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Autore: DrarryStylinson    28/05/2013    1 recensioni
Giovedì 14 marzo 1996, alle ore 10.47, eravamo entrati in guerra.
FF partecipante al concorso indetto dal gruppo facebook "Ziam is the w(g)ay"
Genere: Drammatico, Fantasy, Guerra | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Liam Payne, Zayn Malik
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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La mia prima storia, avrebbe dovuto essere una OS ma era troppo lunga e ho preferito dividerla.
La seconda parte la sto ancora scrivendo, entro domani sarà finita.
Il titolo della storia è preso da una canzone dei 30 Seconds To Mars
Disclaimer: i personaggi non mi appartengono e la storia non è a scopo di lucro.






Eravamo stati invasi.
Da un paio d’anni il nostro pianeta non era più nostro. In realtà non lo era mai stato. Noi ce n’eravamo appropriati ingiustamente, ritenendoci una razza superiore alle altre e forse lo eravamo anche, prima di scoprire che non eravamo soli nell’Universo.
Avevamo sfruttato la Terra, credendo di possedere risorse illimitate, avevamo ucciso altri esseri viventi, delle volte anche per divertimento, quali la caccia o la Corrida.
Avevamo compiuto esperimenti sugli animali, solo per l’inutile progredire della scienza.
Avevamo costruito bombe atomiche, per dimostrare la nostra superiorità ed espandere il terrore, con cui erano morte milioni di persone.
Una parte della popolazione si era arricchita alle spalle degli altri, mentre un’altra parte moriva di fame ogni giorno.
Eravamo violenti, brutali e senza alcun rispetto per la vita.
E questi erano i motivi che ci stavano conducendo all’estinzione, portando una razza aliena a ripulire la Terra da individui che ambivano solo al potere. E ce lo meritavamo.
 
Giovedì 14 marzo 1996, alle ore 10.47, eravamo entrati in guerra.
 
Ero a scuola, quando a causa di un’onda d’urto i vetri dell’aula esplosero facendoci cadere dalle sedie, le urla dei miei compagni di classe, che senza rispettare il regolamento scapparono, mi invasero la testa e andai nel panico.
Guardai fuori dalle finestre rotte, con i cocci di vetro su tutti i vestiti, una luce abbagliante mi fece socchiudere gli occhi, il battito del mio cuore imbizzarrito pulsava nelle tempie.
Mi alzai, con le gambe tremanti, cercando di non tagliarmi. Uscii dall’edificio ritrovandomi davanti a gente impazzita che scappava in tutte le direzioni.
Corsi a casa e ci misi troppo tempo. Quando arrivai era vuota. La macchina non era sul viale, la porta era aperta e dentro non c’era nessuno. I miei genitori mi avevano lasciato lì.
Non capivo quello che stava succedendo, ma la TV, dimenticata accesa chiarì ogni mio dubbio.
I molte parti del mondo c’era stata un’esplosione, ma non erano missili o bombe create dall’uomo. Erano navicelle spaziali e qualcuno, identico a noi con un’aura brillante a circondare il loro corpo scendeva da esse e si capiva che non erano venuti in pace.
Incominciai a piangere prendendo uno zaino e mettendoci dentro lo stretto necessario, una bottiglietta d’acqua, un po’ di cibo e i miei risparmi.
E da quel maledetto giorno incominciò la mia latitanza.
 
Martedì 23 giugno 1998, più di tre miliardi di persone erano state uccise o catturate.
Fu in quella nottata che conobbi i tre ragazzi con cui stavo viaggiando.
 
Era più sicuro spostarsi di notte. Gli alieni avevano un’aura luminosa a circondarli e con l’oscurità sarebbe stato più facile riconoscerli.
Avevo imparato a guidare, era stato tremendamente essenziale in un momento del genere e per l’ennesima volta stavo cambiando rifugio, non rimanevo nello stesso posto per più di una settimana, non era prudente.
Il sole stava sorgendo e mi ero appena trovato un nuovo nascondiglio. Parcheggiai la moto dietro la catapecchia in legno. Sfilai il serramanico dalla fondina ascellare, mi ero dovuto attrezzare, poco importava se tutti quegli oggetti erano stati rubati, nessuno se ne sarebbe curato.
Spinsi la porta marcia, senza maniglia. Buio e silenzio totale. Entrai di soppiatto, perlustrando la zona, quando un rumore alle mie spalle, mi fece sobbalzare.
Di scatto mi girai, catapultandomi su quella figura, premendogli il coltello sulla gola, ma notai qualcosa di strano. Niente luce, niente aura: era un essere umano.
“Non sono solo” sussurrai trattenendo a stento le lacrime.
Qualcuno mi afferrò da dietro e mi sbatté letteralmente sul pavimento, chiusi gli occhi a quell’impatto violento e quando li riaprii la canna di un fucile era puntata alla mia testa.
Erano in tre, tre persone.
“E’ umano” disse una voce roca.
Io annuii forsennatamente “sì, sono umano”. Il ragazzo ritrasse velocemente il fucile. “Scusa amico, ma è meglio non fidarsi di nessuno” disse porgendomi la mano. La afferrai e mi aiutò ad alzarmi.
“Non parlo con un uomo da un anno e mezzo” dissi esausto, passandomi una mano sugli occhi lucidi, continuando a pensare che finalmente non ero più solo “da quanto siete qua?”.
“Da un paio di giorni, l’indomani ripartiamo” disse il ragazzo a cui avevo puntato il coltello addosso.
Il sole cominciava a sorgere e potei scorgere qualche dettaglio in più su quei tre uomini, nonostante le tende scure che ricoprivano le finestre. Erano giovani.
“Io sono Louis” si presentò quello con il fucile in mano “loro sono Harry” indicò il ragazzo riccio “e Niall” additò l’altro biondo.
Sorrisi “io sono Liam”.
 
Venerdì 31 luglio 1998 rischiammo di venire catturati.
 
Caricai la pistola, ormai ero diventato piuttosto bravo nell’usarla, tutto merito degli insegnamenti di Louis, che stava guidando.
Avevamo bisogno di fare rifornimento, ci stavamo recando ad un supermercato perché le nostre scorte erano quasi esaurite.
Era stato difficile abituarmi ai loro ritmi, loro cambiavano nascondiglio ogni tre, quattro giorni al massimo, io dopo una settimana, delle rare volte anche di più, ma soprattutto avevamo bisogno di uscire più spesso, dato che eravamo in quattro, ci servava la benzina, il cibo e tantissime scorte d’acqua anche per lavarci.
Entrammo nel supermarket senza fare rumore e incominciammo a riempirci gli zaini con quel poco che era rimasto, controllando sempre accuratamente la data di scadenza.
Harry invece prese un carrello malconcio, lo riempì di bottiglie d’acqua e andò a caricarle in macchina. Guardai attraverso le mensole e lontano intravidi un luccichio familiare “Niall” chiamai sottovoce il biondo dietro di me “lo vedi?” chiesi puntando il dito tremante. Lui si avvicinò e spalancò gli occhi. Sì, l’aveva visto.
Mi issai lo zaino in spalla, cercando di restare calmo e di non fare rumori molesti. Rimossi la pistola dalla fondina e tolsi la sicura, Niall copiava ogni mio gesto. Raggiungemmo Louis, cercando di non calpestare gli oggetti per terra, lui ignaro di tutto continuava a riempire silenziosamente lo zaino.
Lo avvertimmo di quello che stava accadendo e la sua prima preoccupazione fu “dov’è Harry?”. Avevo capito sin da subito che tra quei due c’era una relazione, nonostante non si baciassero mai, né davano eccessive manifestazioni d’affetto. Ma era palese, Louis teneva sempre sotto controllo il più piccolo, per proteggerlo e Harry si rifugiava sempre tra le sue braccia, ogni giorno quando andavamo a dormire.
Li capivo, avevano bisogno d’amore in tutto quello schifo. La guerra aveva spazzato via le nostre emozioni, ma eravamo pur sempre esseri umani, non potevamo vivere senza amore.
Il riccio stava aspettandoci in macchina, era al sicuro, a differenza nostra.
Louis si caricò il sacco in spalla, troppo frettoloso e toccò dentro una mensola con il gomito. Quella oscillò e un barattolo cadde per terra, producendo un rumore sordo in quel silenzio pacato.
“C’è qualcuno!” urlò uno di loro, incominciando a correre verso la nostra direzione.
“Dividiamoci” propose Niall “ci vediamo alla macchina tra non più di cinque minuti”.
Scappammo, in tre direzioni diverse.
Incominciai a correre a perdifiato tra gli scaffali mezzi vuoti, con lo zaino pesante sulle spalle, con le gambe tremanti e la paura ad attanagliarmi le vene.
Non sapevo quello che mi sarebbe successo.
Sarei morto? Mi avrebbero catturato e torturato? O sarei, con un po’ di fortuna, sopravvissuto?
“Ehi, fermo!” sobbalzai sentendo quella voce, aumentando la corsa frenetica, uscii dalle porte d’emergenza sul retro dell’edificio, ritrovandomi in una via buia e puzzolente, non potevo andare alla macchina, altrimenti quello che mi seguiva avrebbe trovato gli altri, dovevo seminarlo. Ma il tempo sembrava scorrere così in fretta, se i cinque minuti fossero passati la macchina non sarebbe stata più lì e io sarei stato spacciato.
Mi diressi verso un’altra via, con il fiato sul collo. Era buio, solo una fievole luce proveniva da quell’alieno e mi faceva capire che era sempre più vicino. Alzai gli occhi dal pavimento e trovai un muro, ero finito in un vicolo cieco. Rallentai fino a trovarmi davanti alla parete e sbattei le mani su di essa. Mi tolsi lo zaino dalle spalle, poi mi girai, per affrontare il mio aguzzino, appoggiando la schiena sul muro umido alle mie spalle, puntando la pistola verso di lui.
Respiravo affannosamente per via della corsa appena fatta mentre guardavo quell’essere brillante. Avevo dimenticato il loro strani poteri, lui allungò una mano e la pistola scomparì dalle mie mani per finire tra le sue. Abbassai la testa, prossimo alla morte. Quando l’extraterrestre mi si avvicinò strizzai gli occhi, le lacrime sgorgavano sulle gote.
Poi l’inaspettato: un dito freddo sotto il mento, una lieve pressione e il mio volto fu risollevato. Il fiato caldo a solleticarmi il viso e d’istinto riaprii gli occhi trovandomi a fissarne un altro paio, così simili ai miei. Sembrava un essere umano, se non fosse stato per quell’alone sfavillante, avrei sicuramente pensato che fosse un ragazzo qualunque.
Mi guardò intensamente negli occhi, come se mi stesse studiando. Intimidito da quelle iridi caramello deglutii.
Poi una voce lontana “hai trovato qualcuno?”.
Luisi riscosse, voltandosi a guardare in fondo alla via, era vuota. Si allontanò di un paio di passi e premette il dito indice sulla sua bocca, incitandomi a fare silenzio.
Non sarei riuscito a parlare comunque, avevo troppa paura. Poi svanì, ricomparendo in fondo al viale. Si era teletrasportato?
“No, non c’è nessuno. Andiamocene, sono scappati”. Spalancai la bocca. L’alieno mi aveva appena salvato da morte certa. Ma perché l’aveva fatto?
Sentendo un peso che prima non c’era guardai la fondina: la pistola era ricomparsa.
Mi incamminai, stando attento che non ricomparissero, dove avevamo lasciato la macchina, con la speranza che andava scemando, era passato troppo tempo, non li avrei trovati. E difatti fu così, l’auto non c’era.
Camminai per un po’, sui marciapiedi, cercando un mezzo per muovermi. Quando una luce mi colpì in faccia, credetti che fossero ritornati a prendermi, invece erano i fari di un veicolo.
Mi fermai, guardando quella macchina familiare che si stava avvicinando e sorrisi quando si fermò davanti a me.
“E’ da parecchio che giriamo per cercarti, temevamo ti avessero preso” disse Harry sporgendosi a lato del guidatore per parlarmi.
“O peggio: ucciso” continuò Niall rabbrividendo.
“Non dovevate farlo” esclamai aprendo lo sportello “se fossero stati ancora in giro?” chiesi duramente. Loro abbassarono lo sguardo, capendo di essere stati irresponsabili.
“Non dovete più mettere in pericolo la vostra vita per me, promesso?”.
Loro promisero. Ma le promesse sono fatte per essere infrante.
Decisi di non raccontare loro della bizzarra esperienza con l’alieno, forse mi ero immaginato tutto. Loro erano venuti qui per sterminarci, non avrebbe avuto senso lasciarmi andare.
Sì, mi ero immaginato tutto.
 
Domenica 9 agosto 1998 catturammo uno di loro.
 
Faceva caldo, estremamente caldo e stare in un appartamento chiuso, senza acqua per rinfrescarci, tranne la poca che era avanzata che serviva per dissetarci, era terribilmente frustrante.
Eravamo in un hotel a quattro stelle, una volta erano quattro stelle, in quel momento era un tugurio abbandonato e stavamo cercando di dormire un po’, ma l’afa era troppa. Avevamo trascinato dei materassi dalle altre stanze, non ci fidavamo a dormire separati.
Mi passai una mano sul collo, asciugando il sudore. Quanto avrei voluto farmi una doccia, era da quasi una settimana che non mi lavavo.
Delle urla, da fuori, ci portarono alla finestra, scostammo la tenda e vedemmo esseri umani, un uomo e una donna che scappavano, inseguiti dagli extraterrestri e si stavano dirigendo verso il nostro hotel. Avrebbero scoperto anche noi.
Presi il revolver da sotto il cuscino, togliendo il caricatore per controllare se ci fossero pallottole. Harry prese il fucile a pompa, puntandolo verso la porta. Niall incominciò a riempire lo zaino di munizioni, poi prese una beretta. Louis, con il suo fidato fucile a canne mozze aprì la porta per controllare la situazione, poi ci diede il via libera.
Silenziosamente camminavamo per i corridoi del quarto piano dell’hotel, io percorrevo gran parte della strada all’indietro, per controllare che qualcuno non ci attaccasse alle spalle, tenendo il dito premuto sul grilletto.
Uno sparo,
mi girai di scatto, Niall aveva colpito uno di loro, che in quel momento si stava contorcendo in terra, non perdeva sangue, ma almeno provava dolore a giudicare dalle urla che emetteva.
Il rimbombo della beretta riecheggiò per tutto l’albergo, attirando l’attenzione degli altri.
Guardammo il corpo luminescente per terra, la luce stava diventando sempre più flebile, fino a che smise di muoversi e il brillio si spense del tutto, lasciando un alone nero attorno al corpo.
“L’ho ucciso” bisbigliò Niall.
“Sì, e mi hai salvato la vita” lo rincuorò il riccio.
Il biondino si accasciò per terra, incominciando a vomitare.
“Forza Niall, alzati! Stanno arrivando!” urlò Louis tirandolo per un braccio. Il ragazzo si alzò, pulendosi la bocca con la maglietta e ritornammo indietro, avremmo dovuto usare le scale antiincendio, sperando che avrebbero retto.
Spinsi il maniglione antipanico e uscii sulle scale esterne, cigolavano parecchio, ma potevano reggerci.
Arrivammo in fondo e mi sporsi per osservare l’ingresso dell’hotel. C’era uno di loro, da solo, sicuramente gli altri erano tutti dentro a cercarci. Più in là vidi i cadaveri dei due esseri umani che poco prima stavano inseguendo.
“Prendiamolo” disse Louis alle mie spalle.
“Che cosa?” sussurrò Harry per non farsi sgamare.
“Prendiamolo” ripeté lui “possiamo tenerlo come ostaggio e farci dare informazioni, o potremmo semplicemente torturarlo” disse arrabbiato.
Gli alieni avevano massacrato la sua famiglia, uccidendo le sorelle davanti ai suoi occhi, ancora non mi era chiaro come era riuscito a scappare, ma ce l’aveva fatta e voleva vendetta.
“Sì, prendiamolo” lo incoraggiai “Niall, va ad accendere la macchina e portala qua” ordinai al ragazzo, ancora provato per l’omicidio appena commesso. Lui obbedì allontanandosi.
Ci avvicinammo di soppiatto, con le armi puntate, nel caso ci avesse scoperto. Si girò, quando eravamo ormai vicini al suo corpo e lo riconobbi, era quello che al supermercato mi aveva salvato la vita.
“No” sussurrai inudibile.
Louis alzò il calcio del fucile e gli colpì il viso, in pieno. Lui non fece niente per fermarlo, nonostante avrebbe potuto.
Cadde per terra, la sua luce sbiadì un po’, era svenuto.
Harry lo prese per le braccia e Louis per le gambe, mentre Niall si fermava al nostro fianco.
Aprii il bagagliaio e senza gentilezza i due ragazzi sbatterono dentro il corpo dell’alieno.
Mi sedetti di fianco al guidatore, allacciandomi la cintura. Niall accelerò. Louis e Harry si scambiarono delicate effusioni nei sedili dietro.
Con tutti quelli che c’erano, avevamo trovato proprio lui. Era una cosa che mi rattristava molto, non avrei voluto fargli del male, mi aveva salvato e noi lo avevamo rapito. Non era sembrato particolarmente ostile, al contrario non aveva fatto nulla per fermarci, sembrava quasi che volesse essere catturato.
 
Mercoledì 12 agosto 1998 capii che non tutti erano d’accordo.
 
Da tre giorni tenevamo in ostaggio quell’essere. Tre giorni in cui lui non aveva fatto niente per scappare o per ribellarsi. Non l’avevamo torturato, anche se Louis questa tentazione ce l’aveva, gli avevamo solo chiesto dove poter trovare posti sicuri in cui quelli della sua specie non ci avrebbero scovato. Ma non potevamo essere certi che non ci avrebbe spedito direttamente nella tana del lupo. Quindi non lo ascoltammo mai. E smettemmo di fargli domande.
I tre ragazzi si stavano preparando per uscire e andare a comprare i viveri, io dovevo stare a casa e tenerlo sotto controllo.
“Mi raccomando, usala se devi” disse Harry dandomi una beretta. L’accettai sperando che non sarebbe servita.
Se ne andarono e mi ritrovai ad osservare l’essere legato alla sedia. Ne presi una anch’io, mi sedetti davanti a lui e gli levai lo scotch dalla bocca, lui ne rimase sorpreso.
“Come ti chiami?” curiosai osservando la sua aura misteriosa e affascinante “sono stanco di chiamarti ‘alieno’, voglio sapere il tuo nome” spiegai.
“Zayn. Mi chiamo Zayn”. Per la prima volta sentii la sua voce serena e calda, si era sempre rivolto a noi in maniera sgarbata e non lo potevo certo biasimare, ma in quel momento era tranquillo e pacato.
“Io sono Liam”.
“Lo so” mi sorrise divertito.
“Da che Pianeta vieni?” domandai avido di informazioni.
“Il mio Pianeta si chiama Gateport, te lo dico nella tua lingua perché nella mia sarebbe impossibile da pronunciare”.
Annuii pensieroso e poi sbottai.
“Perché ci avete fatto questo?” urlai brusco “cosa abbiamo fatto di male per meritarci questa fine?” singhiozzai, portandomi una mano tra i capelli sporchi.
“Cosa avete fatto di male?” sbraitò Zayn “vi siete appropriati di questo Pianeta meraviglioso, deturpandolo e sfruttandolo, come se fosse vostro”.
“No” scossi la testa “non tutti l’hanno fatto”.
“Voi esseri umani meritate una giusta punizione, ma non è questa” abbassò il capo.
“Cosa? Tu non sei d’accordo?” chiesi scettico. Appoggiai la beretta sul tavolo, era inutile quell’arma.
“Assolutamente no! Uccidendovi e torturandovi ci stiamo solo comportando come voi” fece una faccia disgustata “e io non voglio essere come voi, per questo non ho mai ucciso nessuno, né voglio che la mia famiglia continui a farlo” spiegò tristemente “ma loro non lo capiscono”.
“Ci state facendo estinguere”. Mi ricordai di quello che era successo al supermercato “è per questo che mi hai salvato?”.
Le sue mani sciolsero i nodi che lo tenevano legato alla sedia, mi spaventai cercando di raggiungere la pistola, ma lui me lo impedì, prendendomi le mani nelle sue e tenendole saldamente. Mi alzai in piedi cercando di scappare e Zayn fece lo stesso, facendo scomparire anche la corda alle gambe.
Tentavo inutilmente di fuggire dalla sua presa salda “lasciami!” urlai terrorizzato.
“Tranquillo Liam, non ti faccio niente” mi rasserenò, cercando di calmarmi.
Quando notai che era inutile continuare a dimenarmi mi fermai. Era troppo forte “avrei potuto liberarmi e uccidervi in qualsiasi momento, ma non l’ho fatto” disse Zayn lasciandomi le mani. Guardai la pistola sul tavolo, che aspettava solo di essere impugnata. Zayn seguì il mio sguardo, risedendosi sulla sedia, aspettando la mia fatidica decisione.
Mi aveva già salvato la vita una volta. Per tre giorni era stato legato ad una sedia, quando poteva benissimo liberarsi, grazie alle sue doti speciali, ma non l’aveva fatto, mi aveva appena immobilizzato e avrebbe potuto uccidermi in un battito d’ali, ma ero ancora vivo.
Potevo rischiare a fidarmi?
“Liam” sussurrò lui. Sì, potevo almeno provarci. Mi risedetti sulla sedia, aspettando l’arrivo degli altri, temendo una loro possibile reazione aggressiva, quando avrebbero scoperto cosa pensavo di quell’essere. No, non essere, lui era Zayn e l’unica cosa che lo rendeva diverso da un umano era quella strana aura scintillante.
  
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