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Autore: ashtonssmile    20/06/2013    3 recensioni
E se Alma e Grace fossero realmente morte? Se nessuna delle due avesse avuto un bambino? Kit? Che gli sarebbe successo? Forse sarebbe rimasto lì, si sarebbe contorto la mente, tutto questo finché un nuovo pazzo giunge all'ingresso di Briarcliff.
Genere: Malinconico, Romantico, Thriller | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Crack Pairing | Personaggi: Kit Walker, Lana Winters, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: Violenza
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Maggio 1965. Le notti traviagliate, il corpo pieno di spasmi, le immagini rattoppate di tutti gli uomini che aveva ucciso. Si svegliava, in preda all'ansia, nel bel mezzo della notte. Non era mai successo. Da quando era in quel posto tutto per Ginger era cambiato, da quando aveva conosciuto Kit. Prima di addormentarsi pensava sempre. Alle sue labbra, che leggermente si sfioravano quando parlava. Ai suoi occhi, così neri, così tristi. Alla sua voce, ogni volta che pronunciava il suo insignificante nome. Poi, riprendeva sonno. Riusciva a tenere incollati gli occhi all'interno delle palpebre, finché uno di quegl'uomini le urlasse di alzarsi. Allora si alzava e raggiungeva Lana e Kit. Parlavano, parlavano e parlavano. Lana diceva sempre che voleva chiudere quel posto, continuava a ripetersi che è stata colpa sua se Wendy era morta, continuava a maledirsi e a maledire la creatura dentro di sè. Kit raccontava che volesse mettere su famiglia, prima con Alma, poi con Grace, ma non ci riuscì e cominciava a credere che non era suo destino farlo. Ginger si limitava a sorridere, a prendere la mano a Lana se cominciava a delirare, nulla di più. La maggior parte del tempo stava con gli occhi fissi su Kit, fermi come due fanali di un auto. Solo le domande che le ponevano la facevano rinascere. «Stai bene, Ginger?» chiese infine Kit, preoccupato. «Sì, tutto apposto. Non preoccupatevi» disse, massacrandosi le mani. «Ti vedo un po' stanca» aggiunse Lana. «Beh, non dormo molto ultimamente, quindi ho solo un po' di sonno». Abbassò gli occhi a terra. «Vuoi tornare nella tua stanza?» la guardò Kit. «No!». Quasi urlò. «Scusa, ho solo chiesto» rise. Ginger divenne paonazza in volto. Kit si alzò dal divano. «Torno subito, vado a vedere se posso mettere qualcosa dal jukebox». Si allontanò, mentre Lana si avvicinava a Ginger e le fece segno di fare lo stesso. «Ho visto tante espressioni» cominciò lei. «Ma questa, non è semplice trovarla. L'avevo vista poche volte, l'avevo provata solo una. Con Wendy. La tua, è così intensa, Ginger» «Lana, non capisco». Le prese la mano. «L'espressione di una persona innamorata, Ginger. Lo vedo, quando guardi Kit, quando ti parla, ogni volta che, casualmente, qualcuno lo nomina» «Ti sbagli» disse, agitata. «Lo vedi? Se non lo fossi, non ti prenderebbe l'ansia». Ginger le tirò un colpetto sulla gamba, segno che Kit stava tornando e di troncare lì il discorso. Kit si riaccomodò tra le due donne. «Di che chiacchieravate?» «Di te!» si affrettò a dire Lana. «Di me? Che centro io?». Ginger lanciò una frecciata a Lana, ma a lei sembrò non interessare. «Di te, di Ginger, sareste così carini insieme..» «Scusate, sono stanca. Torno a provare a dormire». Si alzò e si voltò, fin troppo veloce. La testa cominciò a girarle, ma preferì andar a sbattere contro le sedie piuttosto che fermarsi e continuare quel discorso. Sbagliato. Perse l'equilibrio e cadde. Sia Lana che Kit corsero da lei per assicurarsi che stesse bene. «Ginger..» «Sto bene!». Si alzò, ma faticava a reggersi sulle gambe. Kit la tenne per un braccio. «Ginger?» enfatizzò Kit. «Kit» disse Ginger, voltandosi. «Lana» scherzò la stessa. «Sto bene, davvero. Sono solo stanca, ho bisogno di dormire un po'». Cercò di liberarsi dalla presa di Kit e si avviò per la sua 'stanza'. «Che le prende?» chiese Kit. «L'amore» sognò Lana. «Ma che stai dicendo? Ti sei fatta di qualcosa?» «Kit! Cristo, è possibile che tu sia così cieco?» «Mi vuoi spiegare, simpatia?» «La fai facile tu» «Perché? E' così difficile spiegarmi che cazzo stai dicendo?» «Oh Kit. Non fare il coglione. Posso dirti questo». Kit rimase bloccato a fissarla e poi cominciò a pensare a Ginger, a per quale motivo fosse così. Si era promesso di non farlo. Ma lei lo rendeva difficile. Quanto avrebbe voluto accarezzarle i capelli in quel momento in cui lei era caduta. Quanto avrebbe voluto stringerle la mano nel momento in cui aveva abbassato lo sguardo, imbarazzata. Si era promesso, due mesi prima, che non avrebbe riprovato ad amare nessuna, soprattutto dopo tutto ciò che era successo. Aveva paura, ma non era così semplice. Non poteva dire al suo cuore di non provare sentimenti, non ne era capace. Se ci fosse stato un modo, avrebbe voluto saperlo. «Ed ecco di nuovo quell'espressione!» urlò Lana, distogliendolo da quel labirinto. «Che espressione?» «Quella di una persona innamorata!» «LANA, OGGI SEI DAVVERO STRANA! PIU' DEL SOLITO!» «Kit, spiegami perché stai facendo quella faccia, cazzo?» «Sono preoccupato» «Per Ginger?» «Beh, certo» «Ecco, lo sapevo! Sei innamorato di Ginger!» «Ma cosa dici, Lana? Tu sei pazza» «Beh, se non lo fossi, non mi troverei qui. E probabilmente, nemmeno tu» «Io non sono pazzo» «Qui dentro siamo tutti pazzi» «Va beh. Fatto sta che tu non sai niente» «Conosco quel visino da cucciolo bastonato e abbandonato in strada. E' lo stesso che avevi quando c'era ancora Grace, se non più forte». Kit era sorpreso da quanto Lana lo conoscesse, non riuscì a dire una parola. Se ne stava zitto. Tutto qui. E zitto com'era, tornò nella sua stanza e cominciò a vagare ancora nella sua testa. Era stanco. Dalla sua fronte scendevano piccole gocce di sudore, seguiti a tremori di freddo, proprio come se avesse la febbre. Si toccò leggermente la fronte, sentendola gelida. La mano tremava e si creavano voci attorno a lui. Sempre più confuse. Più dissolte. Distorte dalla realtà. Non capiva cos’era tutto quello. Sentì un colpo allo stomaco. Si voltò, come se lui non volesse, e si avviò, senza destare troppi sospetti, verso la stanza di Ginger. Non sapeva che cosa voleva fare, che cosa stesse cercando. Davanti alla porta, se così si può chiamare, bussò leggermente. Ginger aprì. La vista cominciò a scurirsi, una leggera stretta allo stomaco. Non capì più nulla. Ginger cominciò ad avere paura, lo prese per le gambe e cercò di trascinarlo, il più delicatamente possibile, dentro. «E ora come faccio? » si chiese. «Come si fa a far rinsanire una persona svenuta? Porca puttana». Parlava da sola, in preda al panico. Cominciò con piccoli colpetti sulle guance, sussurrando il suo nome, seguito da parole imploranti. «Per favore, per favore, per favore, Kit, svegliati! ». Con una mano cercava di far aria, sperando di farlo risvegliare. Il corpo di Kit alternava leggeri spasmi dovuti ai brividi di freddo, ma non esitò ad aprire gli occhi. «Santo Cristo, cosa cazzo faccio? ». Se avesse chiesto soccorso, sarebbe finita nei guai, perché Kit non poteva essere lì. E se fosse corsa a chiamare Lana? Sì, ma avrebbe lasciato Kit da solo nella sua stanza. L’unica soluzione era provare la respirazione bocca a bocca, ma se ne sarebbe vergognata a vita. Se lui si fosse svegliato? Come avrebbe reagito? Era una confusione sola. Ogni sua decisione pareva sbagliata. Ma doveva fare qualcosa. Subito. Tirò un lungo respiro e si spostò i capelli da una sola parte. Prese coraggio ed avvicinò le sue labbra alle sue. Le tremavano, ma lo fece. Cominciò a soffiare, forte, sperando che potesse servire. Continuò, ad intervalli regolari. Poi si alzò e sollevò le sue gambe. Finalmente vide muovere qualcosa sul suo viso. Posò delicatamente le gambe di Kit a terra e si affrettò ad andare di fronte a lui. «Kit! Kit, svegliati! Stai bene? Kit! ». Cominciò a dar dei piccoli schiaffi sul volto di Kit. Lui cominciava ad aprire leggermente gli occhi, lentamente. «Oddio, Kit, ti prego! ». Cominciava a respirare regolarmente, il colorito sul suo volto cominciava a prendere il colore naturale. «Kit, svegliati! ». Kit aprì gli occhi e la sua vista cominciò a schiarirsi. «Ginger.. » «Kit, menomale! Sei svenuto e non sapevo più cosa fare! » «Ma dove sono? » «In camera mia, Kit. Se ci beccano siamo nella merda» «Oddio, Ginger, scusa.. E’ il caso che me ne vada» «Stai attento, Kit». Kit si alzò e fece un grosso respiro. Non si sentiva ancora molto bene. «Kit, riprenditi. Mi hai fatto prendere una paura». Ginger lo abbracciò. Uno strano impulso. Non se lo spiegava, ma le piaceva. Quanto tempo non abbracciava un ragazzo, anzi, quanto tempo non abbracciava qualsiasi persona. Kit ricambiò l’abbraccio, confuso come al solito, ma anche a lui piaceva. Il profumo dei suoi capelli gli filtrava attraverso le narici e il suo cuore cominciò a sembrare un martello contro un chiodo. Per la paura che Ginger potesse capire qualcosa, si staccò dall’abbraccio e si dileguò, con un ‘ciao Ginger’ leggermente sussurrato. Ginger rimase di fronte alla porta, sempre più rossa in volta, ma si gettò sul materasso, le mani di fronte al viso. Era completamente persa. «Non di nuovo, non di nuovo. Basta. Non voglio» si ripeteva. Non voleva più sentirsi come qualsiasi ragazza che stava lì fuori. Lei era diversa dalle altre, non poteva sentirsi così. Allora prese una sigaretta e l’accese. Fece un lungo tiro e ancora si ripeteva che non doveva accadere. Intanto Kit cercava di non farsi scoprire nel corridoio del manicomio. Raggiuse la stanza e, come fece Ginger, si gettò sul materasso e sperava di far sparire quel calore che l’abbraccio di lei le aveva lasciato. Sperava che quel profumo che le era rimasto sotto il naso svanisse, così come sperava che quello stesso sentimento, forse più forte, che aveva provato sia per Alma che per Grace svanisse. Perché aveva paura. Aveva paura che non fosse stato suo destino innamorarsi e metter su famiglia. Aveva paura per Ginger, dopo tutto quello che gli era successo. Non voleva che succedesse qualcosa anche a lei, perché, nonostante fosse un’assassina, era una ragazza meravigliosa e poi ciò che aveva fatto, l’aveva fatto per buone ragioni. Se lei non avesse ucciso quegli uomini, sarebbero state stuprate molte altre persone e non era il caso. Poi lei aveva capito subito che non era lui Bloody Face, come tutto il mondo sospettava. L’aveva capito subito, rivolgendole poco più di due parole. Si stese sul materasso e chiuse gli occhi, trasportandosi nei suoi incomprensibili sogni. Prese subito sonno, quasi fosse preda di sonniferi. Il suo sogno, quel vero sogno, era così reale. Non c’era sangue, non c’era disperazione. Per la prima volta c’era solamente tanta felicità. Perché quel sogno rappresentava tutto quello che desiderava. Una vera famiglia, con dei bambini, con una moglie e quella era proprio lei, Ginger. I bambini avevano i tratti della madre, così delicati e innocenti, avevano occhi scuri e avevano quel sorriso che solo lei ha. Quel sorriso che per Kit era il mondo intero. Si svegliò solo per i colpi che provenivano al di fuori della sua stanza. Si svegliò, con entrambe le guance bagnate di lacrime. Quelle lacrime che esprimevano emozioni così contrastanti tra di loro. Nemmeno lui sapeva che cosa stesse provando, non dava spiegazioni a quelle goccioline che cadevano dai suoi occhi, ma per la prima volta, il vuoto dentro di sé si era colmato, la sua sensazione d’eterna ansia scomparsa e il suo corpo stava davvero bene, tanto bene che per un attimo pensò d’esser morto. Si riempì i polmoni di quell’aria marcia e si alzò lentamente, evitando che potesse succedere come le ore precedenti. La testa faceva ancora male e le mani tremavano un poco, ma non sapeva se era per la bassa pressione o perché di lì a poco avrebbe visto Ginger. Aprì la porta di ferro e si diresse verso la saletta. Appena varcata la soglia vide Lana che discuteva con il Dr. Thredson, ma non fece in tempo a raggiungerli e intervenire che quest’ultimo alzò i tacchi. Lana si gettò a peso morto sul vecchio divano con quell’aria stanca che sempre presentava. Kit girò un attimo lo sguardo su tutta la sala, in cerca di quegli occhi che tanto adorava, senza trovarli. Si sedette accanto a Lana, che cominciò a raccontare quello piccolo scontro con Oliver, ma Kit non riusciva a seguirla, tanta era l’ansia in corpo in attesa di Ginger. Le uniche parole che aveva compreso erano state “rivoltante”, “bambino”, “ricatto”, “Wendy”, “inutile”. Nulla di più. Non fece caso nemmeno a quando Lana disse che c’erano elefanti rosa in giacca e cravatta che giocavano a carte, proprio perché l’unica cosa che faceva era tirare su il collo e cercare Ginger per la stanza. «KIT! » urlò, infine Lana, stanca di parlare al muro. «Lo so che non mi stai ascoltando perché pensi a Ginger» disse lei, incrociando le braccia al petto e appoggiando la schiena al divano. «Ma no! Non è così! » si difese Kit. «Pensi che non me ne sia accorta? Stai aspettando Ginger! » «Non è così. Ma anche se fosse? » «Sono l’unica tua vera amica qui dentro, Kit. Esigo saperlo» «D’accordo, Lana. E’ vero. Sto aspettando Ginger» «Oh! Ci voleva tanto a dirlo? » «Non volevo ammetterlo, Lana, non volevo ammetterlo a me stesso» «E perché, Kit? » «Ho paura» «Hai paura? Di che? » «Dopo tutto quello che è successo, ho paura che possa succedere qualcosa a Ginger» «Kit, non farti fisse mentali che non esistono» «Hai ragione» «Ho sempre ragione». Intanto Kit pensava a quei mesi prima, i mesi subito seguenti all’arrivo di Ginger nel manicomio. Non facevano altro che parlare. Si vedevano nello stesso punto, allo stesso orario, almeno così si presumeva. Insomma, nulla di che, ed è proprio per quello che quelle vicende sono saltate nel racconto di tutto questo. Cresceva solo il sentimento che Kit provava. Diventava sempre più grande e più diffuso. Nella sua mente. Nel suo stomaco. Nel suo cuore. In quei mesi non faceva altro che aspettare e aspettare. Sperare di non provar nulla. Sperare che tutto quello potesse passare. Ma nulla. Tutto ciò non poteva perdersi. E lui lo sapeva benissimo. Anche in quell’istante in cui cercava lei in tutta quella stanza, sperava che tutto potesse svanire, ma non era così semplice, soprattutto dopo quello che era successo parecchi attimi prima, quando era svenuto in camera sua. Non sapeva che ci faceva lì, ma aveva visto benissimo che Ginger aveva provato con la respirazione bocca a bocca, perché aveva provato una sensazione strana. Di liberazione. Stava bene. E poi, l’aveva osservata staccarsi da lui, aveva intravisto i suoi occhi pieni di panico, in quella vista ancora parecchio annebbiata. E quell’abbraccio. Quell’abbraccio aveva complicato tutto. Ancora sentiva il calore di lei sui suoi fianchi, il profumo dei suoi capelli. Solo quel colpo al braccio lo distolse da quei ricordi vivi. Lana gli aveva appena tirato un pugno. «Sta arrivando Ginger, Kit. Che hai intenzione di fare? ».
   
 
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