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Autore: _Giulia__    28/05/2013    8 recensioni
«Anna!»
«Anna, io sono Emiliano!»
Una storia d’amore in grado di toglierti il respiro e che sa farti gioire, piangere, emozionare e sognare allo stesso tempo.
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Anna Martini, Emiliano Lupi
Note: Missing Moments, Movieverse | Avvertimenti: nessuno
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Era una mattina come tutte le altre: le solite urla di Melina che mi diceva di svegliarmi, io che solo dopo minimo dieci minuti trovavo la forza di alzarmi da quel letto, di iniziare una nuova giornata e di smettere di vivere nei miei sogni dove tutto quello che volevo era lì. A colazione ero assente, pensierosa, avevo voglia di stare da sola. Mentre mi avviavo a scuola, sentii una voce chiamarmi «Annuccia, Annuccia aspettami!» . Era Colla. Colla è stato ed è, il mio primo ragazzo. Ci vogliamo molto bene, con lui ho provato le mie prime emozioni adolescenziali, ho passato dei momenti molto belli e talvolta importanti. Man mano che passavano i mesi, però, capivo che per me era diventato come un fratello, o forse lo era sempre stato. Quando ero con lui stavo bene, ma non riuscivo ad essere completamente me stessa, non mi sentivo completa. Avevo la sensazione, ne ero quasi sicura, che mi mancava qualcosa o forse qualcuno, ma non ero ancora riuscita a capire cosa o chi fosse. Dopo la scuola chiesi alla mia amica Giulia di prestarmi il motorino perché volevo andare al mare. Sì, al mare, forse l’unico luogo  dove riesco a pensare e a ritrovare me stessa. Prima di partire mi misi le cuffiette e ascoltai la musica per tutto il tragitto. La musica è in grado di farmi entrare in un mondo nuovo, di farmi provare emozioni, sensazioni di cui non sapevo nemmeno l’esistenza o che almeno fino ad ora non erano mai state mie. Stavo ascoltando una canzone che avevo scoperto da poco ma che subito mi aveva fatto venire le lacrime agli occhi. Il testo di quella canzone mi rispecchia, la ragazza di cui parla sono io, sono fottutamente io. La ascoltavo in continuazione e ogni volta mi venivano i brividi, in particolare in questo momento della canzone, il ritornello: “Sempre così, hai paura di tutto, sempre cosi, ti trovi sempre un difetto, non riesci a capire che cosa ti manca, fai finta di niente ma sai che non basta, non basta mai, non basto mai”. Quando mi ripresi, mi accorsi di essermi persa. Mi ritrovai in una zona isolata e non vedevo circolare nessuno. Così decisi di scendere dal motorino e aspettare che passasse qualcuno cui chiedere perlomeno indicazioni. “Ci sarà un motivo per cui il mio papà ancora non mi ha fatto il motorino, no?! Che stupida!” pensai “E ora come faccio? E se non passa nessuno?”. Mi veniva da piangere, avevo paura e sentivo freddo. Dopo circa venti minuti vidi passare una macchina e subito, presa dall’istinto, feci segno di fermarsi. Mi pentii immediatamente di averlo fatto. Un gruppo di quattro ragazzi, probabilmente ventenni, scesero dalla macchina con aria strafottente e si avvicinarono a me. Mi sentii così piccola e indifesa in quella situazione. Analizzai le diverse possibilità: non potevo fuggire perché mi avevano circondata e, anche se fossi riuscita a divincolarmi, non ero pratica con il motorino e quindi sarebbero stati benissimo in grado di bloccarmi; inoltre mi trovavo in una strada a senso unico, lunga e se avessi provato a correre, mi avrebbero certamente raggiunta. “Sono fottuta” dissi tra me e me. Cercai di spiegargli quale fosse il mio problema, ma pareva che il loro unico pensiero fosse mettermi le mani addosso. Uno di loro cominciò a toccarmi il viso e nonostante le mie lamentele e le mie richieste di lasciarmi in pace, subito gli altri cominciarono ad avvicinarsi sempre di più e ad allungare le mani. Sapevo ed ero terrorizzata al solo pensiero che non si sarebbero fermati a delle carezze, ma sarebbero andati molto più in là. Uno di loro mi prese e mi sdraiò a forza sul parabrezza della macchina. Cominciai ad urlare con tutta la voce che avevo in gola e per fortuna qualcosa accadde. Una voce da lontano catturò l’attenzione di quei quattro sbruffoni. Vidi un ragazzo da lontano che gli si avvicinava con un atteggiamento “da duro”, intimidatorio e in parte minaccioso, che riuscì a mandarli via. Dopo essersi assicurato che se ne fossero andati, si avvicinò correndo a me e disse: «Ehi stai bene? Cosa ti hanno fatto quei bastardi?» io ero ancora troppo scandalizzata da quello che era successo che scoppiai a piangere, un po’ per tutta la paura che avevo provato fino ad allora e un po’ per la gioia e la contentezza che fosse tutto finito. Lui subito mi abbracciò, per farmi sentire che non ero più sola, ormai c’era lui e potevo stare tranquilla. Si accorse che stavo tremando e lì per lì mi diede la sua felpa per scaldarmi. Io mi asciugai le lacrime con quel felpone grigio scuro che già sentivo mio e gli dissi: «Grazie, grazie di tutto. Se non fossi arrivato tu io non so cosa…» «Shh» subito m’interruppe «ormai è passato, non ci devi pensare più» . Quando alzai lo sguardo, lo guardai bene negli occhi e mi accorsi di quanto fosse bello. Alto, capelli marroni, occhi color nocciola, fisico mediamente palestrato. Indossava una canotta nera e dei pantaloni un po’ larghi che aveva messo negli stivaletti neri. Insomma, aveva l’aria di essere il tipico ragazzaccio, quello cui piace bere, fumare, e che ha avuto ed ha, tante di quelle ragazze che anche solo ricordarne tutti i nomi risultava difficile. Ma anche se al di fuori poteva sembrare così, i suoi occhi dicevano tutt’altro. «Ehi, ci sei?!» mi disse abbozzando un sorriso. Mi accorsi che lo stavo fissando e in quel momento sarei voluta sprofondare dalla vergogna.
«Ehm…sì... scusami» 
«Allora vuoi dirmi perché eri qui da sola in questo brutto posto?» 
«Stavo guidando il motorino e ad un certo punto mi sono ritrovata qui. Mi sono persa» 
«Mmh…dove stavi andando?» 
«Al mare, ma ora si è fatto tardi e credo sia ora di tornare a casa. Inoltre qui il cellulare non prende e non ho potuto avvisare nessuno» 
«Capito
» disse lui con un’aria riflettente «Dove abiti?» mi chiese «A Poggio Fiorito, una periferia di Roma» .
Prese il casco che era caduto a terra e le chiavi ancora attaccate al motorino e disse: «Ti accompagno io a casa, non sei in grado di guidare, non in questo stato perlomeno» . Non sapevo cosa dire, a dir la verità io non lo conoscevo e non sapevo ancora che persona fosse, ma, anche se un po’ preoccupata e dubbiosa, accettai, anche perché la vidi come unica soluzione.
«va bene» dissi «grazie» . Mi avvicinai a lui, mi mise il casco e salimmo. Non appena partimmo, ebbi l’istinto di tenermi forte a lui ma subito mi accorsi che, nonostante tutto, per me era ancora un estraneo, dunque mi allontanai, anche per paura di risultare “appiccicosa” o “invadente”. Lui sembrò aver compreso i miei pensieri e subito per rompere il ghiaccio, scherzando mi disse: «Guarda che mica mordo è!» . Risi un po’ imbarazzata e mi lasciai andare. Dopo poco gli chiesi di accompagnarmi davanti a scuola e non a casa spiegandogli che nessuno sapeva della mia “uscita clandestina” con il motorino e che mi credevano a casa della mia amica a studiare. Lui subito capì e si rese disponibile. Giunti a destinazione scesi e mi slacciai la felpa con l’intenzione di ridargliela ma lui mi fermò «no tienila, sennò ti congeli. Considerala come un regalo» «Grazie» gli dissi sorridendo «ma scusa tu come fai a tornare a casa?» «non ti preoccupare, un modo lo trovo» . I nostri sguardi si incrociarono e sembravano non volersi staccare più quando «Driiin, driiin, driiin» il mio telefono squillò. Era papà. Probabilmente era preoccupato e anche un po’ arrabbiato per il fatto che non mi ero fatta sentire e si era fatto tardi. Attaccai il telefono con l’intenzione di chiamare papà poco dopo. «A proposito» dissi a quel ragazzo misterioso che mi aveva soccorso e aiutata anche se non mi conosceva «io sono Anna» . Lui con un bellissimo sorriso mi rispose «Anna, io sono Emiliano» e mi diede la mano. Quella mano, così calda, morbida, con una stretta forte ma rassicurante e protettiva. Era quasi ora di cena, dovevo per forza andare. «Allora io vado, grazie di tutto Emiliano» «Ciao!» . Mi incamminai verso casa e mi girai a vedere se c’era ancora, ma se ne era già andato. Chiamai Giulia per dirle che avevo lasciato il suo motorino davanti alla scuola e le raccontai quello che era successo in quel lungo pomeriggio...








Ciao ragazze! Questa è la prima storia che scrivo, spero vi piaccia! Questo è solo il primo capitolo, vorrei continuarla, fatemi sapere cosa ne pensate! Un bacioo :)
_Giulia__
  
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