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Autore: Phoenixstein    08/06/2013    3 recensioni
Elvis Presley, Johnny Cash, Jerry Lee Lewis, Carl Lee Perkins e Blaine Devon Anderson: [...] con la loro musica e le loro belle facce avevano il preciso compito di rappresentare l’America migliore. Era come se avessero stampato in fronte “Made in USA” e dovessero esibirlo con orgoglio sotto gli occhi del mondo. Il che era okay, finché nessuno veniva a conoscenza degli scheletri che serbavano nell’armadio. Non erano supereroi, nessuno di loro, anche se alla gente piaceva crederlo. No, erano uomini e, in quanto tali, vivevano anche di segreti e peccati. Droghe e groupies, nel migliore dei casi. D’altronde la carne è debole per tutti…
Ma Blaine… beh, la faccenda di Blaine era di natura un po’ diversa. Le mani che lo accarezzavano e i fianchi di cui si beava dopo i suoi show non erano mai quelli di una donna. Erano di Sebastian Smythe.
///Seblaine Week '13 - Day Six - BEING FAMOUS///
Genere: Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Blaine Anderson, Sebastian Smythe | Coppie: Blaine/Sebastian
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Seblaine Week ‘13

Day 6: Being Famous

 

 

Come benzedrina e Jack Daniel’s

a braccetto nello stomaco

 

 

 

 

1957. Qualcosa come il Blueberry Tour era quello che Blaine Anderson aveva sempre sognato nella vita.

Ore e ore a bordo del bus con la sua band, fermate alle tavole calde e poi tappe nei tv shows con pubblico dal vivo che andavano in diretta alla televisione! Gente che lo aspettava fuori dagli studios per chiedergli l’autografo! Manifesti col suo nome sui muri di città che lo accoglievano come se fosse il loro santo protettore o qualcosa del genere! E poi i suoi dischi si mantenevano sempre molto in alto sulla classifica Billboard, per la miseria!

Sì, Blaine era parecchio apprezzato in quel che faceva. C’era nato con la grinta dell’animale da palcoscenico, col beat nel sangue a metà fra country-folk e rock’n’roll. D’altronde teneva la chitarra in braccio e cantava con l’anima fin da quando era nient’altro che un moccioso di città, e adesso incredibilmente le sue canzoni erano in rotazione radiofonica ogni giorno. I suoi genitori erano così fieri di lui che, ogni volta che tornava in Ohio a trovarli, mettevano su una tavolata come neanche nel giorno del Ringraziamento e lo coccolavano come se fosse ancora il loro piccolo Blainey. E per tutto l’anno i vinili del loro amato figlio erano sempre in bella mostra in una teca, in ordine cronologico, intatti e puliti come reliquie; non che fossero quel genere di persone abituate a vantarsi, semplicemente erano orgogliosi oltremisura della fortuna che aveva investito il loro dolce giovane uomo.

 

Si diceva… Il Blueberry Tour. Questo era targato Sun Records e contava a bordo i cavalli di razza della scuderia. Ora loro stavano segnando un’epoca e probabilmente, nella loro sfrontata ebbrezza, non se ne rendevano nemmeno conto. Elvis Presley, Johnny Cash, Jerry Lee Lewis, Carl Lee Perkins e Blaine Devon Anderson: quelli di cui l’intera America parlava, quelli che scuotevano gli States e li attraversavano in lungo ed in largo, quelli a cui tutti avrebbero voluto stringere la mano un giorno o l’altro, quelli a cui le ragazze scrivevano sacchi e sacchi di lettere d’amore su carta profumata… Insomma, con la loro musica e le loro belle facce avevano il preciso compito di rappresentare l’America migliore. Era come se avessero stampato in fronte “Made in USA” e dovessero esibirlo con orgoglio sotto gli occhi del mondo. Il che era okay, finché nessuno veniva a conoscenza degli scheletri che serbavano nell’armadio. Non erano supereroi, nessuno di loro, anche se alla gente piaceva crederlo. No, erano uomini e, in quanto tali, vivevano anche di segreti e peccati. Droghe e groupies, nel migliore dei casi. D’altronde la carne è debole per tutti…

Ma Blaine… beh, la faccenda di Blaine era di natura un po’ diversa. Le mani che lo accarezzavano e i fianchi di cui si beava dopo i suoi show non erano mai quelli di una donna. Erano di Sebastian Smythe.

Quella sera, al termine di un’esibizione acclamata e trasmessa via cavo, non fu fatta eccezione. L’amante l’aveva raggiunto dalle parti di Dallas e lo aspettava a bordo della sua auto lussuosa parcheggiata davanti ad un hotel prestabilito.

 

Portava spesso un fazzoletto legato al collo, Sebastian. Era un regalo di Blaine, il primo e anche l’unico che avesse mai accettato. Un pezzo di stoffa verde che il cantante gli aveva avvolto attorno alla gola dopo la terza furtiva volta che avevano fatto l’amore.

«Questo ha un significato preciso?» aveva domandato allora Sebastian, dopo che le dita dell’altro si furono allontanate dal pomo d’Adamo.

«Solo se vuoi che l’abbia.» aveva sospirato Blaine. Sapeva che Smythe era uno spirito libero: selvaggio da metanfetamina, affascinante, sfuggente e per nulla devoto. Chiunque l’avrebbe etichettato assai frettolosamente come “puttana” ma Blaine, che aveva un cuore grande, non l’avrebbe per niente al mondo definito in quella maniera.

«Lo sai che non appartengo a nessuno.»

«Tienilo e basta, okay? Voglio solo un po’ di te, alle tue condizioni…»

E quindi Sebastian aveva annuito senza più riluttanze. D’altronde Blaine gli piaceva, gli piaceva un sacco, e spendere del tempo con lui era sempre molto soddisfacente. «E sia.» aveva detto, e si era soffermato a lungo sulle labbra piene e arrossate del cantante prima di sgattaiolare via dalla camera d’albergo veloce e in silenzio.

 

«Champagne? Francese, sul serio?» esclamò Blaine, infilandosi nella Mustang nera di Sebastian sotto una pioggerella che aveva tutta l’intenzione di farsi battente di lì a poco.

«Oui, mon chéri!» sorrise Smythe, dandosi un gran daffare a stapparlo. Via la carta protettiva, il tappo in sughero venne via con un pop. Si attaccò alla bottiglia e butto giù un paio di frizzanti e costose sorsate prima di porgere lo champagne all’altro. «Prego!»

Blaine si mostrò impressionato. In tour non aveva quasi mai il tempo di concedersi un piacere sofisticato come quello! Il fatto che Sebastian avesse bevuto lui stesso prima di offrire non lo stupì, era fatto così, con un ego abbastanza voluminoso. Assaporò il vino, mugolando quanto fosse buono.

«Ma sentitelo, sentitelo. Non siamo ancora in camera da letto e già guaisci, babe?» lo punzecchiò Smythe, riprendendosi la bottiglia.

Blaine se ne riappropriò subito, fingendosi seccato. «Da’ qua. E ora alza il tuo bel culetto e comincia ad entrare. Chiudo io qui, dammi le chiavi. La tua stanza è la 310.»

Sebastian ghignò in risposta, lasciò cadere le chiavi dell’auto nel palmo aperto dell’amante e saltò fuori in tutta fretta, raggiungendo l’ingresso del Far Away ad ampie falcate.

Naturalmente Blaine sapeva che quella storia era un enorme problema. Sentiva l’attenzione dei media e del pubblico puntata su di sé e questi sembravano chiedere una sola cosa: perché il ragazzotto con gli occhi tanto belli e la voce di miele non ha ancora trovato moglie? A volte si vedeva come un morto che cammina. Un flash, un’occhiata, una disattenzione nel momento e nel posto sbagliato avrebbero significato il crollo disarmante e totale della sua carriera. Di omosessuali non si parlava, se non per denigrarli. Checche. Invertiti. Rottinculo. Ecco come li chiamava l’America. Ecco come essa avrebbe chiamato lui, se fosse venuta a sapere.

Blaine scese dall’auto dopo circa venti minuti e, portandosi dietro lo champagne, chiese alla reception le chiavi per la 314. Con addosso una foga a dir poco euforica, passò davanti alla 310, bussò, aspettò che Sebastian comparisse sull’uscio e poi lo trascinò non troppo cautamente verso la propria camera. Oh, ma che importava… in corridoio non si vedeva anima viva.

«M-mi sei mancato… così tanto.» sussurrò Blaine, con i passi che s’inseguivano attutiti dalla moquette pulitissima e la faccia dolcemente martoriata dai baci di Sebastian.

«Dio, sei bellissimo, B.» mugugnò l’altro, godendosi il privilegio di scostargli i ricci umidi per la pioggia dalla fronte. In pubblico il cantante li teneva sempre in posa plastica con la brillantina, come voleva il suo agente. In camera da letto, diventavano curve brune che Sebastian accarezzava e tirava finché le dita non gli facevano male…

«Avrei voluto che mi sentissi cantare, stasera.» mormorò il bruno, ottenebrato dai baci e dalle mani dell’altro che lo spogliavano con lentezza.

«Uh, quanto sei vanesio. Posso comprare un tuo disco in qualsiasi negozio.» lo sbeffeggiò Sebastian, fingendo una freddezza che in realtà non gli apparteneva.

«No, dovevi sentirmi. Ho presentato un nuovo pezzo…» il cantante esitò, adagiandosi sul materasso e lasciando che l’amante si distendesse su di lui «…il pubblico l’ha adorato… ed era per te. E faceva cos-»

Sebastian si frenò nel rendere onore al petto dell’altro, scosse la testa e incurvò le labbra in un sorriso sornione. «Blaine, guardami. Sono una puttana ricca sfondata che se la spassa con i soldi del paparino e non è capace di amare nessuno. Forse certi gesti dovresti risparmiarli per qualcun altro e non sprecarli per uno come me, hm…?»

Blaine strabuzzò gli occhi e scansò un bacio in arrivo, innervosito. «Non parlare di te in quel modo. Sei proprio uno stupido.»

«Ah-ah, sbagliato. Tu sei uno stupido, perché ti stai innamorando della persona sbagliata.» asserì Sebastian in tutta leggerezza, tentando nuovamente di baciarlo.

«Esci da questa stanza, allora. Esci e non tornare.» bofonchiò Blaine, le parole soffocate dalla voracità dell’altro.

«Sai che non ho alcuna intenzione di farlo…» disse Sebastian, sensuale, lambendo con piccoli tocchi della lingua l’argine composto delle labbra di Blaine. Con un po’ di insistenza riuscì a dischiuderle e a rubargli il respiro.

I loro corpi, nudi e vogliosi di macchiarsi come colpevoli, si rincorrevano in un accordo fatto di alti e bassi. Giocavano a nascondino con il piacere, attardandosi nell’assaggiarlo poco per volta, pezzo a pezzo. Facevano finta di esser padroni del tempo e se ne appropriavano per commettere peccati tanto deliziosi da non potersi pronunciare. Ogni centimetro di pelle che veniva morsa, sfiorata, leccata, era un gradino che saliva verso il tempio di un qualche dio pagano; in cima, avrebbero raccolto di nascosto fiori e ambrosia direttamente dalle mani di un Apollo splendente e ne avrebbero goduto fino ad essere del tutto ubriachi.

«Seb… Seb!» uggiolò Blaine, aggrappandosi alle anche ossute di Sebastian che danzavano su di lui. Smythe chiuse gli occhi, per un attimo fece combaciare con dolcezza le loro fronti, affondò una mano nel materasso e l’altra l’avvinghiò alla testiera del letto. Ghignò in Francese qualcosa che l’amante non poteva capire e lo fece sussultare di piacere spinta dopo spinta, perdendo a sua volta ogni affanno terreno. E l’orgasmo -proibito impulso di libertà- arrivò a frangere i loro muscoli febbrili e vibranti. Erano felici Blaine e Sebastian; non di quella felicità che rimaneva astratta sospesa per aria, ma quella che ti si rovescia addosso come un acquazzone e ne esci fradicio fino all’osso.

E quando quella meravigliosa sensazione svanì, Sebastian capì che forse uscire dalla stanza con la discrezione di sempre non sarebbe stato possibile anche stavolta. Saccheggiò selvaggiamente il frigobar e, sbronzo e barcollante, finì col fracassare una lampada. Non si diede pena di raccoglierne i cocci e «Vado con altri uomini, B.» disse, con l’anima a pezzi come il lume «E mi pagano per questo, e mi comprano anche cavalli purosangue e belle auto… La Mustang me l’ha regalata Fitz.». Esalò un respiro sbattendo la schiena contro il muro e scolando una mini-vodka in un unico lunghissimo sorso. «Anche se Fitz a letto non è splendido la metà di quanto lo sei tu.»

Blaine, ancora steso fra le lenzuola, si sentì gelare il sangue nelle vene. Si tirò su sui gomiti. «Pensavo non avessi problemi di soldi…» sussurrò, maledicendo il proprio labbro che tremava per il disappunto. Quello che Sebastian gli stava rivelando era fastidioso, avrebbe preferito non venirne a conoscenza. Perché Smythe doveva atteggiarsi da bastardo? Aveva già messo in chiaro troppe volte che la loro non era una relazione, che bisogno c’era adesso di sbattergli in faccia con chi andava?

«Non sono i soldi. Non lo faccio per quello. Non so quale sia il motivo in realtà.» replicò l’altro, e il cantante giurava di non averlo mai visto in uno stato tanto pietoso. Blaine avvertì una parte di sé morire dentro quando lo vide accasciarsi lungo la parete e poi per terra con l’ombra del sentirsi in difetto che oscurava gli occhi verdi intristiti dall’alcool. Fulmineo andò a tirarlo su e, senza nemmeno accorgersene, pianse mentre lo faceva. Era stanco e lo voleva. Lo voleva in tutti modi possibili, suo. «Da me non accetti regali, però…»

Sebastian scosse con violenza la testa, si stropicciò i capelli ed evitò lo sguardo mortificato di Blaine. «È diverso. È diverso.»

«Diverso come?» lo rimbeccò il cantante, ringhiando la propria frustrazione contro la spalla di Seb. «Ti darei qualsiasi cosa, lo sai! Qualsiasi cosa tu chieda! E non ti tratterei come un oggetto!»

«Io sono un bugiardo, B.» sbiascicò l’altro, la bottiglietta vuota che gli sfuggì dalle sinuose dita infiacchite e prese a rotolare sulla moquette… Si reggeva a stento in piedi.

«Non parlarmi per enigmi, ragazzo francese!» disse Blaine, tirando su con il naso e conducendolo verso il letto. Quello che aveva cercato di non-provare per Sebastian stava esplodendo proprio in quell’istante. Una grande e bellissima rovina, come benzedrina e Jack Daniel’s a braccetto nello stomaco.

«Sono io che mi sto innamorando di te.»

Il cuore del cantante faceva mille giri al minuto. Non aveva sentito davvero quello che aveva sentito, magari. La rivelazione scottava. Le guance di Blaine scottavano. L’intera faccenda scottava. Era tutto un camminare su acciaio arroventato. «Sebastian.» disse soltanto Anderson, quando ebbe realizzato che ogni cosa lì dentro era reale e reali erano le parole pronunciate dal giovane Smythe. Si sedette a fianco di quel ragazzo pelle e ossa così incantevole da togliergli il lume della ragione notte e dì. «Sebastian, vieni qui.» mormorò, slanciandosi in un abbraccio.

Abbraccio che l’altro respinse mollemente. «No, non va bene. Perché sei Blaine Anderson e non te lo puoi, non ce lo possiamo permettere! Devi trovarti una moglie e fingere per l’America che ti piaccia fotterti una donna! E io sono tipo egoista, incostante, testardo e fra un paio di mesi non sopporterai più tutto il mio snobismo del cazzo e… »

«Sebastian. Sebastian, oh mio dio. Shhh.» Blaine gli tappò letteralmente la bocca premendo le labbra sulle sue.

«Finirai nei guai, B.» cantilenò Smythe, facendo sgattaiolare le dita fra le cosce nude di Blaine. Accarezzava la pelle con desiderio svagato. «Finirai nei guai per colpa mia.»

«E se anche fosse? Se anche fosse? Ci finirei con te, e non m’importerebbe d’altro!»

«Ma la tua musica…»

«Canterò per te tutta la vita.» sussurrò Blaine. Trasalì non appena Sebastian si chinò fra le sue gambe. «Vieni-» fu costretto ad interrompersi perché Smythe non era intenzionato a sprecare un solo minuto del tempo che avevano da trascorrere insieme e aveva cominciato a disseminare la linea interna della sua coscia di baci e brevi lappate. «Vieni… vieni alla matinèe di domani.» gli propose, respirando a fatica e sfiorandogli l’attaccatura dei capelli sulla nuca. Le labbra dell’altro si avvicinavano pericolosamente alla zona rossa. «Dimmi che verrai, Sebastian, ti prego.»

Quello alzò il capo e annuì. «Verrò, se prometti che poi possiamo chiuderci a chiave e scopare in camerino.» disse, e Blaine lo conosceva abbastanza per capire che non stava affatto scherzando.

Qualche minuto dopo rollarono un paio di spinelli e li fumarono accanto alla finestra aperta, con la pioggia che scrosciava e ingrigiva la città. Fuori, l’ordinario, e dentro invece c’erano loro, ad amarsi senza inibizione, ad amarsi con la bocca, con gli occhi, con le mani e con la testa, ad amarsi con il cuore, con l’anima e con l’incoscienza. Ad amarsi. Più di chiunque altro, meglio di chiunque altro. Parlavano di comprare una roulotte a tour finito e di correre giù per la Route 66 l’estate successiva; fuggire suonava davvero allettante e, fra un bacio e un tiro di fumo, si giurarono che l’avrebbero fatto.

 

   
 
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