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Autore: Mattev    03/06/2013    2 recensioni
Un canto si udì. Di un fauno, si dice.
Genere: Introspettivo, Mistero, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
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- Via del Fango. Così si è soliti chiamare quel tratto di fanghiglia che ogni temuta presunta strega condotta al cappio, deve percorrere, strisciando, sotto gli occhi dei rozzi paesani, allettati all'idea di scagliare terriccio e cibarie alla condannata, sprecando così barbaramente quel poco che il Regno e la Chiesa, lascia loro.

Oggi tocca a me.

Il boia mi fa strada, eseguendo metà del lavoro per cui è ben salariato; sporca di melma e ortaggi, vengo trascinata, nuda, sovrastata da sguardi calunniatori e insulti tanto malevoli da non essere ben accetti nella mia descrizione del momento.
È questa la punizione che mi spetta per aver scelto d'aiutare la gente, intraprendendo la strada medica, ancor troppo sconosciuta dalle masse, ancor troppo sconveniente alle potenze. Il mio volere era sol quello di donar una speranza a tutti coloro che prima, non potevano permettersene una. Alcuni, m'incriminarono d'esser maga oscura, figlia del demonio, già molto tempo orsono, ma la benevolenza che alcuni borghesi ebbero nei miei confronti, fu sacra, aiutandomi così ad eludere, almeno fino ad ora, quello sgradevole destino. Una donna dalla testa rossa, che lavora, in proprio e senza un padrone, sarebbe già il pretesto per la prigionia, preceduta da almeno una tortura innanzi popolo; ma la goccia atta a far traboccar la giara fu l'accorgersi, da parte d'un incerto passante, estraneo alla contea, che io, donna cremisi e senza un mio possessore accanto, fui l'unica a non tirar pietre, cibo o dettar scurrilità in segno di disprezzo, quel giorno, rivolti ad un'innocente fanciulla, paventata strega e, successivamente, presunta mia compagna negromante, troppo acerba per esser disposta a perire, privata poi della propria dignità, oppressa già dal nascere per via del sesso.
Quel giorno, durante l'esecuzione, lo stranierò attirò l'attenzione di alcuni milizi su di me, qual notarono il mio mancato interesse denigratorio per l'imminente giustiziata, condannata al ricevere una virtù concessa a troppi, meritata da pochi, donata a sbagliati. Credetti, per un momento, di colloquiare tramite pensieri con la giovine; la rassicurai ponendole dinnanzi Dama Fine e Cavalier Inizio, due esseri così opposti da scegliere spesso la via del litigio, ma così legati da non aver la facoltà di separarsi. Lei, cortesemente, accolse la loro presenza, poi vi si congedò momentaneamente e mi domandò per qual motivo figurammo al cospetto delle due creature. Le narrai i loro compiti e l'avvertì che Dama Fine l'avrebbe passata in custodia a Cavalier Inizio. Mi corresse, invertendo i ruoli dei due amanti. Un ghigno, d'istinto, ridisegnò il mio sguardo: la fine era la nascita in tal mondo così caotico, malvagio e addolorato. Cavalier Inizio l'avrebbe portata ove nulla è conosciuto e, senza insegnamenti, lei avrebbe appreso il significato dell'esistenza, pronta ad affrontare un'eterna avventura. Questo, però, omisi di dirglielo. Lo avrebbe scoperto da se, una volta spirato.
Il boia tirò la leva con cotanta forza da parer volerla scardinare, smorzando bruscamente il nostro dialogare, e lei, crollò, precipitando verso la morte.

Ora, son io ad avere i suoi occhi, ad osservar i maniaci sguardi della malignità plebea, di temibile godimento alle trucide, e spesso pervertite, scene. Il boia, concede l'ultima parola.
Vieni a prendermi Cavalier Inizio! -
Tra la folla, compreso il boia, per timor che la strega lanciasse un maleficio, ci fu per un attimo terrore. Chi gridava, chi pregava, chi fuggiva e chi veniva calpestato dai fuggiaschi, caotizzando così il già confuso gregge umano. Quando poi, in pochi istanti, la quiete riavvalse sui villani, le incitazioni dei più violenti ripresero ad aizzare i compaesani a lanciare oggetti d'ogni sorta alla malcapitata.
Il boia allungò la mano alla leva che, una volta tirata, avrebbe aperto una botola sotto i piedi della condannata, la quale avrebbe forse incontrato la sua fantasia cavalleresca sol pochi attimi dopo. Il guanto di pelle, nero, lucido e raggrinzito del massiccio uomo, si posò sul legno dello scricchiolante meccanismo, sfregò, tanto delicatamente da parer sradicare un albero. Godendo al pensiero di aver in pugno un potere così ricercato ed apprezzato, ma che sol da nobili e pochi fortunati è concesso, l'incappucciato diede uno strattone all'asta. Si udì un grido. Il soffio del vento divagava per la zona ormai deserta, portando con se null'altro che una decadente quiete. Non vi era più nulla, se non terriccio e qualche foglia secca sparsa. L'intera contea era stata cancellata dalla faccia della terra; qualcosa era successo, ma di fatto nulla si può che far congetture. Mille e più leggende, da allora, sono nate su quella vicenda e io, in realtà, ho forte dubbio nel poter credere a taluna di esse; tuttavia ve ne è una che mi piace pensar sia vera. Nessun grido vi fu, bensì un canto si udì. Di un fauno, si dice.
   
 
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