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Autore: Elyana    14/06/2013    0 recensioni
Basta!
Avrebbe voluto urlarlo, ma non poteva. Le parole non volevano uscire, bloccate dall'orrore e dall'ostinata quanto irrazionale voglia di non dar soddisfazione a colui che gli stava causando tanto dolore, il mostro che aveva sempre considerato un fratello e che ora, senza alcun rimorso, stava uccidendo il suo popolo.
Genere: Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Danimarca, Nordici, Svezia/Berwald Oxenstierna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Basta!

Avrebbe voluto urlarlo, ma non poteva. Le parole non volevano uscire, bloccate dall’orrore e dall’ostinata quanto irrazionale voglia di non dar soddisfazione a colui che gli stava causando tanto dolore, il mostro che aveva sempre considerato un fratello e che ora, senza alcun rimorso, stava uccidendo il suo popolo.

Non riusciva ancora a credere a ciò che stava succedendo. Aveva creduto, sperato, che fosse tutto finto, che le battaglie, almeno per qualche tempo, si sarebbero interrotte. Ma Dan era stato meschino, e aveva agito in modo incredibilmente subdolo. Era stato fin troppo intelligente e furbo, doveva ammetterlo, per essere completamente schizzato.

O forse era stato lui ad essere troppo ingenuo. Ma aveva pensato che, come lui, anche Dan fosse stanco di combattere, e che avrebbe rispettato finalmente le sue opinioni. Ma così non era stato, ed ora era lì, con la mano di Danimarca che gli impediva di spostare lo sguardo dallo scempio che di fronte a lui, nel cuore di ciò che lui era, si stava compiendo.

Erano passati solo pochi giorni, appena una settimana, da quando seppur controvoglia, aveva accettato di giurare fedeltà a Kristian II, il re della Danimarca, e di farlo sedere anche sul suo trono. Si era anche convinto che fosse una buona soluzione: le guerre tra svedesi e danesi si sarebbero interrotte almeno fino alla morte del sovrano, e magari ancora oltre. Inoltre Kristian aveva giurato solennemente di usufruire solo di funzionari svedesi proprio per ascoltare meglio ciò che la Svezia desiderava.

Tutte menzogne, che sul momento non aveva riconosciuto come tali.

La festa per l’incoronazione del nuovo re era durata per ben tre giorni, in cui anche lui aveva brindato alla salute del nuovo re e aveva parlato amichevolmente con Danimarca della restaurata pace e della sventata fine dell’Unione di Kalmar. Adesso si malediceva per non aver notato la cattiveria dietro quell’espressione di immutabile serenità.

Pensandoci bene, le avvisaglie c’erano state. Un tono più sarcastico da parte di Dan, o il fatto che Norvegia stesse, ancora più del solito, in disparte e cupo. Per tutte le sere, Nor l’aveva evitato, abbassando lo sguardo quando i loro occhi di incontravano, quasi si sentisse in colpa. Ma Berwald aveva fatto finta di nulla, e aveva sbagliato.

Era stato uno sciocco, ma lo aveva capito troppo tardi. La quarta sera Danimarca aveva ordinato di chiamare alcuni nobili molto influenti in Svezia, e sentendo i loro nomi aveva capito di essere caduto in trappola. Dan aveva richiesto la presenza di tutti coloro che avevano sostenuto Sture, il reggente ucciso pochi mesi prima perché contrario al governo danese. Avrebbe dovuto aspettarsi che sarebbe successo.

Si era mosso per bloccare l’ordine, ma Dan era stato più veloce e gli aveva bloccato le braccia dietro la schiena in una morsa ferrea. Sebbene Svezia fosse più alto e robusto non era riuscito a liberarsi dalla presa dell’altro. Aveva assistito impotente mentre la sala si svuotava e i nobili venivano trascinati fuori a forza. Chi tentava di ribellarsi veniva colpito dai soldati danesi così tante forte che veniva meno qualsiasi voglia di resistere e combattere.

Una volta rimasti da soli, Danimarca l’aveva lasciato andare ed era scoppiato in una risata roca. «Davvero credevi che quei traditori l’avrebbero passata liscia?», aveva detto. «IO sono il re, e sono IO che comando!».

Svezia l’aveva guardato in silenzio, impassibile. Prima che potesse proferire parola, infatti, la porta era stata aperta ed era entrato l’arcivescovo Trolle. Danimarca l’aveva abbracciato con un sorriso trionfante stampato in faccia, e, dopo averlo tirato fuori dalla tasca, gli aveva consegnato un foglio. «Grazie, questo mi è stato molto utile», aveva detto il danese lanciando uno sguardo beffardo al suo compagno.

Berwald non aveva accettato la provocazione, ancora sconvolto dal tradimento dell’arcivescovo. Si era limitato a guardare tutti e due con uno sguardo talmente truce da far arretrare il traditore. Sapeva che Trolle era tra i sostenitori dell’unione tra Danimarca, Svezia e Norvegia, ma mai avrebbe creduto che un uomo di chiesa, una volta raggiunto il proprio obiettivo, avrebbe preteso una simile vendetta.

Danimarca aveva riso di nuovo per poi ordinare alle guardie di imprigionarlo. Lui si era lasciato trascinare senza resistere o proferire parola, e il giorno dopo era iniziato l’inferno.

Trolle aveva condannato, con la falsa accusa di eresia, tutti gli oppositori del re. I primi a morire erano stati due vescovi che da sempre avevano dato fastidio al religioso, e in seguito la stessa sorte aveva colpito altri nobili, ma anche semplici cittadini passati lì per caso, tutti annegati o decapitati.

In poco tempo Stoccolma si era riempita di cadaveri e lui non si era potuto muovere dal posto che gli era stato riservato su una piattaforma sopraelevata, di fianco ad un Danimarca riluttante a smettere di ridere e ad un re che sorrideva della morte della popolazione che aveva promesso di proteggere solo pochi giorni prima.

La fine della giornata era stata segnata dall’uccisione di un borgomastro di un villaggio sperduto nel nord, e le gocce di pioggia erano cadute fitte quasi a cancellare dalla sua memoria quei gesti abominevoli. Era stato portato di nuovo via e rinchiuso nella piccola cella nei meandri delle carceri di palazzo, dove non era riuscito a darsi pace per tutta la notte, diviso tra rabbia e nausea.

Cosa era diventato, Danimarca? La sete di potere lo aveva trasformato in un mostro, e nessuno si era accorto del reale cambiamento fino a quel momento. Erano sempre stati come fratelli, ma ora non riusciva a riconoscerlo. La risata che lo caratterizzava, quella aperta e fastidiosa che sapeva metterti allegria nonostante le avversità, si era trasformata in un suono isterico e finto, che rasentava la follia.

Berwald aveva strinto i pugni quando i soldati l’avevano portato nella grande sala del trono, la mattina seguente. Danimarca sedeva sull’alto scanno, con un sorrisino strafottente sul volte, e Norvegia in piedi al fianco. Entrambi lo avevano guardato e il primo aveva riso del suo sguardo tagliente. Non gli importava nulla del suo odio, non capiva ciò che stava facendo e le conseguenza del suo gesto.

«Allora, Svezia», aveva detto in tono allegro. «Hai capito, adesso, a chi devi il tuo rispetto? Hai capito chi è il tuo re?».

Lui era rimasto semplicemente in silenzio, cercando di contenere i sentimenti esplosivi dentro di sé che rischiavano di non farlo ragionare. Colpirlo avrebbe solo fatto aumentare la sua crudeltà, e questo lui non lo desiderava. Trattenne le parole aspre che avrebbe voluto sputargli in faccia, mentre l’altro si avvicinava e lo costringeva a guardarlo negli occhi.

«Se ancora non lo hai capito, lo farai oggi», aveva proseguito, questa volta con un tono così serio da non ammettere repliche. «Questa sera mi giurerai fedeltà incondizionata».

Detto questo Dan era uscito dalla stanza, lasciandolo solo con Nor. I due si erano guardati, lo svedese cercando di capire se l’altro centrasse qualcosa con tutto quello che gli stava accadendo, e l’altro con il suo tipico sguardo apatico. «Jeg beklager*», gli aveva detto soltanto, prima di seguire Dan fuori.

Non me ne faccio nulla delle tue scuse, aveva pensato, guardando la sala che una volta era il luogo del suo potere, ma che ora rappresentava il simbolo della sua sconfitta.

Le guardie erano tornate e lo avevano ricondotto nella grande piazza della città. Il bagno di sangue era ricominciato ed aveva perso il conto dei morti, troppi per riuscire a sopportare ancora a lungo quella vista senza uscire di senno. Ma Dan lo bloccava e lui non riusciva proprio a trovare la forza di scrollarselo di dosso.

Berwald guardò l’ennesimo nobile salire sul patibolo e lo guardò morire senza quasi provare alcun orrore o qualsiasi altro sentimento. Più la giornata si avvicinava alla propria fine, più lui si sentiva diventare insensibile, una roccia o un pezzo di quella piazza.

Il sole aveva appena superato il punto più alto del suo arco giornaliero, quando guardando tra la folla che riempiva la piazza vide una figura minuta che lo guardava fisso cercando di trattenere le lacrime invano. Tino.

Svezia sperò che Dan non lo avesse visto. In quell’istante non aveva idea di cosa poteva fargli, e non voleva neanche saperlo. Ma proprio allora sentì il danese sghignazzare: «Ma guarda un po’ chi c’è». Fece un cenno ai soldati, che circondarono il giovane ed iniziarono a trascinarlo verso di loro a furia di gomitate e strattoni.

Non seppe mai dove trovò la forza, ma riuscì a liberarsi dalla morsa di Dan e a tirargli un pugno proprio sul naso, facendolo sanguinare. Era così abituato alla vista del sangue che non si accorse di quello che gli sporcava la mano, almeno finché, dopo aver scostato da Finlandia i solfati ancora paralizzati dallo stupore, gli strinse la mano e lo trascinò lontano dalla loro portata.

«Torno subito», gli disse. «Devo prima sistemare una questione». La sua voce suonò più dura di quanto avrebbe voluto nel rivolgersi al ragazzo, ma Tino sembrò non badarci.

L’altro gli afferrò la casacca, impedendogli di voltarsi. «Non fare stupidaggini. Il tuo popolo ha sofferto già troppo per colpa dell’ira di Dan».

Berwald annuì. «Grazie, Tino». Con delicatezza allentò la presa dell’altro sui propri vestiti e si diresse con lentezza al centro della piazza, posizionandosi in modo da vedere bene in faccia Danimarca.

La Svezia non avrebbe mai abbassato la testa di fronte alla Danimarca. Mai più.

«Danmark!», disse preparandosi mentalmente ad uno dei discorsi più lunghi che avesse mai pronunciato. «Stamattina mi hai chiesto se avessi capito chi era il mio re. Ora ti do la mia risposta: non sei tu. Io sono libero, tu non sei nessuno».

Nella piazza calò il silenzio, così la sua ultima frase suonò chiara e distinta. Dan l’avrebbe ricordata per sempre. Era la fine di tutto.

 «Non sarai mai il mio re!».

 

 

 

 

 

Note Autrice

*jeg beklager: mi dispiace (norvegese, almeno secondo Google Translate)

 

Per prima cosa: GRAZIE! Seconda cosa: lasciate anche una recenzione di due parola, please!

L’argomento della fanfiction è il “Stockholms blodbad” avvenuto tra il 7 e il 10 Novembre 1520, e con cui finisce, dopo diverse lotte intestine, l’unione di Kalmar. Se volete saperne di più, la fonte è Wikipedia.

 

Spero che la storia vi sia piaciuta e che non l’abbiate trovata troppo pesante, visto l’argomento non proprio allegro.

Grazie ancora di aver letto! XD

   
 
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