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Autore: MoreUmmagumma    04/06/2013    4 recensioni
E se uno dei Led Zeppelin scoprisse di avere una figlia nata da una notte di passione con una delle tante ragazze?
***
Non è l'ennesima storia d'amore tormentata e travagliata. Si tratta solo dell'amore di un padre per una figlia che non sapeva di avere.
Genere: Commedia, Fluff, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Jimmy Page, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Leeds, 1970

L’aria frizzante di quel Gennaio del 1970 era ancora satura della pioggia del giorno precendente. Il cielo era grigio e ovunque si respirava odore di umidità. L’asfalto era coperto di pozzanghere e bisognava fare attenzione alle automobili che ci passavano sopra, per non rischiare di essere bagnati.
Due esili figure camminavano sul freddo marciapiede tenendosi saldamente per mano. Il vento gelido colpiva i loro volti, l’unica parte del corpo a non essere protetta da vari cappelli, sciarpe e indumenti pesanti. Si fermarono improvvisamente e la più alta si chinò verso quella più piccola per chiuderle meglio il cappottino beige di lana e per avvolgerla nella sciarpa più che poteva.
-Perché piangi, mamma?- domandò la bambina notando una lacrima che scendeva sul viso della ragazza.
-Ma no, non piango- la consolò l’altra asciugandosi la guancia. –È colpa del vento-
Le accarezzò il viso dolcemente accennando un lieve sorriso, per poi riprenderla per mano e rimettersi in cammino.
-Quanto manca?- chiese con voce flebile la piccola.
-Poco, tesoro. Siamo quasi arrivate-
Continuarono a camminare su un tappeto di foglie bagnate, circondate da alberi spogli e vecchie case rosse in stile vittoriano, con le imposte bianche, tutte uguali, fino a che non raggiunsero la loro meta.
L’hotel si stagliava maestoso e imponente di fronte a loro. Alzarono la testa verso l’alto, spalancando leggermente la bocca e si decisero ad avvicinarsi all’entrata. Non appena varcarono la soglia furono accolte dal lusso più sfrenato: lampadari in cristallo, divani che troneggiavano in qualche angolo, colonne in marmo, vasi che contenevano piante altissime... niente per la loro portata. Con riluttanza si avvicinarono alla reception, dove una donna dai biondi capelli legati in una strana acconciatura le salutò squadrandole da capo a piedi.
-Buongiorno-
-Buongiorno- replicò timidamente la ragazza che teneva ancora per mano la bambina. –Il signor James Page... alloggia qui?-


Finalmente l’ultima data del tour britannico era quasi vicina. Mancava quasi un mese e si sarebbero esibiti ad Edimburgo, poi qualche data in Europa e infine sarebbero volati dritti verso gli Stati Uniti. Ma fino ad allora avrebbero avuto tre settimane di libertà e svago.
Quella mattina sedevano tutti e quattro attorno a un tavolo, con la colazione ormai consumata e una sigaretta tra le dita, mentre ridevano e scherzavano di gusto insieme ad altre persone in loro compagnia.
Un uomo alto, robusto, con una folta barba nera entrò nella sala, accompagnati da vari versi, fischi e applausi dei presenti.
-Finalmente, Cole!- esclamò uno di loro. –Quanto tempo ti ci vuole per pisciare?-
-Ci vuole il tempo che ci vuole- rispose quasi seccato. –E comunque, Pagey, c’è una ragazza qui fuori che dice di conoscerti-
-Ah sì?- sghignazzò il ragazzo dai lunghi riccioli corvini, sporgendosi in avanti per scrollare la cenere della sigaretta nel posacenere.
-Sai quante ragazze affermano di conoscermi per poter passare una notte di fuoco con me?-
-Ehi, io ti sto solo riferendo quello che mi ha detto lei. Dice che la conosci anche tu e che deve parlarti di una cosa molto urgente-
-Falla entrare allora-
Richard si avvicinò alla porta e fece entrare la ragazza.
-Ciao Jim!-
Il ragazzo si girò ridacchiando per vedere chi fosse fino a che i loro occhi si incontrarono. Per un momento rimase attonito ma alla fine la riconobbe. Certo, era cambiata dall’ultima volta che l’aveva vista, ma l’espressione dei suoi occhi era rimasta sempre la stessa.
-Rachel?!- esclamò aggrottando la fronte.
La ragazza annuì sorridendo, stringendo la sciarpa tra le mani e si avvicinò a lui, che si alzò in piedi andandole incontro.
-Quanto tempo! Ti trovo...-
Sciupata? Stanca? Deperita? E perché no... magari anche invecchiata di dieci anni. Di certo non dimostrava i vent’anni che aveva.
-... cambiata-
-Anche tu sei cambiato, James-
-Che ci fai qui?- domandò, prima di girarsi e notare che tutti gli occhi dei presenti erano puntati su di lui e sulla strana ragazza.
-C’è un posto tranquillo dove parlare?-
Ma improvvisamente uno di loro si alzò, un tipo alto, dai boccoli biondi, ed esclamò: -Ehi, gente, perché non spostiamo questo salotto da un’altra parte?-
E così tutti i presenti si alzarono e uscirono dalla stanza, lasciando i due ragazzi in un silenzio imbarazzante.
-Allora...- esordì lui. –Di cosa dovevi parlarmi?-
-Da quant’è che non ci vediamo Jimmy?-
Il ragazzo sospirò cercando di ricordare bene quando fosse stata l’ultima volta che si erano visti. –Quattro anni?-
-Già... quattro anni-


-Ehi Robert, ma tu sai chi è quella ragazza?-
-No, Jonesy, non lo so-
-E che vorrà da Jimmy?-
-Ma dai, Bonzo, è chiaro!- rispose il biondo, con fare saccente. –È ovvio che è l’ennesima ragazza a cui non è andato a genio il fatto di essere stata mollata-
-No, secondo me c’è qualcos’altro- rispose Jonesy.
-E come fai ad esserne sicuro?-
-Beh, per prima cosa, una ragazza che cerca di riconquistarti non si presenta vestita in quel modo trasandato. E poi scusate, ma non notate niente laggiù...?-
I due ragazzi alzarono lo sguardo cercando di capire a cosa si stesse riferendo l’amico e notarono una bambina che sedeva sola soletta su una poltrona davanti alla porta della sala in cui stavano mangiando. Aveva i capelli lunghi e neri che le ricadevano lungo le spalle, alle quali era appeso uno zainetto colorato, stringeva tra le braccia un coniglietto bianco di peluche e dondolava i piedi avanti e indietro mentre con i denti si mordicchiava il labbro inferiore.
-Dici che potrebbe essere...-
Jonesy annuì, continuando a guardare quell’esserino così apparentemente fragile.
-Ma no!-
-Oh sì!-
-Secondo te è...-


-Mia figlia?- ripeté quelle parole in modo da farsele scivolare dentro. Si accasciò su una sedia, mandando giù tutto d’un fiato un bicchiere di whiskey.
-Sì, Jimmy. È qui fuori... e non vede l’ora di conoscerti-
-Ma sei sicura che sia mia figlia?-
Il viso della ragazza si rabbuiò mentre le lacrime cominciarono a inondarle gli occhi.
-Sono rimasta incinta a sedici anni, James! Sono stata sola per quattro anni. I miei genitori mi hanno praticamente ripudiata e i miei amici più intimi non vivono più qui. Non ho uno straccio di lavoro decente e mi hanno appena sfrattata di casa. Vengo qui e tu mi chiedi se sia davvero figlia tua?!- esclamò con voce rotta e severa.
Jimmy sospirò prima di trovare il coraggio di guardarla negli occhi.
-Sì, è figlia tua. Non sono mai stata con nessun altro. Non sono venuta qui a chiederti dei soldi. E nemmeno di riconoscerla ufficialmente. Voglio solo che tu la conosca e che la tenga un po’ con te fino a che io non trovo un lavoro e un tetto sotto il quale farla dormire. E poi ha diritto di stare un po’ anche con suo padre-
-Sa che sono io?-
Rachel annuì. –Sono mesi che non fa altro che chiedere di te. Mi chiede che faccia abbia suo padre, dove si trova e quello che fa nella vita-
Jimmy continuava a guardare fisso verso un punto imprecisato della stanza. Ancora non riusciva a concepire l’idea di avere una figlia, proprio come gli altri.
Un pugno allo stomaco. Ecco cosa provò in quel momento. E si sentì come se d'un tratto gli fosse stata negata l'aria.
-Come si chiama?- quasi sospirò per quanto lievemente pronunciò quella domanda.
-Alice... si chiama Alice. E ti assomiglia tanto-
Accennò un sorriso imbarazzato, con le mani poggiate sui fianchi per decidersi sul da farsi.
-Quanto tempo ti serve?- domandò infine.
-Io... non so...-
-Una settimana-
No, non era una domanda.
-Ti do una settimana... e poi vieni a riprendertela. Credimi, la vita che faccio non è adatta ad una bambina di quattro anni-
La ragazzà tirò un sospiro di sollievo e gli gettò le braccia al collo.
-Oddio, grazie! Grazie davvero! Vedrai, non te ne pentirai. È buona e si affeziona subito-
Aprirono la porta della sala mentre Rachel uscì di fuori per richiamre la figlia.
-Alice?-
Ma della bambina non c’era più traccia.
-Alice?-
Il cuore cominciò a batterle all’impazzata e la voce le diventò sempre più acuta e preoccupata. Continuò a chiamarla, fino a che non la trovò in una stanza, cirocondata da quei ragazzi che pochi minuti prima si trovavano insieme a Jimmy e che le mostravano dei giochetti di illusione con le mani.
-Alice!-
-Mamma, guarda- la esortò la piccola con un sorriso, indicando con il dito le mani del bassista della band.
-Oh, Alice- disse avvicinandosi alla bambina per stringerla in un abbraccio. -Mi hai fatta spaventare. Non ti allontanare più-
Jimmy le guardava dall’uscio, quasi aspettando di essere notato. Subito dopo Rachel alzò lo sguardò e si avvicinò a lui, tenendo la bambina in braccio.
-Alice, lui è il signore di cui ti parlavo questa mattina, ti ricordi?-
La piccola annuì, senza staccare gli occhi dall’uomo che la osservava imbarazzato.
-Lui è il tuo papà-
Al suono di quelle parole Jimmy rabbrividì, ma senza darlo a vedere.
-Adesso mi devi promettere una cosa. Mi devi promettere che ti comporterai bene, che non farai i capricci, e non farai arrabbiare nessuno. Io ti chiamerò ogni giorno per sapere come stai... va bene?-
La bambina annuì di nuovo, mentre la madre la metteva a terra, prima di rivolgersi a Jimmy.
-Va a letto alle otto e mezza, in genere dopo aver visto un cartone animato, e se non è stanca si addormenta con una fiaba. Mangia tutto, non è una bambina capricciosa e se rifiuta qualcosa ci deve essere per forza un motivo. Se ha male alla pancia la sera le do latte e miele. Fa il bagnetto tutti i giorni e le lavo i capelli un giorno sì e un giorno no. E... qui ho una lista- aggiunse frugando tra le tasche del cappotto. –Nel caso mi sia dimenticata qualcosa, sta scritto tutto qui-
Jimmy annuì, prendendo il foglietto e rigirandoselo tra le mani, mentre osservava la giovane salutare la sua bambina. Il tutto sotto gli sguardi degli altri membri della band.
-Fai la brava, ok?-
Si abbracciarono un’ultima volta prima che Rachel si incamminasse verso l’uscita, piangendo, per poi sparire dalla loro vista.
Jimmy posò lo sguardo sulla bambina che lo osservava incuriosita, prima di sentire la mano di Bonzo afferrargli saldamente la spalla. –Beh... benvenuto nel club!-

Note dell'autrice: è da un po' di tempo che avevo in mente questa storia... l'ho concepita insieme a Why don't your eyes see me?, e finalmente la pubblico. Il titolo deriva dalla canzone White Rabbit dei Jefferson Airplaine, ed è anche il titolo di un libro (mi scuso per il plagio ma non sapevo che titolo dare). E poi io amo Alice nel Paese delle meraviglie.
Ho scelto Jimmy Page perché mi sembra il più impacciato dei quattro per quanto riguarda i bambini. E infatti ho ambientato la storia prima che nascesse Scarlet, così abbiamo un Jimmy che di bambini non sa assolutamente nulla :3

Bene, dal momento che non so assolutamente cosa scrivere nel prossimo capitolo, non ho idea di quando possa aggiornare D: Mi scusino.
Vabbè... al prossimo capitolo gente *O*
  
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