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Autore: scandros    16/07/2003    20 recensioni
Quando siamo sull'orlo del baratro e tutto sembra perduto, la speranza ci illumina verso un nuovo futuro. Così Holly incontrerà Trish. Riuscirà a fargli dimenticare l'amata Patty?
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Jun Misugi/Julian Ross, Ryo Ishizaki/Bruce Arper, Sanae Nakazawa/Patty Gatsby, Tsubasa Ozora/Holly, Yayoi Aoba/Amy
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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GOCCE DI MEMORIA

 

 

A volte ci voltiamo indietro cercando il nostro passato, cercando quelle orme testimoni dei nostri passi e che qualcuno ci ha sottratto percorrendo il nostro cammino.

Le testimonianze di una vita sembrano tanto lontane quanto irraggiungibili, distanti da un futuro che vorrebbe volare ad ali spiegate ma che inconsapevolmente è legato a quelle ombre buie che ancora tormentano il cuore.

 

Trish è alla continua ricerca del suo essere.

 Tanto bella quanto altera, si imbatterà nel cuore solitario di un giocatore a cui il passato ha tolto la gioia più grande: amare.

 

Riuscirà il tormento di Holly a sciogliere il cuore di ghiaccio di Trish?

Riuscirà Trish a riacquistare la sua identità nel nome di un grande amore che attende solo di albeggiare su un mare di sentimenti?

 

Scandros

 

 

 

 

 

 

CAPITOLO 1

Ricordi di un passato

Barcellona.

Era seduta all’ombra di un grande albero vicino un edificio circondato da strutture utilizzate per le attività sportive. Sembrava un complesso scolastico e forse lo era. All’improvviso, sentì i rintocchi dell’orologio e si alzò velocemente. Doveva correre. Era in ritardo per quell’appuntamento. Le nubi basse e nere rendevano tetro il paesaggio. Il cielo plumbeo sembrava un peso insormontabile sulle sue giovani spalle. Correva sempre di più lungo quella strada: sembrava infinita. Sentiva i tuoni echeggiare nell’aria e una voce che la chiamava. Continuava a correre insistentemente lungo quella strada mentre la pioggia copiosa cadeva giù dal cielo. Tutto accadde all’improvviso. Un fulmine si schiantò sull’asfalto illuminando a giorno la strada. L’odore acre dello zolfo persisteva nell’aria. Il suo corpo era riverso sull’asfalto umido ed elettrizzato dalla carica del fulmine. Sotto di lei, una macchia di sangue continuava ad ingrandirsi al ritmo dei secondi che inesorabili trascorrevano.

- Dottoressa Hamilton! Dottoressa! - disse l’infermiera cercando di attirare l’attenzione della donna presa completamente dai suoi pensieri.

- Ehm…sì, scusami Carmen, ero assorta nei miei pensieri. - rispose cercando di giustificare la sua momentanea estraniazione.

- Beh, l’avevo notato. Tutto bene? - chiese Carmen interessata all’atteggiamento del medico.

- Ma certo, non preoccuparti. - rispose accennando un timido sorriso.

- Bene. Sta arrivando un’ambulanza. Giovane di circa ventisei anni vittima di un incidente con la motocicletta. Pare sia stato scaraventato sul marciapiede da un’auto in folle corsa. - informò Carmen porgendo alla dottoressa Hamilton il camice sterile e i guanti.

Entrambe corsero verso l’entrata riservata all’ambulanza nell’attesa che arrivasse il ferito.

Quell’attesa era interminabile. Una fitta la colse all’improvviso. Ancora quei suoi mal di testa. Doveva decidersi a parlarne ad uno specialista e fare forse degli accertamenti per appurare che non si trattasse di nulla di grava. Sentiva i battiti del cuore accelerare all’improvviso. Proprio come quella notte…esattamente come tutte le volte che quell’incubo tornava incontrastato a tormentarle il sonno. Forse aveva bisogno di un analista o chissà di una vacanza rilassante.

I paramedici entrarono velocemente spingendo la barella all’interno del pronto soccorso.

- Frattura scomposta del perone destro con probabile distorsione del ginocchio, abrasioni e lesioni su entrambe le gambe e sul braccio destro. Perdita di conoscenza dovuta all’impatto con l’asfalto, escoriazioni superficiali sul volto e l’addome. Fortunatamente indossava il casco integrale. -

- Sappiamo come si chiama? Avete già contattato i parenti? -

- Ha 27 anni e si chiama Oliver Hutton…porca miseria ma lui è il centravanti del Barcellona. Dottoressa non vorrei dirle come fare il suo mestiere ma penso che sia meglio contattare prima la squadra. -

- Di cosa parli Quan? - chiese la dottoressa Hamilton rilevando i battiti cardiaci.

- E’ un calciatore, dottoressa, uno dei più famosi. Fu una rivelazione già ai campionati mondiali under 18…

- Ok, ok, non m’interessa la sua carriera agonistica. Era cosciente quando siete arrivati? Ha detto qualcosa prima dello svenimento? - chiese informandosi su eventuali dettagli che sarebbero occorsi per ricostruire la dinamica dell’incidente.

- Beh sì, qualcosa l’ ha detto…un nome: Patty. Continuava a ripeterlo insistentemente fino a quando non ha perso conoscenza. -. Ebbe un fremito, un brivido che le percorse la schiena. La stanza era riscaldata. Non vi erano correnti d’aria eppure ebbe la sensazione di freddo.

- E l’auto che l’ha travolto? - domandò cercando di scacciare quella strana angoscia che continuava a seguirla come un’ombra.

- Pare essere sbucata dal nulla ad alta velocità e poi si è dileguata. Almeno, così sostengono dei testimoni. -

- Okay, portiamolo in sala 4. - disse poi a Carmen e al dottor Arnau giunto in loro aiuto.

- Dottoressa tenga…in questa busta ci sono i suoi effetti personali! - le disse Quan prima di congedarsi.

Quan guardò la dottoressa e sorrise. Oramai la conosceva da qualche anno, da quando aveva cominciato a fare il tirocinio presso di loro. Era uno degli interni migliori e da voci di corridoio aveva saputo che stava facendo domanda per l’assistentato in chirurgia plastica d’urgenza. Non si tirava mai indietro se c’erano doppi turni oppure turni di notte. Era sempre seria e competente sul lavoro ed estremamente affascinante nonostante non facesse nulla per far risultare la sua bellezza..

Si girò e andò via verso l’ambulanza richiamato dal suo collega.

Intanto, in sala emergenza 4 la dottoressa Hamilton e il dottor Arnau cercavano di rimettere in sesto il calciatore prima di mandarlo in chirurgia per un eventuale operazione.

- Carmen, per favore controlla tra gli effetti personali se c’è un numero di telefono da contattare in caso d’emergenza. Poi vieni qua e fai il prelievo per l’emocromo e gli esami di routine. Luis come va? - chiese al collega mentre suturava le abrasioni che il calciatore si era procurato nella caduta.

- Qui tutto okay. Tra un po’ ho finito. Ma ci pensi, stiamo curando un gran calciatore! -

- Complimenti. Sembrate tutti affascinati dal personaggio e non dal paziente. Per favore richiedi l’RX toracico e alle gambe. - disse poi con tono quasi di rimprovero nei confronti del collega.

- Avanti Trish non capita tutti i giorni di avere un vip tra le mani, no? -

- Dottoressa nella busta, oltre agli indumenti c’è un cellulare che segnala otto chiamate non risposte e un portafogli. - disse Carmen esaminando gli oggetti, - Ah, c’è anche un braccialetto con un ciondolo, forse un portafortuna. Glielo avrà regalato un’ammiratrice! -

- Non cancellare le chiamate senza risposta. Potrebbero essere importanti per risalire all’orario in cui è successo l’incidente. Quel pirata è fuggito. Prova a dare un’occhiata nel portafogli per cortesia. - le chiese mentre gli fasciava il capo.

Lo guardò in volto cercando di cogliere i segni del suo risveglio. Da quando era arrivato non aveva ancora ripreso conoscenza. Trish guardò l’elettrocardiogramma. I battiti diminuivano sensibilmente probabilmente per effetto del trauma causato dalla caduta. Si portò una mano alla fronte. Ancora quella fitta accompagnata dai battiti accelerati del suo cuore.

- Porca miseria non ora! - pensò tra se cercando di mascherare quel suo mancamento. Il paziente sussultò. - Maledizione, Luis prendi il defibrillatore….i battiti sono sempre meno intensi. - gridò cercando di destare il collega da uno strano torpore.

Luis afferrò il macchinario e lo caricò per indurre la scossa elettrica sul petto del ragazzo.

- Dai che ti riprendi…forza! - incitò Luis mentre gli dava la quarta scarica.

- Okay, ritmo sinusale normale, battito in aumento. Ti abbiamo ripreso. -

- Trish penso che si stia riprendendo! - affermò il medico guardando le dita del giovane muoversi e le labbra schiudersi.

- Signor Hutton ci sente? - chiese Trish cercando di capire se comprendesse o no dove si trovava.

- Sta cercando di dire qualcosa! - esclamò Trish Hamilton non riuscendo a comprendere cosa il ragazzo avesse sussurrato.

- Patty…- sibilò nell’orecchio della dottoressa che si era chinata su di lui per ascoltarlo. Rimase atterrita. Continuava a guardarlo cercando di capire. Il cuore le batteva sempre più velocemente.

- Signor Hutton mi sente? Sono la dottoressa Hamilton. Sa dove si trova? -

Il giovane aprì gli occhi e fu investito dalla forte luce della lampada che sovrastava il lettino sul quale giaceva dolorante.

- Cosa….é successo? - chiese a bassa voce cercando di muoversi.

- Non si muova. Ha avuto un incidente con la sua motocicletta. - asserì Luis. Carmen si avvicinò alla dottoressa con il portafoglio del calciatore.

- Guardi dottoressa, a parte un po’ di soldi e le carte di credito, c’è un cartoncino con dei numeri di telefono. -

- Bene, prova a chiamare questo dove c’è scritto Julian Ross. E’ il primo sulla lista. Chiedi se conosce Oliver Hutton e in caso affermativo di contattare i parenti e la squadra di calcio. -

- Guardi, c’è anche questa fotografia. - le disse avvicinandosi con la piccolo foto tra le mani. Ritraeva un Oliver Hutton adolescente, probabilmente di circa sedici anni ed una sua coetanea. Si guardavano e sorridevano. Dietro di loro un grande ciliegio in fiore. Carmen guardò la dottoressa.

- Lo sa dottoressa, secondo me questa ragazzina le somiglia. -

- Ma certo, e cosa ci farei io con Oliver Hutton? - le chiese quasi in maniera scontrosa.

- Beh…eppure..- sostenne mostrando la fotografia al dottor Arnau.

- Carmen ha ragione. Trish questa ragazzina ti somiglia. Perché non ci mostri una tuo foto da adolescente? Magari scopriamo che Oliver Hutton conosce una tua sosia! - disse quasi divertito. Trish lo fissò. La sua adolescenza. Quale adolescenza? Ne aveva mai avuta una? Abbassò lo sguardo e continuò quello che stava facendo.

- Carmen chiama in radiologia. Si muovono a portarci l’ RX portatile? - le intimò cercando di non perdere la calma.

- A volte siamo circondati da incompetenti. - sentenziò Luis Arnau.

- Già. -

- A che ora stacchi? - le chiese cercando di dare un tono alla loro conversazione.

- Alle diciotto, ma domani ho doppio turno. -

- Ti va di andare a mangiare qualcosa insieme stasera? Magari possiamo andare a degustarci un’ottima paella sotto i portici de L’Ambos Mundos! - le chiese guardandola.

- Ti ringrazio Luis, ma vorrei riposarmi. Ieri ho avuto una giornata massacrante e domani me ne aspetta un’altra. - rispose abbassando lo sguardo.

Non era la prima volta che Luis le chiedeva di uscire. Di rado aveva accettato e non si era mai mostrata troppo contenta della sua compagnia. Luis era un trentenne alto, sempre abbronzato con i capelli castano chiari che gli circondavano un ovale regolare. Le infermiere impazzivano per lui e per quegli occhi di un verde scurissimo. E doveva ammetterlo anche lei che era davvero un uomo piacevole. Eppure, non si sentiva attratta né da lui né da altri.

Si era trasferita a Barcellona da circa due anni. Dopo aver conseguito la laurea in medicina negli Stati Uniti aveva cominciato il suo internato al Saint James Hospital di Chicago. In seguito aveva vinto una borsa di studio per l’Europa. Aveva visionato più proposte, tra cui Londra, Parigi, Mosca, Berlino ma lei aveva preferito la Spagna perché c’era il mare.

Talvolta, soprattutto la domenica mattina, quando non era di turno, le piaceva correre lungo il mare e i giardini che costeggiavano la Barceloneta. Restava per ore a fissare il mare, il tramonto stemperarsi sulle onde, disperdendosi in miriadi di colori caldi. Ne assaporava le tinte, il profumo, la voglia di libertà che le incuteva.

Luis la guardava sempre più interessato. Non solo si era dimostrata sempre all’altezza della situazione ma era una donna estremamente enigmatica. E questo lo affascinava. Non si scomponeva mai, agli occhi di altri poteva sembrare superba, ma Luis era certo che dietro quella sua sicurezza si celava una donna passionale e bisognosa di affetto. Il suo fisico era longilineo con le curve nei punti giusti. Aveva dei lunghi capelli neri che portava sempre raccolti in uno chignon basso. No, non ricordava di averla mai veduta con i capelli sciolti o senza occhiali. Sembrava quasi una maschera la sua. Si chiedeva come mai una donna così avvenente non cambiasse il suo aspetto quotidianamente: lei sembrava aver scelto uno stereotipo da seguire, ed era quello che faceva.

- Dottoressa Hamilton, ho rintracciato quel tale Julian Ross. E’ un compagno di squadra del signor Hutton. Ha detto che avverte lui la famiglia e la squadra. -

- Benissimo. Carmen avverti in chirurgia che abbiamo stabilizzato il paziente e che lo portiamo su per terminare gli accertamenti. Se ho ragione, a giudicare da come si è gonfiato, potrebbe avere del liquido al ginocchio e sarà necessaria un’artroscopia. Chiedi l’ausilio del chirurgo ortopedico! Se è vero che si tratta di un campione di calcio, non possiamo certo trascurare la sua carriera! - dispose Trish guardando il paziente. Aveva gli occhi aperti ma sembrava stordito dall’incidente o forse dall’effetto degli analgesici.

- Signor Hutton. Le sue condizioni sono stabili. Adesso la mandiamo su in chirurgia dove le sistemeranno la gamba. Probabilmente, dopo una piccola operazione la ingesseranno e rimarrà in trazione per un po’ di tempo. - gli disse Luis Arnau. Oliver Hutton sembrava non ascoltarlo e non distogliere lo sguardo dalla dottoressa. Lei lo guardò e prima di risistemare le barre di protezione del lettino, gli sorrise.

- Potrò tornare a giocare? - chiese con un filo di voce. Continuava a fissarla e lei a guardare lui. Trish si portò una mano alla fronte. Ancora una fitta.

- Questo glielo potranno dire dopo l’operazione! - esclamò Luis allontanandosi per chiamare l’ascensore.

- Si….sente bene? - le chiese il calciatore notando quell’attimo di defaillance da parte del medico.

- Cosa? Ma certo! E’ stato solo un lieve giramento di testa. Grazie…- disse prima di entrare con la barella nell’ascensore. Luis li salutò con una mano lasciando che le porte dell’ascensore si chiudessero.

- Signor Hutton abbiamo avvertito un certo Julian Ross dell’incidente. Ha detto che avrebbe avvertito lui i suoi parenti e la squadra. -

Socchiuse le palpebre in segno di assenso.

- Vedrà che dopo l’operazione si sentirà meglio. Mi hanno detto che è un calciatore. Dovrà stare lontano dal campo di calcio per un po’ di settimane. Ma sono sicura che il dottor Velasquez riuscirà a rimetterla a posto in meno che non si dica. -

- Grazie,….Patty…- sibilò richiudendo le palpebre.

Le porte si aprirono e Trish, con l’aiuto di un inserviente spinsero la barella fino all’anticamera della sala operatoria che avevano preparato.

- Mi allontano un attimo. Vado a ragguagliare i medici sulle sue condizioni! - gli disse. Sebbene la guardasse, il suo sguardo sembrava assente.

Trish entrò nella stanza di sterilizzazione e ragguagliò i colleghi circa le condizioni del calciatore.

Dopo circa un quarto d’ora, Oliver Hutton entrò in sala operatoria.

Oramai le diciotto erano passate da un pezzo. Trish ripose il camice e lo stetoscopio nel suo armadietto, indossò il cappottino in renna e afferrò la borsa. Richiuse l’armadietto e cercò le chiavi di casa nella borsa. Le afferrò e uscì dal salottino. Si avvicinò al bancone accettazione del pronto soccorso e al telefono compose l’interno di chirurgia.

- Sono la dottoressa Hamilton, dal Pronto soccorso. Volevo sapere se Oliver Hutton è uscito dalla sala operatoria. - chiese all’interlocutore. Rimase in attesa qualche minuto prima che l’uomo tornasse al telefono.

- Sì dottoressa, circa venti minuti fa. E’ ricoverato qui in chirurgia. Le sue condizioni sono stazionarie. -

- Bene. E’ venuto qualche familiare? -

- Sì, la madre è qui insieme ad alcuni dei compagni di squadra e all’allenatore. -

- Benissimo. Grazie per le informazioni. - concluse la conversazione uscendo poi dal pronto soccorso.

Quel giorno si sentiva tremendamente malinconica. Piovigginava, oramai si era in autunno inoltrato e le giornate si stavano rinfrescando. Scese dalla metropolitana e percorse di corsa i due isolati che la dividevano dal palazzo in cui viveva. Al terzo piano di quello stabile, aveva preso in affitto un appartamento di due vani, abbastanza grande e sufficiente per le sue esigenze. Inserì la chiave nella serratura e la fece girare. Appena dentro accese la luce e appoggiò sul divano la giacca e la borsa. Accese il computer portatile sullo scrittoio ed avviò la connessione internet per scaricare la posta elettronica. Andò in camera da letto e si buttò a peso morto sul letto. La stanchezza stava prendendo il sopravvento. Girò il capo verso il comodino e guardò la sveglia. Era il dodici ottobre. Qualcuno, qualche tempo addietro le aveva detto che il dodici ottobre era il suo compleanno. Il notifier vocale le annunciò che c’era posta in arrivo. Si alzò e andò a visionare i messaggi..

- Trish, ciao tesoro. Ti volevamo fare tanti auguri per il tuo compleanno. Come stai? Perché non ti fai mai sentire? Se lavori tanto ti affaticherai. Se sei in casa per favore, rispondi. Possibile che io non riesca ad avere il tuo numero di cellulare per poterti raggiungere, ovunque tu sia? Scusami, non dovrei rimproverarti, so bene che sei autonoma. Ancora auguri, tesoro. -. Chiuse gli occhi per cercare di allontanare la voce della madre che le sembrava di aver udito leggendo quel messaggio.

Sua madre? Chissà se lo era davvero. Da circa dieci anni non sapeva più nulla del suo passato. Ricordava solo di essersi risvegliata in un letto di ospedale dopo quattro mesi di coma, con una donna accanto che diceva di essere sua madre. Le avevano detto che era stata vittima di un incidente nel quale aveva riportato un grave trauma cranico che le aveva provocato la perdita della memoria. Da allora la sua vita era cambiata. Ricordava che quel giorno d’autunno, quando finalmente i medici la dimisero, non andarono a casa ma all’aeroporto. Non capiva nulla di quello che stava succedendo. Seguiva quella coppia di adulti che dicevano di essere i suoi genitori senza parlare, senza neppure pensare a quello che stava succedendo. Era priva di una sua identità. In fase di atterraggio, la hostess disse ai passeggeri che stavano per giungere a Chicago. Ed era lì che aveva trascorso gli anni prima di trasferirsi a Barcellona.

Si alzò e camminò per la casa quasi in cerca di qualcosa. Il suo appartamento era completamente anonimo. Non c’erano ne fotografie ne libri, ne cd musicali ne videocassette con gli ultimi film trasmessi al cinema. Nulla, assolutamente nulla. Sospirò. Era l’ennesima crisi d’identità che prendeva forma.

- Perché non riesco ad accettare questa mia vita? Perché vorrei tanto scoprire chi ero prima dell’incidente? Perché i miei genitori dicono solo che ero un’alunna perfetta, timida, introversa, a cui non piaceva lo sport e cose del genere? Possibile che fossi così piatta già da allora? Possibile che in tutta la mia vita l’unica cosa di buono che sia riuscita a fare sia stato laurearmi in medicina? - sospirò sedendosi sul divano alla penombra della luce del lume acceso in camera da letto. Sollevò le ginocchia e le strinse al petto quasi in segno di protezione. Di tutto quello che era successo, la cosa che meno accettava era proprio sua madre. Sin da dopo l’incidente era diventata la sua ombra. Le acquistava gli abiti, i testi da leggere, la consigliava su tutto, praticamente viveva la sua vita. Fino a quando non decise di iscriversi all’università di Chicago e di frequentare medicina. I suoi genitori erano rimasti molto entusiasti di quella sua scelta, meno però dei cambiamenti che la figlia stava subendo. Diventava sempre più introversa e parlava poco. Studiare sembrava il suo unico interesse anche se la loro preoccupazione era proprio l’assenza di dialogo. Tutto era filato nella più ipocrita perfezione fino a due anni prima, quando Trish aveva deciso di lasciare i suoi genitori.

- Cos’hai detto Trish? - chiese suo padre drizzandosi dalla poltrona. Il giornale gli cadde sul pavimento. Il suo viso era adirato.

- Quello che hai sentito. Qualche mese fa ho fatto domanda per un concorso interno. Andrò all’estero, in Europa. -. Sua madre era pallida come un cencio.

- Non dirai sul serio. Tu non puoi partire. Non stai bene? - le disse afferrandole un braccio.

- Io sto benissimo. Mi sono laureata in poco tempo con il massimo dei voti ed esercito la professione medica già da quando era studentessa. Se ho ottenuto questi risultati è stato perché ero lucida di mente. - rispose sciogliendosi dalla presa.

- Tu non puoi andartene dopo tutto quello che è successo, dopo quello che noi abbiamo fatto per te! -. Le parole della madre le risuonavano ancora in mente. Forti, brutali, sprezzanti.

Fu proprio in quel preciso istante che decise che non sarebbe più tornata indietro. Doveva rompere la campana di vetro sotto la quale l’avevano rinchiusa anni prima.

- Vi ringrazio per l’avermi rinchiusa in una teca di cristallo dalla quale non potevo uscire. Non solo non ricordo nulla del mio passato, di come è accaduto l’incidente, di quelli che forse erano i miei amici, ma da quando siamo arrivati qui mi avete soffocato con le vostre fobie circa la mia salute. Io sto bene. Frequentando il college ho anche fatto attività sportiva, ovviamente a vostra insaputa perché mi avreste ostacolato anche in questo. Cosa volete da me? Il mio bene? Allora lasciatemi vivere. Io non ce la faccio più a stare qui con voi. Mi dispiace, ma io…devo andar via. -

- Trish ti rendi conto di quello che stai dicendo? Se tu non avessi avuto noi…

- Ma cosa diavolo stai dicendo. A me sembra una cosa naturale, che un genitore si occupi del proprio figlio, senza rinfacciarglielo. Per anni mi avete ripetuto le solite cose, che dovevo riguardarmi, che ero cagionevole di salute, che avrei dovuto condurre uno stile di vita tranquillo senza provare particolari emozioni! Perché? Perché io non posso vivere come le altre ragazze della mia età? Sono in buona salute e lo dimostrano gli accertamenti medici che mi faccio costantemente. Siete voi che mi volete come una bella statuina. Non ho conseguito la laurea in medicina per riporla nel cassetto. Ho diritto anch’io alla mia vita. Ho già perso il passato, lasciatemi costruire il mio futuro. -

- Tu non puoi farci questo! - sentenziò Jim.

- E da quando ti preoccupi dei miei sentimenti? L’ultima volta che l’hai fatto, mi hai affibbiato il figlio idiota di un tuo superiore, solo ed esclusivamente per fare carriera! - rispose quasi urlando puntandogli il dito contro. Sua madre continuava a guardarla quasi attonita cercando di riordinare le idee per poter dire qualcosa. Non la vedeva così da tanto tempo, tanto che aveva dimenticato la sua irruenza e la sua voglia di libertà.

- Mi hai quasi fatto perdere il posto? -

- Ti preoccupi ancora di quella storia? Dovrei farlo io visto che mi sono trovata ad essere l’oggetto di una serata piacevole tra tre amici. Devo ricordarti che per poco non mi hanno violentata? Oppure devo continuare a pensare che avresti voluto esserci anche tu? -

- Smettila di dire idiozie. -

- Tu non sei mio padre, quindi taci per quanto riguarda la mia vita. - gli disse guardandolo quasi con odio. Non gli aveva mai perdonato quell’avventura meschina che l’aveva lasciata cadere in un baratro buio e tetro dal quale era risalita solo grazie alle sue forze.

- Se esci da questa casa non ci metterai più piede. - tuonò Jim infervorato dalle parole di astio e odio pronunciate dalla figlia adottiva.

- Aspetta Jim…- sussurrò sua madre cercando di sedare gli animi e di riprendere l’autocontrollo perduto. - Trish tesoro…cercheremo di cambiare atteggiamento…-

- Ormai ho deciso. Me ne vado…-

- Ma dove andrai? - esclamò in tono supplichevole.

- Ovunque purché sia lontano da qui…

- Ci odi fino a questo punto? - le chiese supplichevole.

- Non vi odio: voglio solo vivere. Penso di averne diritto. Vi ho chiesto tante volte di parlarmi del mio passato. Siete sempre stati evasivi e non ho mai scoperto il perché. Dato che il mio passato è oscuro, vorrei far luce almeno sul mio futuro. Argomento chiuso. -

- Trish, pensaci. Ti prego. -

- Ho già deciso. - disse risoluta andando in camera sua. Il suo risentimento era tale da spingerla ad andar via pur di non restare in un ambiente quanto mai opprimente ed asfissiante.

Con la mente percorse i singoli attimi che avevan preceduto la sua partenza da quella litigata con i suoi genitori. Aveva preparato i suoi bagagli da giorni attendendo con trepidazione il giorno della partenza. Ricordava come il giorno della sua iscrizione al concorso, leggendo le varie destinazioni, era rimasta affascinata da Barcellona. Si era iscritta ad un corso serale di spagnolo e si sentiva preparata a quell’esperienza che avrebbe mutato il suo futuro. Aveva studiato con impegno e assiduità pur di coronare il suo sogno di fuga, per mettere alla prova le sue conoscenze e le sue capacità. Jason Mulder. Fu lui, il suo compagno di corso a darle la notizia.

- Trish, finalmente ti ho trovata. - le disse senza fiato. Aveva corso lungo i corridoi dell’ospedale. Voleva essere il primo a darle la notizia.

- Cos’è successo? Riprendi fiato o ti verrà una crisi! - gli rispose incitandolo a calmarsi.

- Tu…ce l’hai fatta. - le disse regalandole il più bel sorriso che lei avesse mai ricordato.

- Cosa? -

- Hai vinto la borsa di studio! Sei arrivata prima! - esclamò prendendola tra le braccia e facendola volteggiare in aria. Istintivamente la baciò con ardore e lei rispose a quel gesto affettuoso di colui che era diventato il suo più grande amico. Dopo che anche lei si rese conto della splendida notizia, andarono a festeggiare in una birreria irlandese e tra una bevuta e l’altra, si risvegliarono nel letto dell’appartamento di Jason.

- Stai andando via? - le chiese guardandola mentre si alzava dal letto, nello splendore della sua nudità. Era successo ancora una volta. Trasportati dalle emozioni, dall’energia del momento, dall’attimo, si erano riscoperti amanti ma solo ed unicamente amici. Almeno per lei.

Un tuono la riportò alla realtà. Jason Mulder. Sorrise al ricordo dell’ amico e del compagno di alcune notti. Il suo ovale regolare, i suoi occhi scuri sempre vigile, le labbra carnose di un rosso ciliegia. Le sue grandi e protettive braccia. A lui aveva confidato i dubbi sul passato, i silenzi della sua vita, i progetti sul futuro. Quella era stata la loro ultima notte. Poi era andata via lasciandogli solo una lettera nella quale si congedava da quel capitolo della sua vita.

Chiuse gli occhi cercando di assaporare la sensazione del suo ultimo passionale bacio scambiato prima di andar via. Gli aveva detto addio per sempre, per ricominciare una nuova vita.

Era il giorno del suo compleanno.

  
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