Anime & Manga > Captain Tsubasa
Segui la storia  |       
Autore: scandros    16/07/2003    0 recensioni
Quando siamo sull'orlo del baratro e tutto sembra perduto, la speranza ci illumina verso un nuovo futuro. Così Holly incontrerà Trish. Riuscirà a fargli dimenticare l'amata Patty?
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Jun Misugi/Julian Ross, Ryo Ishizaki/Bruce Arper, Sanae Nakazawa/Patty Gatsby, Tsubasa Ozora/Holly, Yayoi Aoba/Amy
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Questa storia è tra le Storie Scelte del sito.
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

CAPITOLO 3

 

L’essenza dell’anima

 

 

 

I giorni trascorrevano nella più grigia routine e saltuariamente, Trish andava a visitare Oliver Hutton che per qualche strana ragione aveva deciso di rimanere in ospedale. Anche nei giorni successivi al loro primo vero incontro, lei aveva provato le medesime sensazioni: il cuore avvolto in uno strano e quasi disperato tumulto. Era così che stava vivendo la sua degenza. Inspiegabilmente, soffriva per quel ragazzo. Lo vedeva sempre mesto e alla ricerca della solitudine e del silenzio. Spesso si soffermava a guardare la sua finestra dal giardino e senza saperlo, era il momento in cui anche lui la guardava. Quando le giornate erano belle e soleggiate, Trish consumava il suo pranzo seduta su una panchina all’ombra degli alti platani.

Lui la rimirava rinchiusa nei suoi segreti, nell’aurea misteriosa che pareva circondarla. Era sicuro di aver trovato la sua Patty e dal giorno in cui si erano parlati, non aveva smesso di seguirla con gli occhi e con la mente. Per questo motivo aveva chiesto al suo procuratore di rimanere ricoverato in ospedale.

E anche quel mezzogiorno, mentre il sole splendeva nel cielo terso, la vide lì, seduta sulla panchina, che leggeva all’ombra del platano. Rivide la sua Patty seduta all’ombra del grande ciliegio, tante volte testimone delle loro chiacchierate e del loro ultimo incontro. La ricordò mentre i grandi occhi nocciola si perdevano nei suoi, le stringeva la mano per sigillare l’intensità del momento.

Trish Hamilton. Non sembrava una persona gioiosa eppure, nei giorni che erano seguiti, durante i loro sporadici incontri, gli aveva dimostrato di essere dolce e premurosa. Questa sua tendenza aveva rafforzato il pensiero di Holly che si trattasse della sua Patty. Ma allora, perché mai avrebbe continuato a vestire l’identità di un’altra persona? La sua Patty sarebbe stata contenta di vederlo, ne era sicuro.

- Signor Hutton, perché non va a fare una passeggiata in giardino? - gli chiese il primario visitandolo. Era in ospedale da circa quindici giorni e la sua degenza progrediva di giorno in giorno. Entro pochi giorni gli avrebbero tolto l’ingessatura e dopo aver ripetuto gli esami, avrebbe dovuto iniziare la fisioterapia ortopedica. Se tutto fosse andato per il meglio, il primario gli aveva assicurato che prima di Natale sarebbe sceso nuovamente sul terreno di gioco.

- Pensa sia una buona idea? - gli chiese guardandolo.

- Certamente. Deve cominciare ad abituarsi all’idea di alzarsi indipendentemente dai suoi bisogni fisiologici. Oggi è una bella giornata e l’aria è calda. Se vuole l’accompagno. - gli disse indicando la porta. Oliver lo guardò e pensò che non era affatto una cattiva idea uscire per prendere un po’ d’aria fresca. Impacciato e movendosi lentamente, riuscì a mettere entrambe le gambe per terra. Il medico gli passò la vestaglia che indossò facilmente. Afferrò le stampelle imbracandole sotto le braccia e preceduto dal primario, iniziò adagio a camminare verso il corridoio. Finalmente, poteva alzarsi per andare in un posto che non fosse la toelette. Gli sembrava di aver respirato una boccata d’aria pulita. Si guardava intorno cercando di memorizzare i luoghi che stava percorrendo. Quando finalmente arrivarono all’esterno dell’edificio, Oliver alzò gli occhi al cielo e fu colpito dal luminoso bagliore del sole. Chiuse gli occhi accecato e assaporò la frizzante aria ottobrina sentendosi già meglio.

La vide ancora seduta lì, romanticamente e splendidamente immersa nei suoi pensieri, nel suo sognare, nel lungo viaggio oltre la realtà.

La rivedeva ancora seduta all’ombra del ciliegio mentre la brezza ondeggiava dolcemente tra i suoi capelli scuri. Trish li portava sempre legati. Mentre timidi spicchi di sole si riflettevano sulla sua pelle candida. Dov’era? Era inevitabile pensare a lei. Ogni più piccolo gesto, la più timida sensazione, le ricordavano il grande amore della sua vita.

Lentamente si avvicinò alla dottoressa memorizzando ogni singolo tratto di quel volto tanto somigliante a quello dell’amata. Nulla. Era leggermente differente perché più maturo, lontano dall’adolescenza che avevano trascorso insieme.

Rimase a guardarla in silenzio. La discesa lenta di una foglia secca sul suo libro sembrò destarla dall’atmosfera ovattata in cui pareva giacere. Alzò lo sguardo verso di lui e istintivamente gli sorrise. Non le capitava spesso, ma con lui sì. Imbarazzato cercò di sedersi ma perse l’equilibrio cadendo. L’improvviso intervento di Trish attutì quella che altrimenti si sarebbe rivelata una caduta rovinosa.

Faccia a faccia, l’uno nelle braccia dell’altra. Poteva sentire il suo respiro vicino il viso, i suoi occhi scrutare curiosi ogni minimo particolare del suo ovale perfetto. Il cuore batteva veloce al ritmo dei pensieri che confusi si accavallavano gli uni sugli altri. Il suo sguardo dentro di lei. Così profondo, audace, sembrava quasi volerla spogliare di quella maschera che con consuetudine vestiva. Avvertì l’impulso di buttargli le braccia al collo e baciare quelle labbra vogliose. Schiuse le palpebre per riprendersi dall’attimo di defaillance. Non l’aveva lasciata neppure per un secondo.

- Sta bene? - gli chiese cercando di ricomporsi e aiutandolo ad alzarsi. Si sedettero entrambi sulla panchina. - Le fa male da qualche parte? -

- Ho l’impressione che si siano accavallati i nervi del braccio! - le disse con una smorfia di dolore. Gli si avvicinò alzando la manica del pigiama e della vestaglia fino alla spalla. Posò le sue mani sul braccio intorpidito. Una sensazione di immediato calore lo investì. Le sue mani cominciarono a salire e scendere lungo la pelle, movendosi con un ritmo dolce e quasi sensuale. Sussultò. Quel gesto così spontaneo era davvero insolito da parte sua. Non ricordava di averlo fatto mai prima, soprattutto ad un uomo. Cosa le stava succedendo?

Ebbe un flashback. Ancora Oliver Hutton e quella ragazzina che gli massaggiava i polpacci stanchi. Scosse leggermente il capo per cercare di cancellare l’immagine apparsa improvvisamente. Chi era quella ragazza che oramai l’assillava da tempo? Forse doveva chiederlo a Oliver Hutton? Ma cosa avrebbe pensato sapendo che lei l’aveva sognato o che spesso compariva nei flashback della sua mente? Rinunciò all’idea per non doversi esporsi troppo con lui e continuò il massaggio.

 

Lui sembrava incantato da quei gesti e ammutolito dalla sua predominanza. Patty. Lei era bravissima a massaggiargli le gambe. Non occorreva che le dicesse qualcosa: se ne accorgeva da sola e in pochi istanti era da lui con unguenti miracolosi che lenivano i suoi dolori. Gli mancava molto, troppo. Ma da quando era in ospedale, riusciva a pensare ad altro, a Trish.

- Perché mi guardava prima? - gli chiese con tono divertito, senza alcun ammonimento quand’ebbe terminato il massaggio.

- Pensavo non mi avesse visto! - rispose imbarazzato portandosi una mano tra i capelli.

- L’ho notata mentre usciva dal portone. Ed ho visto il riflesso della sua ombra. -

- Non le sfugge nulla. -

- Più cose di quante lei possa immaginare, signor Hutton. - gli rispose continuando a guardarlo. Era un bel giovane, alto, dal fisico atletico, con i pettorali e le braccia scolpite da dure ore di allenamento. Si riscoprì leggermente imbarazzata. Non era da lei fissare qualcuno soprattutto se non si trattava di un amico. Gli sorrise ancora.

- E’ più carina quando ride. - le sussurrò spontaneamente.

- Grazie. -. Ancora il silenzio tra loro. Eppure era piacevole. Il sole tiepido li riscaldava mentre i loro pensieri vagavano chissà per quali orizzonti. Ascoltavano gradevolmente i loro respiri.

- Non ha risposto alla mia domanda! - esclamò lei interrompendo quel complice mutismo.

- Sarei sconveniente se le dicessi perché è una bella donna? - le chiese ironico. Dai pochi momenti in cui avevano avuto scambi di parole e idee, aveva compreso che era una donna preparata e alla quale piaceva conversare solo con le persone che lei giudicava interessanti.

- No, ma non le crederei. Il suo non è lo sguardo di un ammiratore. - rispose sicura guardandolo. Era impressionante la loro somiglianza. Holly non riusciva a distogliere lo sguardo da lei. Persisteva a guardarla negli occhi quasi catturato da un filo magico invisibile. Sentiva il turbinoso fluire del sangue nelle vene quasi a volergli ricordare che esisteva, che era lì con una figura enigmatica. Nonostante non la conoscesse bene, si sentiva a suo agio con lei.

- Non sarà da ammiratore ma non mi impedisce certo di farle un complimento sincero. -

- Allora nuovamente grazie. - gli rispose guardando il libro.

Occhi oscuri, una poesia di Herman Hesse che spesso rileggeva. La seguì con gli occhi e scorse velocemente le tre strofe.

 

Occhi oscuri

 

E' la mia nostalgia ed il mio amore

oggi in questa notte calda

dolce come il profumo di fiori esotici,

svegliati ad una vita che scotta.

La mia nostalgia ed il mio amore

e' tutta la mia fortuna e sfortuna

e' scritta come una muta canzone

nel tuo sguardo oscuro da fiaba.

E' la mia nostalgia ed il mio amore,

sfuggito al mondo e ad ogni suo rumore,

si e' costruito nei tuoi occhi oscuri

un segreto trono da re.



Herman Hesse (1877-1962)

 

 

Chiuse gli occhi ripensando ai suoi occhi nocciola che pulsavano alla vita, al ritmo del suo cuore innamorato. Non l’aveva mai capita, fino a che non l’aveva perduta. Era questo il suo peggior incubo. Non averla amata abbastanza non quanto il suo cuore e il suo corpo desideravano fare ora. Lei si voltò verso il giovane e sembrò comprendere quale stato d’animo stesse vivendo in quell’attimo, quale tumulto avesse preso il sopravvento nel suo cuore.

- E’ molto bella. - le disse ancora ad occhi chiusi.

- Sì, lo é. -

- Lei è una persona nostalgica? -

- La nostalgia fa parte della nostra essenza, proprio come la felicità. Sentimenti contrastanti che ci accarezzano, ci accompagnano dalla nascita alla morte, come ombre. Le emozioni creano lampi di trepidazioni, turbini di passioni e noi…non possiamo nulla dinanzi a loro: dobbiamo solo avere la speranza di poterli provare, di essere investiti dalla loro energia e ritrovarci un giorno, innamorati della vita. - disse trascinata da un’insolita passione.

- La nostalgia è insita dentro di noi e solo chi soffre ne conosce davvero il significato. - rispose malinconico e serio.

- La sofferenza non è solo la perdita di qualcuno ma anche di qualcosa. La sofferenza non conosce ragione o metodo. Arriva e basta, scompigliando un momento della tua vita e adombrando le giornate che ne seguono. - gli rispose imperiosa.

- Non c’è niente che possa far soffrire di più della perdita di una persona importante. - sentenziò lui cercando di esternare.

- Non sono d’accordo. - disse richiudendo il libro e alzandosi dalla panchina.

- Perché, c’è qualcosa che può far soffrire di più? Io non penso. - le disse cercando di trattenerla ancora in quel discorso oramai degenerato.

- Sarebbe egoistico dire che si soffre qualcuno. La sofferenza è dentro di noi, e basta. Dobbiamo conviverci tutti i giorni, non dobbiamo aspettare che muoia qualcuno a noi caro per provarla. -

- Ma cosa stai dicendo! - esclamò lui drizzandosi in piedi. Il volto era infervorato, i suoi occhi furenti. Le afferrò un polso per trattenerla. Lei si girò di scatto verso di lui. - Evidentemente non hai mai perso qualcuno perché altrimenti non parleresti così. Perdere la persona alla quale tieni di più al mondo nell’impotenza di poter fare qualcosa per riportarla da te. Ti trovi all’improvviso catapultato in una dimensione a te sconosciuta, in una sorta di camera insonorizzata dove tutti cercano di avvicinarsi a te, e il tuo cuore ti impedisce di avere qualsiasi reazione. La perdita delle persone a cui tieni ti porta una tale sofferenza che anche dopo tanto tempo non riesci a dimenticare il suono della loro voce, la sensazione di una loro carezza, ogni piccolissimo gesto che a loro era legato. La sofferenza è tua, è vero e ti porta a non dimenticare le persone che ami, ad averne una grande, infinita nostalgia. -

- Come fai a dire che non capisco? Come ti permetti di giudicarmi? Si può soffrire anche solo ed esclusivamente per la mancanza di un’identità che ti impedisce di costruire il futuro, che ti fa vivere ogni singolo giorno sul baratro dell’oblio. La perdita di una persona porta sofferenza ma anche la rassegnazione. La perdita di se stessi porta soltanto a un continuo turbamento che notte e giorno non ti lascia respirare. Non c’è minuto nella tua grigia giornata, che non porti a domandarti cosa diavolo ci fai qui? Continui a farti domande alle quale nessuno ti può rispondere, e coloro che possono farlo, restano lì ad aspettare un tuo passo falso per il solo desiderio di puntarti il dito contro! Cosa ne sai tu di me! - urlò guardandolo sprezzante, adirata, desiderosa di andare oltre quelle frasi, di urlare al mondo intero che lei Trish Hamilton, non sapeva nulla di se stessa. - La sofferenza non riporterà in vita la tua Patty ed io non sono lei, mettitelo in testa! - concluse tirando verso di se il braccio.

- Patty non è morta! - replicò gelido. - Lei tornerà. -.

Trish lo guardò ancora. Sul suo volto c’era la convinzione che quella ragazza prima o poi sarebbe tornata a splendere nella sua vita. Si rese conto dalle sue parole, che doveva averla amata e ancora l’amava in maniera assoluta e disperata. Si poteva soffrire così, disperandosi nel desiderio del ritorno di una persona amata? Quale straordinario sentimento aveva unito Oliver Hutton alla sua Patty? Si girò per andarsene. Quella conversazione l’aveva turbata fin troppo e dopo Jason, era lui la prima persona alla quale parlava così sinceramente. No, era diverso da Jason. Oliver Hutton era più passionale, si lasciava trasportare dalle emozioni, aveva conosciuto la sofferenza. Jason era e sarebbe rimasto sempre e solo uno dei suoi più grandi amici, il rampollo di una nota famiglia statunitense che prima o poi avrebbe sposato una donna di importanza rilevante.

- Non ti servirà a nulla fuggire dai fantasmi del tuo passato. Non riuscirai mai ad essere te stesso pensando a quello che eri. - pensò Hutton. Le parole che il suo amico Julian gli aveva ripetuto tante volte. Adesso, le avrebbe volute gridare a Trish Hamilton per sovrastare il suo sguardo tagliente e accusatorio. Ma come poteva dire a lei le parole che tanto odiava ascoltare?

- Mi dispiace. - le disse.

- Invidio quella ragazza. La passione e il sentimento che ti legano a lei è tanto grande quanto ingiusta è stata la vita che vi ha separati. -

- Non invidiare i miei sentimenti. Ognuno di noi può amare, basta solo aprire il proprio cuore. Io l’ho imparato a caro prezzo…e a distanza di anni, non riesco a trovare il coraggio di ricominciare. - disse con voce flebile.

- Ah…imparare ad amare…chissà, forse…un giorno. - gli disse guardandolo ancora, un’ultima volta per poi correre via.

 

 

Julian, Amy e Philip Callaghan avevano assistito all’ultima parte della loro lite. Si avvicinarono all’amico apparentemente in stato di tranche.

- Adesso che l’ho vista.. penso che Amy e Holly abbiano ragione. - disse rivolgendosi a Julian.

- Ti prego, Phil, non ricominciare anche tu con questa storia. Non è lei, non può essere. Si sarebbe ricordata di noi. -

- Holly, tu cosa ne pensi? - chiese Amy.

- Io? Non lo so più. - gli disse sedendosi nuovamente sulla panchina. I tre amici lo guardarono cadere nello sconforto dell’amore perduto, ancora una volta.

Amy si girò verso il viale doveva l’aveva vista correre via. Cercava ancora la sua ombra, qualche minimo particolare che l’avrebbe ricondotta alla sua cara amica. Non c’era più. Dal giorno in cui l’aveva incontrata, dentro di se era maturata e cresciuta l’idea che si trattasse di lei. Julian non era riuscito a distogliere la moglie da quel pensiero e l’arrivo di Philip Callaghan in città, per la partita contro il Manchester United, aveva solo aggravato questa tesi.

Holly sembrava prostrato dallo scontro con Trish, duramente provato dalle parole che aveva udito e che le aveva detto. Forse era stato troppo duro nei suoi confronti e probabilmente non aveva avuto alcun diritto a parlarle così. Ma c’era qualcosa di indefinibile nella sua persona, nel suo carattere che continuava a tormentarlo. Quella donna era diventato il suo tarlo fisso, la persona alla quale, a parte la sua Patty, pensava durante il giorno.

Il calcio, la sua più grande passione e amata professione erano orami passati in secondo ordine.

 

 

Stesa sul divano, immersa nel buio della sera, Trish ripensava alla discussione avuta con Oliver Hutton quel mezzogiorno. Cosa sapeva lui della sua vita? L’incidente prima, il coma dopo. Il trasferimento della sua famiglia a Chicago. La campana di vetro sotto la quale l’avevano fatta crescere fino a che non aveva deciso di andare via per sempre.

- No. Lui non può sapere queste cose di me! Nessuno lo sa, solo io e i miei pensieri. Sono fuggita dagli Stati Uniti anche per questo, per cercare di costruire una vita migliore. E invece, mi ritrovo qui a piangermi addosso, a pensare continuamente a quel maledetto incidente. Se solo sapessi, tutto mi sarebbe più chiaro, non vivrei più con questa angoscia. Ma lui? Perché ha tanta influenza su di me? Cosa mi sta succedendo? Possibile che la mia attrazione verso di lui sia tale da permettergli di parlarmi con tale insolenza? Oliver Hutton. Dal giorno in cui è arrivato in ospedale, non faccio che pensare a lui, cercare il pretesto per andare a trovarlo. E’ vero, devo ammetterlo. Il cuore mi batte quando lo vedo, ma non riesco ad essere felice. Lui è già innamorato e non permetterà a nessuno di portargli via la sua sofferenza, il ricordo della persona amata. Patty! Chi sei tu che gli procuri tanto dolore? - si chiese guardando il soffitto. Avrebbe voluto che Jason fosse lì ad ascoltarla, a consigliarla sul da fare. I loro rapporti erano limitati oramai solo agli auguri di Natale. Adesso c’era Oliver Hutton. Jason non si era mai permesso di parlarle così, nonostante conoscesse particolari della sua vita totalmente oscuri ad Hutton. Lui invece, non aveva avuto alcuna remora a dirle di guardare avanti e non indietro, a farle capire che doveva vivere la vita e non voltarsi indietro. Stupido. Come aveva osato. Doveva diradare se non smettere del tutto le sue visite a quel paziente tanto ostile nei suoi confronti.

- Non invidiare i miei sentimenti. Ognuno di noi può amare, basta solo aprire il proprio cuore. - pensò ricordando a menadito le parole che le aveva detto. Come si imparava ad amare? - E’ una parola tanto semplice da pronunciare quanto difficile da provare. Come faccio a non pensare al mio passato se mi chiedo continuamente se ho mai amato qualcuno? Perché non sono riuscita ad innamorarmi di Jason o ad infatuarmi di Luis? Cosa c’è di sbagliato in me? Possibile che il mio cuore sia offuscato dalle nebbie di un amore passato, al quale inconsapevolmente mi sento ancora legata? - si chiese prima che il sonno e la stanchezza prendessero il sopravvento su di lei.

 

Continuava a guardare fuori dalla finestra. Gli alberi erano avvolti dalla notte e le stelle erano troppo in alto per poterle vedere ad occhio nudo. Non riusciva a dormire, non per i dolori, ma per l’assillante pensiero di Trish Hamilton. Era entrata nella sua vita all’improvviso, proprio come una folata di vento.

- Cosa diavolo mi sta succedendo? Cosa mai mi passa per la mente? Avevo voglia di baciarla, di stringerla a me. Come può essere? Io non posso amarla, io amo Patty! Maledizione. Trish Hamilton perché sei entrata nella mia vita? Io…non so più cosa fare. Patty aiutami. Dove sei stella mia? Vorrei tanto che tu fossi qui, tu…che quando io avevo bisogno, mi sentivo insicuro, c’eri sempre. Tu che eri la parte migliore di me. Quando finirà questo oblio? Quando lascerò che la dimenticanza porti via con se il sapore amaro della tua scomparsa? Forse è per questo motivo che l’ho incontrata? -

- Siamo così simili perché entrambi abbiamo sofferto e ancora soffriamo per qualcuno o qualcosa. Cosa la fa disperare così tanto? Quale motivo può essere più valido della perdita di qualcuno che si ama? Mi sento scombussolato. Non so cosa fare. Vorrei andare da lei e sapere cosa la affligge forse per lenire le mie ferite o forse perché davvero vorrei aiutarla. Oggi, in preda al panico, ho esagerato. Ho fatto sì che il nostro incontro degenerasse in quella maniera. Non ne avevo il diritto. E qualcosa mi dice che non la rivedrò molto presto! - pensò rimuginando sull’esito di quell’incontro.

 

Di una cosa entrambi erano certi: quel loro scontro avrebbe cambiato il corso del loro rapporto e forse delle rispettive emozioni.

  
Leggi le 0 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Captain Tsubasa / Vai alla pagina dell'autore: scandros