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Autore: 1984    29/05/2013    1 recensioni
Nel mondo esistono 7 miliardi di persone.
E poi ci sono io.
Genere: Comico, Commedia | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Jenny

  Okay… okay… devo stare calma.
Jennifer, l’hai voluto fare? Bene ora mantieni la calma.
Oddio, sembro mia madre.
– Allora, signorina, che cosa desidera? – domanda l’uomo di dietro il banco appena chiudo la porta.
Suppongo che ora dovrei rispondere, ma non sono più tanto sicura di quello che sto per fare.
– Ehm… – dico con una voce da topolino – vorrei farmi bucare l’orecchio sinistro, grazie.
– Beh, intanto che riflette vado a preparare gli arnesi.
Odio quell’espressione, mi manda in panico. Potrei seriamente prendere in considerazione l’ipotesi di mettermi a parlare da sola, per tranquillizzarmi.
Per evitare inutili scene da pazza psicopatica (cosa che potrei benissimo essere) mi costringo a rimanere in piedi e a respirare come se nulla stesse accadendo.
“Pensa ai tatuaggi. Alle persone che si fanno un tatuaggio. Il tuo dolore sarà minimo in confronto al loro”.
Mi sembra di svenire. Le mie mani incominciano a sudare e mi sento impallidire.
Mi accorgo che ha finito di preparare tutto, solo quando esclama, avvicinandosi con una specie di spillatrice:
– Dove vuole che glielo faccia?
– Qui – e indico con il dito sudaticcio il punto prestabilito.
–  Non sentirà nulla – ridacchia quello.
Bella battuta.  
– Si sieda pure qui – dice spostando una sedia di legno triste e malconcia.
Mi siedo e inizio ad aggrapparmi strettamente alla mia borsa. Faccio un bel respiro mentre sento lo “spara orecchini” posizionarsi sul mio lobo e poi… zac. Un bruciore invade il mio povero orecchio che diventa subito caldissimo.
– AHIA! – urlo, perdendo tutto lo pseudo contegno che avevo cercato, invano, di assumere.
– Così va bene, signorina?
– Si, grazie – dico e cerco di ricompormi, anche perché c’è una ragazza che sta ridendo sotto i baffi. Bé, vorrei vedere se ci fosse al mio posto.
Poi noto  che ha un tatuaggio al polso.
– Lì c’è uno specchio, se vuoi vederti – dice l’orefice.
Ignoro la ragazza, mi alzo e mi chino davanti a un misero specchietto grande quanto una mano.  
È venuto un bel lavoro.
Mi guardo stupita l’orecchino incastonato nella mia pelle che è reso bello da una minuscola pietruzza verde che mal si addice ai cerchi che mi sono messa per scendere.
– Allora, quanto le devo? – chiedo con voce ferma e meccanica, appena mi tiro su.
– Oh, nulla cara! E salutami tua madre, Jenny! – esclama.
Che? Quello conosce mia madre. E sa anche il mio nome?
– Certo, grazie mille e arrivederci – dico mentre chiudo la
porta del negozio.
 
 
 
– Mamma! Non è giusto! Le hai fatto fare il buco?! – domanda incredula mia sorella Susy, non appena le passo davanti per dirigermi verso lo specchio del bagno.
Mi volto e le rispondo con una linguaccia. Così, giusto per essere educata.
Non capisco come il destino possa aver reso due persone così diverse sorelle. Lei è l’opposto di me. E non sto scherzando Susy è più piccola di me di sei anni, eppure non uso il nomignolo “sorellina” per chiamarla. (Anche perché è lei che di solito che mi fa sentire insignificante davanti alle altre persone).
È una bella e brava bambina di otto anni. Così quello che credono tutti. Non quello che credo io, ma quello che credevo io importa poco alla mia famiglia.
Susy è totalmente diversa da me.
Fisicamente posso accennare al fatto che: io a malapena tiro avanti con i miei noiosi capelli neri e lisci, mentre lei possiede stupendi capelli ramati e splendidamente ondulati da poterseli adattare a tutte le esigenze.
Una cosa che la guasta è il suo carattere viziato e presuntuoso. Tipo da cheerleader-smorfiosetta americana. Decisamente un brutto carattere.
 
Mia madre mi guarda con un’occhiataccia assassina.
Ho vinto io.
Ce l’ho fatta.  
Lei sostiene che, se vado avanti di questo passo, arriverò a riempirmi la faccia di piercing – il che dimostra che non mi conosce affatto. Piuttosto che farmi bucare al naso da uno stupido orecchino mi farei amputare una mano.
In modo metaforico, s’intende.
– Sei contenta, ora? – mi squadra quando le passo affianco per appendere la giacca.
– Abbastanza… ma mi dà un po’ fastidio…
– Mi sembra logico. Ti sei appena fatta bucare l’orecchio – sento l’alzata di tono della sua voce mentre inizia a brontolare – Spero che tu abbia chiesto se gli orecchini non contengano nickel – aggiunge, sprezzantemente.
Nella mia mente contorta parte un campanello d’allarme.
– Ehm…
– Come “ehm”!? – mia madre abbassa il suo libretto degli appunti sui medicinali ordinati dai clienti e mi guada.
Non ci vuole certo un genio per capirlo.
– E va bene, vieni.
Sospira e mi trascina in bagno. A volte penso che, con una figlia come me, la vita di madre non sia molto entusiasmante. Sono distratta, confusionaria, disordinata e imbranata. Almeno secondo quanto pensa lei, anche se non me lo dice mai direttamente.
Intanto, in bagno, mamma si è già lavata le mani e aperto il cassetto delle medicine.
Se noi fossimo una famiglia come tutte le altre terremmo le medicine in un unico cassettino, possibilmente minuscolo. Ma si vede che noi non lo siamo; mamma ha la fissa per le malattie, allergie e tutto ciò che riguarda la salute o le cose mediche. Il che non sarebbe un gran problema per solo due particolari: questa sua passione l’ha spinta a laurearsi in medicina e a lavorare nella farmacia sotto casa e, in seguito alla sua laurea, ha incominciato a riempire il bagno di medicine che ormai etichetta come un topolino e che ammucchia in tre cassetti distinti: il cassetto delle pomate, il cassetto degli sciroppi e il cassetto del pronto soccorso.
Ecco perché odio la medicina.
– Ecco fatto. Applica questa pomata al foro dell’orecchio  e dammi l’orecchino – dice mettendomi tra le mani una pomata dal nome impronunciabile e dirigendosi in camera sua.
Ah, bella. ‘Dammi l’orecchino’. E, per darle l’orecchino dovrei svitarlo…?
Mi guardo l’orecchio rosso e l’orecchino che, se prima consideravo bellissimo, ora considero un mostro. Appoggio le mie dita intorno alla vite e tiro.
Ahia, ahia, ahia
Tic!
Mi ritrovo con in mano l’orecchino insanguinato e la vite bagnata. Bleah.
Mia madre ricompare all’improvviso con uno strano sorriso stampato in volto. 
– Guarda un po’ cosa ho scovato? – gracchia sventolando uno stano orecchino che, a occhio e croce, sembrerebbe avere circa cinquant’anni.
– Wow.
– Pensa che era di mia nonna! – dice socchiudendo gli occhi e ammirandolo come se fosse importante quanto un reperto archeologico.
Fantastico. Potrei mettermi anche a saltare da quanto sono contenta.
Abbassa lo sguardo e mi osserva – Allora, ti sei messa la pomata!?
– Stavo cercando di metterla…
– Ferma! – dice bloccandomi la mano da cui sto per spremerci la pomata.
– Lo devi fare con il batuffolo di cotone, ma prima disinfetta l’orecchino...
E, mentre parla, svolge tutto quello che dice.
Forse mia madre è leggermente stressata.
Quando mi porge l’orecchino sterilizzato e ripulito, mi ricredo un po’; è d’oro giallo con incastonata una pietra di un denso colore blu. Che, guarda caso, s’intona con il colore dei miei occhi.
Me lo infilo. Chiudo gli occhi con fare teatrale e poi li apro di fronte allo specchio del bagno.
– Allora? Cosa ne pensi? – mi chiede.
Ci rifletto un attimo. In effetti non è tanto male. Possibile che nonna avesse un certo gusto nella scelta degli orecchini. Ma, non mi sta tanto mal…
– Fammi vedere, fammi vedere! – strilla Susy spalancando all’improvviso la porta del bagno.
– Ecco, contenta?
Alzo una ciocca di capelli.
Lei mi guarda un po’ perplessa.
– Mamma, domani mi porti a mettere l’orecchino uguale uguale a Jenny? – conclude con quella sua vocina acuta sgranando gli occhioni.
Perfetto. Ora è uno di quei momenti perfetti per svignarsela.
– Bene, io vado a finire i compiti – annuncio.
Sento mamma sbuffare e io mi metto al sicuro in camera mia.
Mi lego i capelli con gesti automatici, impugno il libro di algebra, faccio una smorfia e mi siedo davanti al PC.
 
Ho tredici anni. A dirla tutta tredici e mezzo, ma mica puoi andare davanti alla gente e urlarglielo in faccia.
A tredici anni sei naturalmente costretta a frequentare l’ultimo anno dell’orrenda scuola media e, l’anno successivo, a dover andare alle scuole superiori. È inutile dire che io odio dover andare a scuola. Ho dei grossi problemi con le figuracce che mi porto dietro, e poi il cibo della mensa è paurosamente strano. E sì, beh, odio la matematica.
Se questo può consolarmi, non ho ancora affrontato il primo anno di liceo. Se questo può consolarmi, perché non mi consola affatto.
   
 
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