Bevo The alla pesca mentre scrivo di suicidio, sono ipocrita o solo abituata alle tragedie dalla televisione?
Tagga. Chatta. Condivide. Spia. Perseguita. Offende. Segue. Commenta. Mette “mi piace”. Pubblica.
E ricomincia, sempre lo stesso rito ad ogni connessione, ancora e ancora, fino a quando la schiena non duole, fino a quando la mente sopporta.
Si nasconde l’animale sociale, che di sociale ha solo il nome.
È finto negli atteggiamenti, nelle foto prese su qualche sito per scambisti; è finto nelle parole che usa, perché metà dei termini li ha ascoltati solo nei film porno –di quelli pieni di cliché: postino, idraulico, meccanico...
È qualcuno su quel sito, è popolare e le persone parlano con Lei.
“Sono qualcuno. Quel ragazzo mi vuole: dice che sono bella”.
Ma non è Lei: è una ragazza del sud, quella in foto, una ragazza mora, i seni prosperosi.
Ogni volta che si guarda, che guarda le foto sul suo account, si ritrova ad osservare la vera Lei: è l’opposto.
“Ma a chi importa?”, si dice.
Non a Lei che si sente bella su facebook.
Una nuova foto della ragazza siciliana brilla sul display del pc portatile.
Lei è orgogliosa di come sia venuta bene in quello scatto.
Non è Lei.
Salva su “immagini”. Accede su facebook. Pubblica.
E i “mi piace” arrivano come una cascata di fiori ed acclamazioni su di un palco dove Lei è la protagonista.
Ma non è Lei.
Messaggio in arrivo:” Non sei chi dici di essere”.
È presa dal panico.
Disconnessione.
“Cosa faccio?”
Ha le palpitazioni.
“Mi arrendo”.
In un modo o nell’altro Lei divenne famosa.
Il giornale citava: “Giovane ragazza spinta al suicidio da facebook”.
Ma a Lei non importava, mentre cadeva rapida dal sesto piano; ma a Lei non importava, mentre decine di telefonini si puntano sulla sua figura, come i fari di un palcoscenico immortale.
Lei è famosa.