Seblaine Week
‘13
Day 6: Being
Famous
Come
benzedrina e Jack Daniel’s
a
braccetto nello stomaco
1957.
Qualcosa come il Blueberry Tour era quello che Blaine Anderson aveva
sempre
sognato nella vita.
Ore
e ore a bordo del bus con la sua band, fermate alle tavole calde e poi
tappe
nei tv shows con pubblico dal vivo che andavano in diretta alla
televisione!
Gente che lo aspettava fuori dagli studios per chiedergli
l’autografo!
Manifesti col suo nome sui muri di città che lo accoglievano
come se fosse il
loro santo protettore o qualcosa del genere! E poi i suoi dischi si
mantenevano
sempre molto in alto sulla classifica Billboard, per la miseria!
Sì,
Blaine era parecchio apprezzato in quel che faceva. C’era
nato con la grinta
dell’animale da palcoscenico, col beat nel sangue a
metà fra country-folk e
rock’n’roll. D’altronde teneva la
chitarra in braccio e cantava con l’anima fin
da quando era nient’altro che un moccioso di
città, e adesso incredibilmente le
sue canzoni erano in rotazione radiofonica ogni giorno. I suoi genitori
erano
così fieri di lui che, ogni volta che tornava in Ohio a
trovarli, mettevano su
una tavolata come neanche nel giorno del Ringraziamento e lo
coccolavano come
se fosse ancora il loro piccolo Blainey. E per tutto l’anno i
vinili del loro
amato figlio erano sempre in bella mostra in una teca, in ordine
cronologico,
intatti e puliti come reliquie; non che fossero quel genere di persone
abituate
a vantarsi, semplicemente erano orgogliosi oltremisura della fortuna
che aveva
investito il loro dolce giovane uomo.
Si
diceva… Il Blueberry Tour. Questo era targato Sun Records e
contava a bordo i
cavalli di razza della scuderia. Ora loro stavano segnando
un’epoca e
probabilmente, nella loro sfrontata ebbrezza, non se ne rendevano
nemmeno
conto. Elvis Presley, Johnny Cash, Jerry Lee Lewis, Carl Lee Perkins e
Blaine
Devon Anderson: quelli di cui l’intera America parlava,
quelli che scuotevano
gli States e li attraversavano in lungo ed in largo, quelli a cui tutti
avrebbero voluto stringere la mano un giorno o l’altro,
quelli a cui le ragazze
scrivevano sacchi e sacchi di lettere d’amore su carta
profumata… Insomma, con
la loro musica e le loro belle facce avevano il preciso compito di
rappresentare l’America migliore. Era come se avessero
stampato in fronte “Made
in USA” e dovessero esibirlo con orgoglio sotto gli occhi del
mondo. Il che era
okay, finché nessuno veniva a conoscenza degli scheletri
che serbavano nell’armadio. Non erano supereroi,
nessuno di loro, anche se alla gente
piaceva crederlo. No, erano uomini e, in quanto tali, vivevano anche di
segreti
e peccati. Droghe e groupies, nel migliore dei casi.
D’altronde la carne è debole
per tutti…
Ma
Blaine… beh, la faccenda di Blaine era di natura un
po’ diversa. Le mani che lo
accarezzavano e i fianchi di cui si beava dopo i suoi show non erano
mai quelli
di una donna. Erano di Sebastian Smythe.
Quella
sera, al termine di un’esibizione acclamata e trasmessa via
cavo, non fu fatta
eccezione. L’amante l’aveva raggiunto dalle parti
di Dallas e lo aspettava a
bordo della sua auto lussuosa parcheggiata davanti ad un hotel
prestabilito.
Portava spesso
un
fazzoletto legato al collo, Sebastian. Era un regalo di Blaine, il
primo e
anche l’unico che avesse mai accettato. Un pezzo di stoffa
verde che il
cantante gli aveva avvolto attorno alla gola dopo la terza furtiva
volta che
avevano fatto l’amore.
«Questo
ha un
significato preciso?» aveva domandato allora Sebastian, dopo
che le dita dell’altro
si furono allontanate dal pomo d’Adamo.
«Solo
se vuoi che
l’abbia.» aveva sospirato Blaine. Sapeva che Smythe
era uno spirito libero: selvaggio
da metanfetamina, affascinante, sfuggente e per nulla devoto. Chiunque
l’avrebbe etichettato assai frettolosamente come
“puttana” ma Blaine, che aveva
un cuore grande, non l’avrebbe per niente al mondo definito
in quella maniera.
«Lo
sai che non
appartengo a nessuno.»
«Tienilo
e basta,
okay? Voglio solo un po’ di te, alle tue
condizioni…»
E quindi
Sebastian
aveva annuito senza più riluttanze. D’altronde
Blaine gli piaceva, gli piaceva
un sacco, e spendere del tempo con lui era sempre molto soddisfacente.
«E sia.»
aveva detto, e si era soffermato a lungo sulle labbra piene e arrossate
del cantante
prima di sgattaiolare via dalla camera d’albergo veloce e in
silenzio.
«Champagne?
Francese, sul serio?» esclamò Blaine, infilandosi
nella Mustang nera di
Sebastian sotto una pioggerella che aveva tutta l’intenzione
di farsi battente
di lì a poco.
«Oui,
mon chéri!» sorrise Smythe, dandosi un gran
daffare a stapparlo. Via la carta
protettiva, il tappo in sughero venne via con un pop. Si
attaccò alla bottiglia
e butto giù un paio di frizzanti e costose sorsate prima di
porgere lo
champagne all’altro. «Prego!»
Blaine
si mostrò impressionato. In tour non aveva quasi mai il
tempo di concedersi un
piacere sofisticato come quello! Il fatto che Sebastian avesse bevuto
lui
stesso prima di offrire non lo stupì, era fatto
così, con un ego abbastanza
voluminoso. Assaporò il vino, mugolando quanto fosse buono.
«Ma
sentitelo, sentitelo. Non siamo ancora in camera da letto e
già guaisci, babe?»
lo punzecchiò Smythe, riprendendosi la bottiglia.
Blaine
se ne riappropriò subito, fingendosi seccato.
«Da’ qua. E ora alza il tuo bel
culetto e comincia ad entrare. Chiudo io qui, dammi le chiavi. La tua
stanza è
la 310.»
Sebastian
ghignò in risposta, lasciò cadere le chiavi
dell’auto nel palmo aperto
dell’amante e saltò fuori in tutta fretta,
raggiungendo l’ingresso del Far Away
ad ampie falcate.
Naturalmente
Blaine sapeva che quella storia era un enorme problema. Sentiva
l’attenzione
dei media e del pubblico puntata su di sé e questi
sembravano chiedere una sola
cosa: perché il ragazzotto con gli occhi tanto belli e la
voce di miele non ha
ancora trovato moglie? A volte si vedeva come un morto che cammina. Un
flash,
un’occhiata, una disattenzione nel momento e nel posto
sbagliato avrebbero
significato il crollo disarmante e totale della sua carriera. Di
omosessuali
non si parlava, se non per denigrarli. Checche. Invertiti. Rottinculo.
Ecco
come li chiamava l’America. Ecco come essa avrebbe chiamato
lui, se fosse
venuta a sapere.
Blaine
scese dall’auto dopo circa venti minuti e, portandosi dietro
lo champagne,
chiese alla reception le chiavi per la 314. Con addosso una foga a dir
poco
euforica, passò davanti alla 310, bussò,
aspettò che Sebastian comparisse
sull’uscio e poi lo trascinò non troppo cautamente
verso la propria camera. Oh,
ma che importava… in corridoio non si vedeva anima viva.
«M-mi
sei mancato… così tanto.»
sussurrò Blaine, con i passi che s’inseguivano
attutiti dalla moquette pulitissima e la faccia dolcemente martoriata
dai baci
di Sebastian.
«Dio,
sei bellissimo, B.» mugugnò l’altro,
godendosi il privilegio di scostargli i
ricci umidi per la pioggia dalla fronte. In pubblico il cantante li
teneva
sempre in posa plastica con la brillantina, come voleva il suo agente.
In
camera da letto, diventavano curve brune che Sebastian accarezzava e
tirava
finché le dita non gli facevano male…
«Avrei
voluto che mi sentissi cantare, stasera.» mormorò
il bruno, ottenebrato dai
baci e dalle mani dell’altro che lo spogliavano con lentezza.
«Uh,
quanto sei vanesio. Posso comprare un tuo disco in qualsiasi
negozio.» lo
sbeffeggiò Sebastian, fingendo una freddezza che in
realtà non gli apparteneva.
«No,
dovevi sentirmi. Ho presentato un nuovo pezzo…» il
cantante esitò, adagiandosi
sul materasso e lasciando che l’amante si distendesse su di
lui «…il pubblico
l’ha adorato… ed era per te. E faceva
cos-»
Sebastian
si frenò nel rendere onore al petto dell’altro,
scosse la testa e incurvò le
labbra in un sorriso sornione. «Blaine, guardami. Sono una
puttana ricca
sfondata che se la spassa con i soldi del paparino e non è
capace di amare nessuno.
Forse certi gesti dovresti risparmiarli per qualcun altro e non
sprecarli per
uno come me, hm…?»
Blaine
strabuzzò gli occhi e scansò un bacio in arrivo,
innervosito. «Non parlare di
te in quel modo. Sei proprio uno stupido.»
«Ah-ah,
sbagliato. Tu sei uno stupido, perché ti stai innamorando
della persona
sbagliata.» asserì Sebastian in tutta leggerezza,
tentando nuovamente di
baciarlo.
«Esci
da questa stanza, allora. Esci e non tornare.»
bofonchiò Blaine, le parole
soffocate dalla voracità dell’altro.
«Sai
che non ho alcuna intenzione di farlo…» disse
Sebastian, sensuale, lambendo con
piccoli tocchi della lingua l’argine composto delle labbra di
Blaine. Con un
po’ di insistenza riuscì a dischiuderle e a
rubargli il respiro.
I
loro corpi, nudi e vogliosi di macchiarsi come colpevoli, si
rincorrevano in un
accordo fatto di alti e bassi. Giocavano a nascondino con il piacere,
attardandosi nell’assaggiarlo poco per volta, pezzo a pezzo.
Facevano finta di
esser padroni del tempo e se ne appropriavano per commettere peccati
tanto
deliziosi da non potersi pronunciare. Ogni centimetro di pelle che
veniva
morsa, sfiorata, leccata, era un gradino che saliva verso il tempio di
un
qualche dio pagano; in cima, avrebbero raccolto di nascosto fiori e
ambrosia
direttamente dalle mani di un Apollo splendente e ne avrebbero goduto
fino ad
essere del tutto ubriachi.
«Seb…
Seb!» uggiolò Blaine, aggrappandosi alle anche
ossute di Sebastian che
danzavano su di lui. Smythe chiuse gli occhi, per un attimo fece
combaciare con
dolcezza le loro fronti, affondò una mano nel materasso e
l’altra l’avvinghiò
alla testiera del letto. Ghignò in Francese qualcosa che
l’amante non poteva
capire e lo fece sussultare di piacere spinta dopo spinta, perdendo a
sua volta
ogni affanno terreno. E l’orgasmo -proibito impulso di
libertà- arrivò a
frangere i loro muscoli febbrili e vibranti. Erano felici Blaine e
Sebastian;
non di quella felicità che rimaneva astratta sospesa per
aria, ma quella che ti
si rovescia addosso come un acquazzone e ne esci fradicio fino
all’osso.
E
quando quella meravigliosa sensazione svanì, Sebastian
capì che forse uscire
dalla stanza con la discrezione di sempre non sarebbe stato possibile
anche
stavolta. Saccheggiò selvaggiamente il frigobar e, sbronzo e
barcollante, finì
col fracassare una lampada. Non si diede pena di raccoglierne i cocci e
«Vado
con altri uomini, B.» disse, con l’anima a pezzi
come il lume «E mi pagano per
questo, e mi comprano anche cavalli purosangue e belle auto…
La Mustang me l’ha
regalata Fitz.». Esalò un respiro sbattendo la
schiena contro il muro e
scolando una mini-vodka in un unico lunghissimo sorso. «Anche
se Fitz a letto
non è splendido la metà di quanto lo sei
tu.»
Blaine,
ancora steso fra le lenzuola, si sentì gelare il sangue
nelle vene. Si tirò su
sui gomiti. «Pensavo non avessi problemi di
soldi…» sussurrò, maledicendo il
proprio labbro che tremava per il disappunto. Quello che Sebastian gli
stava
rivelando era fastidioso, avrebbe preferito non venirne a conoscenza.
Perché
Smythe doveva atteggiarsi da bastardo? Aveva già messo in
chiaro troppe volte
che la loro non era una relazione, che bisogno c’era adesso
di sbattergli in
faccia con chi andava?
«Non
sono i soldi. Non lo faccio per quello. Non so quale sia il motivo in
realtà.»
replicò l’altro, e il cantante giurava di non
averlo mai visto in uno stato
tanto pietoso. Blaine avvertì una parte di sé
morire dentro quando lo vide
accasciarsi lungo la parete e poi per terra con l’ombra del
sentirsi in difetto
che oscurava gli occhi verdi intristiti dall’alcool. Fulmineo
andò a tirarlo su
e, senza nemmeno accorgersene, pianse mentre lo faceva. Era stanco e lo
voleva.
Lo voleva in tutti modi possibili, suo. «Da me non accetti
regali, però…»
Sebastian
scosse con violenza la testa, si stropicciò i capelli ed
evitò lo sguardo
mortificato di Blaine. «È diverso. È
diverso.»
«Diverso
come?» lo rimbeccò il cantante, ringhiando la
propria frustrazione contro la
spalla di Seb. «Ti darei qualsiasi cosa, lo sai! Qualsiasi
cosa tu chieda! E
non ti tratterei come un oggetto!»
«Io
sono un bugiardo, B.» sbiascicò l’altro,
la bottiglietta vuota che gli sfuggì
dalle sinuose dita infiacchite e prese a rotolare sulla
moquette… Si reggeva a
stento in piedi.
«Non
parlarmi per enigmi, ragazzo francese!» disse Blaine, tirando
su con il naso e
conducendolo verso il letto. Quello che aveva cercato di non-provare
per
Sebastian stava esplodendo proprio in quell’istante. Una
grande e bellissima
rovina, come benzedrina e Jack Daniel’s a braccetto nello
stomaco.
«Sono
io che mi sto innamorando di te.»
Il
cuore del cantante faceva mille giri al minuto. Non aveva sentito
davvero
quello che aveva sentito, magari. La rivelazione scottava. Le guance di
Blaine
scottavano. L’intera faccenda scottava. Era tutto un
camminare su acciaio arroventato.
«Sebastian.» disse soltanto Anderson, quando ebbe
realizzato che ogni cosa lì
dentro era reale e reali erano le parole pronunciate dal giovane
Smythe. Si
sedette a fianco di quel ragazzo pelle e ossa così
incantevole da togliergli il
lume della ragione notte e dì. «Sebastian, vieni
qui.» mormorò, slanciandosi in
un abbraccio.
Abbraccio
che l’altro respinse mollemente. «No, non va bene.
Perché sei Blaine Anderson e
non te lo puoi, non ce lo possiamo permettere! Devi trovarti una moglie
e
fingere per l’America che ti piaccia fotterti
una donna! E io sono tipo egoista, incostante, testardo e fra un paio
di mesi
non sopporterai più tutto il mio snobismo del cazzo
e… »
«Sebastian.
Sebastian, oh mio dio. Shhh.» Blaine gli tappò
letteralmente la bocca premendo
le labbra sulle sue.
«Finirai
nei guai, B.» cantilenò Smythe, facendo
sgattaiolare le dita fra le cosce nude
di Blaine. Accarezzava la pelle con desiderio svagato.
«Finirai nei guai per
colpa mia.»
«E
se anche fosse? Se anche fosse? Ci finirei con te, e non
m’importerebbe
d’altro!»
«Ma
la tua musica…»
«Canterò
per te tutta la vita.» sussurrò Blaine.
Trasalì non appena Sebastian si chinò
fra le sue gambe. «Vieni-» fu costretto ad
interrompersi perché Smythe non era
intenzionato a sprecare un solo minuto del tempo che avevano da
trascorrere
insieme e aveva cominciato a disseminare la linea interna della sua
coscia di
baci e brevi lappate. «Vieni… vieni alla
matinèe di domani.» gli propose,
respirando a fatica e sfiorandogli l’attaccatura dei capelli
sulla nuca. Le
labbra dell’altro si avvicinavano pericolosamente alla zona
rossa. «Dimmi che
verrai, Sebastian, ti prego.»
Quello
alzò il capo e annuì.
«Verrò, se prometti che poi possiamo chiuderci a
chiave e
scopare in camerino.» disse, e Blaine lo conosceva abbastanza
per capire che
non stava affatto scherzando.
Qualche
minuto dopo rollarono un paio di spinelli e li fumarono accanto alla
finestra
aperta, con la pioggia che scrosciava e ingrigiva la città.
Fuori, l’ordinario,
e dentro invece c’erano loro, ad amarsi senza inibizione, ad
amarsi con la
bocca, con gli occhi, con le mani e con la testa, ad amarsi con il
cuore, con l’anima
e con l’incoscienza. Ad amarsi. Più di chiunque
altro, meglio di chiunque
altro. Parlavano di comprare una roulotte a tour finito e di correre
giù per la
Route 66 l’estate successiva; fuggire suonava davvero
allettante e, fra un
bacio e un tiro di fumo, si giurarono che l’avrebbero fatto.