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Autore: Elsa Maria    11/06/2013    3 recensioni
[...]Non volevo morire, non volevo morire ora che loro stavano litigando, dovevo farle riappacificare, dovevamo ancora vivere tanti momenti felici. Allungai una mano verso di loro, vidi gli occhi di Miku spalancarsi, e poi sentii il mio nome, urlato. Sentii il mio corpo farsi più freddo, un qualcosa di viscido macchiarmi tutto il corpo che stava toccando l’asfalto… Non riuscivo a capire quale zona. Le palpebre si fecero pesanti e, mentre la vista veniva a mancare, guardavo la stella, che mi era sfuggita di mano, di nuovo lontana.
Ero morta.
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Dalla canzone Reboot di Miku Hatsune, Luka Megurine e Zimi Sasume. Il racconto della storia mi ha commosso dal profondo, tanto che mi sono sentita in dovere di raccontarla a parole e spero proprio di aver reso come si deve i sentimenti che le cantanti provano.
Buona lettura.
Genere: Drammatico, Malinconico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Luka Megurine, Miku Hatsune, Nuovo personaggio
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Un paesaggio al tramonto, con il sole tinto di arancione e giallo, su uno sfondo rosato; una leggera brezza d'aria fredda che scendeva dalla collinetta, a cui piedi c'era una cittadina, nella periferia di Sapporo, Hokkaido.
Sulla cima della collinetta due bambine attendevano il terzo membro del trio; si voltarono a guardarla quando la sentirono arrivare. Appena fu davanti loro porse alle due dei pacchetti. Alla bambina che era alla sua sinistra, dai capelli azzurri e gli occhi grandi e rosa, porse una bustina a rombi gialli e arancioni, sigillata da una stellina. All'altra dai capelli rosa, che sciolti le ricadevano lungo la schiena e gli occhi color prugna, porse una bustina a rombi viola e rosa, sigillata da una stellina. Le due, scambiandosi prima un'occhiata, aprirono curiose il regalo ed estrassero il contenuto. Un portachiavi d'oro con appesa una stella. Fecero girare il ciondolo, così procurando dei riflessi con la luce del sole; lo guardarono con ammirazione.
La bambina che aveva regalato i due portachiavi mostrò il suo e tutte e tre alzarono in cielo le stelle, come per stipulare un patto d'alleanza infrangibile. 


Re boot


All'uscita della scuola iniziò a piovere. Sospirando guardai il cielo: non sembrava voler smettere. Avevo lasciato l'ombrello a casa, perché avevo fatto tardi ed ora ero bloccata a scuola. Voltai il mio sguardo verso i miei piedi, mi sarei annoiata di certo.
“Zimi-chan.” Mi chiamò una voce. Mi voltai e dietro di me vidi Luka e Miku, le mie migliori amiche, che impugnavano un ombrello a quadri che mi porsero.
“Andiamo insieme?” Propose Miku. Io sorrisi concordante, loro erano la mia salvezza, le amiche che mai mi avrebbero abbandonato; eravamo troppo unite per poterci dividere. Del gruppo forse ero quella più taciturna, potendo così sembrare agli occhi degli altri il terzo in comodo, ma io non mi sentivo tale, anzi mi piaceva ascoltarle, vederle ridere e scherzare, rendendomi anche in questo modo partecipe alle loro discussioni. Durante il tragitto, mentre il nostro riflesso scorreva nelle vetrine dei negozi al nostro passo, loro parlarono del più e del meno, di quello che era accaduto a scuola, ed io le ascoltavo sorridendo. Poi un raggio di luce ci toccò i volti e, uscendo dal coperto del l'ombrello, guardammo il cielo, coperto da nuvole bianche e grigie, lentamente aprirsi, mostrando il sole che per tutto il giorno aveva rinchiuso. Momenti come quelli, felici, spensierati, dove un sorriso seguiva un altro, colmando quell'atmosfera già perfetta, dove la vita scorreva lenta, capace solo di darci il meglio. Ci demmo appuntamento per un gelato, il pomeriggio del giorno dopo. Ero felice, felice di avere amiche come loro, felice della nostra felicità; ma non potevo immaginare quello che poi sarebbe successo.
Il giorno dopo come deciso prendemmo il gelato, ognuna di noi si fece il cono con un'unica pallina del suo gusto preferito. Io mi tenevo un po' a distanza da Luka e Miku che erano avanti a me, e tranquillamente leccavo il dolce freddo. 
“Poi c'è stato Len che ha fatto quella battuta e Gakupo che è tutto arrossito, secondo me gli piaci.” Scherzò Miku.
“Ma cosa dici Miku-chan.” Ridacchiò a sua volta, dandole una botta alla spalla. Quel gesto scherzoso, però, fece cadere il gelato di Miku. Io guardai Luka, che, ancora divertita dalla battuta precedente, si scusò; ma Miku, credendo che l'altra le avesse fatto cadere il gelato di proposito gli diede una spinta, facendo così cadere anche il suo gelato. Io trattenni il respiro, quando Luka arrabbiata iniziò a tirare i capelli a Miku, la quale, per contrattaccare, le afferrò una guancia, mentre con l'altra mano era trattenuta da quella libera di Luka. Le guardai spaventata, dovevo dividerle, ma come? Dissi dei “smettetela” sussurrati, quasi soffocati. Protesi una mano avanti per fermarle, però, dalla borsa di Luka si staccò il ciondolo con la stella, il simbolo della nostra amicizia. Quello finì in strada. Io mi precipitai a recuperarlo. Mi chinai e lo raccolsi, fortunatamente non si era rovinato, le guardai, litigavano ancora. Nel momento in cui stavo per alzarmi, sentii un clacson suonare, girai la testa: un camion a tutta velocità stava venendo dritto contro di me. Non volevo morire, non volevo morire ora che loro stavano litigando, dovevo farle riappacificare, dovevamo ancora vivere tanti momenti felici. Allungai una mano verso di loro, vidi gli occhi di Miku spalancarsi, e poi sentii il mio nome, urlato. Sentii il mio corpo farsi più freddo, un qualcosa di viscido macchiarmi tutto il corpo che stava toccando l’asfalto… Non riuscivo a capire quale zona. Le palpebre si fecero pesanti e, mentre la vista veniva a mancare, guardavo la stella, che mi era sfuggita di mano, di nuovo lontana. 
Ero morta.
Il giorno dopo, al mio funerale, che era stato allestito in una sala della mia casa, dove una mia foto padroneggiava sul l’altare contornati di fuori bianchi, colore del lutto, le mie migliore amiche, una lontana dall’altra, erano in piedi con addosso abiti scuri. Luka guardava la mia foto, ancora incredula e sconvolta, mentre Miku, con la testa china, piangeva, con uno stato d’animo fra l’arrabbiato e il disperato. 
“E’ colpa tua.” Disse poi bisbigliando. Luka spostò l’attenzione su di lei. “E’ tutta colpa tua!” Urlò, con le lacrime che ormai avevano lasciato i solchi sulle sue guance. “E’ colpa tua se è morta! Se tu non mi avessi dato quella spinta a quest’ora sarebbe ancora tra noi! Tu, dovevi morire tu al suo posto!” Coprì gli occhi con le mani, continuando a gridare in preda ad una folle disperazione. L’altra, taciturna, rimase ferita, subendo le accuse che le venivano fatte, credendole anche vere. Non potevo ancora andarmene, non potevo lasciarle sole, così divise; dovevo continuare a vegliare su di loro, sperando che un giorno si sarebbero riappacificate. Quindi, come spettro le avrei tenute d’occhio. 
Nei giorni che seguirono, Miku e Luka si evitarono, neanche più si volgevano uno sguardo. In un giorno di pioggia, molto simile a quello di quando io mi dimenticai l’ombrello, Luka non aveva riparo e sperava che la pioggia avrebbe smesso presto di cadere, così che avrebbe potuto correre a casa. Guardava le gocce che veloci raggiungevano il suolo, pensando che durante un suo sospiro almeno un miliardo di gocce toccavano terra. Sentì poi dietro di sé delle risate, e vide uscire, passandole accanto, Miku che in compagnia di Meiko se ne stava andando, protetta dal suo ombrello rosa con le fragole. L’azzurra le lanciò un’occhiata fugace, che lei, però, percepì bene, rimanendo ancor più ferita. Tirando su con il naso e asciugandosi una lacrima che era in bilico sulla palpebra inferiore, scappò via, nella direzione opposta all’altra. Perché stava succedendo tutto quello? Io non ero l’anello forte della catena, allora perché si è spezzata? Perché tanta infelicità, quando la vita è tanto bella? Anche se adesso sono uno spirito io voglio che loro vivano, e che lo facciano anche per me. Mi sentivo abbandonata; io ero lì per assicurarmi che si rincontrassero, non per vedere come si dividevano… Perché era accaduto tutto quello? Decisi di seguire Luka. Rannicchiata sul letto piangeva, piangeva tanto, stringendo nel pugno il ciondolo a stella, invocando il mio nome e chiedendomi consiglio. Io mi misi accanto a lei, cercando di poggiarle le mani una sul ginocchio e una sulla spalla, ma i miei arti, essendo spirito, attraversavano il suo corpo. Allora risposi subito a quelle suppliche: “Miku non ti odia, dovete chiarirvi, non piangete per me. Luka-chan, dovete continuare a vivere, questa depressione non vi sarà di alcun aiuto. Luka-chan, Luka-chan, riesci a sentirmi! Luka-chan!” La mia voce però era solo aria, aria che si mescolava a quella già presente nella stanza. Non poteva sentirmi ed io così non potevo risponderle. Continuava a dire il mio nome, senza sapere che non avrebbe ricevuto un responso. Afflitta decisi di andare da Miku, dove la situazione era identica. Perché non si parlavano? Eppure lo stato d’animo era lo stesso. Per quanto lei poteva mostrarsi forte davanti Luka, dentro soffriva, soffriva tanto. Anche con lei feci la stessa cosa, ma il risultato non variò: potevo solo rimanere a guardare, non potevo altro.
Passarono le settimane, i mesi, anche gli anni, ed io rimasi a guardare come entrambe oramai si erano allontanante, cambiando scuola, amici, tutto pur di non dover far incrociare i loro sguardi; ma entrambe continuavano a piangere segretamente nelle loro camere, come da bambine, come da adolescenti, come da universitarie. Io mi ero arresa, mi sentivo stanca, ma non potevo ancora raggiungere la pace, quello che doveva essere il mio compito, il desiderio di riunirle che avevo espresso prima di morire, attendeva impaziente di essere realizzato. E così, abbandonata in un vicolo sotto casa di Luka, ero seduta affaticata, senza più speranza. Una bambola. Quatto quatto un gatto nero mi si avvicinò, ed iniziò a leccarmi affettuosamente le dita, quelle dita che non potevano raggiungere le mie amiche divise. Il sole mi batteva forte in volto, ma non riusciva a toccarmi, non percepivo più il suo calore. Ero morta d’altronde. Poi udii dei tacchettii, e una figura di donna mi passò davanti, sfoggiando in tutta la sua bellezza il cappotto rifinito con cura bianco, delle scarpe del medesimo colore dal tacco basso e quadrato; sul volto aveva degli occhiali da vista con una montatura nera e i suoi bellissimi capelli, che sempre avevo invidiato, che fluttuavano, lievemente alzati dal vento. Con fatica mi alzai da terra e la seguii. Controllò il cellulare durante il tragitto, accertandosi che il luogo che le era stato indicato era lo stesso di quello dove lei si stava dirigendo. Si fermò un attimo davanti il cancello dell’entrata dell’edificio. Era la mia scuola elementare, che, dopo i diversi anni passati, era stata ristrutturata ed ora faticavo quasi a riconoscere. Quella che ormai era una donna, non più la mia amichetta Luka, entrò mischiandosi alle tante persone lì presenti. Si fermò un attimo a guardare un tabellone color crema sul quale c'era scritto: club d'astronomia. Luka rimase un attimo ad ammirarlo, soprattutto per le stelle che decoravano il cartellone. Io la guardavo da lontano, come me anche lei era rimasta bloccata nel passato e non riusciva ad uscirne; d’altronde io ero ancora qui, non di certo senza un motivo. Poi si voltò velocemente, quasi per scacciare via qualche ricordo sgradito e con passo svelto entrò dentro la scuola. Salì due rampe di scale, voltò a destra, percorrendo il corridoio stretto che portava alle aule. La sua camminata cessò davanti una porta, quella che era della nostra ex classe. Luka fece scorrere la porta. La persona che era all’interno, appena sentì il rumore dello scorrere, si voltò. I capelli raccolti in due codini ondeggiarono armoniosamente con lei, gli occhi che un istante prima fissavano un punto vuoto al di fuori della finestra, nella speranza di trovare qualcosa, si spostarono su Luka che sbalordita, spiazzata, spalancò gli occhi. Velocemente si voltò, con passo svelto ritornò sui suoi passi, stringendo i denti, trattenendo le lacrime. Perché se ne stava andando? Proprio ora che avrebbero potuto parlare, perché scappava? Anche lei voleva scusarsi… Perché? Miku però, facendo rimanere sorpresa anche me, afferrò la mano di Luka, fermandola. Lei fece un volto sorpreso e senza pretese bloccò la sua corsa. Voltando per prima il volto guardò Miku, che con le lacrime agli occhi chinò di poco la testa di lato, dicendo:
"Scusami è colpa mia. Per tutti questi anni ho addossato la causa della morte di Zimi a te, ma in realtà è stata colpa mia. Se solo non ti avessi colpito facendoti cadere il gelato, adesso..." Luka, che come lei stava piangendo, si girò anche con il corpo, prendendole la mano tra le sue, per confortarla. 
"Non è colpa tua Miku, è colpa di entrambe... Se solo ti avessi chiesto scusa." L'azzurra pianse più forte e lentamente scivolò a terra; l'altra la seguì, tenendole il volto sulle sue ginocchia. Per anni erano rimaste divise perché non si erano chiarite e scusate, ed ora con semplici parole si erano riappacificate. Anche se ero uno spirito, sentii le lacrime rigarmi il volto; dopo anni ero riuscita ad assistere alla loro riunione e una sensazione di pace mi pervase l'animo morto. Il mio corpo spettrale iniziò a sbiadire e lentamente scomparvi: avevo finito? Il mio compito era completo? Luka, Miku, non piangete più, ridete, ridete per me. 
E svanii.
Quella sera, però, sotto il cielo stellato delle voci di gioia, risate d'allegria, mi richiamarono. Le vidi scherzare tra di loro. Miku si protese leggermente in avanti sorridendo. La stella che portava al collo come ciondolo, pendolò un po'; Luka, invece, sorrise, ricambiando quello dell'altra, mostrando così l'unico orecchino che aveva sull'orecchio destro, al quale era appesa la stella. 
Sorrisi, anche se loro non potevano vedermi. Congiunsi le mani al petto, sentendomi più leggera. Un improvviso calore si impossessò del mio corpo e una luce scaturì da me, espandendosi intorno. 
"Grazie." Dissi prima di scomparire, anche se loro non potevano sentirmi. 
Vivete, vivere per me, e non siate mai tristi, anche se io sono disposta a rendere la vostra tristezza felicità.

"Luka, hai sentito anche tu?" Domandò Miku.
"Zimi..." Sussurrò. Le due si guardarono e sorrisero.
"Zimi-chan, grazie a te." Dissero guardando verso il cielo, dove tre stelle erano allineate, come lo erano loro quando brandirono in alto il loro simbolo d'amicizia. 

Amiche, per sempre.



N.d.A.
Salve a tutti! Questa è la mia seconda storia pubblicata su questo fandom in una settimana! Non so se molti conoscono questa canzone, ma merita veramente di essere sentita. Dagli stessi creatori di: "From Y to Y" cantata da Miku e Len, più la collaborazione del disegnatore di: "Secret" cantata da Luka ne è venuta fuori questa magnifica canzone: "Reboot" con la collaborazione di Sasume Zimi che ho messo come nuovo personaggio. Lei non è né un Vocaloid, né un Utau, è un esclusivo di "OneRoom" che ha creato un proprio personaggio; questo è il link del video, più i sottotitoli italiani: 
http://www.youtube.com/watch?v=_kTxQdbw1HI . Beh, dal mio scritto si capisce di cosa parla la storia ed io giuro che ho pianto ben tre volte rivedendo il video! Quindi spero con tutta me stessa di aver fatto capire almeno gli avvenimenti della storia. Non ho altro da aggiungere. Recensite per favore, almeno così capirò se ci sono errori o meno e se vi è piaciuta la storia.
Alla prossima!
Here we Go!

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