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Autore: Lucrezia89    18/06/2013    8 recensioni
Episodio 3x04 - Discussione con il re Ferdinando e momento della consumazione dal punto di vista di Cesare
Genere: Drammatico, Storico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Alfonso d'Aragona, Cesare Borgia, Lucrezia Borgia, Nuovo personaggio, Rodrigo Borgia
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Il re Ferdinando di Napoli, un uomo piccolo e insignificante, aveva convocato me e mio padre nella nostra biblioteca di famiglia come se fossimo noi gli ospiti quando, invece, era il contrario.
Con noi si trovava anche il Cardinale Sforza.
«Volevate parlarci?  In privato?» domandò mio padre non appena varcammo la soglia.
Il re uscì dal cono d’ombra nel quale si era nascosto e, a mani giunte, disse: «E’ una questione delicata, Santità.
Ma una questione che non può essere più procrastinata»
«Allora parlate...».
Seguivo i passi di mio padre chiedendomi qual era quel grave motivo di cui il Cardinale Sforza ci aveva accennato per conto del re.
«Il matrimonio di vostra figlia con nostro cugino, mi è stato riferito che si tratta di un matrimonio solo sulla carta...» iniziò a dire il re.
Mi affiancai a mio padre.
I nostri volti assunsero un’espressione perplessa da quello che ci stava dicendo.
«Non è stato compiuto.
Non è stato consumato...» spiegò brevemente.
Eravamo scioccati e non tanto per le sue parole, ma poiché non riuscivamo a spiegarci come lui potesse saperlo.
«Ma sono solo passati pochi giorni!» esordii tentando di giustificare mia sorella.
«Però, i giorni diventano settimane e poi arrivano gli amanti...».
Re Ferdinando aveva centrato la questione pur non sapendo che mia sorella aveva già un’amante e quella persona ero io.
Oppure già lo sapeva?
Qualcuno ci aveva visto o udito, per caso?
Cercai di mantenere una calma apparente per non destare nuovi sospetti.
«Non parlate così di nostra figlia!», tuonò il Papa, «Voi qui siete un ospite!»
«Perdonatemi vostra Santità.
Ma Dio stesso ce l’ha detto: “Devi entrare in lei...”»
«Non osate propugnarci la parola di Dio»
«...E devi deporle il tuo seme.
E lei dovrà essere una donna per te”. Ora a meno che non venga consumato, questo matrimonio è una farsa» continuò imperterrito il re.
L’unico che controbatteva al re era mio padre poiché io ero troppo scioccato per dire qualcosa.
«Ma se non è stato consumato, di chi è la colpa?»
«Come faccio a saperlo?»
«Ma mi avete detto di sapere ogni cosa!»
«Ora vi dico cosa so» proferì il re sedendosi comodamente su una sedia. «So che vostra figlia è sposata con un mio consanguineo.
Ora lui è un uomo d’onore...».
Alfonso non era un uomo d’onore.
Come poteva esserlo giacché non aveva difeso Lucrezia quando il re aveva proibito di condurre Giovanni a Napoli?
Era rimasto in silenzio e solo io l’avevo difesa.
«Mentre vostra figlia... ha già un figlio da padre ignoto».
Mio padre tentò di reagire a quelle diffamazioni che il re stava scagliando su Lucrezia, ma lo fermai per non dare soddisfazione al re.
La rabbia che fino a quel momento ero riuscito a trattenere uscì come un fiume che rompe gli argini.
«Procedete con cautela, signore» dissi, puntandogli il dito.
«Procedo con cautela, mio signore.
Cautela per me stesso e per la mia famiglia...», aggiunse il re pacatamente, «ora voglio che questo matrimonio venga consumato senza che ci siano dubbi, fraintendimenti... senza che passino settimane o mesi».
La sua calma e il tono con cui impartiva questi ordini, mi facevano infuriare.
Come si permetteva a dettare ordini in casa nostra?
Il re era solo un ospite e così doveva comportarsi!
«Allora dite al vostro cuginetto di darsi da fare!» esclamai, non preoccupandomi più di mostrare la rabbia che mi consumava.
«No! Non mi fiderò della parola di nessuno in merito, capito? Voglio delle prove...» disse, alzandosi e sporgendosi verso di me come a farmi vedere che non mi temeva.
Alle sue parole spostai lo sguardo su mio padre che chiese: «Che cosa intendete per prove?».
Quando rimanemmo soli, mi recai in una stanza privata e sbattei la porta con violenza.
«E’ una meschina vendetta per l’offesa che gli hai recato» disse mio padre cercando di calmarmi, ma riuscì solo a farmi infuriare di più.
«E’ un insulto per Lucrezia, è un insulto per noi!» gridai, guardandolo.
Si avvicino, stringendomi le braccia
«Calmati. Su quanti fronti vuoi vederci lottare? E poi... c’è un precedente».
Come poteva essere così calmo e dirmi quelle cose?
Furioso, mi scansai dalla sua presa.
«Lo vedrò bruciare per questo!»
«C’è un precedente», ripeté nuovamente, «potrà esserti indigesto, come lo è per me.
Ma in fin dei conti... ha ragione»
«Ma credi davvero che la cosa m’interessi?» urlai.
«Ma dovrebbe!  Deve!  Vuoi che l’alleanza con Napoli si guasti nel momento stesso in cui l’abbiamo stretta?».
Mi avvicinai al tavolo e, con rabbia, scaraventai a terra una ciotola con dentro la frutta che rotolò lungo il pavimento.
A mio padre non importava se Lucrezia, il mio amore, doveva consumare pubblicamente il suo matrimonio con Alfonso.
Non gli importava dell’umiliazione che doveva subire.
L’unica cosa che gli importava era l’alleanza con Napoli, una città che portava solo guai tra cui la peste.
«Napoli è e sarà sempre una fogna pestilente».
Mi avvicinai e, con tono più mite, chiesi: «Che ne sarà di Lucrezia?»
«Deve saperlo», proferì pacatamente, «glielo dirò io».
Ero incredulo.
L’uomo che stava davanti a me non era più mio padre.
Non si era piegato al volere di Carlo VIII e ora, invece, lo faceva nei confronti di un piccolo uomo, di un piccolo regno che non valeva nulla?
«No. No. Lo farò io» dissi, bloccandolo sulla porta.
Mentre percorrevo il corridoio che mi avrebbe portato in camera di mia sorella, iniziai a pensare a cosa avrei potuto dirle per cercare di minimizzare la questione.
Trovai mia sorella seduta su una sedia.
Lo sguardo perso nel vuoto come se non poteva credere alle mie parole.
Non sapevo come comportarmi.
«Che razza di perversione è questa?! Vuoi mettermi in bella mostra perché ogni essere vile libidinoso possa trastullarsi?» chiese a voce concitata trovando l’energia che prima sembrava aver perso.
«Non abbiamo altra scelta» dissi, cercando di calmarla.
«Sei solo un debole, patetico e svergognato» affermò, iniziando a spingermi. «Se fossi stata un uomo, non gli avrei permesso di proseguire.
Gli avrei mozzato la lingua prima che parlasse di mia sorella in quel modo»
I suoi occhi lucidi erano come una pugnalata al petto.
«E’ per il bene della famiglia.  Non avevamo altra scelta» spiegai pacatamente.
Mi diede uno schiaffo così forte che mi fece girare la faccia dall’altra parte.
«Avevi tutte le scelte che volevi!  Dov’è il tuo onore?  Dov’è la tua forza? Dov’è il tuo amore per me?» disse, iniziando a darmi dei pugni che cercavo di parare con le braccia nonostante sapessi che dovevo lasciarla sfogare in quel modo.
Riuscii a liberarmi dalla sua presa e la strinsi a me.
«Ti amo!» esclamò, mentre poggiavo le labbra sulle sue baciandola con forza e passione e prendendole il volto tra le mani.
La sentii arrendersi sotto i miei baci, mentre le sue lacrime mi scorrevano lungo le dita.
Mi staccai quel poco per dirle: «L’avrei ucciso seduta stante.
Gli avrei strappato il cuore dal petto, ma ho tenuto a freno la mia mano per il bene della famiglia!».
Mi diede una spinta e si allontanò.
Chiusi gli occhi per trattenere le lacrime.
Lucrezia non poteva nemmeno immaginare quanto mi faceva male sapere che avrebbe dovuto essere di un altro uomo sotto lo sguardo lascivo e bramoso del re.
«Dunque il re di Napoli mi vedrà giacere per il bene della famiglia».
Non risposi e continuai a guardare il paesaggio che la finestra mi offriva.
Per la prima e unica volta provai invidia verso il popolo.
Loro non dovevano sacrificare propria sorella solo per un’alleanza che, per me, era inutile.
«Molto bene... molto bene» disse, andando a rompere il silenzio e la tensione che alleggiava nella stanza. «Quando avverrà?»
«Stanotte» biascicai, cancellando la lacrima che era sfuggita al mio controllo.
«E in nome della nostra famiglia, chi farà da testimone?»
«Chiunque desideri».
Si avvicinò e, guardandomi dritto negli occhi, aggiunse: «Allora voglio che sia tu».
Rimasi solo.
Intorno a me solamente silenzio.
Mi morsi il labbro inferiore per cercare di trattenere nuovamente le lacrime nonostante gli occhi iniziavano a pizzicarmi.
I rintocchi delle campane suonarono l’ora nona della sera.
L’ora in cui Lucrezia avrebbe dovuto consumare il matrimonio sotto il mio sguardo e quello del re.
«E’ il momento» esordì il re compiaciuto.
Quanto avrei voluto ucciderlo in quel momento; invece dovevo placare la mia rabbia per il bene di Roma.
Un servitore ci aprì la porta della stanza, dove sarebbe avvenuta l’unione e, immediatamente, notai un separé messo davanti ai posti, dove ci saremmo dovuti accomodare.
Entrò Alfonso e il re si portò alla bocca un acino d’uva gustandoselo come se doveva assistere a uno spettacolo di satira.
Subito dopo fece la sua entrata mia sorella.
Quanto avrei voluto alzarmi da quella sedia imbottita e portarla via, invece rimasi lì... immobile.
«Bellissima!» esclamò il re non appena Lucrezia si tolse la camicia da notte.
Lo fulminai con lo sguardo, ma lui sembrò non accorgersi.
Si sdraiarono sul letto preparato apposta per loro e l’atto poté avere inizio.
Era un dolore atroce vedere mia sorella, la persona che amavo più di me stesso, giacere con un altro uomo senza avere il potere di fare niente se non consumarmi lentamente di rabbia e gelosia.
E dovetti chiudere le mani a pugno per placare l’ira che percorreva ogni singola fibra del mio corpo.
Lucrezia, mentre raggiungeva il piacere, mi guardò e solamente allora capii il motivo per cui aveva voluto che le facessi io da testimone.
Voleva farmela pagare per non aver impedito quest'oscenità.
Iniziai a piangere silenziosamente, mentre il mio cuore andava in mille pezzi perché mai avrei pensato di provare un dolore simile.
Potevo guardare da un’altra parte o chiudere gli occhi, ma non feci niente di tutto questo.
Continuai a guardare come se volessi farmela pagare.
Finalmente il supplizio, per me e per lei, poté avere fine poiché Lucrezia gridò un’ultima volta.
«Ottimo!» esclamò il re soddisfatto e alzandosi dalla sedia.
Rimasi immobile come una statua di sale per riprendermi da quello che avevo appena vissuto per poi uscire dalla stanza a prendere aria.
«Vostra sorella è fortunata ad avere un marito che riesca a mandarla in estasi fin dalla prima volta» proferì il re avvicinandosi.
Lo guardai disgustato, ma lui sembrò non farci caso.
«Non pensavo che il ragazzo ne fosse capace.
Adesso, potete dire a vostro padre che il matrimonio è valido, con mia soddisfazione».
Avrei voluto brandire la spada e scannarlo come un maiale; invece dissi: «E voi potete andare via da casa mia».
Tornai a guardare mia sorella che si stava rivestendo, pensando al momento in cui avrei parlato con lei.
Mi avrebbe perdonato?
E con quella domanda mi allontanai.

   
 
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