Anime & Manga > Dragon Ball
Ricorda la storia  |      
Autore: lilac    12/12/2007    12 recensioni
Un inaspettato regalo giunge alla Capsule Corporation una mattina di ottobre che parrebbe essere una delle tante. Ma un avvenimento apparentemente di ordinaria amministrazione può cambiare davvero il corso di una giornata e... qualcosa di più?
Genere: Generale, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Bulma, Vegeta, Yamcha
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Questa storia è tra le Storie Scelte del sito.
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

DISCLAIMER: La trama e i personaggi non mi appartengono, ma sono proprietà di Akira Toriyama, che ne detiene tutti i diritti; questa storia è stata quindi scritta senza alcuno scopo di lucro.



IL LINGUAGGIO DEI FIORI


Uno... Due... Tre... Quattro... Uno... Due... Tre... Quattro...
Yamcha era sceso dalla macchina e si era avviato verso l’edificio a forma di cupola seguendo ancora il ritmo di quei conteggi, senza nemmeno rendersene conto. Da qualche parte, nella sua mente, un ragionevole avvertimento gli suggeriva di togliersi dalla testa l’immagine di quelle graziose ragazze che saltellavano leggiadre in palestra, quelle tutine attillate e coloratissime che aveva avuto davanti agli occhi per tutta la mattina, ma le curve morbide e sinuose, il flettersi e il contrarsi delle rotondità di quelle giovani forme e le risate cristalline e civettuole di quelle ragazze risuonavano ancora forte e chiaro tra i suoi pensieri, come una specie di eco. La spensieratezza di quel gruppo di avvenenti fanciulle lo aveva rapito come un canto di sirene; la sua risoluzione ad allenarsi e ad affrontare più seriamente quella futura, terribile minaccia annunciata era stata, a quel punto, quasi dettata dal senso di colpa. Oltre che risultargli estremamente impegnativo, decidere di tornare ad allenarsi per conto suo alla Capsule Corporation aveva finito per metterlo leggermente di cattivo umore; era come se la responsabilità di quello di cui solo lui e pochi altri terrestri erano a conoscenza gli pesasse più di quanto non avrebbe dovuto e sentisse di non farne parte; non più di quanto apparteneva invece ad un mondo che era, almeno nella sua idea di normalità, molto più simile a quello che si era appena lasciato alle spalle piuttosto malvolentieri.
Non appena svoltò l’angolo la sua attenzione fu attirata, per un qualche automatismo, dalla figura della ragazza affacciata al balcone. Bulma se ne stava assorta in qualche pensiero, appoggiata alla ringhiera, apparentemente rilassata e con lo sguardo perso nel vuoto. A Yamcha però non sfuggì la reale direzione verso cui erano proiettati lo sguardo di lei e suoi pensieri; visibilmente preoccupata e concentrata, fissava la navicella gravitazionale sul prato davanti alla casa, da cui provenivano incessantemente rumori sordi e attutiti da giorni e un intenso bagliore rossastro.
Involontariamente, Yamcha si trovò a fermarsi sovrappensiero nel punto in cui si trovava e ad osservare in silenzio la scena.
Uno dei motivi per cui restare in palestra ad allenarsi gli era sembrata una prospettiva più allettante era stata proprio la presenza di quel saiyan alla Capsule Corporation. Non era ancora riuscito del tutto a spiegarsi il perché Bulma lo trattasse con tanta accondiscendenza; lei, che non trattava con accondiscendenza praticamente alcun essere vivente. E quell’uomo non era di certo un essere vivente qualsiasi. Aveva da sempre dimostrato nient’altro che cattive intenzioni riguardo a tutti loro e lui non aveva certo bisogno di un’ulteriore prova tangibile di quello che Vegeta andava minacciando ogni giorno, aveva già potuto saggiare fin troppo concretamente la bontà di quelle intimidazioni e l’idea di vivere sotto lo stesso tetto con quell’assassino non lo confortava affatto, oltre che lo infastidiva parecchio. Certo era, che un atteggiamento simile fosse proprio tipico di Bulma e come sempre Yamcha aveva finito per accettare passivamente la decisione o, per meglio dire, l’avventata iniziativa di lei. Si era sforzato di convincersi che dopotutto il suo compito sarebbe stato in qualche modo quello di proteggerla, pur se in cuor suo qualcosa gli diceva che quella donna non avrebbe avuto affatto bisogno della sua protezione e, soprattutto, che lui non sarebbe stato per niente in grado di proteggerla da quel saiyan, la cui forza superava di gran lunga la sua.
Una smorfia di disappunto misto a vergogna comparve sul suo volto al ricordo del suo stupido tentativo di azionare la gravità nella navicella e della misera fine che stava per fare, solo per aver voluto provare a misurarsi con quell’odioso individuo.
Aveva imparato per bene la lezione quel giorno, la forza di quel saiyan era fin troppo al di là delle sue possibilità. Il modo in cui glielo rinfacciava ogni minuto, anche soltanto con la sua totale indifferenza, era tutto un altro paio di maniche, ma ormai non poteva negare l’evidenza. Non poteva competere con lui e questo lo rendeva parecchio nervoso, soprattutto in vista di ciò che sarebbe accaduto di lì a poco, stando al ragazzo venuto dal futuro. Continuava a ripetersi che avrebbe potuto comunque dare il suo contributo, continuare ad allenarsi come stavano facendo Crilin e gli altri, ma la sensazione di frustrazione che provava andava ben oltre la sua inadeguatezza materiale e fisica.
Quella voglia di combattere che lo aveva spinto con tanto entusiasmo a lasciare la sua squadra e ad unirsi agli altri al palazzo del Supremo, non molto tempo prima, sembrava aver lasciato il posto ad una voglia diversa. E pareva che quella sua insufficienza si fosse improvvisamente concretizzata in ogni aspetto della sua vita, compreso il suo rapporto con Bulma. Da qualche tempo ormai lei lo aveva lasciato, infatti, adducendo proprio un motivo del genere. Non è più sufficiente... Non è più quello che voglio... La cosa strana era che questo non lo aveva turbato più di tanto, dopo tutti quegli anni l’unica cosa che era cambiata nel loro rapporto in seguito a quella decisione di Bulma era stata... A dire la verità, gli sembrava che non fosse cambiato nulla.
Per un momento, quella strana consapevolezza ebbe l’effetto di riscuoterlo e di fargli ritrovare un certo buonumore. In fondo la cosa non aveva tutti questi lati negativi, di lì a breve, se fosse tornata la pace... Quando sarebbe tornata la pace, si sarebbe ritrovato ad avere un’infinità di possibilità per godersi la vita.
Spinto da quell’ultima sferzata di ottimismo riprese a dirigersi verso il cancello d’ingresso con rinnovata energia, non senza gettare di sfuggita un’occhiata e un pensiero indefinibili alla navicella gravitazionale troneggiante in giardino. Quel pensiero, o qualsiasi altra cosa fosse, sembrò d’altra parte dileguarsi piuttosto in fretta, dopo appena un istante, soppiantato da qualche idea più piacevole.
Probabilmente sull’onda di quello che stava immaginando, sul punto di oltrepassare il cancello, la sua attenzione fu catturata nuovamente da un furgone parcheggiato a qualche metro di distanza o, più precisamente, da ciò che si intravedeva spuntare dal retro di quel furgone. Dopo aver esitato appena un istante, il tempo di porsi una domanda di qualche genere sul motivo della presenza di quel mezzo, Yamcha si era trovato quasi automaticamente ad accertarsene di persona.
“Posso esserle utile, signorina?”
La visione di due gambe perfette e muscolose e di un fondoschiena rotondeggiante, coperto a malapena da un paio di pantaloncini, si avvicendò in un lampo con quella di due occhi verdi, sorridenti e ammiccanti, da cui il ragazzo distolse meccanicamente lo sguardo in favore di una scollatura audace e generosa, che non lasciava molto all’immaginazione.
“Oh… Grazie” Sorrise accattivante la giovane che si era appena voltata, sbattendo le palpebre. “Sa mica se quel palazzo è la Capsule Corporation?”
“Sì, questa è la sede della Capsule Corporation” Rispose con una certa baldanza Yamcha, strizzando un occhio in segno di complicità. “Ha proprio indovinato”.
La ragazza replicò ridacchiando divertita, sistemando con un gesto studiato una ciocca di capelli biondi. “Sa, devo fare una consegna, ma non sono pratica di questa zona...” Ammise imbarazzata, schernendosi appena e coprendosi la bocca con una mano; un cenno appena abbozzato, volutamente pudico e vergognoso, che appariva tanto seducente quanto infantile.
“Venga, le faccio strada io.” Si offrì cavallerescamente il giovane, ormai totalmente sedotto da quelle movenze. “Io sono praticamente di casa” Precisò poi, dandosi un tono.
La ragazza sgranò gli occhi stupita e palesemente ammirata. “Ma davvero?! Allora lei deve essere una persona importante”.
“Be’, ecco...” Si canzonò lui, agitando una mano leggermente imbarazzato. “Più o meno... Ma mi permetta di aiutarla a portare dentro il suo pacco. Una ragazza carina come lei non dovrebbe fare questi lavori pesanti” Si affrettò poi a puntualizzare, flirtando ormai apertamente.
“Oh, lei è davvero gentile, oltre che tanto carino...” Rispose lei, strizzando l’occhiolino maliziosa e tornando ad armeggiare all’interno del furgone. “Ma non devo consegnare niente di pesante… Solo un mazzo di fiori”.


Nove... Nove Ottobre...
Cominciava a fare freddo. Ormai anche la mattina, pure se le giornate erano ancora soleggiate, l’aria non era più afosa e opprimente negli ultimi giorni. In altre circostanze la cosa l’avrebbe resa di buonumore, perché avrebbe automaticamente significato il rinnovo del suo guardaroba, piacevoli pomeriggi passati per negozi a fare spese e magari un nuovo taglio di capelli all’ultima moda. In quel momento tuttavia, Bulma aveva qualcos’altro su cui concentrarsi che la teneva vagamente sulle spine. Non che tutta quella storia dei cyborg la preoccupasse in modo eccessivo, in fondo quel ragazzo venuto dal futuro le aveva ispirato una certa fiducia, aveva dimostrato di voler aiutare tutti loro e fondamentalmente aveva di fatto dato loro un vero e proprio aiuto concreto; non sapeva spiegarsi del tutto il perché, ma quel giovane aveva un qualcosa di familiare che l’aveva subito messa a suo agio. Nonostante tutto però, le notizie che aveva rivelato loro non erano affatto confortanti e, soprattutto, il modo in cui avevano reagito tutti quanti non aveva nulla di sensato a parer suo, specialmente il modo in cui aveva reagito la rappresentanza saiyan del gruppo.
Il percorrere l’immaginario filo logico dei suoi pensieri le strappò un sospiro rassegnato, che si tramutò ben presto in uno sbuffo annoiato. Posò stancamente il mento sul palmo delle mani, chinandosi e appoggiandosi sulla ringhiera, quasi fosse in cerca di un sostegno più solido. I suoi occhi non si erano staccati dalla navicella gravitazionale sistemata in giardino, quasi involontariamente non riusciva a distogliere lo sguardo dagli oblò della piccola astronave, che emanavano quella luce rossastra molto intensa, da giorni ormai ininterrottamente.
Quei maledetti saiyan non avevano in testa altro che la guerra. Dovevano rendere le cose sempre più difficili, solo per la smania di combattere. Al diavolo!
La fiducia che riponeva in Goku era a dir poco smisurata, questo era innegabile; lui avrebbe di sicuro sconfitto quei cyborg, Bulma ne era fermamente convinta. La cosa strana, in realtà, era che per quanto quel testone di Vegeta si ostinasse ad odiarlo, alla fine non si era dimostrato poi molto diverso da lui. Buffo come pur non avendo mai saputo di essere un saiyan, o come diavolo doveva chiamarlo, improvvisamente Goku si comportava tale e quale a quell’altra testaccia dura.
Il lieve aggrottarsi delle sopracciglia tradì per un istante una leggera preoccupazione e un certo nervosismo.
Colui che rispondeva a quell’ultimo epiteto negli ultimi giorni non faceva che occupare dispoticamente anche i suoi pensieri, oltre che la sua casa. Bulma ormai appariva quasi rassegnata all’idea e questo non sarebbe stato da lei, se non fosse che, nonostante tutto, una sorta di istinto continuasse a costringerla in qualche modo a mantenere un certo distacco dai suoi stessi sentimenti. Come a voler prendere le distanze, ancora una volta, da quello che stava per diventare uno dei suoi soliti ragionamenti a senso unico, Bulma sollevò per un momento gli occhi al cielo, prima di tornare a fissare distrattamente la navicella.
Quello stupido di Vegeta non aveva voluto interrompere i suoi preziosi allenamenti nemmeno quel giorno, ormai erano giorni che non mangiava e considerando che, facendo i dovuti calcoli, la scorta residua di provviste nella navicella doveva essere ormai terminata da un po’, la cosa aveva del ridicolo. Se avesse continuato in quella maniera si sarebbe ammazzato con le sue mani, bel lavoro!
L’espressione stizzita che era apparsa naturalmente sul suo volto lasciò però repentinamente il posto ad un leggero velo di malinconia, che le attraversò per un momento lo sguardo, su cui parve trasparire visibilmente un qualche ricordo. L’immagine di Vegeta privo di conoscenza le tornò alla mente senza volerlo, insieme ad una vasta gamma di sensazioni tra le più disparate e confuse.
Fin da quando erano tornati sulla Terra da Namecc, a Bulma era sembrato di aver intravisto in quello sguardo beffardo qualcosa di più che cinismo e brutalità. In un primo momento, avendo a che fare con i suoi modi, aveva pensato di essersene illusa, più probabilmente attratta dal suo innegabile magnetismo e dal modo che aveva di far notare a chiunque la sua presenza, anche restandosene in disparte e non proferendo parola. Per un certo periodo si era persino vergognata di provare un qualsiasi tipo di attrazione verso quello che tutti disprezzavano come un assassino privo di scrupoli. Ma quella sensazione era durata lo spazio di un momento. Come sempre, Bulma Brief non aveva smentito la sua proverbiale sicurezza nelle sue convinzioni e aveva seguito il suo istinto, quello che tutti quanti gli altri, a parte Goku, avevano sempre chiamato con un altro nome, incoscienza. Forse era stato quel giorno, il giorno dell’incidente, che aveva avuto la conferma di ciò che le era sempre sembrato di aver intuito. Dietro a quella armatura granitica di guerriero spietato e crudele lei aveva visto qualcosa che non aveva nulla di minaccioso e sinistro, solo un’infinita sofferenza.
Lo sguardo di Vegeta le aveva parlato molto spesso negli ultimi mesi, prima e dopo quel giorno, ma le cose più importanti le aveva sapute nel momento in cui i suoi occhi si erano chiusi, privi di difese; nel momento in cui, incosciente e per la prima volta davvero inerme, le aveva mostrato senza volerlo quello che provava. Da quel giorno Vegeta era diventato qualcosa di diverso per lei, nonostante Yamcha e tutti gli altri non riuscissero ancora a capacitarsi della sua presenza alla Capsule e continuassero ad accettare passivamente questa situazione come un’altra delle stravaganti, folli pensate di Bulma Brief, la donna più eccentrica e incosciente del pianeta.
Quell’ultimo pensiero la fece sorridere suo malgrado. Si sollevò svogliatamente facendo forza con le braccia sulla ringhiera, cercando al contempo di stirarsi per infondersi in qualche modo un po’ di energia, ma in quel momento la sua attenzione fu catturata da una montagna di rose rosse, da cui spuntavano due gambe lunghe ed affusolate, che stavano oltrepassando il cancello accompagnate da Yamcha, nella sua migliore interpretazione di modello di galanteria dell’anno.
Un moto di stizza la colse improvvisamente nel constatare l’espressione imbambolata del ragazzo, visibilmente impegnato a fare come al suo solito il cascamorto col primo paio di gambe che gli capitavano a tiro. Quel ragazzo era proprio incorreggibile, pensò un attimo dopo scuotendo il capo indispettita, non sarebbe cambiato in mille anni. Le ci volle solo un istante però, per ribadire a se stessa che ormai poteva sfoderare quegli sguardi da pesce lesso a chi gli pareva; tanto non era più affar suo.
Il suo interesse stava già per focalizzarsi su quello stupendo mazzo di fiori, risoluta a non rovinarsi la giornata per una cosa così ovvia, quando un particolare insolito nella navicella gravitazionale, che aveva notato con la coda dell’occhio, attirò nuovamente la sua attenzione.
Dopo aver guardato più attentamente si accorse che il bagliore di luce rossastra era svanito improvvisamente. Ebbe a malapena il tempo di rendersene conto, prima di vedere Vegeta, con addosso soltanto un paio di pantaloncini scuri e un asciugamano sulle spalle, uscire dall’astronave e dirigersi a passo spedito verso l’edificio.
L’irritazione che la colse nel momento in cui sentì la voce stridula di quella biondina impertinente pronunciare qualche parola svenevole all’indirizzo di Vegeta la destò definitivamente dalla pigrizia e dalla malinconia che l’avevano pervasa fino ad un attimo prima. Ma quella sensazione fu nulla in confronto alla collera vera e propria che l’assalì notando lo sguardo del saiyan posarsi distrattamente sulle forme provocanti di lei, prima di entrare in casa.
“Bulma, tesooorooo… Puoi andare a vedere che cosa ha portato il fattorino, ti dispiace?”
La voce di sua madre, che proveniva da qualche finestra più in là, ebbe come il potere di riscuoterla, di ricordarle qualcosa. “Certo, mamma. Vado io.” Rispose sforzandosi di essere naturale.
“Voglio proprio vedere per chi sono queste rose...” Borbottò poi tra sé e sé un minuto dopo, scendendo le scale decisa, con un tono che manifestava più propriamente l’intenzione di farli ingoiare a qualcuno quei fiori.


Quattromilanovecento novantasette... Quattromilanovecento novantotto... Quattromilanovecento novantanove... Cinquemila...
Vegeta rimase un istante immobile in quella posizione, reggendosi in equilibrio sulla mano sinistra, in verticale. Sollevò distrattamente il capo per controllare di sfuggita il display digitale, prima di ritrovare agilmente una posizione eretta dandosi una leggera spinta sulla mano d’appoggio. Recuperò un asciugamano buttato sul pavimento in un angolo e lo appoggiò su una spalla. Mentre con un lembo si asciugava distrattamente il sudore dal volto, si apprestò a passare in rassegna alcuni dispositivi di controllo con un’espressione assorta.
Il movimento improvviso degli occhi verso un punto non meglio identificato alla sua sinistra tradì per un momento un leggero stato di allerta e lo spostarsi della sua attenzione verso qualcosa che aveva percepito all’esterno della navicella. Una frazione di secondo dopo, una lieve smorfia di insofferenza apparve sul suo volto e il suo sguardo tornò a concentrarsi sul pannello di controllo gravitazionale.
Ormai si era perfettamente abituato ad ignorare le aure che continuava a percepire al di fuori della navicella, durante gli allenamenti. La concentrazione assoluta con cui si applicava per ore gli permetteva di delegare ad una parte automatica della sua mente la percezione e la valutazione di tutto ciò che in quel posto aveva ormai imparato a classificare come usuale e, soprattutto, di nessuna importanza; l’andare e venire di innumerevoli sconosciute aure terrestri di insignificante entità da quell’edificio, per esempio, che ormai nemmeno notava più o le aure, ugualmente insignificanti, degli abitanti della Capsule, che invece gli erano divenute familiari. Era in quei rari momenti di pausa però, quando la sua concentrazione si alleggeriva in qualche modo, che un’aura decisamente più potente delle altre, come quella di quel buono a nulla, finiva a volte per risvegliare il suo istinto di guerriero.
Apparentemente assorto in una qualche attività di programmazione dei macchinari, l’inarcarsi di un sopracciglio palesò in realtà una certa perplessità e il fatto che ciò che succedeva al di fuori attirasse ancora in qualche modo il suo interesse.
Quel patetico individuo sembrava essersi fermato improvvisamente all’esterno dell’edificio o in qualche luogo poco distante. In altre circostanze probabilmente questa informazione sarebbe stata perfettamente inutile e insignificante, una notizia a cui non si sarebbe nemmeno degnato di dedicare un secondo del suo tempo. In realtà, in quel preciso istante, probabilmente grazie anche al fatto che era occupato con qualcosa che richiedeva una minima concentrazione, la cosa aveva sul momento attirato vagamente il suo interesse, così come aveva attirato il suo interesse l’aura di quella donna, che pareva in qualche modo anch’essa nelle vicinanze.
Si era sorpreso più volte durante gli ultimi mesi a percepire quasi involontariamente la debole aura di Bulma durante il giorno. Era stata una cosa che in un primo tempo lo aveva irritato parecchio, convinto di essere in qualche modo in difetto, ma a cui poi aveva finito per dare una giustificazione razionale; considerato che quella donna era spesso una fonte di disturbo per i suoi allenamenti, con le sue irruzioni nella navicella e le sue continue, fastidiose attenzioni non richieste, aveva concluso che la sua spiccata sensibilità verso quell’aura altro non era che una strategia difensiva a tutti gli effetti, che istintivamente la sua mente aveva finito per interiorizzare in modo involontario. Non era la prima volta che gli capitavano episodi del genere da quando aveva imparato a percepire la forza spirituale, anche se in passato mai gli era accaduto di considerare un potenziale disturbo un essere con un’aura di un tale infimo livello. Eppure tutto ciò non riusciva ancora a spiegare il perché quell’aura appena percettibile gli appariva ormai così diversa da tutte le altre, quando razionalmente non avrebbe dovuto avere nulla di particolare.
Questa e altre domande continuavano a vagare inconsistenti fra le sue elucubrazioni, senza prendere una forma definitiva e concreta, procurandogli un leggero senso di insoddisfazione. Focalizzato e concentrato sui suoi obiettivi tuttavia, si era risolto ad attribuire ogni sensazione paragonabile alla frustrazione alla sua estenuante e determinata ricerca di questi e a null’altro. Ogni sua mancanza veniva sistematicamente ricondotta sulla strada che lo avrebbe portato a superare Kakaroth, precludendo e annientando inesorabilmente ogni altro pensiero.
Mentre si dirigeva senza fretta verso la stanza contigua in cerca di qualcosa con cui dissetarsi, nuovamente assorto nelle sue incombenze, si trovò però involontariamente, ancora una volta, a seguire con gli occhi un movimento immaginario al di là delle pareti di metallo.
L’incapace si era deciso a spostarsi finalmente, ma solo lui si stava muovendo.
Il motivo per cui questa stupida situazione riuscisse ad interessarlo anche solo vagamente per un momento lo infastidì notevolmente. Gli era capitato almeno un centinaio di volte di percepire qualcosa di simile al di là di quella porta; quei due patetici terrestri erano soliti battibeccare in continuazione come due mocciosi, ormai la cosa aveva smesso anche di irritarlo. Eppure, nel momento in cui percepì la forza spirituale di Yamcha nuovamente immobile, dopo appena pochi istanti, mentre osservava l’interno del frigorifero in cerca di qualcosa, le sue labbra si irrigidirono e s’incurvarono indispettite verso il basso e gli occhi si socchiusero in un moto di disappunto.
Richiuse lo sportello con un gesto secco e indignato che, agli occhi di chi non avesse conosciuto la reale forza del principe dei saiyan, sarebbe potuto apparire eccessivamente nervoso; si diresse risoluto verso l’uscita, fermandosi appena un istante per azzerare la gravità e gettare un’occhiata minacciosa alla bottiglia di plastica vuota sul pavimento.
La più totale indifferenza fu invece riservata a Yamcha e alla persona che era con lui in giardino, Vegeta si limitò ad oltrepassare i due senza nemmeno degnarli di uno sguardo.
“Wow! Per caso lei è il marito della signora Brief?” Chiese svenevole una voce stridula e fastidiosa alle sue spalle. “Magari è proprio lei che le ha mandato queste bellissime rose, vero?”
La giovane ragazza, visibilmente affascinata dai muscoli madidi di sudore del saiyan, esaltati dall’abbigliamento succinto e dall’andamento deciso di questi, pronunciò quelle parole con un tono mellifluo e ammiccante che non lasciava adito a fraintendimenti quanto al suo apprezzamento. “Che donna fortunata!” Commentò poi apertamente la ragazza, con una punta di invidia, proseguendo nelle sue ovvie deduzioni e per nulla scoraggiata dall’indifferenza dell’uomo.
Vegeta, dal canto suo, chiaramente disinteressato ai due, aveva continuato a dirigersi deciso verso l’edificio come se non esistessero; ignorò anche Yamcha, che in qualche modo aveva sentito il bisogno di intervenire in quell’assurdo monologo.
“Ehm...” Interrupe la ragazza quasi istintivamente, schiarendo la voce imbarazzato e leggermente piccato, infastidito per quella piega inaspettata e poco lusinghiera che aveva preso il suo incontro. “No, signorina, lui... Ecco... A dire la verità lui é... Non è nessuno!”
Aveva concluso in qualche modo soddisfatto, pronunciando quelle ultime parole tutte d’un fiato, tirando un sospiro di sollievo e sorridendo nervoso, come a voler minimizzare l’importanza di quell’individuo e distogliere l’attenzione della giovane da lui. Ingenuamente non si rese conto tuttavia, che il modo in cui era riuscito a definire quel singolare ospite aveva avuto anche il potere di attirare definitivamente la sua attenzione, in un modo tutt’altro che positivo.
Vegeta, infatti, arrestò improvvisamente la sua andatura e si voltò lentamente verso i due, riservando a Yamcha un’espressione decisamente malevola.
“Oh...” Fu la risposta inebetita e un po’ confusa della ragazza, che continuava ad osservare il saiyan con uno sguardo rapito e che non aveva minimamente afferrato il senso dell’occhiataccia che questi aveva riservato al ragazzo accanto a lei.
Dopo appena un secondo, Vegeta era scomparso dietro la porta d’ingresso ritrovando un contegno impassibile; senza degnarsi di attendere una qualche reazione da parte di Yamcha, lo aveva repentinamente abbandonato al suo disagio, come avesse improvvisamente e nuovamente perso di interesse.
Gli sfuggì tuttavia una certa espressione perplessa, nel momento in cui incrociò Bulma per le scale e la sentì borbottare qualche parola sconnessa, non propriamente gentile, proprio nei suoi confronti... E nei confronti di un certo mazzo di fiori.


“Ma che cosa ti aveva fatto quella povera ragazza?!”
Yamcha, visibilmente confuso, teneva a malapena il passo seguendo l’andatura decisamente risoluta e nervosa di Bulma. La ragazza era entrata in cucina con un’espressione infuriata, borbottando nervosamente tra sé e sé. Fermandosi un istante sulla soglia della porta, aveva dedicato uno sguardo assassino con i fiocchi al principe dei saiyan, il quale beveva, sorseggiando lentamente da una bottiglia di plastica, apparentemente intenzionato ad ignorare l’ingresso degli altri due, compresa quell’occhiataccia. Alla domanda di Yamcha, Bulma aveva risposto più che altro continuando a parlare con se stessa, ringhiando sommessamente un “Signora di mezza età, a ME!”, sbattendo con veemenza il mazzo di rose sul tavolo e afferrando con un gesto stizzito il bigliettino dorato che spiccava in mezzo a tutto quel rosso.
Yamcha aveva salutato quell’ultimo gesto come un’ancora di salvezza, dopo essersi interrogato invano su un modo per placare le ire della ragazza e conoscendo perfettamente l’esito del perseverare ulteriormente per quella strada. Bulma, in effetti, aveva mutato radicalmente espressione leggendo il contenuto del biglietto, un sorriso le aveva illuminato per un momento il volto, i cui tratti si erano distesi notevolmente e questo a Yamcha era parso di notevole buon auspicio per il prosieguo della conversazione e della giornata.
“Chi te li manda?” Chiese, infatti, perfettamente consapevole che quello sarebbe stato decisamente un argomento tra i più opportuni in quel momento.
“Un ammiratore!” Rispose orgogliosa lei, con una punta di rivalsa. “Sai che cosa vuol dire ricevere un mazzo di rose rosse, Yamcha?” Chiese poi con fare ammiccante e leggermente provocatorio, aggiungendo trionfante la risposta a quella domanda, senza attenderne una. “... Amore!”
“E da quando ti interessi di giardinaggio, Bulma?” Domandò ingenuamente l’altro, ormai totalmente disorientato dall’altalena degli umori della ragazza.
“Questo non è giardinaggio, idiota!” Lo zittì lei, sbottando visibilmente alterata. “Mai sentito parlare del linguaggio dei fiori? Ma no, certo che no. Razza di imbecille!” Cominciò ad inveire nervosamente. “Le rose rosse sono il simbolo dell’amore e della passione, lo sanno tutti! Sai, Yamcha, esistono ancora uomini che sanno far felici le ragazze a questo mondo!” Puntualizzò poi scocciata, sbuffando esasperata e concludendo con un tono impertinente, come a fargli un dispetto e a sottolineare quell’ultima informazione.
Ancora non del tutto consapevole del motivo per cui si stava meritando un rimprovero, il ragazzo rimase per un momento perplesso. “E chi sarebbe quest’uomo?” Chiese di nuovo. Ma l’inflessione leggermente risentita di quella domanda contribuì in modo notevole ad inacidire maggiormente l’umore e il tono di voce di Bulma.
“Non sono affari tuoi!” Rispose seccata, guardando un attimo dopo, con la coda dell’occhio, in direzione del saiyan. Questi aveva gettato la bottiglia vuota nella spazzatura e si stava apprestando ad uscire dalla stanza, con l’aria di chi fosse assorto in tutt’altri pensieri e non avesse prestato la minima attenzione ad una singola parola pronunciata in quella cucina.
“Ma...”
Il debole tentativo di protesta da parte di Yamcha richiamò di nuovo l’attenzione di lei in un lampo. “Ma un corno!” Lo interruppe ancora più seccata di prima.
“Scusa Bulma, ma perché te la prendi con me?” Insistette il ragazzo, visibilmente confuso, un po’ indispettito e allo stesso tempo impensierito per la strana espressione di lei, che improvvisamente si era rattristata.
Mentre attendeva una risposta, non aveva potuto evitare di scrutare Bulma in cerca di un segno di una qualche sua responsabilità o mancanza. Lei lo aveva fissato dritto negli occhi furiosa, distogliendo un attimo dopo lo sguardo, nel momento in cui Vegeta aveva oltrepassato i due per guadagnare la porta, frapponendosi fra loro. Quando lo aveva guardato di nuovo, a Yamcha era sembrato addirittura che fosse sul punto di piangere e il tono con cui aveva risposto gli aveva confermato quell’impressione; nonostante fossero ancora pervase dalla collera, quelle parole gli erano vibrate contro in un modo tale che avevano tradito un sentimento ben diverso e il tono di quella risposta l’aveva lasciato ancora più perplesso e confuso.
Non meno di quanto non fece la risposta stessa, tuttavia. Ancora una volta non riuscì a capirla, il perché gli avesse rinfacciato quella cosa proprio ora per lui era un vero mistero e, soprattutto, il perché quella cosa fosse improvvisamente così importante.
“Tu... Non mi hai mai regalato dei fiori!”


Ma che cosa aveva fatto quello stupido?!
Bulma continuava a fissare il mazzo di fiori sul suo comodino e a sorridere con tenerezza. Margherite, pervinche, papaveri... Parevano composti a caso, più secondo le leggi del caos che dell’estetica. Sembrava uno di quei mazzetti di fiori che raccoglieva da bambina nei campi, da regalare a sua madre; in quel momento non le pareva nemmeno un pensiero troppo distante dalla realtà, peraltro e non riusciva a smettere di sorridere.
Se non altro, le interminabili e noiose lezioni di sua madre sulle piante in giardino erano servite a dare un nome a quella accozzaglia di colori e forme, pensò divertita.
Scosse per un momento il capo in segno di affettuoso rimprovero, prima di annodarsi la vestaglia ed incominciare a riporre i vestiti che si era appena tolta.
Quel pasticcione di Yamcha, squattrinato com’era, li aveva di sicuro rubati in qualche giardino; perfino un ramo di glicine! Chissà perché non faceva fatica ad immaginarlo mentre si arrampicava su qualche muro, attratto da quei grappoli viola e pensando di aver scovato chissà che rarità.
Quell’ultimo pensiero la fece sorridere ancora più divertita, tuttavia evitò di lasciarsi andare al sarcasmo che avrebbe sfoderato in occasioni simili in passato, i tratti distesi del viso lasciavano trasparire una sincera allegria.
In fondo quel gesto era stato un pensiero davvero carino, soprattutto considerato che, proprio ora, Yamcha avrebbe potuto facilmente ignorarla e rifarsi una vita lontano da lei. Certo, al momento non aveva molti altri posti dove andare, ma l’idea che la fine del loro rapporto per lui non aveva significato la fine dell’affetto che li aveva legati finora era stato qualcosa che le aveva riscaldato il cuore, forse in un momento in cui ne aveva davvero bisogno. Dopotutto aveva deciso di lasciarlo probabilmente nel momento peggiore in cui potesse capitare, eppure non era mai stata più sicura in tutta la sua vita. Quel mazzo di fiori aveva avuto la capacità di farle capire quanto in realtà la presenza di Yamcha non sarebbe mai venuta meno e che mettere fine al loro rapporto, una volta per tutte, altro non era stato che un naturale sviluppo della sua esistenza, come tanti altri e, forse, molto meno doloroso di altri... Non ci aveva mai pensato davvero fino a quel momento, ma cominciava a credere di essere diversa. Un tempo quei fiori l’avrebbero rigettata come una stupida tra le braccia di Yamcha, magari l’avrebbe preso in giro per il suo cattivo gusto, ma l’avrebbe visto come il segno inequivocabile di una dimostrazione d’amore che non aveva precedenti. Quella sera invece, quando Yamcha si era presentato in giardino visibilmente imbarazzato, con quell’offerta di pace, a lei era sembrato solo un gesto di affetto, come i tanti che quel ragazzo le aveva sempre dimostrato; al di là delle sue manifestazioni di infantilismo e dei suoi atteggiamenti irritanti, Yamcha era sempre stato un buon amico e continuava ad esserlo. Questo era stato il suo primo pensiero. La cosa strana era che avere la certezza di questo l’aveva fatta stare davvero bene, si era persino commossa come una stupida; ma, cosa ancora più strana, lui le aveva dato l’impressione di provare gli stessi suoi sentimenti e di sentirsi bene almeno quanto lei.
Bulma esitò un momento, mentre riponeva la gonna sullo schienale della sedia, attratta dalla sua immagine riflessa nello specchio. Per un attimo si stupì di notare la sua espressione lievemente rattristata, nonostante i suoi pensieri fossero tutt’altro che malinconici. Si riscosse un attimo dopo però, ridestata da una folata di vento freddo che si era insinuata nella stanza improvvisamente, gonfiando le tende. Si strinse infreddolita nella vestaglia e si apprestò a chiudere la finestra e ad infilarsi sotto le coperte; ma arrivata a destinazione, la sua mano si bloccò titubante sulla maniglia e, dopo un momento di riflessione, un qualche pensiero la convinse a lasciare le imposte socchiuse e a tornare sui suoi passi. Stringendo i lembi della vestaglia in cerca di calore, si diresse verso il letto, mordicchiandosi un labbro ancora indecisa.
Cominciava a fare davvero freddo la notte. Il nove ottobre, quanto tempo era passato ormai da quando... Goku era tornato...
Scostò la coperta lentamente, studiando ogni piega delle lenzuola ed interrogandosi su quanto tempo avrebbe impiegato a prendere sonno, consapevole di essere abbastanza sveglia da non riuscirci con troppa facilità. Quando fece per spegnere la lampada sul comodino, un’ombra sfuggente sul muro attirò la sua attenzione e la costrinse a voltarsi.
“Credevo avessi finito per interessarti solo ai tuoi allenamenti, negli ultimi giorni” Disse in tono pacato, rivolgendosi all’uomo che era appena comparso alle sue spalle e la fissava impassibile.
“Sono la sola cosa che mi interessa, infatti”.
Vegeta si era avvicinato a lei rispondendo con freddezza e una certa naturalezza, come fosse la cosa più ovvia avesse mai potuto dire. Altrettanto naturalmente, nel frattempo, con un gesto rapido aveva sciolto il nodo della vestaglia di Bulma e le aveva sfilato l’indumento, facendolo scivolare ai suoi piedi in modo deciso.
Lei si ritrasse istintivamente, spostandosi verso la parete, scossa da un improvviso brivido di freddo, ma quel gesto non aveva sortito alcun altro genere di effetto sul saiyan se non quello di accendere un lampo di desiderio ancora più intenso nel suo sguardo. Qualcosa sembrò però bloccarlo improvvisamente e l’espressione sul suo volto si incupì in una frazione di secondo.
“Che cosa sono quelli?” Chiese seccato, indicando con un cenno del capo il vaso con i fiori sul comodino.
Bulma rimase per un momento spiazzata da quella domanda, non intuendo appieno il significato di una tale reazione o, più probabilmente, intuendolo e trovandolo a dir poco sorprendente. “Sono i fiori che mi ha regalato Yamcha questa sera.” Rispose trattenendo a stento un sorriso compiaciuto. “Ricordi? Se non sbaglio eri presente anche tu, in giardino, quando me li ha dati...”.
Vegeta la fissò con uno sguardo infastidito.
“Eri appena uscito dalla...”
“Lo so bene chi ti ha regalato questi stupidi fiori!” Ribatté leggermente alterato, interrompendola bruscamente. “Voglio sapere che cosa ci fanno qui! Avevi detto che li avresti messi in laboratorio.” Precisò poi in modo sbrigativo.
“E che differenza fa? Poi ho deciso di tenerli qui. Si può sapere cosa cambia?! Pensavo che non avessi nemmeno sentito quello che ho detto, che non ti importasse nulla... A parte i tuoi allenamenti!” Sbottò lei innervosendosi e rinfacciandogli quelle ultime parole con stizza.
“Tsk. Già, infatti!” Rimarcò lui ritrovando un tono impassibile. “Ma non sopporto questo odore disgustoso”.
Bulma lo squadrò con un’espressione beffarda stampata in volto “Non sarà che non sopporti di vederli proprio qui, in questa camera? Nel tuo territorio?” Chiese in tono allusivo. “Non sarà che sei gelos...”
“Taci!” La interruppe lui visibilmente arrabbiato, spingendola non troppo delicatamente contro la parete. “Non sono il tuo fidanzatino! Mi pareva di essere stato chiaro su questo punto.” Pronunciò quelle ultime parole ringhiando sommessamente, con tono minaccioso e vagamente suadente, avvicinando le labbra all’orecchio di lei, mentre la teneva bloccata contro la parete, con una mano all’altezza del collo.
“Vegeta, smettila!” Protestò lei. “Mi stai facendo male...”
“Credi che sia uno stupido?” Le chiese, fissandola per un momento visibilmente alterato e con una strana eccitazione negli occhi.
Senza attendere una risposta, cominciò a ridurre letteralmente a brandelli la sua camicia da notte con movimenti irrequieti e impazienti e baciarla in modo nervoso, soffocando il tentativo di risposta di lei, divorandole tangibilmente le parole dalle labbra. “Pensi che non abbia capito... che tutta quella... patetica... sceneggiata dei fiori... non fosse studiata a puntino... per...”
Bulma scostò con tutta la sua forza il volto, sottraendosi alla voracità di lui e al suo ansimare ansioso. “Davvero sei così egocentrico Vegeta?!” Gli gridò contro, rabbiosa, voltandosi a guardarlo con sfida un attimo dopo.
In seguito a quel gesto così deciso e inaspettato, il saiyan si bloccò involontariamente, allentando decisamente la presa in modo istintivo. Per una frazione di secondo apparve realmente colpito dalla collera con cui gli era stata rivolta quell’accusa.
“Davvero pensi che tutto quello che faccio abbia come fine ultimo la tua persona?! Che tutto quello che mi succede riguardi sempre e solo te?!” Continuò sempre più in collera Bulma, vomitandogli addosso tutto il suo risentimento senza quasi prendere fiato. “Hai davvero così poca considerazione di me da considerarmi così stupida da pensare anche solo lontanamente che tu possa provare un sentimento... umano nei miei confronti?!”
Bulma continuava a guardarlo paonazza in volto e con gli occhi accesi dalla rabbia. Dal canto suo il saiyan, che non si era allontanato di un millimetro da lei, la fissava impassibile, senza proferire parola. Stette in silenzio per quello che a Bulma sembrò un minuto buono, prima di replicare glaciale, col solito tono infastidito.
“Hai finito?”
Lei sbuffò in un qualche modo liberatorio e annuì decisa.
“Bene.” Commentò seccamente Vegeta, un secondo prima di cingerle i fianchi e riprendere a baciarla con la stessa foga. A Bulma non sfuggì però che i movimenti delle mani del saiyan su di lei, le stesse labbra che assaggiavano avidamente la sua pelle erano spinte da un’urgenza molto diversa rispetto a prima; non era più rabbia, un qualche nodo dentro di lui sembrava essersi sciolto e il calore che emanava quel corpo finì, come era accaduto altre volte, per avvolgerla e inebriarla totalmente.
Come se il saiyan avesse percepito chiaramente l’allentarsi delle sue difese, piuttosto che il gemito di piacere che le era sfuggito ad un tocco più audace degli altri, la spinse sul letto con una levità di cui non sembrava partecipe e cominciò a liberarla da quello che rimaneva della sua camicia da notte e della sua biancheria intima.
“Aspetta!” Lo bloccò improvvisamente lei, come se si fosse appena ricordata di qualcosa. “No, non ho finito”.
Lui si allontanò appena da lei, quel tanto che era sufficiente a guardarla in faccia. La sua espressione pareva apparentemente imperturbabile. “Che altro c’è adesso?!” Le chiese brusco.
“La finestra...” Rispose lei. “Fa freddo ormai. Non posso più lasciarla aperta la notte...” Precisò poi, prima di continuare, vagamente in apprensione per la reazione che avrebbe potuto suscitare nell’altro. “Se vuoi continuare a... Be’ hai capito... Devi deciderti ad usare le porte come qualsiasi altro abitante di questa casa”.
Aveva concluso pronunciando l’ultima frase quasi tutta d’un fiato, sotto lo sguardo ancora impassibile del saiyan.
“Tsk. Voi terrestri non riuscite a sopportare nemmeno queste temperature ridicole” Fu il commento sarcastico di Vegeta, accompagnato da una smorfia di disgusto.
Bulma non rispose, inducendolo in silenzio a continuare, in attesa di una vera risposta.
“Come ti pare. Per me non fa differenza.” Proseguì poi con noncuranza lui, più interessato a riprendere la sua attività da dove l’aveva interrotta che ad accontentare le richieste di lei.
A Bulma parve di vederlo esitare una frazione di secondo, prima di sentire di nuovo il contatto del suo corpo contro di lei, le sembrò di scorgere una minima reazione, in risposta al sorriso sincero che gli aveva rivolto, solo per un attimo. Per qualche strano motivo, per un momento si illuse di aver intravisto un’espressione perplessa, forse addirittura confusa riflettersi in quel sorriso. Per un momento se ne illuse o, forse, se ne illuse quella notte, mentre faceva l’amore con lui e lo sentiva abbandonare le sue difese respiro dopo respiro, che l’accettare quella cosa, in fondo, accettare il rischio di farlo sapere anche agli altri, era stato accettare un po’ anche lei.
Continuò ad illudersi anche la mattina dopo, mentre sistemava il vaso di fiori in laboratorio, che in fondo Vegeta era stato per un momento davvero geloso di ciò che era stato capace di farle provare qualcun altro e la sua non era stata solo una forma di possesso brutalmente istintivo e animale. Quella sensazione continuava dentro di lei a dipanarsi tiepida a partire dalla bocca dello stomaco, infondendole un calore che cominciava ormai a divenire abituale; una sottile certezza in mezzo a tutte quelle paure e a quei dubbi. Una nuova certezza che andava ad aggiungersi ad altre che, da quando conosceva quell’uomo, avevano cominciato a concretizzarsi una dopo l’altra e a farsi sempre più solide. Come quella, che ormai da tempo l’accompagnava nei loro incontri, che quell’uomo dalla forza smisurata, un assassino, che avrebbe potuto ucciderla alzando semplicemente un dito, non le avrebbe mai fatto del male.
Sorrise, studiando l’effetto della composizione del colorato e bizzarro mazzo di fiori di Yamcha accanto alle rose rosse che le aveva mandato Midori, una sua vecchia compagna di scuola; sorrise al ricordo di quella buffa ragazzina un po’ svampita, a cui, tanti anni prima, aveva riempito la testa di romanticherie e principi azzurri e a cui aveva tentato, invano, di insegnare il linguaggio dei fiori.



FINE


Per chi non lo sapesse e ne fosse incuriosito vi riporto alcune notizie (molto in breve^^) su alcuni significati dei fiori che compaiono in questa storia, anche se i personaggi non ne sono del tutto consapevoli ^_*:
La rosa può assumere diversi significati a seconda dei propri colori; per esempio la rosa rossa simboleggia l’amore, la passione e un sentimento forte e profondo. Ma questo forse lo sapevate in tanti ^^. E lo sa anche Bulma ^_*
La margherita è il simbolo della semplicità, freschezza e purezza. Ma anche della PAZIENZA ^_*.
Il valore simbolico della pervinca è legato al ricordo; regalare una Pervinca esprime il desiderio di lasciare e conservare un dolce ricordo.
Il significato del papavero è quello della consolazione ma anche quello della semplicità.
Il significato del dono del glicine, invece, è un segno di disponibilità ed anche prova di amicizia disinteressata, tenera e reciproca.

Grazie in anticipo a chiunque volesse lasciare un commento, ma anche a chi legge soltanto^^
E, come sempre, grazie a tutti coloro che hanno recensito la mia ultima song-fic.




  
Leggi le 12 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Dragon Ball / Vai alla pagina dell'autore: lilac