un tavolo in un angolo della gelateria.

Aiuto a sedere Sam, e mi siedo di fronte a lei. Questa gelateria fa i gelati più buoni che io abbia mai mangiato, penso vedendo la bambina mangiare il suo con gusto.

“Sam, finito il gelato vediamo se la mamma è tornata dal lavoro, io devo fare un po’ di compiti per le vacanze”

“Eh? Ma perché? Uffa” si lamenta, poi sospirare.

 “e va bene”dice cedendo.

All’improvviso sento suonare il cellulare. Lo prendo dalla borsa e guardo il display.

“è la mamma”dico a Sam che mi guarda curiosa, poi rispondo.

 “Sì Marina? Sei a casa, bene allora veniamo subito, a presto”dico attaccando.

“la mamma è a casa, ha detto di portarti da lei, andiamo”dico alzandomi.

Sam annuisce e mi da la mano.

Davanti al palazzo ho già finito il gelato, invece Sam ha ancora un pezzetto di cono da mangiare, la guardo e sorrido.

 “Hai la bocca sporca di fragola”dico pulendole i baffi di gelato con un fazzoletto.

“Chissà che dirà la mamma sentendo come profumi di fragola” dico sorridente e m’incammino verso il portone. Nell’ascensore spingo il quinto piano e
attendo che le porte si aprano.

  Finalmente sul pianerottolo mi dirigo verso la porta con la splendida pianta accanto, e suono il campanello. Sento un rumore non proprio bello
dall’interno e poi si apre la porta.

“Marina, tutto bene, è successo qualcosa?”

“No, niente, mi sono cadute delle padelle, stavo riordinando la cucina, ogni tanto devo pur farlo” mi dice imbarazzata.

 “Va bene, ecco Sam, allora io vado”

“sì, e grazie per l’aiuto Sofia e ringrazia anche tuo padre per la pazienza”

 “ma no, è una bambina deliziosa e tranquilla” dico, guardando la donna con un sorriso, poi saluto con la mano e m’inchino verso Sam per stare alla sua
stessa altezza.

 “Ciao piccola, ci vediamo domani” le dico accarezzandogli il capo.

 Mi abbraccia “a domani sorellona”mi dice per poi entrare in casa.

Attendo finche la porta non si chiude e salgo a piedi il solo piano che mi resta per arrivare alla mia porta, sarebbe una sciocchezza usare l’ascensore per un solo piano.

In casa naturalmente mio padre non c’è, si trova a lavoro. Salgo in camera, mi slaccio i sandali e mi siedo alla scrivania, devo fare un po’ di compiti per le vacanze o andrà a finire che li dovrò fare tutti l’ultimo giorno.  Così mi rimbocco le maniche e comincio a fare la mia materia preferita, matematica, naturalmente scherzo, non ho particolarmente problemi in questa materia, ma naturalmente non è la mia preferita.

Dopo qualche ora che sto studiando scienze, perché fortunatamente matematica l’ho finita tutta e non ne sentirò parlare fino a che non ritornerò a scuola, sento un languorino.

Mi giro a vedere l’ora sulla sveglia, le sei e mezzo, è quasi ora di cena è normale avere fame. Chiudo i libri, li raggruppo e li metto apposto, basta compiti per oggi, mi dico e scendo di sotto.

In cucina spalanco il frigo per vedere cosa posso cucinarmi per cena, perché come sempre mio padre starà al lavoro fino a tardi. Davanti al frigo rimango immobile a fissare il deserto, sospiro stanca e vado a rimettermi le scarpe e a indossare qualcosa di più pesante, devo andare a fare la spesa, ho ancora molto tempo.

Prendo la borsetta, i soldi dal salvadanaio in sala ed esco.

Uscita dal portone m’incammino verso il parco. Le strade e i palazzi sono colorati d’arancione dai caldi raggi del sole che sta tramontando, e consapevole che fra poco sarà buio, allungo e velocizzo il passo.

Il parco è bellissimo colpito dai rossi raggi del sole, ma non ho tempo per rimanere ad ammirarlo in tutto il suo splendore, devo attraversarlo tutto perchè proprio alla sua fine c’è il supermercato. Non ci vuole molto e arrivata entro dalle porte automatiche, prendo un cesto e m’incammino per gli scaffali.
 Quando esco, sono soddisfatta, avremo da mangiare per alcune settimane, ma a quanto pare ci ho messo più di quanto pensassi. Il cielo è scuro e cominciano a vedersi le poche e rare stelle, invece la malinconica e lattea luna spende piena sopra il mio capo.

Decido di passare nonostante l’oscurità per il parco che è un’utile scorciatoia per arrivare prima a casa. Scendo le tre scalette e sento il vento della sera farsi più freddo e alzarsi scuotendo le fronde degli alberi. Il parco è poco illuminato, ci sono solo due o tre lampioni accessi che non illuminano quanto dovrebbero, e m’incammino per la stradina di mattoncini bianchi che con il buio non sembrano neanche tali.

Ho appena passato il cancello di ferro che porta alla penultima zona, quella del campo di calcio, quando sento un rumore che mi paralizza sul posto. Mi guardo intorno intimorita e agitata e a piccoli passi mi dirigo verso l’uscita, quando sento provenire dal campo di calcio delle voci sussurrare.
 Percorro la rete intorno al campo silenziosa, trovo stranamente la porta per entrare aperta.

Faccio il giro. Stare davanti alla porta, che è l’unica via d’entrata che c’è, e quindi anche d’uscita, non sarebbe stata una cosa intelligente, così mi metto accostata alla rete, silenziosa e immobile e cerco fra l’oscurità di vedere qualcosa.

Non vedo proprio niente lì, l’illuminazione è proprio inesistente, anche perchè il campo a quell’ora dovrebbe essere chiuso. La cosa che m’irrita di più e che sul campo di calcio non ci può stare un albero, altrimenti avrei potuto nascondermi dietro di esso e sentire, se non vedere tutto, ma non c’è, così mi accontento.

“Bene, sono riuscito a trovare queste bevande, voglio che le beviate così diventeremo più forti e potremo vincere sicuramente le partite, non sono dannose rendono solo più forti, chi è com’è?”

Sento più o meno tutte le parole, ma non so chi le stesse pronunciando,ma qualcosa mi dice che parlavano di calcio e di qualcosa di vietato.

“Io ci sto” sento dire, “anche io”

“ed io”, “anche io certo”

Conto con difficoltà ogni voce che sento, che ahimè è distante, anche se sto fin troppo vicina, tanto che se schiaccio un ramoscello e faccio rumore possono vedermi e sarei nei guai.

Le voci sono dieci, poi sento qualcosa che mi paralizza peggio della paura.

 “io non ci sto” quella voce… l’ho sentita solo una volta, ma la riconosco, Adam!

“Come sarebbe a dire che non ci stai?!” Sento chiedere bruscamente.

“Ti spiego Gregory, io credo che giocare a calcio sia un divertimento e la vittoria sia qualcosa che devi meritare e sudare per avere, con esercizio e fatica, se bariamo come ci chiedi, non sarebbe la stessa cosa, quindi io rifiuto di bere quella sostanza, non accetto”dice calmo.

“Tu fai parte della squadra, la devi bere, siamo compagni,  giochiamo insieme e tutti qui vogliamo vincere, cosa vuoi di più”

 “non di più Gregori, voglio diventare qualcuno divertendomi e faticando non con simili mezzucci sporchi”lo sento dire e concordo con lui.

“Non puoi sottrarti dalla tua squadra e il volere del tuo capitano” dice un altro.

 “Perché? Voglio solo giocare lealmente e come dico io, perché dovete costringermi a fare ciò che non voglio,io al contrario di voi voglio giocare normalmente come si fa e non barare per la vittoria,il calcio è un gioco, un divertimento di gruppo”dice con sicurezza convinto delle sue parole.

 “Vorresti farci la paternale, eh? Io ti ordino di bere questa bevanda, ora!”

 “Ed io ti ripeto per l’ultima volta che non voglio”sento dire da Adam alzando la voce.

“Bene, allora puoi considerarti fuori dalla squadra”

C’è un attimo di silenzio.

 “Bene, come vuoi, non c’è nessun problema, me ne troverò un'altra, non voglio stare con delle persone che vogliono prendere in giro il gioco del calcio che amo”dice in un primo memento triste, ma subito dopo sicuro di se, e sento dei passi, sicuramente sono i suoi sull’erba mentre si allontana, spero non si diriga versi di me.

 “Dove vorresti andare? Io non lascerò che te ne vada, tu sei il nostro cannoniere, sei l’unico che con questa sostanza saresti imbattibile, il cannoniere supremo.

“Non mi toccare, tu per me non sei più il mio capitano, ed io non faccio più parte della squadra per quanto questo mi addolori, posso sempre esercitarmi di più, entrare in un’altra squadra e fare delle partite l’anno prossimo,ma state sicuri che non con voi,imbroglioni e falsi giocatori di calcio,imparate a giocare prima di sperare di vincere delle partite” lo sento dire.

 “Tu, stai insinuando che non sappiamo giocare?”

“No, lo sapete fare, ma con la forza bruta il che vi porterà molte sconfitte, la forza bruta e gli stratagemmi non porteranno da nessuna parte e di certo non
porteranno la vostra squadra in alto, come se non mi fossi accorto del tuo gioco capitano o meglio Gregori,tu giochi barbaramente, è da tanto che volevo dirti che questo tuo metodo di giocare mi da fastidio, ed ora posso dirtelo tranquillamente,e con questo vi saluto”dice ed io mi sento tanto orgogliosa di lui.

“Tu bastardo!” Urla Gregori incollerito, per poi sentire un gemito.

 Adam! Urlo dentro di me, ma non posso andare lì così, cosa posso fare io? La squadra è composta da undici giocatori,ci saranno almeno dieci ragazzi ed io sono una ragazza sola,posso andare a chiedere aiuto però, stranamente, anche se penso questo, non lo faccio e non poso far altro che sentire i gemiti di dolore di Adam, le imprecazioni e le offese che gli urla Gregory e a cui si aggiungono quelle degli altri compagni che non sono rimasti a guardare.

 Rimango immobile e in silenzio con il fiato spezzato per l’agitazione, mentre le lacrime mi rigano il viso, sono del tutto incapace di muovermi.

Quei vigliacchi andarono via tutti divertiti e felici di essersi uniti e aver pestato in dieci una sola persona. Gregori quella lurida e schifosissima e puzzolente feccia, quello scarto, era andato via, ma non prima di aver detto una frase ad effetto o meglio una minaccia ad Adam, e da un po’ era calato il silenzio.

  Oddio, me l’hanno ucciso, oddio perché non ho fatto niente,potevo fare qualcosa, potevo…potevo…dico mettendomi a piangere silenziosamente,per poi entrare in campo e cercarlo fra l’oscurità.

Non vedo nulla, ma l’ansia per la sua condizione dopo quel pestaggio mi fa venire in mente il mio cellulare, almeno avrei avuto una luce, anche se misera e avrei potuto vedere intorno e cercarlo. Accendo il cellulare e allungo il braccio per fare luce intorno a me, quando vedo del sangue a terra mi paralizzo all’stante e alzo contemporaneamente sia la mano che il capo e quello che vedo mi fa ricominciare a piangere facendomi uscire un singhiozzo.

M’inchino di fronte a lui e poso il cellulare che continua a fare luce, lui è lì, a terra, spero solamente svenuto.

Avvicino la mano a lui, anche se non sono certa che un contatto dopo tutte quelle botte sia una buona idea, infatti, quando gli tocco il volto livido e pieno di tagli mi afferra il polso facendomi male.

“Adam” lo chiamo con voce impastata dal pianto e dal dolore, se avessi fatto qualcosa, penso trattenendo a stento le lacrime che minacciano un’altra volta di uscire.

 “Adam, sono io”dico.

 Alza lo sguardo e una luce di consapevolezza mista a calore riempie i suoi bellissimi occhi sporchi di sangue colato dalla ferita sanguinante sul sopracciglio.

“Riesci ad alzarti? Ti do una mano, andiamo via da qui, ti porto da me, devo medicarti o portarti all’ospedale”

 “apre la bocca per dirmi qualcosa, ma non ci riesce.

 “Mi dispiace, io ero presente o sentito tutto, potevo fare qualcosa, potevo… mi dispiace”dico abbassando il capo mentre una singola lacrime sfuggita dal mio controllo, mi scivola lungo la guanci già umida.

 All’improvviso sento un rumore e il suo delicato tocco sulla guancia che mi fa alzare il capo e guardarlo.

 “tu” cerca di dire. Faccio un effimero sorriso e poso la mia mano sulla sua, e quando riprova a parlare, scuoto lentamente il capo.

“Andiamo, cerca di alzarti, per favore, altrimenti non so come aiutarti”gli dico pregandolo. Posa la mano dal mio viso alla umida e fredda terra e aiutandosi anche con l’altra cercare di alzarsi. Voglio fare qualcosa per aiutarlo, ma rimango ferma, non so dove ha le ferite.  

La sola cosa che riesce a fare infine e stare assiso a terra a capo chino, gli porgo le mani e lui mi guarda in volto, per poi fare leva sulle mie braccia per alzarsi. Ci riesce, ma subito perde l’equilibrio e riesco a prenderlo prima che cada, non si regge in piedi, noto sentendo un sordo dolore al petto, guarda come l’hanno ridotto, quei… e ancora sento le lacrime cercare di uscire, ma le tengo a freno.

In piedi si scosta da me e cerca di camminare, ma lo predo prima che finisca disteso a terra. Cerca ancora di camminare da solo, ma ottiene solo di arrancare e di farmi stare ancora peggio di come mi sento.

“Adam lasciati aiutare, non ho potuto fare niente prima, lasciai che ti aiuti ora”gli dico con cautela. Si volta lentamente verso di me e noto che è fragile e provato.

Gli porgo una mano, la guarda per un attimo, poi fa un sospiro e l’accetta.

“Dove posso toccarti senza farti male?”Chiedo, ma non ricevo risposta, così molto delicatamente gli passo un braccio intono alla vita per aiutarlo a stare in piedi e c’incamminammo verso casa mia.

Dopo un po’ di strada con tutte le buste in una mano e tutto il suo peso nell’altro braccio ci fermiamo davanti al mio palazzo.

 “Dove siamo?”Chiede con un filo di voce. Mi giro verso di lui e involontariamente ci sfioriamo con le guance o devo dire, guancia contro lividaccio nero e dolente.

“Non so dove abiti e hai bisogno d’urgenti medicazioni, se non addirittura di un’ambulanza, così ti sto portando a casa mia” dico tranquilla, come se fosse ovvio, e mi dirigo vero il portone.

 “Casa mia non è distante” mi dice. Mi volto verso di lui.

“e dov’è?”

“ In via Combi 5”

“ah, ho capito, c’è vicino la chiesa vero?”

“Sì, proprio i palazzi grigi la vicino”

 “e sentiamo, secondo te riesci a camminare fino a la,se non riesci nemmeno a stare in piedi, guarda che per arrivarci ci metti un po’ non credere sia così vicino,invece casa mia è praticamente qua”dico guardandolo .

Si rassegna, non è difficile capirlo dal suo sguardo.

“Tranquillo, farò in modo che non ti senta a disagio, e poi nessuno potrà farti domande a casa, papà non c’è e se è tornato ora starà dormendo” dico

 “ma forse questo era meglio che non te lo dicevo, ora si che ti ho messo a disagio vero?”Dico entrando nell’ascensore e spingendo per il sesto piano.

Quando le porte si aprono esco, poso le buste sullo zerbino e prendo le chiavi dalla borsa e apro.

 “Bene, ora siediti qui, ce la fai?”Chiedo.

Annuire e si siede sul divano, poi chiudo la porta e lo guardo.

“non provare a scappare, o ti darò la caccia, chiaro? E poi sarebbe una cosa assurda, visto come sei messo, arrivo subito con la casetta del pronto
soccorso e intanto vedo anche se papà è ritornato”  gli dico e salgo di sopra.

La stanza di mio padre ha la porta  aperta e a letto non c’è, controllo tutte le altre stanze,di lui neanche l’ombra e comincio a sentirmi più tranquilla.

Prendo la casetta di pronto soccorso e ritorno in sala. Seduto sul divano, Adam si guarda intono e mi duole vederlo così sporco e ferito.

“Eccomi”dico inchinandomi di fronte a lui, apro la casetta di pronto soccorso, ne estraggo dell’ovatta e del disinfettante, avvicino delicatamente alla sua ferita sul labro un batuffolo imbevuto, e quando lo appoggio fa un verso di dolore.

Gli disinfetto la ferita sul sopracciglio e per quanto posso vedere ho finito. “Queste sono le uniche cose che posso disinfettare, poi per le altre pensaci tu, ok? Te lo lascio”.

 All’improvviso il telefono suona e vado a rispondere.

“Pronto, ciao papà, va bene allora preparo la cena e te la metto da parte così poi la scaldi nel microonde e mangi,allora a domani mattina”dico
attaccando.

 “A quanto pare mio padre deve lavorare fino a tardi, quindi per ora non devo inventarmi nessuna scusa del perchè sei qui”dico chiudendo la casetta di pronto soccorso e porgendogli una mano.

 “Andiamo ti porto di sopra, così farai una doccia”dico.

Lo noto esitare, poi me la prende e con il mio aiuto si alza e saliamo le scale che portano di sopra.

“Il bagno è quella porta davanti a te, ora tu entri, ti svesti e ti lavi, mentre cerco qualcosa da farti indossare, va bene?” Mi guarda ma non dice niente, poi
lo accompagno alla porta e mi viene un dubbio, lo guardo.

 “Ce la fai?” Annuisce lentamente ed entra, intanto io vado in camera di mio padre e apro l’armadio. Una bella maglietta… ma poi vedo la felpa che si è comprato e che non si è mai messo, perché da ragazzo, non da uomo di mezz’età, certo mio padre è ancora bellissimo, ma è adulto e la felpa non fa per lui, prendo quella, dei jeans con una cinta e addirittura dei boxer se vuole cambiarsi in tutto e per tutto e lentamente apro la porta del bagno e tra il vapore vedo solo, e per fortuna, la tenda plastificata gialla, e sento lo scrosciare dell’acqua fortissimo.

Prendo dal mobiletto accanto alla porta degli asciugamani puliti e poso tutto sullo sgabello vicino al lavandino spostando il vaso di fiori che c’è sopra, poi esco e vado preparare la cena.

In cucina rimango a pensare alcuni minuti, poi decido di fare qualcosa di liquido, nel caso non riesca a masticare per via del dolore e comincio a preparare un buon brodo caldo, ottimo per il fresco che si sente, poi preparo dei petti di pollo al limone e una insalatona verde e lì mi sbizzarrisco,mais, carote pomodori e chi più ne ha più ne metta,sperando riesca a mangiarla.

Quando ormai si sente un buon profumino ed è quassi tutto pronto e sto apparecchiando la tavola, sbuca dalla porta.

 “Noto che ti sta bene la felpa, l’avevo detto a papà che una cosa simile non poteva indossarla, ma l’ha comprata lo stesso”dico sospirando.

 “Però i jeans ti stanno larghi”gli faccio notare sorridendo.

“ Per quanto riguarda le scarpe… non ho potuto fare nulla, comunque è pronta la cena, accomodati”dico indicando il tavolo, poi prendo il tegame e riempio i piatti di brodo caldo e pastina.

“Sofia”mi chiama.

 Alzo il capo.

“Mi dispiace, forse sono stata troppo impudente, sicuramente preferisci andare a casa e poi non ci conosciamo così tanto”comincio a dire abbassando il capo all’improvviso imbarazzata.

La sua mano si posa sulla mia e me la stringe dolcemente.

 “Rimani a cena?”Gli chiedo con un’audacia improvvisa.

 “Sì”mi risponde.

Ci sediamo a tavola, prende il cucchiaio e lo porta alle labbra, e tranquilla, sapendo che non ha problemi, comincio a mangiare.

 “Sofia, perché hai fatto del brodo?”

 “Pensavo che fosse la soluzione migliore nel caso non riuscissi a masticare per il dolore, perché non ti piace?” Chiedo guardandolo, mi fa uno dei suoi dolci sorrisi.

 “No, è perfetto, grazie, hai ragione mi fa male masticare”faccio un sorriso compiaciuta di essere stata d’aiuto, e continuiamo a mangiare.

Alla fine del primo piatto mi fermo e lo guardo seria, non abbiamo parlato fino alla fine del brodo e quindi ho avuto modo da pensare.

 “Adam, dovresti denunciarli per aggressione”dico seria.

Mi guarda sorpreso con il bicchiere a mezz’aria.

“non posso farlo”dice prendendo un sorso d’acqua.

 “Perché?”Chiedo confusa.

 “Perché altrimenti la scuola lo verrebbe a sapere e verrebbero cancellate le partite che avevamo in programma”

 “sì, ma guarda che ti hanno fatto, e poi non sei andato via dalla squadra, non potresti comunque giocare senza altri giocatori e poi così malconcio”dico
guardando il grande lividaccio blu sulla sua guancia.

 “Comunque devi sapere che sono stata felice per quello che hai detto, io la penso come te, il calcio è un gioco divertente e di squadra e le vittorie vanno conquistate senza quei sporchi mezzi”

“sì, però ora non posso più giocare perché non ho una squadra”

 “sì, ma se per giocare devi perdere la salute con una sostanza che non si sa nemmeno da dove provenga, a questo punto è meglio che non giochi affatto,l’hai  detto tu,la vittoria si conquista con lo sforzo e il calcio a bisogno di giocatori leali come te non di bari”dico portando a tavola i petti di pollo.

  “Comunque conoscendo Gregori, farà di tutto per riavermi in squadra, non per vantarmi, ma sono la loro punta di diamante, sono un giocatore forte in quella squadra”

 “non faccio fatica a crederlo”dico preparandogli il piatto.

Finiamo di mangiare e mi pento per aver fatto un’insalata piena di cose dure. Seduti sul divano con una tisana in mano e intenti a guardare la televisione, chiedo.

 “Adam sono le undici, non dovresti telefonare a casa?” Distoglie lo sguardo dalla televisione e mi guarda.

“sì e no, ci sarebbe solo mio fratello, se anche lui non lavora fino a tardi”

“capisco, ma se è a casa sarà preoccupato, telefona”

Si alza senza controbattere, prendere la cornetta e digita il numero.

Qualcuno risponde all’istante.

“Calmati Aidan, sì, sto bene, scusa per non averti chiamato è successa una cosa, ti ho detto che sto bene, senti ora ti passo una persona che ti
spiegherà tutto”dice porgendomi la cornetta.

 “Scusa, è che non lo sopporto quando fa così e se parla con qualcuno che non conosce si calma”mi dice”.

“Pronto, lei è il fratello di Adam? Le chiedo scusa per non aver avvertito prima, doveva essere molto preoccupato, ma Adam non riesce a venire a casa, se potesse venirlo a prendere lei, le spiegheremo tutto al suo arrivo, l’indirizzo è Pompeo 13 sesto piano,la porta con lo zerbino arancione, bene, allora l’attendiamo”dico attaccando.

“Sai Adam, non si è calmato neanche parlando con me”

 “è troppo esagerato, iperprotettivo ed espansivo”dice sorridendo divertito.

 “penso sia bello così, io sono figlia unica”

 “infatti non ci sono che tue foto”.

 Guardo dietro di me il mobile pieno delle mie foto, ce ne sono di ogni mia età e m’imbarazzo.

Sì, mio padre è fissato, mi fa una foto ogni anno, e le più carine le mette su questo mobile”

 “Vuol dire che ti vuole molto bene, è una cosa bellissima,ma tua madre? Non si vede mai nelle foto”

 “Le sue, papà l’ha nascoste,dopo che si sono separati e mi ha affidata a lui, per occuparsi a tempo pieno del suo lavoro,papà era così arrabbiato con lei
da farla sparire dalla  nostra vita”

 “scusami, non volevo farti pensare a questo cose”

“tranquillo, non mi manca affatto,anzi sto bene con papà e poi ho la piccola Sam che rallegra ogni mia giornata,è come una sorellina per me”

 “questo lo avevo capito da Sam”mi risponde gentile.

 “Ma tu vivi con tuo fratello?”Chiedo all’improvviso, mi guarda stranamente.

“Io in verità non lì ho più i genitori, sono morti in un incidente stradale e sono rimasto a vivere con mio fratello, tutto qui”

“capisco, di certo non è la mia situazione”

 “ma non so se è più brutta la mia o la tua”dice Adam.

Alzo le spalle per fargli capire che non ne ho la più pallida idea, poi sento suonare il citofono.

“Un fulmine” dico allegra. Apro il portone e subito dopo sento suonare il campanello. Che ha sorso per le scale? Mi chiedo.

 Apro mi ritrovo davanti la fotocopia di Adam, solo di qualche anno più grande e più alta.

 “Dov’è Adam!”Chiede subito agitato.

 “sono qui fratello”dice facendo capolino dalla porta dove io ero rimasta immobile.

 “Prego, entri”dico riprendendomi.

Mi guarda ed entra, e prevedendo come mi è sempre stato facile, delle urla, chiudo subito la porta per non far sentire tutto al palazzo.

“Adam stai bene?!”Gli chiede abbracciandolo.

 “Ahi! Stavo meglio prima”risponde.

 “scusa, chi è stato a farti questo, dimmelo che li sistemo io”

“Aidan, calmati”dice sorridendo.

“certe volte non so chi è il fratello maggiore qua”dice rivolto a me.

Sorrido e l’attenzione del fratello cade su di me. Mi guarda e si gira di nuovo verso Adam.

 “Allora è come pensavo, ti sei fatto menare per salvare questa ragazza”

“ma che dici? È lei che mi ha dato una mano”

“lei?”

“Sì, ora ti spieghiamo tutto, calmati però”

 “Prego, accomodati”dico e si siede sul divano in mezzo a me e ad Adam.

“Praticamente,i miei amici della squadra di calcio mi hanno menato perché mi sono rifiutato di bere una sostanza che mi avrebbe fatto diventare più forte e quando ho criticato il capitano e ho detto che li lasciavo mi hanno picchiato”

“cosa?!!! Ti hanno picchiato per questo?!”

 “Sì fratello e Sofia mi ha aiutato”

“ti ringrazio molto”mi dice il fratello prendendomi le mani fra le sue e stringendomele dolcemente. Lo guardo sorpresa.

 “Fratello?”

“sì?”

 “Smettila, lasciale le mani, ti sto parlando”aggiunge irritato.

“Comunque dovremmo avvisare la scuola o parlare con i loro genitori”dice il fratello serio.

 “Non puoi farlo, nonostante abbia detto loro che sarei andato via dalla quadra, io voglio fare quelle partite,ho intenzione di rifar parte della squadra della scuola,e non per paura, e naturalmente senza prendere quella sostanza”

“vedremo, ma ora sarai stanco è meglio che torniamo a casa”dice Aidan.

“Sofia” mi dice girandosi verso di me “ti ringrazio per aver aiutato mio fratello”

 “ma no, non deve, volevo aiutarlo”dico e lo guardo alzarsi dal divano.

“Bene, ora andiamo, grazie ancora Sofia” dice dirigendosi alla porta.

 La apro e rimango sull’uscio mentre chiama l’ascensore, invece Adam è ancora dietro di me.

 “E questi vestiti?”

“Non ti preoccupare, mio padre non se ne accorgerà nemmeno che non ci sono più, e se succede m’invento una scusa,gli altri se me li lasci te li farò riavere puliti,non so, domani se vieni al parco.

 “Ma, non posso chiederti anche questo”

“non lo stai facendo, mi offro io”

 “allora grazie, domani ci sarò”dice dandomi un bacio sulla guancia.

 Rimango allibita sull’uscio, mentre entrano nell’ascensore, ma non prima che Adam mi abbia regalato uno dei suo soliti dolci sorrisi.

Non appena chiudo la porta mi ci appoggio di spalle e sento il mio cuore battere forte.  Per un semplice bacio sulla guancia, sono stracotta, mi dico. Sparecchio e mi metto a lavare a mano i vestiti sporchi di terra di Adam, per poi rammendare il salvabile.

Mi protraggo fino all’una, ma nonostante la stanchezza, sono felice, mi cambio con una camicia da notte, mi lego i capelli in una coda morbida e vado a dormire.

                                                                                                    ******************************

La mattina seguente Sam viene a svegliarmi per andare al parco e ancora assonnata, mi faccio attendere in sala. Quando scendo la trovo a guardare i cartoni, mentre mio padre è seduto sul divano a leggere il giornale.

 “Sofia, sai che fine a fatto la mia giacca della  tuta? Quella grigia, e non trovo neanche un paio di jeans nuovi”
faccio finta di pensarci un po’, poi rispondo.

“Scusa papà, ma quella felpa è troppo da giovane, non ti si addice e poi non l’hai mai indossata che t’importa,per quanto riguarda i jeans immagino stiano in giro per la tua stanza,disordinato come sei,o non hai visto bene nell’armadio”rispondo con noncuranza.

Vado in balcone e ritiro i vestiti di Adam che ho steso in un punto bel nascosto, ma dove batte il sole e per fortuna sono perfettamente asciutti, certo con il sole che comincia già da mattina a spaccare le pietre, ci credo.

 Metto gli abiti in una busta e vado alla porta.

 “Spengi la televisione Sam, andiamo al parco”dico.

La piccola spenge e mi segue fuori, e mano nella mano andiamo al parco.

Il parco, anche se è mattina, è super affollato e le mamme sono tutte sedute all’ombra. Passo davanti al campo di calcio e mi vengono i nervi, sono tutti presenti quelli che hanno picchiato Adam, come se non fosse successo niente.

 Li guardo ostile e continuo a camminare portando la piccola con me. Mi siedo sulla nostra solita panchina e mentre la piccola gioca sullo scivolo e fa un’espressione strana perchè brucia, la guardo e il nervoso sparisce, è così carina.

Giochiamo fino all’ora di pranzo, poi andiamo a prendere un pezzo di pizza e ritorniamo a giocare e questa volta gioco con lei, perché stare senza far niente mi fa solamente pensare a Adam che non si è fatto vedere. Dopo un po’ prendiamo un ghiacciolo e puntuale come un orologio svizzero, la mamma di Sam mi chiama.

M’incammino malinconica verso il palazzo e una volta che la piccola Sam è ormai  a casa,mi metto a studiare i paragrafi che mi sono rimasti di scienze con il ventilatore acceso a piena potenza diretto addosso. Mio padre questa volta non è rimasto al lavoro fino a tardi, così ho lasciato preparare a lui la cena, mentre io, dopo aver studiato, mi rilasso guardando un po’ di televisione.

All’improvviso suona il citofono e vado a vedere chi può essere.

 “Vado io papà, non ti preoccupare”dico, non appena sento chi risponde, rinasco.

Faccio un sorriso a trentadue denti.

  “Scendo subito”dico con cautela.  

“Chi è?”

 “Una mia amica papà”

 “e che vuole a quest’ora”

“vuole che le ridia un libro di scuola che mi ha prestato, me n’ero completamente dimenticata”

“Va bene, ma sbrigati, la cena è pronta”

“va bene”dico.

Di corsa salgo di sopra e prendo la busta, indosso qualcosa di pesante e scendo. Come ho fatto ad inventarmi una scusa così, su due piedi, non lo so,sono un genio, mi dico, diventando inquieta. Esco dal portone e lo trovo poggiato al muro, ancora più bello di quanto ricordassi, appena mi vede gli s’illuminano gli occhi, o almeno mi pare, ma anche se non è vero, sono certa che è successo a me.

 “Adam”dico avvicinandomi a lui che mi fa il suo magico sorriso.

 “che cos’è successo? Non sei venuto al parco”gli faccio notare preoccupata.

 “Sì, è successa una cosa che mi ha fatto dimenticare il nostro appuntamento. Scusami.

 Appuntamento, penso agitandomi.

 “Tranquillo, che cosa è successo?”

“A quanto pare mio fratello ha parlato con la scuola e ora non si faranno più le partite, e gli altri sono stati sospesi”

“mi chiedo se non sia peggio”.

 “In che senso?”Mi chiede perplesso.

“Mi dispiace per quanto successo, so che ci tenevi molto, ma non te la prendere con tuo fratello, sono certa l’abbia fatto per il tuo bene, anche se spero che non ti mettano in mezzo quando finirà la sospensione, potrebbero, anzi, quasi sicuramente c’e l’avranno con te e ti potrebbero fare ancora del male” mi sorride.

 “Non ti preoccupare, e l’arrabbiatura per mio fratello mi passerà, visto il suo carattere”dice tranquillo.

“Ah, questi sono i tuoi vestiti”

“e questi i tuoi”dico e ci porgiamo le buste contemporaneamente.

 “Grazie Sofia”

“e di cosa? Allora ci vediamo” dico incamminandomi imbarazzata verso il portone.

“Aspetta!” Mi giro a guardarlo senza capire.

 “La prossima settimana, venerdì, c’è la partita allo stadio, volevo sapere se volevi venirci con me, ci porta e riprende mio fratello, infondo si deve far perdonare e ho già i biglietti”.

 “Va bene” dico felice con uno smagliante sorriso.

 “A venerdì ,non vedo l’ora”dice e va via.

Rimango a guardarlo andare via confusa. Non vede l’ora di stare con me o di vedere la partita? Ma a che sciocchezze pensi Sofia, sicuramente si riferiva alla partita, mi dico ritornando a casa.

“Papà eccomi”

“giusto in tempo, vieni a tavola”

 “arrivo, vado a lavarmi le mani”e a passo felpato vado di sopra, nascondo gli Jeans sotto il letto, anche se noto che Adam li ha lavati, e la felpa la
nascondo in mezzo alle camicie, mi lavo le mani e vado a mangiare.

                                                                                                  ************************************

Il tempo, strascorse incessantemente e arrivò il giorno della partita. Ho rifilato a mio padre la scusa che la mia amica ha comprato un biglietto per andare a una partita con lei, e che ci avrebbe accompagnato suo cugino. Ed ora sono intenta a scegliere, da tipo due ore, cosa indossare.

 Guardo perplessa i tre abiti stesi sul letto, se devo andare ad un partita, devo vestirmi adeguatamente. Alla fine indosso una maglietta rossa con scollatura rotonda e una gonna jeans con calze pesanti finemente decorate, preparo la borsetta, mi fermo i capelli corvini sul capo con un fermaglio che se non erro mi aveva regalato mio padre a Natale, prendo il soprabito e attendo davanti al portone Aidan.

Mentre attendo penso a mio padre. Mi ha guardata stranamente mentre prendevo l’ascensore, e ancora non capisco cosa pensa, ma quando arriva la macchina e vedo Aidan al volante e Adam aprirmi dall’interno la portiera per farmi salire, e poi farmi il suo solito dolce sorriso, l’immagine di mio padre mi scompare all’istante dalla mente.

“Monta Sofia, vieni a sederti accanto a me”dice Adam allegro. Salgo e per tutto il tragitto scende un silenzio teso, fino a che, Aidan se ne accorge e accende la musica, che allegra, riempie la vettura.

Ci lascia proprio davanti allo stadio, dove vedo entrare una marea di persone vestite con i colori delle proprie squadre e con le facce variopinte e comincio a essere un tantino inquieta, tanto che mi guardo intorno spaesata, questa e la seconda volta che vado in un posto simile.

 “Andiamo a sederci”mi dice Adam girandosi verso di me e porgendomi la mano.

“Prendila, non intendo perderti fra la folla”

Annuisco gli faccio un sorriso e gliela prendo molto volentieri, e penso lo abbia capito anche lui che non mi dispiace stare mano nella mano, visto che gliela stringo forte.

Ci sediamo ai nostri posti, e intorno a noi vedo lo stadio gremito di persone e mi accorgo che io sto fra i tifosi di una squadra che in effetti, non conosco, perché volevo stare solo con Adam e non ho chiesto che partita fosse, e che sono vestite di verde e bianco, e l’altra squadra, di rosso e marrone.

Mi chiudo subito la giacca per non far vedere la mia maglietta rossa, così che non mi scambino per una tifosa dell’altra squadra, e così da non creare un’inutile rissa.

 “Tutto a posto?” Mi chiede Adam vedendomi agitata.

 “Sei già venuta in un posto simile vero?”

“Sì, non è la prima volta, e che non ti ho chiesto quali squadre giocano”

 “è vero, che stupido, non te l’ho detto”dice passandosi una mano fra i capelli imbarazzato,quanto vorrei che la sua mano fosse la mia in questo momento,penso.

 “Comunque la squadra nostra è quella verde e bianca?” Chiedo.

“sì”

“allora ho fatto bene a chiudere il giacchetto”.

 “e perché?”

 “Perché indosso una maglietta rossa, non vorrei creare una rissa”si mette a ridere.

 “capisco”

Si avverte che sta per iniziare la partita e all’improvviso sento delle urla concitate intorno a noi e si parte! La squadra avversaria segna per prima in pochissimi minuti e si sentono fischi di disapprovazione, sbuffi, sospiri se non qualche imprecazione contro l’altra squadra.

All’improvviso senza che nessuno potesse neanche lontanamente pensarci, ecco che noi segnamo. Le urla di felicità sono tremende e vedo intorno a me persone che si abbracciano felici e trasportate dal momento, e anch’io vengo abbracciata da Adam.

Quando il momento dell’euforia scemò, Adam non si staccò imbarazzato, ma rimase abbracciato a me stringendomi forte, per poi sussurrarmi all’orecchio.

“Sai Sofia, dalla volta in cui mi hai aiutato, non ho fatto che pensare a te, mi vieni in mente ogni giorno, allora vorrei provare ad alimentare questa voglia di stare con te, voglio conoscerti meglio, essere qualcosa per te” mi confessa lasciandomi sbalordita e felice.

“Noi siamo amici, ma provare ad essere qualcosa di più, non mi dispiacerebbe affatto”dico calma. Ti ho sempre guardato da lontano, mi piacciono i tuoi dolci sorrisi, l’ho sempre pensato, mi piace il tuo carattere per quanto posso conoscerlo, gentile e ottimista, allegro, mi piace sapere che sei onesto, e non solo per lo sport che ami. Sai un giorno ti ho anche sognato, da quando ti ho visto la prima volta, sei diventato la mia ossessione e anch’io vorrei essere qualcosa di più che una semplice amica per te”dico in tono perfetto, anche se in verità sono imbarazzata sopra ogni dire.

“Io invece ti ho notata veramente da quando ti sei spaventata per la pallonata, sono molto occupato con il calcio e non ho mai pensato di voler stare con una ragazza o almeno fino ad ora, ma quando hai pianto per me dopo esser stato picchiato, aiutandomi, portandomi a casa tua, offrendomi le tue cure, le tue attenzioni, la tua cena, mi sono sentito anche se imbarazzato, bene, e ti ero molto grato o meglio ti sono ancora molto grato, poi come ti ho detto, non ho fatto che pensare a te, la storia della tua famiglia, i sorrisi che mi hai fatto, la tu ottima cena, e i tuoi riguardi per me,nonostante mi conosci appena.

“Tutto questo non mi ha dato nessuna fatica o problema, mi piaci, mi piace la tua determinazione e il tuo aspetto, tutto, poi la prima volta che ci siamo parlati e stretti la mano sono stata molto felice, finalmente ti avevo conosciuto, il mio cuore era impazzito. La verità è che mi sono innamorata di te, confesso tranquilla e non imbarazzata come avrei creduto.

“Credo sia lo stesso per me, vorrei scoprire i miei veri sentimenti per te con il tuo aiuto” mi dice sciogliendosi dall’abbraccio e alzando la testa per guardarmi. Avvicina il viso al mio, ed io alzo leggermente il mio per ricevere il suo bacio. Il primo di molti altri e quello che ha iniziato la nostra lunga e duratura storia d’amore.    

     
 
         
   
      
 
 
                  
 
 
 
  
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