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Autore: lalychan    31/05/2013    3 recensioni
Preparare gli esami è uno strazio, prepararli da solo è anche peggio. Jonghyun cerca un posto tranquillo in cui studiare invece...trova un nuovo amico un po' speciale.
Genere: Malinconico, Romantico, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Library Couples'
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Questa OS fa parte di una raccolta di quattro da me chiamata "Library Couples"
Al momento ne ho scritte altre due, "You've fallen for me" e "Rent a boy" sempre con i CNBLUE come personaggi. Vi consiglio, se vi interessano, di leggerle nell'ordine indicato nel titolo. Buona lettura




Erano passate due settimane da quella notte nella biblioteca con Jungshin. Il piacevole ricordo del corpo caldo del minore a contatto con il suo gli dava sempre il batticuore, ma si sentiva sereno: era stata solo una notte, una piccola evasione per entrambi.
Ciò che invece continuava a tormentare Lee Jonghyun era il fantomatico ritratto ritrovato tra le pagine muffite di uno dei tanti volumi messi a marcire nell’archivio.
Jungshin aveva negato di esserne l’autore, e Jonghyun gli credeva. Eppure era certo non ci fosse stato nessun altro con lui in quell’umido stanzone sotterraneo mentre cercava di districare i misteri della statistica.
Quel piccolo particolare continuava a tormentarlo giorno e notte, sentiva di avere lasciato qualcosa in sospeso. E lui detestava avere qualcosa in sospeso.
Fu quello il motivo che lo portò di fronte al banco dei prestiti quel lunedì pomeriggio, affrontando per la prima volta dopo due settimane lo sguardo dolce di Jungshin.
«Hyung. Che sorpresa. È da un po’ che non ti fai vedere qui in biblioteca» disse il minore con un sorriso gentile.
«Ho pensato fosse meglio così» rispose Jonghyun leggermente in imbarazzo.
«Capisco. Forse hai fatto bene. Ma dimmi, ti serve qualcosa?» proseguì Jungshin in tono amabile.
Il cuore di Jonghyun martellava nel suo petto. Sperava di riuscire a controllare meglio quel suo sentimento, ma a quanto pareva non era forte come pensava.
Deglutì rumorosamente, cercando di concentrarsi sul motivo per cui si trovava lì.
«Jungshin avrei bisogno delle chiavi dell’archivio» disse in tono serio.
Il bibliotecario lo scrutò negli occhi come se cercasse di scoprirvi qualcosa di strano.
«Perché?» chiese dopo un minuto, senza interrompere quel contatto visivo che stava mandando Jonghyun nel panico.
«Devo controllare una cosa» rispose il maggiore, sperando che quell’interrogatorio finisse il prima possibile.
Jungshin sbuffò. Sembrava di poter sentire gli ingranaggi del suo cervello che lavoravano frenetici per trovare qualcosa di poco chiaro nelle intenzioni del suo hyung.
«Ti accompagno io, non posso lasciare le chiavi agli studenti. Vedi di non combinare guai hyung, altrimenti sarò io a venire rimproverato» si arrese alla fine.
Jonghyun assentì con un cenno del capo, quindi si affrettò a seguire la figura alta e snella del più piccolo giù dalle scale e in fondo a quel corridoio sotterraneo, fino al portone dell’archivio.
Esattamente come la volta precedente quel luogo puzzava di chiuso e di carta muffita.
«Ti do un’ora, non di più. Di recente c’è stato qualche problema con l’archivio. Documenti scomparsi e roba simile. Per questo hanno incrementato i controlli sui dipendenti» lo ammonì Jungshin in tono severo. Poi si aprì in uno dei suoi soliti sorrisi, spazzando via in un secondo la pesante atmosfera che aveva aleggiato su di loro fino a quel momento.
Jonghyun sorrise in segno di gratitudine, e attese che l’amico fosse scomparso in cima alle scale prima di mettere piede nell’archivio.
Tutto era rimasto esattamente come due settimane prima. Non un singolo foglio sembrava essere stato spostato, e del resto nessuno avrebbe avuto motivo di farlo.
Non sapendo da dove iniziare la sua ricerca, Jonghyun decise di ispezionare quel posto da cima a fondo, controllando tutti gli scaffali, i ripostigli, in cerca di un indizio alla soluzione del suo enigma.
Si aggirava fra le mensole di legno tarlato, scorrendo con lo sguardo i titoli dei volumi allineati disordinatamente. Alcuni erano particolarmente curati: le copertine di cuoio con i titoli incisi in lettere d’oro erano veri capolavori d’arte libraria, si domandava perché fossero stati chiusi in quell’orrendo posto anziché venire esposti in qualche collezione privata o museo.
Era circa mezz’ora che gironzolava per la stanza quando con la coda dell’occhio percepì un’ombra muoversi alle sue spalle.
Si voltò di scatto, il cuore che tamburellava frenetico contro le sue costole. Era certo che ci fosse qualcuno con lui. Eppure la porta non era stata aperta, o ne avrebbe sentito distintamente il cigolio. No, quel qualcuno era lì dentro fin dal principio, e lo spiava. Jonghyun era certo che si trattasse della stessa persona che gli aveva fatto il ritratto.
Si mosse lentamente nella direzione in cui credeva di aver visto scappare quella figura, ma quando svoltò tra i due scaffali trovò solo il muro muffito davanti a sé.
Impossibile.
O forse no. Magari si stava solo facendo suggestionare dalla solitudine di quel posto.
Sospirò dandosi mentalmente dello stupido e si voltò, deciso a rinunciare a quell’assurda ricerca senza senso quando alle sue spalle comparve un ragazzo, poco più alto di lui, che lo fissava.
«Wa! Accidenti, mi hai spaventato, chi diavolo sei?» urlò per la sorpresa.
Il ragazzo non rispose. Doveva avere all’incirca la sua età, ma sembrava uscito da un mercatino delle pulci. I suoi abiti logori e anneriti in alcuni punti andavano di moda almeno vent’anni prima. Il taglio di capelli lo faceva sembrare pronto alla chiamata al servizio di leva, eppure si adattava a quel posto molto meglio di quanto potessero farlo i jeans attillati di Jonghyun, la sua maglietta griffata e il taglio sbarazzino.
«Da quanto tempo sei qui dentro? Jungshin lo sa che sei qui?» continuò Jonghyun cercando di far calmare i battiti del suo cuore impazzito per lo spavento.
«Nessuno sa che sono qui. Ci sto da molto tempo» si decise finalmente a rispondere lo strano ragazzo. La sua voce calda arrivò come musica alle orecchie di Jonghyun che venne percorso da un brivido. Lo sguardo profondo dello sconosciuto era velato di tristezza, eppure, Jonghyun ne era certo, sotto quel velo doveva nascondersi una vivacità che raramente aveva incontrato fino a quel momento.
«Come ti chiami?» chiese di nuovo, stavolta in tono calmo.
«Minhyuk. Kang Minhyuk» rispose quello, senza battere ciglio.
“Che bel nome” pensò Jonghyun aprendosi spontaneamente in un sorriso.
«Piacere di conoscerti Minhyuk, io sono Lee Jonghyun» disse poi, tendendo la mano al ragazzo, che fece un passo indietro guardandola disgustato.
Jonghyun rimase perplesso da quel gesto ma decise di non fare domande. Magari a quel tipo non piaceva il contatto fisico.
«Beh, Minhyuk, posso sapere quanti anni hai e come mai sei qui?» riprese, cercando di arrivare alla domanda che più gli interessava trovasse risposta in quel momento: “hai fatto tu quel ritratto?”.
Minhyuk fece spallucce, quindi si voltò e cominciò a camminare lentamente tra gli scaffali, immerso in chissà quali pensieri, con un curiosissimo Jonghyun alle calcagna.
«Non me lo ricordo» disse infine, fermandosi di fronte a una copia logora di un manuale di disegno.
«Non ricordi quanti anni hai né perché sei qui?» domandò perplesso e inquieto Jonghyun che iniziava a pensare che quel tipo lo stesso prendendo in giro.
Un cigolio e una voce familiare lo fecero voltare verso l’entrata.
«Jonghyun hyung? Sei ancora qui?» chiese Jungshin comparendo poco dopo nel corridoio tra gli scaffali.
«Mi dispiace ma devo farti uscire e chiudere» continuò quando gli arrivò di fronte.
«Capisco. Ma senti, conosci Minhyuk?» disse indicando alle sue spalle.
Jungshin lo fissò come se fosse uscito di senno.
«Hai dato un nome a un ragno hyung? Certo che la solitudine di questo posto manda davvero fuori di testa» commentò Jungshin ridacchiando e voltandosi per uscire.
Jonghyun rimase perplesso ma quando si voltò si accorse che Minhyuk era scomparso. Eppure era sicurissimo che fosse stato lì appena pochi secondi prima. Di fronte a quel libro su cui stava zampettando un nero aracnide, piuttosto ciccione, e da cui usciva…
Si avvicinò al volume ingiallito di disegno, sfilandone un foglio immacolato.
Come l’altra volta, si trattava di un ritratto di Jonghyun fatto a penna, solo che la sua figura, in piedi, era stata immortalata mentre con sguardo concentrato osservava i volumi sugli scaffali dell’archivio. I jeans, le scarpe, la maglietta erano le stesse che indossava in quel momento.
Non poteva essere una coincidenza. Era sempre più convinto che fosse Minhyuk il misterioso autore dei ritratti, anche se non capiva da dove fosse spuntato né dove fosse finito.
«Hyung, andiamo» lo richiamò Jungshin strappandolo alle sue congetture.
Jonghyun si infilò in tasca il foglio e lo raggiunse, guardando pensieroso l’amico chiudere a chiave l’archivio.
E se Minhyuk fosse stato ancora lì dentro? Possibile che nessuno si fosse mai accorto di lui?
«Sei sicuro che siamo gli unici a scendere qui sotto?» chiese a Jungshin in tono preoccupato.
«Sicurissimo, e ora filiamo prima che mi scoprano» rispose il minore trascinandolo per un braccio verso l’uscita.
L’orario di chiusura della biblioteca era vicino, quindi Jonghyun decise di aspettare che Jungshin finisse il suo lavoro per parlare con lui di quello strano ragazzo.
Seduti a un tavolino di un ristorante con due birre fresche di fronte, il maggiore raccontò per filo e per segno quello che era successo poco prima nell’archivio. Mano a mano che procedeva con il racconto si accorse che Jungshin cominciava a guardarlo in maniera strana. Non si stupì quindi quando gli chiese se si fosse fumato qualcosa durante la sua assenza.
«Non credi a una parola vero?»
«Tu ti crederesti?» gli domandò di rimando Jungshin.
«Probabilmente no. Ma ti assicuro che è la verità, e sono deciso a scoprire cosa c’è sotto. Magari è quel tipo che fa sparire i documenti in archivio. Magari c’è un’entrata secondaria che nessuno conosce» rispose Jonghyun cominciando a fare congetture.
«Sì, e magari quello è un fantasma…andiamo hyung, secondo me è tutto frutto della tua immaginazione. Insomma, la solitudine può giocare brutti scherzi lo sai, no?»
«E mi sarei immaginato anche questo?» chiese Jonghyun spiegando il foglio del proprio ritratto e mostrandolo a Jungshin con una certa veemenza. Almeno ai suoi occhi avrebbe dovuto credere.
«Un foglio bianco? E questo cosa proverebbe?» chiese perplesso il minore voltando la carta e mostrandogli la pagina perfettamente candida.
Il ritratto era scomparso.
Come diavolo era possibile? Era certo che fosse lì fino a quando l’aveva messo in tasca. L’aveva osservato bene.
Strappò il foglio di mano a Jungshin, iniziando a rigirarlo e ripiegarlo, senza ottenere alcun cambiamento.
«Dev’essere uno scherzo. Inchiostro simpatico magari»
«Più simpatico di te sicuramente, ti consiglio di farti vedere da un buon medico hyung, cominci davvero a preoccuparmi» disse Jungshin versando della birra al maggiore per poi riempire il proprio bicchiere.
«Jungshin, devi farmi tornare in quel posto. Domani» lo supplicò allora Jonghyun. Quel mistero lo stava tormentando ora più che mai. Sentiva di dover arrivare in fondo a quella storia.
«Non se ne parla nemmeno, se mi scoprono mi licenziano» rifiutò deciso il minore.
«Non lo scoprirà nessuno, basta che tu chiuda come sempre la biblioteca e mi lasci le chiavi da qualche parte lì vicino. Entrerò quando tutti saranno andati via, così non correremo nessun pericolo»
«Scordatelo hyung» rifiutò di nuovo Jungshin.
Jonghyun gli prese una mano nelle sue fissandolo con sguardo implorante.
«Jungshin, ti prego. Te lo chiedo per favore, ho bisogno di tornare lì dentro. Da solo» insistè il più grande.
L’amico lo fisso per qualche secondo mordicchiandosi il labbro, incerto sul da farsi.
«D’accordo hai vinto, ma che sia solo per questa volta» acconsentì Jungshin.
Jonghyun si aprì in un sorriso, e propose un brindisi, molto più rilassato all’idea di poter indagare di nuovo su quel misterioso ragazzo dei ritratti.
Quando uscirono dal locale erano le due del mattino, ed entrambi erano piuttosto ubriachi. Jungshin chiamò Yonghwa per farsi venire a prendere mentre Jonghyun, dopo aver salutato i suoi due amici, si diresse barcollando verso casa propria, che distava solo un paio di isolati dal ristorante.
La sua mente era annebbiata dall’alcol, ma nonostante ciò continuava a pensare a Minhyuk, al suo sguardo triste, al suo viso dolce. Era terribilmente impaziente di saperne di più e non vedeva l’ora che arrivasse l’indomani.
Concentrato nei suoi pensieri, camminava senza badare a dove stesse andando, e tornò alla realtà solo quando si ritrovò seduto sul marciapiede dopo essere andato a sbattere contro qualcuno.
Cercò di raccogliere la poca lucidità che gli era rimasta e mise a fuoco, di fronte a sé uno studente, con un cappello da baseball calato sugli occhi, intento a raccogliere dei fogli che nello scontro si erano sparpagliati intorno a loro.
«Scusami, non stavo facendo attenzione a dove andavo» biascicò Jonghyun osservando con interesse il fondoschiena fasciato da pantaloni neri attillati del ragazzo, che dandogli le spalle, cercava di sistemare le sua carte in una busta.
«Non importa, nemmeno io mi sono accorto che ti stavo venendo addosso» rispose quello, facendo un inchino veloce e correndo via subito dopo, scomparendo dietro l’angolo.
Jonghyun invece non si era mosso dal marciapiede. Non era riuscito a vedere il ragazzo in faccia ma la sua voce, quella voce calda, era la stessa che aveva udito quello stesso pomeriggio nell’archivio.
Scosse la testa con decisione. Impossibile. Il tipo contro cui era andato a sbattere era vestito normalmente, mentre Minhyuk sembrava uscito da un film degli anni ottanta. Decisamente aveva bevuto troppo. E decisamente quella storia lo stava ossessionando. Era meglio smetterla di farsi dei film e chiarire ogni cosa con Minhyuk il giorno dopo.
Si alzò da terra, si spazzolò i jeans e si diresse a casa, dove una volta arrivato, si gettò sul letto senza nemmeno spogliarsi, cadendo immediatamente in un sonno profondo.


***



Quando aprì gli occhi la sua stanza era perfettamente illuminata. Diede un’occhiata alla sveglia, scoprendo che era mezzogiorno passato. Poteva dire addio alle lezioni del mattino.
Rimase a rigirarsi nel letto con il corpo pesante e un cerchio alla testa dovuti alla sbronza della sera prima. Quando però il suo stomaco cominciò a protestare sonoramente, si decise ad alzarsi e farsi una doccia, prima di prepararsi qualcosa da mettere sotto i denti.
Mentre si sfilava i jeans, dalla tasta posteriore cadde il foglio bianco che la sera prima aveva mostrato a Jungshin. Lo raccolse con un sospiro rassegnato, aprendolo, e rimanendo di sasso quando scoprì che il suo ritratto era lì esattamente dove l’aveva visto il giorno prima.
Scosse la testa e ripiegò il foglio, infilandolo in un cassetto della scrivania. Era inutile che stesse a pensarci, le risposte poteva dargliele solo Minhyuk, e si augurava che il suo amico si presentasse all’archivio anche quel giorno, altrimenti sarebbe potuto impazzire sul serio.
Fece una doccia calda e cucinò del ramyeon istantaneo. Quando ebbe finito lavò i piatti e si mise a riassettare il suo monolocale, che sembrava un campo di battaglia. Era almeno un mese che non puliva e metteva in ordine e riuscì in quel modo a trascorrere il pomeriggio senza pensare troppo a ciò che lo aspettava.
Uscì di casa alle sei e trenta precise, dopo che Jungshin gli aveva mandato un messaggio con il luogo in cui aveva nascosto le chiavi, raccomandandosi di nuovo perché non facesse sciocchezze e non si facesse vedere da nessuno.
Mentre camminava verso la biblioteca nella luce del tramonto, Jonghyun sentiva il sangue pulsargli nelle vene. Il suo passo era deciso, le mani chiuse a pugno in una stretta nervosa.
Si assicurò che non ci fosse nessuno nei dintorni quando recuperò le chiavi e sparì in fretta all’interno del silenzioso edificio.
Una volta dentro gli ci volle un minuto per abituarsi al buio che vi regnava, durante il quale sentì i capelli rizzarglisi in testa come la prima volta che era stato lì di sera. Quella volta in cui Jungshin aveva voluto condividere una notte solo con lui.
Scosse la testa per scacciare quel pensiero che apparteneva al passato, quindi tirò fuori dalla tasca della giacca la piccola torcia che aveva portato con sé e si diresse con decisione verso le scale che portavano all’archivio.
I suoi passi, per quanto cercasse di fare piano, rimbombavano nel silenzio come colpi di tamburo. Sentiva di avere i nervi a fior di pelle. Quel posto metteva seriamente i brividi.
Arrivò senza incidenti di fronte alla porta dell’archivio, che aprì con la chiave che Jungshin gli aveva fornito.
Il portone cigolò in modo sinistro quando lo scostò, accendendo subito la luce nell’archivio, che per un momento lo accecò.
Quando ebbe riaperto gli occhi, entrò nello stanzone umido, guardandosi intorno circospetto, con le orecchie tese a cogliere il minimo rumore.
«Sei tornato» disse una voce alle sue spalle facendolo trasalire.
Minhyuk ridacchiava, evidentemente soddisfatto di essere riuscito a spaventarlo per la seconda volta in un giorno.
«Minhyuk, maledizione, finirai per uccidermi» imprecò Jonghyun tenendosi una mano sul petto, lasciando subito dopo che un sorriso comparisse sulle sue labbra.
Era certo che Minhyuk lo stesse aspettando. Se lo sentiva, anche se non sapeva bene perché.
Il ragazzo si rabbuiò all’improvviso, arretrando di qualche passo. Jonghyun lo osservò in silenzio. Sembrava si sentisse improvvisamente in colpa.
«Ehi, stavo scherzando, non te la prendere. Era solo un modo di dire» disse per tranquillizzarlo. Gli occhi di Minhyuk si incatenarono ai suoi, cercando qualcosa. Sembrava volesse leggere nella sua mente per capire se gli stava dicendo la verità, e si sentì sollevato quando lo vide sciogliersi in uno dei suoi dolci sorrisi.
«Me ne sono ricordato sai?» disse infine Minhyuk.
«Di cosa scusa?» chiese Jonghyun perplesso, continuando a guardare incantato il sorriso dell’altro.
«Io ho diciotto anni» rispose solennemente lo strano ragazzo.
Jonghyun lo guardò storto.
«Allora tra noi sono io il più vecchio. Bene, d’ora in poi guai a te se mi spaventerai di nuovo comparendo dal nulla, d’accordo?» lo minacciò con un tono fintamente serio.
«D’accordo hyung. A patto che tu venga a trovarmi più spesso. Io qui sono solo» rispose Minhyuk, il cui sorriso scomparve nel pronunciare quell’ultima frase.
Jonghyun sentì l’impulso di avvicinarsi a lui ma il più piccolo fece un passo indietro.
«Scusami, non sono abituato al contatto con le persone» si giustificò.
«No, figurati. Scusami tu, non volevo essere invadente. Comunque perché non ci sediamo e facciamo due chiacchiere Minhyuk? Ci sono delle cose che vorrei chiederti» rispose Jonghyun indicando due vecchi materassini da palestra finiti chissà come in quella stanza. Li prese e li poggiò al muro, a circa mezzo metro di distanza uno dall’altro, e si sedette su uno dei due, facendo cenno all’amico di prendere posto sull’altro.
«Dimmi Minhyuk, tu vivi qui dentro?»
«In un certo senso sì. O meglio, ci vengo qualche volta»
«Possiedi le chiavi?»
«Sì»
«E che ci vieni a fare in un posto del genere?» domandò Jonghyun impaziente e sempre più curioso. Più guardava i lineamenti di quel ragazzo, la sua figura elegante, e più sentiva lo stomaco contorcersi e il cuore pompare sangue in tutto il suo corpo.
«Niente di particolare. Ci vengo quando qualcuno si sente solo. Perché anche io sono solo» rispose il più giovane in tono cupo.
Jonghyun avvertì un dolore al petto. Non era concepibile che quel piccolo angelo fosse solo. Possibile che non avesse nemmeno un amico?
«Posso chiederti come mai sei solo? Non hai un amico?»
Minhyuk abbassò la testa, raccogliendo le ginocchia al petto, e non rispose.
Passarono cinque minuti così, in quel silenzio carico di tensione, finché il minore non si decise a parlare.
«Una volta c’era qualcuno. Molto tempo fa. Ma poi se n’è andato. Ed è stata tutta colpa mia» disse infine.
«Ti va di raccontarmelo?» chiese titubante Jonghyun.
Minhyuk scosse con decisione la testa.
«Un altro giorno magari» disse poi, lanciando un’occhiata al maggiore di sottecchi.
Jonghyun annuì sorridendo, e si ricordò improvvisamente del ritratto.
«Lo hai fatto tu quel ritratto? Il mio ritratto, quello che ho trovato nel manuale di disegno. E anche quello precedente, mentre studiavo statistica» chiese improvvisamente teso.
Minhyuk stese le gambe, stiracchiandosi, evidentemente più rilassato.
«Sei bellissimo quando sei concentrato su qualcosa hyung» disse, arrossendo immediatamente.
«Scusami, non intendevo dire…io non…»
«Ehi, ehi! Calmati. Che c’è di male? C’è qualche legge che vieta a un ragazzo di apprezzare un altro ragazzo? Comunque ti ringrazio per quello che hai detto. A dire la verità ora sono io quello in imbarazzo» lo interruppe Jonghyun arrossendo poi a sua volta.
Minhyuk scoppiò a ridere, contagiando con quell’allegria anche il maggiore.
«Lo sai che sei bellissimo quando ridi Minhyuk? Vorrei che tu ridessi più spesso» confessò poi, scrutando la reazione del più piccolo che divenne paonazzo e nascose il viso tra le mani.

Era da tanto che non si sentiva così. Stare con Minhyuk gli sembrava la cosa più naturale del mondo. Parlare con lui lo faceva sentire bene, così quando arrivò il momento di salutarsi decise di fare di nascosto una copia delle chiavi che Jungshin gli aveva dato.
“Solo per stavolta” aveva promesso al suo amico.
Ma Jonghyun non aveva nessuna intenzione di rinunciare a vedere Minhyuk, e per quanto non avesse avuto il coraggio di indagare oltre, aveva capito che l’unico posto in cui avrebbe potuto incontrarlo era quell’archivio. Al suo cervello era inspiegabile, ma il suo cuore sapeva che Minhyuk e quel luogo si appartenevano, non sarebbe riuscito a portarlo fuori di lì, e dopotutto non gli interessava di dove passassero il loro tempo. Purché fossero insieme.
«Tornerò da te il prima possibile» promise al minore mentre fuori il cielo cominciava a rischiararsi. Avevano fatto l’alba.
«Sarò qui ad aspettarti hyung» rispose Minhyuk sorridendo e salutandolo con la mano. Jonghyun fece per uscire, ma quando si voltò per un ultimo saluto, il suo amico era già scomparso nel nulla.
Non gli importava di fare qualcosa di illegale, né delle molte lezioni che inevitabilmente avrebbe perso ogni volta che andando nell’archivio, avrebbe passato la notte chiacchierando e scherzando con Minhyuk.
Quel ragazzo era speciale.
Non lo faceva sentire solo.
Chiuse a chiave la porta della biblioteca e volò al primo ferramenta che riuscì a trovare. Quando ebbe in mano la copia delle chiavi, tornò al luogo in cui Jungshin aveva nascosto le sue, rimettendole dove le aveva trovate, come da accordi.
Iniziarono così le sue serate clandestine nell’archivio. L’autunno si inoltrava, le foglie rosse avevano creato un tappeto soffice nel vialetto che fiancheggiava la biblioteca.
Ogni serata che passava con Minhyuk lo faceva sentire sempre più legato a quel ragazzo. Si raccontavano tutto, giocavano alla morra cinese e andavano a caccia dei libri dai titoli più strani in quel grande deposito, facendosi delle grasse risate sulle “Tecniche di riproduzione del plancton”.
Era una fredda sera di novembre che Jonghyun scoprì la vera natura di Minhyuk. Ormai era talmente abituato a lui da non fare più alcun caso al suo strano abbigliamento o al fatto che sembrasse non mangiare né dormire mai.
Minhyuk aveva cercato per l’ennesima volta di spaventare Jonghyun, e questi aveva iniziato a rincorrerlo finché non era riuscito a raggiungerlo ed afferrarlo.
O almeno così credeva.
Rimase di sasso quando le sue dita, invece di chiudersi sul polso di Minhyuk, afferrarono l’aria.
Jonghyun si fermò, paralizzato dal suo stesso gesto.
Di fronte a lui Minhyuk lo fissava ancora più terrorizzato.
«Hyung…»
«Ora capisco perché non volevi farti toccare. Tu non puoi essere toccato…» disse Jonghyun con un filo di voce.
«Hyung non…» sussurrò il minore sull’orlo delle lacrime.
«Minhyuk. Dimmi la verità: quanti anni hai?» chiese Jonghyun puntando i suoi occhi sull’amico che indietreggiò.
«Di…diciotto»
«Da quanto tempo hai diciotto anni Minhyuk? Ti prego, dimmelo» continuò il maggiore con la disperazione nella voce.
Minhyuk non rispose, si limitò a singhiozzare sempre più forte.
«Sei…sei…?» cercò di dire Jonghyun, ma quelle parole non volevano uscire. Erano troppo dolorose perfino da pensare, se le avesse pronunciate la realtà lo avrebbe travolto senza possibilità di scampo.
«Sono morto. Vent’anni fa» completò la frase Minhyuk, improvvisamente calmo.
Jonghyun sentì la pelle accapponarsi. Ma non era paura. Certo, aveva di fronte un fantasma, e il suo cervello gli diceva di scappare il più velocemente possibile. Ma il suo cuore invece urlava. Gridava il suo dolore per quella scoperta.
Si era innamorato di una persona che non esisteva più.
Si era illuso per un po’ di aver colmato la sua solitudine. Ma la situazione in cui si trovava era persino peggiore della solitudine.
«Scappa pure hyung. Vattene, vattene e non tornare mai più» gridò Minhyuk in tono isterico.
Jonghyun rimase impietrito e impotente di fronte a quella consapevolezza.
Non sapeva che fare, nessun pensiero coerente gli attraversava il cervello, per non parlare del dolore che sentiva nel cuore.
«Che stai aspettando? Ti ho detto di andartene!» gridò di nuovo Minhyuk. Si lanciò verso il maggiore con rabbia, e rimasero entrambi sorpresi quando anziché attraversarlo lo travolse in pieno facendolo cadere a terra, sotto di sé.
Jonghyun sentiva il peso del corpo di Minhyuk sul proprio. Non trasmetteva calore, anzi, era freddo come il ghiaccio, però aveva una consistenza. Sollevò una mano lentamente, provando ad accarezzare il viso del più piccolo. La sua pelle era gelida sotto le dita, ma Jonghyun era comunque felice di poterlo finalmente toccare.
«Hyung…come?»
Le labbra di Minhyuk non erano certo calde e soffici, ma a Jonghyun non importava. Si era sporto verso l’altro senza preavviso, temendo di non riuscire a cogliere quell’occasione di poterlo finalmente sentire.
Fu un contatto che durò pochi secondi, poi il maggiore avvertì solo l’aria intorno alla propria bocca e si rese conto che Minhyuk era tornato ad essere un’anima priva di un corpo fisico.
Minhyuk si sollevò di colpo, fissando Jonghyun con uno sguardo pieno di sorpresa, paura e imbarazzo.
«L’hai sentito vero? Ci siamo toccati…ci siamo»
«Mi hai baciato!» protestò Minhyuk arrossendo.
Jonghyun lo guardò incerto per qualche secondo.
«E…ti dispiace che l’abbia fatto?» chiese.
Minhyuk lo guardò aggrottando la fronte.
«Certo che no!» rispose, strappando un sorriso al più grande.
Jonghyun si alzò e si avvicinò all’amico, allungando lentamente una mano che lo attraversò senza toccarlo.
Il minore sospirò.
«Non ti abbattere Minhyuk. Ci riuscirò di nuovo. Devo solo capire come abbiamo fatto. Come HAI fatto. In fondo sei stato tu che ti sei infuriato e mi sei venuto addosso e…» si interruppe.
«Che succede?»
«Diamine Minhyuk, sei un cazzo di fantasma. Perché non me l’hai detto da subito? Volevi uccidermi? Volevi rubarmi il corpo o magari farmi diventare come te?» cominciò a sbraitare il più grande.
Minhyuk lo guardò con espressione ferita.
«Che diavolo vai blaterando hyung? Perché mai avrei dovuto fare una cosa del genere? Sei impazzito forse? Non potrei mai fare del male al ragazzo che…»
Sentì le braccia di Jonghyun circondarlo, i suoi capelli spettinati solleticargli il viso.
E allora capì.
Cercava di farlo arrabbiare.
Evidentemente erano le sue emozioni a prendere forma, a dare una consistenza alla sua esistenza eterea.
La rabbia e il dolore che aveva provato si erano concentrate in un unico punto, dandogli un corpo, cui Jonghyun si era stretto più forte che poteva.
E nonostante il suo cuore non battesse sentiva comunque che in quel momento la parte più pesante di sé stesso era in quel punto, sotto le costole, nella parte sinistra del suo petto.
Alzò le braccia, congiungendole dietro la schiena del suo hyung, avvertendone il calore sotto le dita.
Rimasero così per un minuto, poi Minhyuk si spostò leggermente in cerca delle labbra del maggiore. Chiuse gli occhi sentendone il calore, lasciandosi andare alla dolcezza di quel bacio, una sensazione che non provava da vent’anni ormai.
Riaprì gli occhi solo quando non riuscì più a sentire nulla. La sua mente e il suo cuore erano di nuovo calmi, di conseguenza il suo corpo provvisorio era svanito nel nulla come prima.
«Minhyuk? Stai bene? Scusa per quello che ho detto prima, erano solo bugie, volevo farti arrabbiare» disse dolcemente Jonghyun guardando negli occhi il suo dongsaeng e riuscendo finalmente a scorgervi quella vivacità che fino a quel momento era stata nascosta dal velo di tristezza che aveva notato fin dal primo giorno.
Non era morto.
Minhyuk era vivo.
Minhyuk aveva delle emozioni, dei sentimenti.
«Ti amo hyung» disse fissandolo direttamente.
Il maggiore si sciolse in un sorriso.
«Anche io ti amo, Minhyuk. Vedrai che ce la faremo ancora. Dobbiamo solo allenarci. Ti aiuterò a imparare a incanalare le tue emozioni. Così potrò stringerti a me tutte le volte che vorrò» rispose Jonghyun sorridendo dolcemente al compagno.
E ci riprovarono ancora decine e decine di volte.
Ormai Jonghyun andava alla biblioteca tutte le sere. Non gli importava di perdere l’anno perché non frequentava i corsi, né di rischiare di essere scoperto. Nulla importava più per lui, solo Minhyuk.
Ci vollero tutto l’inverno e metà della primavera prima che il giovane fantasma riuscisse a controllare le sue emozioni con sicurezza.
Finalmente però potevano accarezzarsi, baciarsi e abbracciarsi. Anche se ancora non riusciva a mantenere quello stato per più di dieci minuti, Minhyuk era ormai in grado di materializzare il proprio corpo a comando.
Una sera però, quando Jonghyun arrivò alla biblioteca, si accorse che qualcosa non andava. Del fumo nero usciva dai finestrini dell’archivio sotterraneo che davano sul cortile dell’università.
Spaventato e preoccupato si precipitò immediatamente dentro l’edificio, scendendo le scale a rotta di collo, arrivando infine alla porta dell’archivio. Era spalancata e illuminata dal fuoco che stava divorandone il contenuto.
Jonghyun si mise un fazzoletto sulla bocca, e nonostante gli occhi gli bruciassero si inoltrò nello stanzone in cerca del compagno. Sentiva che doveva trovarlo. Se l’archivio fosse andato distrutto anche l’anima di Minhyuk lo sarebbe stata, e lui questo non poteva permetterlo.
Le fiamme avevano divorato già metà degli scaffali ed avanzavano rapidamente. In lontananza sentì una sirena. Qualcuno doveva aver chiamato i pompieri, o forse era partito l’allarme antincendio automatico.
Doveva sbrigarsi.
Lasciò perdere il fazzoletto e mosse qualche passo verso le fiamme chiamando Minhyuk a gran voce, cercando di scorgerlo tra le lingue di fuoco.
Vide un movimento alla sua destra e si voltò, incontrando lo sguardo terrorizzato del suo ragazzo, rintanato in un angolo.
Si mosse per raggiungerlo quando un rumore alle sue spalle lo paralizzò.
Si voltò appena i tempo per osservare con gli occhi sbarrati lo scaffale dietro di lui, crollargli addosso, lambito dalle fiamme.
Un dolore lancinante lo investì in diversi punti, laddove le fiamme gli stavano bruciando la carne.
Sentì la voce di Minhyuk, la voce che tanto amava, gridare il suo nome. Poi la vista gli si appannò e il buio lo inghiottì.


***



Quegli studenti idioti avevano gettato via la loro sigaretta senza premurarsi di spegnerla. Sigaretta che era rotolata fino al finestrino che dava sul cortile e poi era caduta su una pila di libri all’interno dell’archivio.
L’incendio era divampato in un attimo.
Come quella volta.
Come venti anni prima.
Stavolta però era solo. Nessuno sarebbe morto con lui. Nessuno avrebbe perso la vita a causa sua. E se tutto fosse bruciato forse anche lui sarebbe svanito nel nulla: senza più quel posto a tenerlo ancorato a questo mondo sarebbe stato libero di scomparire. Non gli importava che finisse all’inferno o in paradiso.
L’unica cosa che gli premeva era il pensiero di Jonghyun. Come avrebbe potuto lasciarlo? Senza neanche una parola di saluto. Senza una spiegazione.
Inferno o paradiso per lui era lo stesso. Un luogo in cui non ci fosse stato Jonghyun era comunque un luogo maledetto.
Nonostante sapesse che lo avrebbe perso per sempre, lo consolava il pensiero che da qualche parte Jonghyun avrebbe continuato a vivere. E magari si sarebbe ricordato di lui.
Rimase quindi pietrificato dal terrore quando sentì la voce del suo amato chiamarlo e si rese conto che era lì, in quella stanza che andava a fuoco, e lo stava cercando.
L’incubo di vent’anni prima si rifece vivo davanti ai suoi occhi, impedendogli di muoversi, impedendogli di gridare quando vide quel maledetto scaffale in fiamme crollare addosso al suo hyung.
Jonghyun urlava.
Soffriva.
E fu allora che Minhyuk si svegliò dal suo torpore.
Non avrebbe permesso al suo amore di morire. Lui doveva vivere.
Fece un respiro profondo e corse verso il maggiore che nel frattempo era svenuto. Chiamò a sé tutto l’amore che provava per lui e sentì il proprio corpo concretizzarsi. Gli costava un notevole sforzo, visto il suo sconvolgimento emotivo, ma cercò di resistere.
Sapendo di non poter rimanere ferito afferrò lo scaffale in fiamme e lo sollevò con un braccio, quanto bastava per riuscire a trascinare fuori Jonghyun con l’altro.
La pelle del suo amato era ustionata in diversi punti, anche se il giubbotto lo aveva in parte protetto.
Minhyuk sentiva che le forze lo stavano abbandonando, si stava consumando come l’archivio. Una volta compromesso del tutto anche lui sarebbe svanito.
Si affrettò a caricarsi Jonghyun in spalla e con molti sforzi si incamminò fuori da quel posto che per vent’anni non aveva mai lasciato. Ogni passo che faceva lo rendeva più debole ma i suoi sentimenti e la sua ferma volontà di salvare il suo hyung lo tenevano ancorato al terreno.


***



Si stava muovendo.
Sentiva qualcosa sotto di sé trascinarsi.
Provava un dolore atroce, come se tanti aghi gli trafiggessero la pelle, ma era vivo.
Cercò di aprire gli occhi e vide le il pavimento della biblioteca sotto di sé, poi gli scalini e infine il cortile cosparso di petali di fiori di ciliegio.
Sentiva il corpo gelido di Minhyuk sotto di sé, le sue mani fredde che delicatamente lo posarono a terra.
Sopra la sua testa il cielo era pieno di stelle, insolito riuscire a vederle a Seoul. Poi capì: erano le faville dell’incendio che uscendo dai finestrini si spargevano nell’aria primaverile.
«Minhyuk» chiamò debolmente.
Vide il volto stanco ed esangue del suo ragazzo comparire nel suo campo visivo. Sorrideva. Sorrideva e piangeva, e una lacrima cadde sul viso di Jonghyun. Era calda.
«Non andartene Minhyuk» lo implorò con un filo di voce.
Lo aveva capito subito.
L’archivio era ormai compromesso. Minhyuk non avrebbe più potuto rimanere in quel mondo. Era arrivato per lui il momento di trovare la pace dopo vent’anni di solitudine e buio.
«Non preoccuparti hyung. Sono riuscito a salvarti. Ho pagato il mio debito. Sono libero finalmente»
«Ma come farò io? Rimarrò di nuovo solo» protestò Jonghyun con la disperazione nella voce e le lacrime agli occhi.
«Non sarai mai solo hyung. Ti amo e rimmarrò vicino a te per sempre» rispose Minhyuk sorridendo. Si chinò verso il maggiore, carezzandogli il viso e baciandolo teneramente.
E mentre intorno a loro aumentava il chiasso delle sirene dei pompieri e dell’ambulanza, Jonghyun sentì svanire il suo amore, e il tocco delle sue labbra, che per la prima volta aveva sentito calde e vive, si dissolse come fumo nell’aria.



***




Ormai non si vedevano quasi più le cicatrici delle bruciature sul suo corpo.
Ma quelle sul suo cuore bruciavano ancora.
Jonghyun non riusciva a darsi pace.
Erano passati due mesi da quando l’ambulanza lo aveva trasportato di corsa in ospedale. Poi la convalescenza. Infine quando tutto era tornato alla normalità sulle finestre dell’archivio erano stati incollati dei sigilli.
Aveva provato a tornarci una sera, usando la copia delle chiavi fatta di nascosto.
Dentro lo stanzone l’aria non sapeva più di carta muffita, bensì di fuoco e morte. Di Minhyuk nessuna traccia. Ma lo sapeva già. Lo aveva capito, che quel bacio caldo era stato il suo addio.
Anche se il cuore gli sanguinava e si sentiva più solo che mai non poteva non essere almeno in parte felice: era certo che il suo amore avesse finalmente trovato la pace.

Camminava distrattamente lungo uno dei tanti ponti sul fiume Han, giocherellando con le chiavi dell’archivio.
Si fermò, osservando quel tramonto estivo, i cui colori gli ricordavano le fiamme infernali in cui aveva perso il suo compagno.
Osservò quel cerchietto di ferro sul palmo della sua mano, e le chiavi che ne penzolavano.
Quindi si fece coraggio, prese la rincorsa e le gettò nelle acque scure del fiume, che silenziose attraversavano la grande metropoli.
Doveva andare avanti. Doveva farlo per Minhyuk. Doveva vivere per lui.
Sospirò, inghiottendo e avvertendo che un nodo gli bloccava la gola. Si mise le mani in tasca e a testa bassa riprese a camminare guardandosi le scarpe, la testa priva di qualsiasi pensiero.
Un rumore gli fece alzare la testa, appena prima di venire travolto da qualcosa e finire seduto sull’asfalto. Imprecò a mezza voce e alzò la testa deciso a inveire contro l’idiota che gli era andato addosso.
Un ragazzo con un berretto da baseball calato sugli occhi si stava ripulendo le mani dopo essere finito a terra come lui. Aveva un che di familiare e quando vide che si guardava intorno in cerca di una cartelletta di fogli si ricordò di quella sera di tanto tempo prima, la sera in cui aveva incontrato Minhyuk e poi era uscito a ubriacarsi con Jungshin. Un ragazzo col berretto da baseball e un sedere da urlo gli era andato addosso spargendo dei fogli tutto intorno. Un ragazzo la cui voce somigliava tremendamente a quella del suo fantasma.
Il tipo di fronte a lui si alzò, si spazzolò i jeans neri attillati e lo superò dopo avergli fatto un inchino.
Jonghyun balzò in piedi e con uno scatto lo raggiunse prendendolo per un polso.
«Aspetta, ti sembra modo di investire la gente e andartene senza chiedere scusa?» lo rimproverò.
Il ragazzo si voltò, si tolse il berretto facendo un profondo inchino.
«Mi dispiace molto, scusami, ero sovrappensiero» disse con la stessa voce dell’altra volta. La stessa voce calda di Minhyuk.
Jonghyun lo afferrò per le spalle e lo sollevò trovandosi di fronte gli stessi occhi vivaci, le labbra rosee, il colorito rosso di imbarazzo.
«Non può essere» sussurrò mollando la presa e indietreggiando sconvolto.
«Mi scusi di nuovo» disse il ragazzo, rimettendosi il berretto e voltandosi per andarsene.
«Aspetta!» gli gridò dietro Jonghyun rincorrendolo appena si fu ripreso dallo shock.
Lo sconosciuto si fermò, voltandosi perplesso.
«Quanti anni hai?» chiese Jonghyun guardandolo fisso negli occhi.
«Come scusa?» rispose quello con espressione confusa.
«Quanti anni hai? Rispondi!» ripetè Jonghyun.
«Diciannove» disse infine il ragazzo indietreggiando di un passo. Doveva essere parecchio spaventato dalla strana reazione dell’altro.
«E da quanto tempo hai diciannove anni?» insistè Jonghyun con una certa urgenza nella voce.
«Beh, li ho compiuti circa due mesi fa» rispose il giovane con aria confusa.
Jonghyun si aprì in un sorriso radioso, che contagiò anche il suo investitore.
Quel sorriso.
Il SUO sorriso.
«Lo sai che è già la seconda volta che mi investi? Come minimo ora devi dirmi come ti chiami!» disse Jonghyun in tono fintamente serio.
«Mi dispiace, ho spesso la testa fra le nuvole. Comunque io sono Minhyuk, Kang Minhyuk» rispose il più giovane leggermente in imbarazzo.
«Piacere di conoscerti Minhyuk. Io sono Lee Jonghyun. E credo che dopo avermi fatto finire a terra due volte dovresti come minimo offrirmi qualcosa da bere» propose il maggiore afferrando il polso di Minhyuk e trascinandolo con sé mentre nel cielo l’incendio del tramonto si stava lentamente spegnendo, lasciando posto a una notte stellata.




FINE

  
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