Volgograd, 10 Febbraio 2011
It's like forgetting the words
to
your favorite song.
You can't believe it, you were
always singing along.
It was so easy and the words so
sweet.
You can't remember; you try to
feel
the beat.
Bee-ee-ee-ee-ee-ee-ee-ee-
Eet eet eet.
Ee-ee-ee-ee-e-…
Erano appena le
07:00 del mattino quando
nella piccola stanza d’albergo risuonarono le note di
“Eet” di Regina Spektor.
Erzsebeth
balzò dal letto, si sedette
dopo essersi scostata le pesanti coperte di dosso e il gelo della
stanza le
diede quella lucidità necessaria per rendersi conto che la
musica proveniva dal
suo telefono: era la sveglia.
Con un sospiro tolse
l’oggetto da sotto
il cuscino e spense la sveglia cercando di calmare il battito del
cuore; in
quel momento notò dei movimenti negli altri due letti e
capì che anche le sue
compagne di stanza si stavano alzando.
Rabbrividendo
scostò del tutto le coperte
e si alzò dall’accogliente e caldo letto mentre un
“Buongiorno” veniva
svogliatamente mugugnato da Anikò che si stava stropicciando
gli occhi ancora
assonnata.
Erzsebeth
andò verso la sua valigia e
prese il maglione e i jeans che avrebbe indossato quel giorno mentre
Jana si
passava una mano fra i capelli raccogliendo i vestiti che la notte
prima aveva
sparso per la stanza non avendo avuto voglia di rimetterli in ordine.
:<<
Vado in bagno a cambiarmi.
>>
Come risposta
ottenne solo un “Mmh”
d’assenso :<< Anikò! Alzati!
>>
:<<
Mmh! >>
:<<
Seconda guerra mondiale.
>> quelle tre semplici parole bastarono a far scattare la
ragazza giù dal
letto e a darle energia.
:<<
Preparo la borsa e andiamo a
fare colazione. >>
:<< Io
e Jana, non essendo andate a
dormire vestite, dovremmo cambiarci. >> detto questo,
Erzsebeth entrò nel
bagno ignorando la delusione della compagna.
Chiuse la porta
dietro di sé e gettò i
vestiti su una sedia bianca vicina alla doccia, poi prese il telo da
bagno dal
termosifone e lo poggiò sopra i vestiti.
Entrò
nella doccia e aprì subito l’acqua
calda per evitare di morire assiderata: se mai fosse riuscita a
sopravvivere a
quella gita scolastica e a tornare in Ungheria avrebbe potuto dire di
essere
sopravvissuta al famoso inverno russo.
Erano passati tre
giorni dall’inizio di
quel viaggio scolastico, ma quei pochi giorni erano stati abbastanza
stancanti,
tuttavia quella mattina lei e i suoi compagni di classe erano riusciti
a
trovare la forza di alzarsi dal letto solo perché
ciò che avrebbero visto era
un qualcosa che interessava a tutti.
A pensarci bene non
aveva nulla di
speciale, era un rifugio delle Seconda Guerra Mondiale completamente
distrutto
nel ’42 durante un bombardamento. Era stato da poco aperto al
pubblico ma non
c’era quasi nulla da vedere.
Uscì
dalla doccia, si asciugò e si vestì
velocemente, uscì dal bagno mentre vi entrava
Anikò e andò davanti al grande
specchio sul quale si riflettevano i tre letti della camera,
cominciò a
raccogliersi i capelli mentre Jana, affianco a lei, faceva lo stesso.
Pochi minuti dopo le
tre uscirono dalla
camera con le loro borse dirette nella sala della colazione,
lì le professoresse
informarono loro e la classe che
dovevano farsi trovare nella hall dell’albergo entro quaranta
minuti in modo da
poter arrivare in orario al rifugio.
:<< Il
rifugio è molto distante?
>> chiese qualcuno.
:<<
Dodici chilometri e quattro
metri a nord, fuori dalla città. >> ripose una
delle professoresse
allontanandosi assieme alla collega.
:<<<
Cos’è un GPS o una donna?
>>
:<<
Anikò! Potrebbe sentirti.
>>
Quella
sbuffò avviandosi verso uno dei
tavoli liberi e, poggiando la borsa su una sedia, si sedette su quella
a fianco
mentre Erzsebeth andava prendersi una tazza di caffè e un
piattino di dolci.
Jana invece si
avvicinò al tavolo dove
erano sedute delle loro compagne di classe per chiede qualcosa a una di
loro .
Dopo aver fatto
colazione le tre si
recarono nella hall e, dopo aver consegnato le chiavi, si sedettero nei
semplici
divani verdi aspettando l’arrivo degli altri.
Quella mattina erano
troppo stanche per
parlare fra loro, poiché la sera prima erano andate a letto
tardi, quindi Jana
riprese a leggere “ Il mastino dei Baskerville”
mentre Anikò e
Erzsebeth ascoltavano musica.
Quando tutti furono
arrivati, la classe
si diresse fuori dall’albergo e
s’incamminò verso il rifugio, anzi, verso
ciò
che ne restava.
Erzsebeth camminava
vicino ad Anikò che
le parlava del romanzo che stava leggendo mentre osservavano
affascinate la steppa
innevata. Il tragitto non fu molto breve, e
arrivarono presso il
rifugio dopo alcune ore.
Mentre la classe si
guardava attorno
cercando qualcosa che potesse vagamente somigliare a un rifugio
antiaereo, un
uomo si avvicinò alle due professoresse e i tre cominciarono
a parlare in
ungherese.
:<<
Ragazzi tutti qui. >>
chiamò la professoressa Gàl stringendosi nel suo
cappotto nero per via del
freddo pungente :<< Dobbiamo scendere sotto terra.
>>
Tutta la classe si
avvicinò.
:<<
Lui sarà la nostra guida: Andrej
Rachmaninov. >> continuò la professoressa.
Tutti si
avvicinarono alla guida che
cominciò a parlare loro del rifugio, della struttura, di
quando fu costruito e quando,
durante uno dei tanti bombardamenti, fu distrutto.
:<< Il
rifugio venne costruito agli
inizi del 1941 quando cominciò la “battaglia di
Stalingrado”, crollò nel 1943,
poco prima della fine della battaglia. Come potete vedere la
costruzione è
completamente sotto terra; è divisa in due piani e ha cinque
entrate-uscite,
l’entrata principale con tutta probabilità era
quella dalla quale adesso
scenderemmo noi. >> si voltò e
indicò una rampa di scale che scendeva
sotto terra.
:<<
Attenzione ai gradini,
purtroppo non sono in buone condizioni. >>
Per alcuni minuti si
sentì solo il rumore
prodotto dalle scarpe, in particolare i tacchi delle ragazze, contro i
gradini
delle scale.
Anikò
poggiò la mano contro il muro della
stretta galleria temendo di cadere: nonostante i gradini fossero larghi
e non
molto alti erano molto rovinati.
Il corridoi sarebbe
stato completamente
buio se non fosse stato per le lampade appese al soffitto che mandavano
sui
gradini una soffusa luce.
Scesa la
scala, Erzsebeth si trovò in un
corridoi più illuminato che curvava a destra.