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Autore: Eternal Rest    30/05/2013    3 recensioni
I Guns non è una di quelle band che salvano vite, è vero.
Però è una di quelle band che può darti forza, ispirazione, tenacia. È una di quelle band che aiuta a trovare se stessi.
La storia parla un po' di questo. Come la musica può incatenare un'anima, come la può travolgere e accompagnare per tutto il resto della sua esistenza
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altro personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Era solo una ragazzina.
Aveva i suoi sogni, le sue speranze.
Il passaggio dalla scuola elementare alla scuola media è stato abbastanza traumatico. I genitori avevano deciso di mandarla a una scuola privata, convinti che avrebbe ricevuto un'educazione migliore. Facevano molti sacrifici per permettersi di pagarne la retta, volevano solo la sua felicità. Era una scuola in un'altra città, dove non c'era nessuno dei suoi amici
Era... Sola.

Il primo anno non fu male, ma neanche bene. I maschi che si era trovata in classe erano pressochè insopportabili, ma le poche (veramente poche) ragazze presenti erano abbastanza simpatiche. Ma, a 11 anni, si è ancora bambini, e i bambini sanno essere crudeli.
A 12 anni, in teoria, si dovrebbe maturare un po' oppure diventare ancora più stupidi.
Quei maschi seguirono tutti la seconda opzione.
Inoltre i professori facevano non poche preferenze e, ovviamente, lei non rientrava fra quelle.
Lei era l'emarginata.
Lei era quella che prendeva brutti voti solo perchè non leccava il culo ai professori o perchè i genitori non allungavano una mancetta ai colloqui.
Lei era quella che veniva presa in giro perchè non indossava vestiti firmati o perchè aveva sempre le stesse cose addosso.
Ma finchè si limitavano a questo, la cosa era un minimo sopportabile.
Dopo le cose andarono sempre più peggiorando.

Il secondo anno fu peggio. Infinitamente peggio. Le poche ragazze che c'erano si coalizzarono con i maschi: Faceva più comodo, e per integrarsi avrebbero fatto di tutto.
Anche annullare se stesse, anche far finta di essere chi non erano. Ma lei non era così. La sua musica le dava la forza, la sua musica le diceva che bisognava sempre essere se stessi, a tutti i costi.
Già, la sua musica... Da poco aveva scoperto quel meraviglioso mondo. O meglio, lo conosceva fin da piccola, ma solo ora ci si era appassionata veramente. Ma quello che piaceva a lei era deriso da tutti gli altri, ovviamente.
In breve si trovò sola contro tutti.
La picchiavano, la deridevano, la umiliavano nelle maniere più orribili, e se un professore scopriva qualcosa, in qualche modo la colpa ricadeva su di lei.
Sempre e solo su di lei.
Le ricreazioni passate seduta in un angolino, da sola, ad osservare quei ragazzini passare e prenderla in giro, passare e offenderla, in un continuo circolo vizioso, erano diventate un habituè.
Era ancora piccola per poter formulare un concetto, che anni dopo sarebbe diventata una convinzione, ossia che le persone erano solo capaci a seguire la massa. Non erano in grado di formulare idee proprie, pensieri propri. La società stava tappando le ali della fantasia, e nessuno faceva niente. Si stava divulgando una sorta di pigrizia mentale che impediva a tutti di essere chi volevano esssere. C'era questa paura di non essere accettati, ma ce n'era talmente tanta che si era disposti ad annullare la propria identità per seguire la massa. E l'unica conclusione era di avere un branco di manichini tutti uguali convinti però di essere diversi.
Ma, per questa constatazione, ci sarebbe voluto ancora qualche anno. Per ora si limitava a guardarli con lo stesso odio che loro le riservavano, senza mai piangere, senza mai tenere lo sguardo basso.
Non aveva mai versato una lacrima a scuola.
Neppure quando quel ragazzo carino che a lei piaceva tanto la prendeva in giro e la umiliava di fronte a tutti. Si era ripromessa che a scuola non avrebbe mai versato una lacrima, per non darla vinta a quella gentaglia. Anche se ogni giorno varcare quella soglia per lei era come varcare le porte dell'inferno, lei andava avanti. Lei aveva la musica.
Ma non ne aveva mai appreso la piena importanza finchè non arrivarono... Loro.
Lei aveva un gruppo preferito, che amava con tutta se stessa, che le dava la forza ogni giorno per andare avanti, ma... Loro era qualcosa di diverso. Non sapeva come spiegarlo.
Tutto è iniziato durante l'ennesimo pomeriggio a casa, davanti al computer. Già, il computer, suo unico amico, suo unico compagno. A 12 anni non aveva amici, se non quelli trovati attraverso uno schermo, davanti al quale passava praticamente ogni momento libero che aveva. La sua vita virtuale era molto meglio di quella reale, lì aveva trovato spazio in una famiglia, il Fandom del suo gruppo. Lì nessuno la disprezzava o giudicava o insultva. Lì... Lì la accettavano.
E un giorno cercava qualche video interessante da guardare, quando sulla home di youtube ne comparve uno, di una certa band...
Guns 'n Roses
Era curiosa. Aprì il video, si intitolava "Sweet Child 'o Mine".
Il giro di chitarra che apriva la canzone la fece sussultare. Non aveva mai sentito niente di simile. Niente che le procurasse quei brividi sulla pelle.
Quel giorno si ascoltò due album interi di quella band e setacciò il web, avida di informazioni su di loro. Guardò foto, video, lesse biografie, leggende metropolitane, tutto. Per poter associare a quei volti dei nomi.
Axl, Slash, Izzy, Duff e Steven.
Da quello che aveva letto e ascoltato lei sapeva che i grandi Guns 'n Roses erano loro, e non tutte le altre formazioni che si erano create negli anni a venire. Loro erano i Guns. I veri Guns.
Li ascoltò per settimane, imparò ad amare ogni singola canzone, ogni singola parola, ma soprattutto imparò ad amare il meraviglioso suono della chitarra .
Non aveva mai sentito nessuno suonare così. E dire che non faceva delle cose così complicate! Perfino lei lo sapeva. Ma quando Slash impugnava la sua gibson e ne sfiorava le corde, sentiva quelle note scavarle l'anima e arrivare fino al cuore. Poteva stare ore ad ascoltare i suoi assoli senza stancarsi, guardare le sua mani così abili correre sulle corde e avrebbe dato qualsiasi cosa per poterlo vedere dal vivo...
E con i Guns aveva trovato la risposta al problema citato sopra, a quel pensiero che ancora non era in grando di formulare, alla pigirzia mentale e alla paura che attanagliava la gente: del sano, puro e semplice rock 'n roll.
In un primo momento i testi l'avevano intimorita: alcuni erano molto forti, e lei non vi si trovava molto fra tutto questo "sesso, droga e rock 'n roll", ma piano piano ha capito il significato intrinseco di certe canzoni. Il senso di ribellione che ne scaturiva, la critica contro la società, la vita, la gente. Le accuse, la rabbia repressa, l'amore malinconico e struggente alternato a quello passionale e carnale. Tutte queste cose che facevano crescere dentro di lei una voglia di opporsi alla sua vita che sentiva che prima o poi sarebbe esplosa.
Guns 'n Roses divennero, ben presto, per lei sinonimo di lotta, di ribellione. Di rabbia. Di passione. Di trasgressione. Ora guardava ai suoi compagni, alla massa, con maggiore disprezzo di prima. Non solo perchè la umiliavano e la emarginavano, ma anche perchè non erano in grado di costruirsi un'identità propria. Perchè erano tutti fatti con lo stampino.
I Guns la divertivano, la emozionavano, le agitavano un fuoco dentro che le faceva venir voglia di spaccare il mondo. Aveva trovato, finalmente, qualcosa che la trascinava fuori dalla sua apacità, dalla sua malinconia. E molto doveva a quel chitarrista dagli occhi di petrolio e dalle mani magiche. Slash stava diventando la sua roccia. Certo, non era decisamente un bell'esempio da seguire, visti i suoi trascorsi con la coca, la marjuana, l'alchool e tutto il resto, ma a lei non importava. Per lei il vero Slash, quello da seguire e idolatrare era quello che saliva sul palco, faceva un sorriso appena accennato e si fiondava sulla sua Gibson Les Paul, facendo correre le dita sulle corde, suonandole l'anima.
Ecco quando vedeva il vero Slash, lo Slash che amava.
Loro e la sua band preferita le bastarono per andare avanti. Ancora un po'.
Ma era solo una ragazzina.
Un giorno qualcosa, dentro di lei, si spezzò. Un giorno, durante la ricreazione, si rifugiò nel bagno delle ragazze e da lì non volle più uscire finchè non suonò la campanella. Non voleva vedere nessuno, parlare con nessuno. Voleva tapparsi le orecchie e scappare, scappare lontano da lì. Lontano dalle risate di scherno, lontano dagli insulti. Tutti hanno un limite, e lei aveva appena passato il suo.
A casa si trovò da sola, lei il somputer, lei e l'iPod. Lei e lo stipetto dei medicinali. Lei e i coltelli, le lamette.
Non ce la faceva più. Era appena giunta sull'orlo del baratro, un abisso di disperazione e rassegnazione  che la stava inghiottendo ogni giorno di più. Non aveva nulla per cui lottare, aveva perso anche i suoi sogni, si sentiva una fallita, un'inetta. Voleva alleviare il suo dolore in qualche modo, perchè la stava divorando e sentiva che sarebbe impazzita se non avesse fatto qualcosa. Impugnò un coltello.
Un taglio netto, sul polso, un dolore non molto forte, ma neanche lieve. Osservò il piccolo rivolo di sangue che usciva dalla carne protestante, i suoi pensieri si tinsero di rosso scarlatto e per un po' si concentrò su quel dolore, dimenticando le angosce, le paure, la sofferenza. Si rese conto solo dopo di quello che aveva fatto, e se ne vergognò molto, ma al momento le andava bene così. Al momento voleva perdersi in quella sensazione, seppur non molto forte, e dimenticare il resto. Sorrise amaramente pensando che aveva trovato la sua Paradise City, anche se non c'era nessuna erba verde, ma solo il rosso sangue.
Non fu un tentativo di suicidio. Neanche lei sapeva come definirlo. Non pensava a niente mentre impugnava la lama che le avrebbe sfregiato i polsi, solo a dimenticare. Dimenticare e affogare in un dolore diverso da quello che l'accompagnava ogni giorno, un dolore che l'avesse distolta da tutto il resto, un dolore che lei poteva controllare.
Il tentativo di suicidio venne dopo.
Dopo che si accorse che anche la sua famiglia la ignorava, che con sua madre non aveva rapporto, che nessuno le tendeva la mano mentre era in bilico sul baratro. Dopo che si accorse che non aveva più nulla per cui lottare o sperare, che la musica non bastava.
Don't cry diceva la canzone.
Please don't cry...
Eppure lei piangeva e piangeva, buttando fuori tutta la disperazione e la rabbia accumulata negli anni, piangeva e non riusciva a fermarsi e più Axl le ripeteva di non piangere più lei buttava fuori lacrime, mentre premeva più del solito quella lametta sul suo polso, mentre la faceva affondare nella carne, incurante del sangue che macchiava ogni cosa.
Iniziò ad annebiarlese la vista.
Colse vagamente le ultime parole della canzone... don't cry... don't cry...
E mentre cadeva nel buio pensò che si, non avrebbe più pianto, che finalmente aveva smesso di versare lacrime inutili, aveva smesso di soffrire. Pensò a come aveva sprecato la sua vita... A come sarebbero stati felici i suoi compagni, ora che se ne stava andando...

Che stai facendo.
Non lo so.
Perchè ti sei arresa?
Non avevo nulla per cui lottare.
Avevi me.

Nel buio distinse una figura alta, riccioluta. Ma a lei non importava, lei si era lasciata andare. Lei non era più.

Smettila di blaterare, svegliati.
Non voglio.
Pensavo di valere qualcosa, per te.
Sei solo una rockstar, Slash. Sei come un fantasma.
Non nella tua mente. Non qui.
E' tutto un sogno.
Forse. O forse no.
Oh, ma per favore... Lasciami morire in pace
Non vuoi più sentirmi suonare? Amavi tanto sentirmi suonare. Magari dal vivo.
Non accadrà mai.
Forse.... O forse no.
Stai giocando?
Ti sto dicendo quello che vuoi sentirti dire. Quello che la tua mente vuole sentirsi dire.
Io voglio morire.
No, non è vero. Tu vuoi essere felice. E' ben diverso.
Ma non lo sono. E mai lo sarò.
Io ti rendo felice. I Guns ti rendono felice.
Ma....
Niente ma. Muovi il culo e SVEGLIATI!

Aprì gli occhi, sobbalzando. Guardò il suo braccio grondante di sangue. Provò a pensare a quello che aveva sognato, ma i suoi pensieri erano rallentati. Non riusciva a tenerne uno per più di una manciata di secondi che quello già svaniva. Era come se qualcuno avessse calato una cappa di ferro sulla sua mente, rendendola pesante e lenta. Decise di lasciar perdere, e di dedicarsi alle cose più urgenti.
Come restare in vita, ad esempio.
Improvvisò un laccio emostatico con la cintura. Ci mise un po', perchè il cuoio sembrava vivo e continuava a scivolarle dalle mani, che si facevano sempre più insensibili e fredde.
Pensò che stava morendo.
Pensare? No, non riusciva a pensare. Voleva solo dormire...
Ma sapeva che non doveva. Si trascinò in bagno, mise la testa sotto la doccia, aprendo l'acqua ghiacciata, questò bastò a darle un po' di vigore. Si fasciò il braccio, stringendo più che poteva le bende, si tolse l'ingombro della cintura e si sedette sul bidet, poichè l'aveva presa un giramento di testa. Doveva mangiare qualcosa. Si alzò e a fatica arrivò i cucina, dove mangiò qualche zolletta di zucchero, dei creacker. Iniziava vagamente a sentire che la cappa di ferro che era calata sulla sua mente, si stava ora dissipando. Riusciva a pensare più lucidamente, ora.
Si rese conto di quel che aveva fatto.
Si rese conto a quanto vicina fosse stata alla fine.
Ma non pianse. No, non stavolta. Si alzò dalla sedia dove si era seduta e tornò in camera, pulì le chiazze di sangue dal pavimento e dalla scrivania, ripose la lametta. Durante quest'arco di tempo non si era resa conto che la musica non si era fermata, che le casse continuavano a cantare.
Woo-ooh-ooh sweet child 'o mine
Incredibilmente sorrise. Era la prima canzone che aveva sentito di loro.
Woo-ooh-ohh sweet love 'o mine
Sembrava quasi che la stesse ringraziando, che fosse felice del fatto che, alla fine, non si era arresa. Si sentì profondamente stupida, sia per quello che aveva appena pensato, sia per quello che aveva fatto.
Un improvviso capogiro la costrinse a sedersi di peso sulla sedia girevole della scrivania. Si prese la testa tra le mani, aspettando che passasse. In fondo se l'era cercata, non si sarebbe lamentata, a lei importava solo che nessuno lo sapesse.

Era solo una ragazzina, sola contro il mondo...

Passarono degli anni da quel momento. Non rifece mai più una cosa simile. Molte volte ci pensò, molte volte agognò nuovamente la morte. Ma poi ricordava quel sogno... O allucinazione, qualsiasi cosa fosse. Allora prendeva il suo iPod, si metteva le cuffie, e andava avanti.
E sopravviveva, così, tra la musica e il computer, odiando la scuola, la famiglia che la ignorava, odiando se stessa e chi le stava intorno.
Le scuole medie passarono, svuotandola di ogni emozione, rendendola poco più che un guscio vuoto che si trascinava in un'esistenza a parer suo inutile, senza nessuno scopo preciso. Parlava poco, e quando parlava sputava parole velenose e acide, cariche di una rabbia repressa e di una profonda tristezza che avrebbero fatto rabbrividire un attento ascoltatore.
Già, un attento ascoltatore, ma chi l'ascoltava? Con chi si sfogava? Chi era disposto a sedersi, prenderle la mano e stare in silenzio, ad ascoltare?
Nessuno.
E poi, lei non voleva parlare con nessuno. Aveva tirato su un muro attorno a lei, aveva inalzato delle barriere, si era chiusa in se stessa per proteggersi dalla merda di mondo che c'era fuori.
Imparò ad amare la musica del passato, e a odiare quella del presente, quello schifo fatto con macchine insensibili e prive di emozioni che si ascoltava in discoteca.
I Guns 'n Roses divennero la colonna sonora della sua vita. Ormai avevano arpionato la sua anima, il suo stesso essere, l'avevano trascinata in un vortice di emozioni che la inebriavano.
Era drogata di musica. E il suo tipo di droga preferito erano i Guns. Era la voce di Axl. La batteria di Steven, la chitarra di Izzy, il basso di Duff... La chitarra di Slash.
Welcome to the jungle
Primo giorno di scuola superiore. Il sollievo che aveva provato, varcando un'ultima volta le porte della scuola media, era qualcosa di indescrivibile. Il giorno dell'ultimo esame di terza media, finito quello ed uscita dalla scuola, si era voltata, aveva guardato l'edificio, il cancello, il giardino con odio, pensando che non avrebbe mai, mai più rimesso piede li dentro, neppure per sbaglio. Non voleva sentire nè rivedere nessuna di quelle persone disgustose che vi aveva trovato all'interno. E con quel pensiero e sensazione di profondo sollievo se ne era andata. Stavolta per sempre.
La serenità che ora provava era una sensazione nuova. Non aveva più le solite angoscie, c'era solo la curiosità mescolata all'ansia per la novità.
La nuova scuola.
La campanella doveva ancora suonare, i ragazzi attendevano fuori dal cancello che iniziasse un nuovo anno scolastico. Lei si guardava attorno, diffidente, ascoltando Welcome to the jungle. Le sembrava il brano più appropriato, in quel momento.
You're in the jungle baby,
you gonna die
Ok, magari stava prendendo la cosa un po' troppo sul catastrofico, ma proprio non riusciva a fidarsi.
Finalmente entrò in classe, conobbe i primi professori. Non erano male.
Arrivò la ricreazione, se ne stava in un angolino, chiusa in se stessa, come sempre.
Una ragazza si avvicina, le sorride, si presenta, vuole parlare. La porta nel gruppetto di ragazze, a poca distanza da dove stava lei.
Quello fu il vero inizio. Trovò finalmente degli amici, persone che non la giudicavano, che non la prendevano in giro. Non erano come lei, ma la accettavano, le volevano bene.
Si fece nuove amicizie, tornò a sorridere, conobbe un ragazzo che divenne il suo migliore amico.
Si trovavano bene assieme: avevano entrambi nostalgia di un'epoca in cui non avevano mai vissuto, ascoltavano la stessa cara e vecchia musica... Lui amava i Guns.
E lui le portò la notizia della sua vita.
Ora lei era più serena, ma aveva sempre vissuto, e continuava a farlo anche in quel momento, nella costante tristezza del pensiero che non avrebbe mai visto nessuna delle band che amava, dal vivo. Neanche i Guns.
Neanche Slash.
Piangeva guardando i live, pensando che lei non c'era e non ci sarebbe mai stata, malediceva il fatto di non essere nata quarant'anni prima e in un altro continente. Avrebbe pagato qualsiasi cosa, avrebbe dato tutto, pur di potersi trovare sotto quel palco, a urlare e fare casino, a spaccarsi le costole su una transenna e ad alzare le mani al cielo, fregandosene di ogni cosa se non delle persone davanti a lei.
Qualsiasi cosa.
Ma forse il mondo stava iniziando a girare per il verso giusto.
E lo capì quando l'amico gli disse che Slash sarebbe stato nella loro città. Lo capì quando ebbe fra le mani tremanti i biglietti, mentre l'amico parlava eccitato di come organizzarsi per andare e tornare indietro.
Due mesi, solo due mesi la separavano da una delle persone che l'avevano aiutata a definire la sua identità e la sua linea di pensiero.
Certo, non era tutta la band, ma andava bene lo stesso. Più che bene.
Le sembrarono i due mesi più lunghi della sua vita. Non aveva mai aspettato nulla con così tanta ansia.
La notte prima non chiuse occhio. Si svegliò prestissimo, mangiò in fretta, preparò la borsa con lo stretto necessario: dei cracker, una bottiglietta d'acqua, la macchina fotografica, un po' di soldi per il treno e per eventuali acquisti alle bancarelle. Arrivò l'amico e insieme andarono in stazione, venti minuti di treno, una mezz'oretta per trovare lo stadio, e finalmente erano arrivati. Era mattina presto, li c'erano solo poche persone, con cui fecero amicizia facilmente. Cercarono di far passare quella giornata in fretta, tra qualche sigaretta e una partita a carte, ma cinque minuti sembravano un'ora, un'ora sembrava una vita. Il momento era vicino, l'aveva aspettato a lungo e ora non stava nella pelle.
Il giorno lasciò il posto alla sera. Iniziarono a far entrare le persone, prima nell'atrio che precedeva il parterre e finalmente, dopo un paio d'ore, nell'area con il palcoscenico vero e proprio.
Tutti erano in fibrillazione, incapaci di stare fermi per più di una manciata di secondi, ogni sguardo puntato verso il palco, ansiosi e bramosi di vivere quelle emozioni uniche che solo un concerto sa dare.
Lei era lì, sorridente.
Sorridente, come non lo era mai stata.
Aggrappata alla transenna, schiacciata dalla folla, bagnata di pioggia, stanca dopo ore passate in piedi e sorrideva.
Cos'altro doveva fare? Tra poco il suo chitarrista preferito sarebbe comparso proprio davanti a lei, su quello stesso palco sotto il quale aveva sognato di trovarvisi tante volte, e avrebbe suonato anche per lei.
All'improvviso le luci si spensero.
Ci fu un unico istante di silenzio, come se avessero tutti trattenuto il respiro, consci che finalmente quello per cui avevano tanto atteso stava per iniziare.
Poi esplose un unico, unanime urlo, capace di superare il rombo di un aereo con la sua potenza.
Niente poteva fermare il fiume di emozioni che vorticava dentro ogni singolo individuo lì presente.
Sapete quell'emozione che spinge ad alzare le braccia verso il cielo, non per fare qualche gesto, non a mo' di saluto o qualcosa del genere. Semplicemente quando ti senti scoppiare il petto, devi fare uscire tutto e allora urli e alzi le mani, e cerchi di protenderle il più in alto possibile, come se volessi appropriarti dello spazio intorno a te per contenere il tornado di sensazioni da cui sei stato travolto e che ora volgiono uscire.
E lei era lì. Guardava il palco, le braccia alzate, lo sguardo fisso su Slash.
Quasi si mise a piangere dalla gioia. Quanto tempo era che sognava di vederlo? 5, 6 anni? Per quanto ha desiderato di potersi trovare sotto un palco di un suo concerto? Troppo tempo, pensava. Ma era lì, ora, e questo contava. E sorrideva, urlando e cantando con le braccia al cielo, ubriaca di gioia, con l'adrenalina che scorreva a fiumi nelle vene.
"Se ci sono cose così belle, come queste esperienze, come queste sensazioni, allora dannazione SI, vale la pena vivere."







Wo beh gente, non neppure io cosa ho scritto esattamente ahaha so solo che ci ho davvero messo il cuore in questa... questa... cosa (?)
A presto :3

~Eternal Rest








  
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