A Rò, che ha letto questa "cosa" pezzetto per pezzetto incoraggiandomi ad andare avanti.
Era
una notte fin troppo tranquilla, per essere quella
notte. L’indomani sarebbe finito
tutto, nel bene o nel male. Una delle due parti sarebbe stata
sconfitta. Dalla
loro avevano il numero, i Nascosti che avevano deciso di schierarsi con
il
Conclave. Ma non avevano la forza demoniaca né tantomeno la
crudeltà:
continuavano a pensare a quelli che avevano voltato le spalle al
Conclave,
dichiarandogli guerra, come a dei fratelli da salvare e, alla fine,
quello era
il loro punto debole.
L’amore sarebbe stato la loro rovina, proprio come gli aveva
sempre insegnato Valentine Morgenstern, l’unico padre che
avesse mai
conosciuto.
* * *
Aveva
bussato alla porta di Magnus perché non sapeva dove
altro andare. Tutti i suoi amici, quelli che sapevano
dell’importanza di quella
notte, erano con i loro cari. Lui era solo e non sapeva da chi andare.
Tornare
a casa non era possibile e poi non voleva allarmare sua sorella:
Rebecca
avrebbe capito subito che c’era qualcosa che non andava.
Clary stava
trascorrendo del tempo con Jocelyn e Luke, e anche se non fosse stata
con loro
non era con lui che avrebbe scelto di trascorrere quella che avrebbe
potuto
essere l’ultima notte della sua vita. Isabelle era con i suoi
fratelli e sua
madre all’Istituto. Jordan con Maia
all’appartamento, dove si era sentito un
terzo incomodo e aveva deciso di lasciarli soli. Almeno Magnus
l’avrebbe capito
e si sarebbero fatti un po’ di compagnia.
A dire la verità pensava di incappare in una festa grandiosa
all’appartamento, e invece aveva trovato lo Stregone
accomodato su una poltrona
in velluto rosso con il Presidente Miao acciambellato sulle gambe, del
vino
fatato in una mano e il telecomando del televisore
nell’altra. Un’occhiata allo
schermo gli confermò quel che già sospettava:
Magnus stava guardando per
l’ennesima volta le repliche di Project
Runway. Non si era neanche
alzato per aprirgli la porta, aveva fatto giusto
un cenno con la mano che teneva il telecomando per dirgli di
accomodarsi
sull’altra poltrona e gli aveva detto tre parole in croce
durante la
pubblicità.
« Dovrai accontentarti della stanza di Alec. Le altre sono
in ristrutturazione, » poi era tornato a guardare la
televisione.
Considerato il pessimo umore di Magnus era meglio che Simon
stesse zitto e annuisse, anche perché non riusciva a trovare
una risposta
sarcastica adeguata. Probabilmente Magnus aveva litigato con Alec. Di
nuovo.
« Secondo te ho sbagliato a chiedergli di passare questa
notte con me? » gli chiese durante l’ennesima pausa
pubblicitaria. Simon non
riuscì neanche ad aprire bocca, perché Magnus
continuò a parlare. « No, non
rispondere. Sei qui da me e non con Isabelle. È ovvio che io
abbia sbagliato. »
Simon sussultò alla menzione di Izzy. Erano usciti insieme.
Si erano baciati un bel po’ di volte ed avevano persino
dormito insieme. Ma non
avevano ancora chiarito la loro situazione, e Dio sapeva che quella era
una
delle cose che più lo faceva impazzire: non averle mai detto
apertamente e
chiaramente quello che provava per lei. E presto sarebbe potuto essere
troppo
tardi. Si alzò in piedi, perché era quello che
faceva quando era nervoso: si
muoveva fino a trovare pace. Ma in quel momento c’era anche
una seconda
motivazione al suo improvviso bisogno di jogging. Voleva allontanarsi
dai
pensieri neri di Magnus. L’atmosfera stava facendosi pesante.
« Se hai fame c’è del sangue nel frigo.
Da quando bazzichi
qui intorno ne tengo due o tre bottiglie di riserva, giusto in caso tu
decida
di comparire senza preavviso. Ci tengo al mio gatto. »
« Io non luccico come una monetina al sole, ma comunque
grazie,
Magnus. Credo che ne approfitterò. » (1)
« Conosci Twilight? » chiese Magnus, cogliendo il
riferimento.
« Ero un liceale, prima di tutto questo, » rispose
indicandosi. « Potrei far finta di non sapere cosa sia solo
se negli ultimi due
anni fossi vissuto su un’isola deserta. » (2)
Magnus ridacchiò, uscendo per un attimo dal suo stato di
apatia. « Ad ogni modo, prego, Seamus. E non sporcare le
coperte, non c’è
niente che potrebbe mandare in paranoia il mio
Nephilim più di un
copriletto macchiato di sangue. »
« Ah. Dannazione. Qui muore il mio piano di ridecorare la
stanza con pois rosso sangue! » rise, mentre si dirigeva
verso la cucina.
* * *
La
camera di Alec sembrava un museo in tutto e per tutto.
Tutto in perfetto ordine, tutto perfettamente pulito. Tutto il
contrario di
quella fucsia e nera e incasinatissima che Izzy aveva
all’Istituto. Non che
lui ci fosse mai entrato, ma Clary ogni tanto gliene parlava,
stupendosi di
come Isabelle potesse aver avuto la stessa educazione di Alec e Jace.
Quando si
fermava a pensarci qualche secondo di più si rabbuiava, e
Simon sapeva
perfettamente che era per colpa di suo padre, dell’uomo con
cui condivideva
metà del patrimonio genetico. Dell’uomo che aveva
cresciuto Jace come un figlio
e poi l’aveva barbaramente ucciso trafiggendogli il petto con
una spada. In
quei momenti Simon poteva soltanto stare a guardare Clary, abbracciarla
e
sperare che passasse presto.
Izzy era tutto il contrario di Clary. Tendeva a tenersi
dentro le cose che la facevano soffrire, e voleva sempre mostrare di
sé
l’immagine della ragazza che non aveva bisogno di nessuno. E
a lui non
dispiaceva essere quello che aveva bisogno di lei, o meglio, a lui non
dispiaceva essere quello che doveva dirlo ad alta voce,
perché se c’era una
cosa di cui Simon era sicuro era che Isabelle aveva bisogno di lui
tanto quanto
lui ne aveva di lei.
Le parole di Magnus lo avevano colpito più di quanto volesse
lasciare intendere, ma il fatto era che lui voleva
passare quella notte con Isabelle, perché non sapeva se ce
ne sarebbero state
altre. Scolò quello che rimaneva del sangue in bottiglia,
prese il telefono
dalla tasca dei jeans e le mandò un messaggio per avvisarla
di dove avrebbe
potuto trovarlo. Stava per rimettere via il cellulare, quando il
desiderio di
contattare Rebecca e sentirla per quella che poteva essere
l’ultima volta lo
aveva colpito, prepotente.
Schiacciò il tasto per la composizione rapida del numero di
sua sorella. Il numero tre. Al numero uno, quello che fino a poco tempo
prima
era stato di Clary, ora c’era Isabelle. Clary era scivolata
al quattro.
Nonostante tutto quello che era successo, Simon non se la era sentita
di
togliere il numero di casa dal numero due. Nonostante tutto quello che
era
successo, non riusciva a non chiamare casa la villetta in cui era
cresciuto.
Il telefono di Rebecca squillava a vuoto per un po’, poi la
chiamata veniva trasferita alla segreteria. Provò una, due,
tre, cinque volte.
Alla fine Simon si rassegnò al fatto che sua sorella non
potesse – o non
volesse – rispondere. Alla sesta chiamata si arrese a
lasciare un messaggio in
segreteria.
« Reb, ti voglio bene. Stai vicina alla mamma, è
un periodo
difficile. Dalle un bacio da parte mia e dille - »
Il bip che segnalava il termine del tempo a sua disposizione
per parlare gli risparmiò la fatica di scegliere cosa dire a
sua madre.
“Scusa”? “Perdonami”? Ma per
cosa si sarebbe dovuto scusare? Per cosa doveva
chiedere perdono? Lui le voleva bene e gliene avrebbe sempre voluto, ma
non
sarebbe mai più stato il ragazzo che era suo figlio. Quel
ragazzo era morto,
letteralmente, e lui era ciò che ne restava. Stessa faccia,
stesso carattere,
stessi atteggiamenti, ma era un dannato, e non poteva neanche mettere
piede in
casa sua.
Si sdraiò sul letto e fissò il soffitto come se
nascondesse
chissà quale verità, ma a lui non dava nessuna
risposta. Eppure nei polpettoni
russi che Luke qualche volta aveva condiviso – per non dire
obbligato a vedere
– con lui e Clary c’era sempre quel momento in cui
il protagonista si sdraiava
sul letto a guardare… ah no, aveva capito cos’era
che non andava. Non era il
letto e non era il soffitto. Era un prato in mezzo al nulla con un
cielo
stellato che si perdeva nell’infinito. Possibile che in quei
film non piovesse
mai? Persino in Guerre
Stellari
c’erano piogge di meteoriti… Comunque, il soffitto
non funzionava e il prato in
mezzo al nulla non era proprio a portata di mano.
Si girò su un fianco e i suoi occhi caddero sulla foto che
Alec teneva sul comodino. C’erano Alec e i suoi fratelli.
Jace, Max e Izzy.
Izzy… sorrideva. Sembrava così rilassata in
quella foto.
Probabilmente Simon non l’aveva mai vista ridere
così. Del resto, da quando la
conosceva non è che avesse avuto molti motivi per farlo.
Prima c’era stato il piccolo Max, la cui morte era stata
talmente insensata che ancora non riusciva a rendersene conto. Poi suo
padre
era rimasto a Idris ed Izzy si era convinta che Robert stesse peggio
per la
morte della sua amante che per quella del figlio. Simon sperava che
prima o poi
ad Izzy quella convinzione sarebbe passata, ma la passione con cui lei
difendeva
le sue idee era una delle cose che amava di lei. Una delle cose stupide
che
amava di lei.
E dopo, nello stesso periodo in cui cercava di lasciarsi
alle spalle la morte del fratellino, era scomparso Jace. Con lui erano
stati
più fortunati, era tornato sano e salvo e di quello Simon si
sentiva un po’
artefice. Se non fosse stato per lui… ma in fondo la ragione
per cui era stato
lì per farlo era che Jace l’aveva salvato sulla
nave e Clary gli aveva messo
quel marchio per cui l’angelo Raziel non aveva potuto farlo
fuori a vista.
Comunque Jace si era salvato ancora una volta. E l’indomani,
a distanza di neanche due mesi dall’ultima guerra, sarebbero
dovuti di nuovo
scendere in campo contro altri Shadowhunters.
No. Izzy non aveva davvero molti motivi per sorridere, in
quel periodo, ma Simon voleva trovarne uno per poterla vedere brillare
come in
quella foto almeno una volta.
Stava ancora accarezzando il viso di Isabelle, quando il
campanello di casa suonò, annunciando un visitatore.
* * *
Izzy era
seduta sul divano con le gambe distese di fronte a
sé. Il cellulare era tornato in tasca, dopo aver letto il
messaggio di Simon
che la invitava a raggiungerlo all’appartamento di Magnus, e
aveva tra le mani
la frusta d’oro che aveva appena finito di pulire. Preparare
le armi per la battaglia
era ciò che doveva fare un buon Cacciatore.
Nelle ultime settimane Alec e Jace avevano messo a punto nuove
tecniche di combattimento. Finora avevano sempre combattuto per
uccidere, i
demoni, ma quelli che avrebbero avuto di fronte l’indomani
erano Shadowhunters
come loro. L’armata nera di Sebastian. Se ci pensava si
sentiva un’assassina,
ma non era lei che si era schierata contro il suo stesso sangue. Erano
in
guerra. Guerra. G.U.E.R.R.A.
« Ehi, Iz! Stai facendo dei buchi nel tappeto! »
La voce di Alec che la riprendeva con un tono tra il
divertito e l’annoiato la fece sorridere, prima di rendersi
conto che
effettivamente aveva puntato i piedi così forte che i tacchi
dei suoi stivali
stavano davvero strappando il tappeto. Nel frattempo Alec continuava a
lucidare
le spade, affilare gli shuriken, rimproverare Jace per il disastro che
stava
combinando. Sembrava una sera come tante altre lì
all’Istituto.
Ma non lo era! Quella poteva essere la loro ultima notte e
loro erano lì a sprecarla in quell’assoluta
finzione di normalità. Era così
ingiusto che invece volesse soltanto passare un po’ di tempo
con Simon?
Chissà perché lei e i suoi fratelli si erano
accordati per
trascorrere la notte all’Istituto. Di
sicuro anche loro smaniavano dalla voglia di stare con le persone che
amavano,
non poteva essere altrimenti. Alec aveva persino litigato con Magnus
per
rispettare l’impegno preso, ma si vedeva chiaramente che era
di pessimo umore
per quella scelta e per l’idea di aver deluso Magnus ancora
una volta.
Il rumore di una sedia che strusciava sul parquet le ricordò
esattamente perché lei, Alec e Jace erano lì.
Maryse Lightwood. Sua madre. La
donna più forte che conoscesse e che non era crollata
davanti a niente. La
donna che aveva messo al mondo lei, Alec e Max, che aveva adottato Jace
e
l’aveva cresciuto amandolo come se fosse stato suo. La donna
che aveva perso un
figlio ed aveva continuato a guardare avanti, nonostante tutto. La
donna
tradita da suo marito che aveva continuato a stargli accanto. Quella
donna che
amavano e non potevano e non volevano lasciare sola durante quella
notte.
Izzy vide sua madre spostarsi in modo che tutti e tre
potessero guardarla negli occhi. La vide osservare lei e i suoi
fratelli, con
gli occhi che si addolcivano mentre passavano dall’uno
all’altro e si fermavano
su di lei.
« Basta così, ragazzi. Non so di chi sia stata
l’idea di
rimanere qui a farmi da balie, ma non lascerò che
trascorriate questa notte qui
all’Istituto. Sono in grado di badare a me stessa, ho Church
a farmi compagnia
e sarò impegnata ad accogliere gli Shadowhunters in arrivo
all’ultimo minuto.
Voi dovreste stare con le persone che amate, non qui con me. Siamo
Nephilim,
addestrati a combattere e ad affrontare la morte, ma siamo anche esseri
umani e
abbiamo bisogno di amore e conforto. Perciò, entro
un’ora vi voglio fuori di
qui. »
* * *
Jace
si riprese immediatamente dallo stupore che aveva
colpito tutti e tre. Si alzò e si portò di fronte
alla madre per stringerla in
un abbraccio che colse la donna del tutto impreparata.
« Grazie, mamma. » Era la prima volta che la
chiamava così,
ma sentiva che doveva farlo almeno una volta nella sua vita. Non aveva
mai
chiamato nessuno in quel modo, perché non aveva mai avuto
una madre, o almeno
non si era mai permesso di avvicinarsi tanto a qualcuno. Ma Maryse era
sua
madre. Ed era una verità che niente, neanche il fatto che il
suo sangue fosse
quello degli Herondale, poteva cambiare. « Grazie per quello
che hai fatto per
me in questi anni. Grazie. »
« Jace, non devi ringraziarmi, lo sai che ti considero mio
figlio da sempre. Ho fatto per te tutto quello che ho fatto per
Alexander e
Isabelle. Non potrei amarti di più neanche se fossi carne
della mia carne. Ed
ora vai, prima che rovini la mia immagine di donna inflessibile
mettendomi a
piangere di fronte a tutti per quello che mi hai detto! »
Jace la strinse ancora un po’, poi salutò Alec,
senza parole
e senza abbracci, sfiorando le rune da parabatai che entrambi avevano
vicino al
cuore. A Izzy dedicò solo un cenno della testa, sapeva
perfettamente che la
sorella se la sarebbe presa molto di più se il saluto fosse
stato più
sentimentale.
Senza voltarsi, uscì dalla biblioteca, chiudendosi la porta
alle spalle.
* * *
Izzy era
convinta che non dovessero comportarsi come se
l’indomani avrebbero perso qualcuno. Era di cattivo auspicio.
Ma l’idea che quella potesse essere l’ultima notte
per lei e
Simon non riusciva ad abbandonarla. Si alzò in piedi, nello
stesso momento in
cui anche Alec lo faceva.
I loro sguardi si incontrarono, e Izzy fissò il fratello
con aria divertita per qualche istante, prima di abbracciarlo. Alec non
la
abbracciava dalla notte in cui era morto Max, e quella consapevolezza
non
contribuiva a tranquillizzarla.
« Ave
atque vale »
le disse, e lei quasi si sciolse in lacrime a quelle parole.
Lo strinse più forte. « Non provare ad
abbandonarmi anche tu
» sussurrò, un attimo prima di lasciarlo andare
per abbracciare la madre.
Mentre usciva dalla biblioteca sentì sua madre dire qualcosa
ad Alec. Qualcosa che tradiva quanto lei fosse la donna che Izzy non
sarebbe
mai stata.
« Convinci tua sorella a chiamare vostro padre. Se dovesse
succedergli qualcosa - » si interruppe e sospirò.
« Se dovesse succedergli
qualcosa se ne pentirebbe. »
Non poteva vederli, ma era sicura che Alec avesse annuito,
un attimo prima di stringere la madre in un abbraccio,
perché Alec era così:
ligio alle regole e al dovere, e sempre pronto a sacrificarsi per gli
altri.
Era quello per cui temeva di più, perché non
aveva un minimo
di istinto di conservazione. Qualunque cosa facesse, ci metteva corpo,
cuore e
anima.
Si asciugò la lacrima che le scivolava lungo la guancia
proprio un secondo prima che Alec uscisse dalla biblioteca. Gli
sorrise, per
non farlo preoccupare, anche se il fratello sembrava sempre sapere
quello che provava davvero.
« Iz - »
Lo fermò con un gesto della mano.
« Non sprecare fiato, non lo farò. »
« Iz, è nostro padre. »
« Lo era anche quando è morto Max. E
dov’era quando lo
piangevamo? A piangere sui resti della sua sgualdrina! Robert Lightwood
non è
mio padre, non più di quanto Stephen Herondale sia il padre
di Jace! »
« Sei ingiusta. Papà ci ha sempre voluto bene e
non ci ha
mai fatto mancare niente, Iz. I problemi tra lui e la mamma…
sono problemi tra
lui e la mamma. »
« È questo che ti ha chiesto di dirmi per
convincermi? Perché
probabilmente » alzò la voce in modo che la madre
la sentisse chiaramente « ci
avrebbe dovuto pensare quando anni fa mi ha scaricato addosso questo
peso. Ad
ogni modo, io non cercherò di contattarlo. »
« Ok. Fai pure. Io sì. Mi aspetti o vai da sola?
»
« Come fai a sapere che dobbiamo andare nello stesso posto?
»
« Il tuo ragazzo è prevedibile… e
comunque me l’hai appena
confermato tu » disse, con un sorriso.
« Vado da sola. Se restassi qui troveresti il modo di farmi
parlare con papà anche se non voglio. »
Si voltò velocemente, in modo che i lunghi capelli corvini
ondeggiassero nell’aria prima di ricaderle sulle spalle, e
prima che Alec si
accorgesse che era arrossita, quando aveva dato a Simon il titolo di
“il tuo
ragazzo”.
Si preparò in fretta e uscì altrettanto in fretta
dall’Istituto. Aveva bisogno di sentirsi una ragazza da
proteggere, anziché una
protettrice, per una volta. Aveva bisogno di Simon.
* * *
Si
alzò per andare ad aprire la porta quando – alla
terza
volta che il campanello suonava – fu chiaro che Magnus non
l’avrebbe fatto.
La maniglia gli rimase quasi in mano per la forza con cui la
strinse quando scoprì chi era stato a suonare. La
fissò con insistenza, prima
di riuscire a formulare un pensiero coerente, e comunque quello che gli
uscì
dalla bocca era tutto il contrario di quello che le avrebbe voluto dire.
« Che ci fai qui? » le chiese. L’ennesima
cosa stupida che
faceva o diceva quella sera.
Per fortuna Izzy non parve sentirlo – o, se
l’aveva fatto,
aveva deciso di ignorarlo nel nome della sua stupidità
– e invece di
rispondergli gli circondò il collo con le braccia e si
sollevò sulle punte per
baciarlo. Quando le labbra di lei si posarono contro le sue,
capì come si
doveva essere sentito Anakin Skywalker quando aveva preso la decisione
di
passare al Lato Oscuro della Forza. Avrebbe fatto di tutto per tenere
Izzy al
sicuro, tra le sue braccia, e non doverla mandare a combattere il
giorno dopo.
Ma sapeva che la guerriera in lei non avrebbe gradito quella sua
interferenza.
Simon lasciò andare la porta, per stringere la vita della
ragazza che aveva desiderato per tutta la sera senza osare sperare che
si
sarebbe fatta viva. La sollevò un po’ da terra,
per permetterle di stare più
comoda mentre si baciavano. Chiuse la porta con un piede, dopo essere
arretrato
quel tanto che bastava per non rimanerci chiuso in mezzo, e poi
dedicò tutta la
sua attenzione a Isabelle e a quel bacio che aveva tanto aspettato,
quella
sera.
Persero la cognizione del tempo, lì nell’ingresso
della casa
di Magnus con le labbra l’uno su quelle dell’altra,
e fu Simon a rendersi conto
che Izzy gli stava svenendo tra le braccia per la mancanza di aria.
Mise fine
al bacio e lasciò che Isabelle tornasse a poggiare i piedi a
terra, ma la tenne
stretta contro il suo petto fino a che il respiro di non lei non si fu
calmato.
Mentre la stringeva e le accarezzava la schiena, come se avesse bisogno
di
accertarsi che lei fosse davvero lì, con lui, e che la sua
mente non gli stesse
giocando brutti scherzi, si rese conto che lei non aveva portato borse
con sé e
che gli abiti che indossava erano quelli della battaglia. Non sarebbe
tornata
all’Istituto, quella notte. Sarebbe rimasta lì con
lui.
Il pensiero gli riempì il cuore di una tale gioia che per un
momento Simon pensò che potesse ricominciare a battere in
una specie di
miracolo. I ciechi tornavano a vedere, i lebbrosi venivano sanati e i
vampiri
tornavano umani. E sarebbe stato soltanto merito dell’amore
che provava per
quella meravigliosa Cacciatrice che in quel momento era tra le sue
braccia.
Quando fu sicuro che Izzy non sarebbe più crollata sul
pavimento si azzardò a spostare una mano sotto il mento di
lei per sollevarle
il viso e guardarla negli occhi.
« Stai bene? » le chiese. Lei annuì,
mentre continuava a
guardarlo negli occhi. Aveva uno sguardo così fiero,
così determinato. I suoi
occhi erano neri come una notte di tempesta e – da quando era
così sdolcinato?
Aveva negli occhi la stessa determinazione che Amidala aveva quando si
era
presentata davanti al Senato con una mozione di sfiducia per il
cancelliere
Valorum. O la stessa determinazione di Leila quando aveva baciato Han
Solo per
la prima volta, specificandogli che Luke era suo fratello.
D’altra parte quelle
due erano madre e figlia…
« A cosa stai pensando? »
« A Leila Organa, » gli sfuggì dalle
labbra prima di potersi
fermare. Si rese conto di quanto potesse suonare strano dire a una
ragazza che
stava pensando a un’altra ragazza mentre la stava baciando,
anche se era il
personaggio di un film e del tutto inesistente e stava pensando a lei
solo
perché lo sguardo di Izzy gliel’aveva ricordata.
« Star
Wars, di
nuovo. Davvero, Simon? » Izzy lo guardava in modo scettico,
e dal tono della
sua voce era chiaro che si stesse divertendo a prenderlo in giro. Gli
passò le
mani intorno alla vita, prima di parlare di nuovo, contro il suo petto.
«
Andiamo in camera, » gli disse, e il calore del suo respiro
gli riscaldò la
pelle attraverso la t-shirt di cotone che recitava
“TopGeek”. (3)
Simon fece passare le braccia sotto quelle di lei, la
sollevò per farle poggiare i piedi sui suoi e poi si
incamminò lungo il
corridoio muovendosi in quello che poteva benissimo chiamare
“il passo del
pinguino”. Non gli importava di sembrare goffo, in quel
momento. In quel
momento aveva bisogno di stare vicino a Izzy e non voleva staccarsi da
lei
neanche per i dieci metri che li separavano dalla stanza. E a Isabelle
non
sembrava dispiacere.
« Siamo arrivati, » le disse, quando furono sulla
porta
della stanza, e lei per tutta risposta gli posò un bacio
leggero sulle labbra,
accarezzandogli la guancia dove non sarebbe mai cresciuta la barba.
« Non fa niente, te l’avrei fatta radere tutti i
giorni. Non
mi piacciono le facce ruvide. »
« Come fai? »
« A fare cosa? »
« A sapere sempre quello che ho in testa. » (4)
Izzy sorrise, senza rispondergli, scese dai suoi piedi e si
guardò intorno.
« Ma questa - »
« È la stanza di Alec, sì, »
la interruppe. « Magnus ha
detto che potevo e dovevo occupare questa, visto che le altre sono in
ristrutturazione. »
« Fondamentalmente non capisco perché abbia ancora
una sua
stanza, visto che quando è qui non la usa. »
Izzy sorrise ancora. Ma di nuovo il sorriso non arrivò agli
occhi. Non li raggiungeva mai, e di questo Simon era tremendamente
dispiaciuto.
Voleva assolutamente fare qualcosa che riuscisse a farla sorridere
davvero. Con
le labbra, con gli occhi, ma soprattutto con il cuore.
Si sedette sul letto, con la faccia rivolta verso la porta e
i gomiti poggiati sulle ginocchia. Isabelle si avvicinò a
lui e gli poggiò una
mano sulla testa. Simon alzò lo sguardo e vide che era
preoccupata.
« A che pensi? » gli chiese.
« A qualcosa di stupido che ti faccia sorridere, non lo fai
abbastanza. »
« Ma se l’ho appena fatto! »
« I tuoi sorrisi non raggiungono i tuoi occhi, Izzy.
Sorridi con le labbra, ma non sorridi mai davvero. Io vorrei vederti
sorridere
così, » disse, mentre prendeva la cornice sul
comodino e gliela mostrava.
Isabelle prese in mano la foto, stirò le labbra, quasi a
volerlo rassicurare sul fatto che stava bene, poi si sedette sul letto,
in modo
che lui non potesse vederle il viso.
Simon si alzò di scatto, con la velocità che solo
degli
esseri non totalmente umani potevano avere, e si inginocchiò
di fronte a Izzy,
che piangeva in silenzio, come ormai era bravissima a fare.
« Sono proprio uno stupido, » le disse,
accarezzandole il
viso con il dorso della mano. « Volevo farti sorridere e
invece ti ho fatta
piangere. »
La mano di Isabelle strinse la sua. « Non sei uno stupido,
Simon. Tutta questa situazione, tutta questa paura che ho non sono
colpa tua.
Ho già perso un fratello in questa guerra, un fratello a cui
non avevo mai dimostrato abbastanza affetto, un fratello che
probabilmente è morto pensando
che io e Alec lo considerassimo niente più che una palla al
piede, una
seccatura. Ho paura che domani si ripeta una tragedia simile. Ho paura
di
perdere Alec, ho paura di perdere Jace. Ho paura di perdere mia madre e
ho
paura persino per mio padre. Ma la persona per cui ho più
paura sei tu, Simon.
Ho paura di perdere te. Io… ho bisogno di te. »
Dire che non se l’aspettava era veramente poco. Izzy era
lì
perché finalmente aveva ammesso con se stessa di avere
bisogno di lui, non
soltanto perché le aveva mandato quel messaggio cretino in
cui le faceva capire quanto gli mancasse.
Le baciò i capelli. La tempia. Scese verso la guancia e,
quando finalmente arrivò alle labbra, si rese conto che se
fosse morto in
quell’istante per mano di Isabelle sarebbe comunque morto
felice.
Si ritrovarono distesi sul letto, lui con la maglietta
sollevata fino alle ascelle e le mani sotto la canottiera di lei, lei
con le
mani allacciate dietro il collo di lui e le caviglie strette intorno
alle sue
cosce, quando
Simon si costrinse a dare
la pausa “aria” a Isabelle.
« L’ossigeno è sopravvalutato,
» gli disse, con il respiro
affannato e il battito del cuore affrettato.
« Per me sì, per te un po’ meno,
» la prese in giro,
sfilandosi completamente la maglietta prima di tornare con le labbra
sulle sue.
Dopo qualche minuto – quantificare il tempo non era
importante - la porta sbatté contro la parete. Simon se ne
accorse, ma il suo
corpo non dava segni di volersi fermare a dare importanza a quel
rumore, né la
sua mente voleva mettersi ad analizzare il fatto che quando erano
entrati
avevano chiuso bene la porta dietro le loro spalle. Almeno fino al
momento in
cui Izzy non lo spinse via e si tirò giù la
canottiera. Fissava qualcosa che
non erano i suoi occhi. Simon seguì il suo sguardo e
vide… Alec.
« Cos’è, non usa più bussare?
» gli chiese Isabelle, lo
sguardo torvo e la voce imperiosa. Aveva concesso ad Alec il ricoprirsi
e lo
smettere di baciarlo, ma sembrava aver terminato lì le
gentilezze per lui.
« È la mia
camera!
» balbettò Alec in risposta.
« Non mi pare ti serva a molto, quando sei qui! »
controbatté
Isabelle.
« Punto a suo favore, Alec. » La voce di Magnus,
chiaramente
divertita dalla situazione, proveniva dal salotto.
« È un vampiro! » ribatté
lui, ignorando Magnus.
Simon stava quasi per sentirsi offeso, quando Isabelle parlo
di nuovo: « Il tuo ragazzo è uno Stregone ed
è un ragazzo, e non mi pare che
qualcuno si sia mai permesso di fartelo pesare. »
« Due a zero per lei! »
«Oh, taci Magnus, più tardi me la paghi!
»
« Sono proprio curioso di scoprire come. L’ultima
volta le
tue punizioni si sono rivelate davvero piacevoli. »
« Magnus! » Urlarono in coro tutti e tre. Alec era
avvampato e si affrettò ad uscire dalla stanza, richiudendo
la porta alle sue
spalle.
Simon sembrò riscuotersi dallo stato di shock in cui era
caduto e si sedette sui suoi talloni, quando le gambe di Izzy lo
lasciarono
libero di farlo. Scoppiò a ridere, mentre lei si alzava per
andare a chiudere
la porta a chiave e faceva ondeggiare di proposito i fianchi fasciati
dai
pantaloni di pelle nera.
« Dove eravamo rimasti? » gli chiese lei, una volta
che fu
di nuovo sul letto.
« Anch’io ho paura di perderti, »
confessò all’improvviso
Simon, provando la necessità di essere completamente
sincero. « Lo sai che ho
bisogno di te, Iz. Quando mi sono trasformato ho avuto paura di perdere
la mia
umanità, ma tu eri lì a ricordarmi che potevo
essere ancora me stesso. »
« Non ero l’unica, e penso che quando ti sei
trasformato tu
non mi vedessi neanche. »
« Ti vedevo. Avevo paura di te e fuggivo da te. »
« Perché? »
« Perché pensavo che fossi tu quella che non mi
vedeva e
perché dentro di me ho sempre saputo che potevi diventare
importante. Ci ho
messo solo un sacco di tempo per capirlo e nel frattempo devo averti
fatta
soffrire in più di un modo. Questa è la cosa per
cui sono più dispiaciuto. »
Izzy prese il suo mento tra le mani e gli sfiorò le labbra
con le sue.
« Voglio fare l’amore con te, Simon. »
Era seria, la sua Isabelle. Gli occhi pieni di
determinazione, come quando scendeva in battaglia, ma anche di una luce
che
spesso cercava di soffocare. La luce di qualcuno a cui la vita piaceva,
a cui
importava vivere.
Riusciva a specchiarsi in quei laghi neri e l’ultima volta
che mise a fuoco il suo riflesso si vide annuire a quella richiesta
della
ragazza che amava. Poi, per lui, il mondo si ridusse ad Isabelle.
Isabelle che lo baciava, Isabelle che gli stringeva le
braccia attorno al collo. Gli occhi di Isabelle, la sua bocca, la sua
pelle
morbida e calda contro la sua. Isabelle che gli faceva battere il cuore
anche
se il suo cuore era fermo da tempo.
Isabelle. Isabelle. Isabelle.
Il suo respiro affannato, le sue gambe forti strette intorno
a lui, le dita di lei intrecciate alle sue.
* * *
Dopo
un po’ di tempo – Simon non sapeva quantificarlo
– Izzy dormiva stretta tra le sue braccia, il respiro
tranquillo, la
schiena
appoggiata al suo petto, le mani e le gambe intrecciate alle sue.
Se fosse morto in quel momento – morto morto…
morto
definitivamente – sarebbe morto felice. Probabilmente
l’aveva già pensato in
passato, ma morire con Isabelle stretta al petto era il miglior modo in
cui
poteva pensare di andarsene. Forse per lei però il risveglio
non sarebbe stato
molto piacevole, in quel caso.
Se solo fosse riuscito a vedere almeno una volta quel
sorriso non gli sarebbe davvero più importato di restare in
vita. Non chiedeva
nient’altro a Dio. Solo un sorriso vero e sincero della
ragazza che amava.
Perché sì, lui la amava, ma a lei
l’aveva mai detto?
Isabelle si mosse tra le sue braccia, e Simon si trovò quei
fari neri puntati sul viso.
« Ho qualcosa di stupido da dirti, »
esclamò, prima di poter
avere ripensamenti.
« Qualcosa tipo? » chiese lei, con una
curiosità e un’aria
rilassata che era difficile vedere su quel viso.
« Tipo ‘Ti Amo’. »
Il sorriso sulle labbra di Izzy era finalmente accompagnato
da una gioia negli occhi così profonda di cui Simon era
intensamente orgoglioso
di essere responsabile.
Era un sorriso vero. Ed era tutto per lui. E lui non
l’avrebbe mai dimenticato.
***
NOTE
(1) - Twilight è uscito nel 2005 e le ragazzine americane ne hanno subito fatto un fenomeno. La storia è ambientata nel 2007 (come tutta la serie The Mortal Instruments) e Simon, che come puntualizza era un liceale, sicuramente sapeva cosa fosse. Non mi stupirebbe che lo sapesse anche Magnus.
(2) - La battuta ricalca una scena di Arrow, il telefilm con Stephen Amell (*ç*) nei panni del non-tanto-eroico Freccia Verde. In particolare la scena a cui faccio riferimento è nella prima puntata e ha come protagonisti Oliver Queen e Tommy Merlyn. Sebbene il telefilm non sia uscito che nel 2012, è verosimile che Simon conoscesse il fumetto. E visto che le basi della storia sono le stesse...
(3) - La maglietta in questione potete trovarla su Qwertee, e la scritta è stata fatta con la grafica di Top Gun. Non so perché mi sembrava qualcosa che Simon avrebbe indossato.
(4) - Questa è autoreferenzialità. Nel senso che nella mia testa Cecily Herondale capisce al volo quello che passa nella testa di chi le sta vicino (specialmente in quella di Gabriel Lightwood) e Izzy le somiglia molto, in questo senso.
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ISPIRAZIONE
I fattori ispiranti questa storia sono chiaramente almeno due: l'immagine che potete parzialmente vedere nel banner (e che trovate, completa di snippet, sul blog di Cassandra Clare. L'art è opera di Cassandra Jean) e Something Stupid, nella versione cantata da Robbie Williams e Nicole Kidman. Ci sono poi, ovviamente, tutti quelli che trovate nelle note qui sopra.
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RINGRAZIAMENTI
Ci sono un buon numero di persone che devo ringraziare. A parte Rò, che ho ringraziato in apertura, ci sono Liz, Susi e Bea. E poi ci sono tutte le persone che ogni giorno mi dimostrano il loro affetto qui su internet e nella vita vera, per le quali non potrò mai smettere di ringraziare quel Qualcuno che le ha messe sulla mia strada.
Spero che la storia vi sia piaciuta :)