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Autore: GingerHair_    23/06/2013    14 recensioni
Emma Gant è una liceale diciassettenne che vive a Londra con la sua famiglia.
È una normalissima ragazza come tutti gli altri, odia andare a scuola, litiga con i propri genitori, ha una migliore amica, una cotta per un ragazzo e non ha acnora un'idea precisa di ciò che farà in futuro.
Il suo penultimo anno di scuola, Emma rischia di essere bocciata, per cui dovrà impegnarsi più che potrà, dovrà coordinare il suo studio con le amicizie, l'amore e la famiglia.
Come se tutto ciò non bastasse, il suo cuore si troverà a battere per due ragazzi, così diversi fra loro ma che le piacciono tanto.
Ripensai un momento a quanto mi piacevano i contrasti.
Forse era per quello che amavo due ragazzi così diversi fra loro.
Uno dagli occhi color miele, mi trasmettevano calma e tranquillità, potevo perdermici per ore.
L'altro dagli occhi azzurri come due schegge di vetro, si muovevano rapidi e mi incutevano terrore, a volte.
Erano così diversi, ma li amavo così tanto entrambi.
Genere: Generale, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: Triangolo
Capitoli:
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Lunedì mi alzai a fatica, avevo due borse nere sotto gli occhi.
Non per la festa di sabato, ma perché era da un po’ di tempo che non riuscivo a dormire.
Non credevo di soffrire di insonnia perché avevo visto i sintomi ed era una malattia davvero brutta.
Probabilmente ero stressata, ecco tutto.
La scuola mi metteva sempre sotto pressione e la odiavo.
Non vedevo l’ora di finirla, mi mancava solo un anno e poi ce l’avrei fatta.
Frequentavo la Twyford Church of England High School, nel quartiere di Acton, dove vivevo.
Era un quartiere a posto, con abbastanza pub, non troppo caro rispetto a Londra e con gente simpatica.
Scesi dal letto controvoglia e andai in bagno a lavarmi, poi tornai nella mia camera per vestirmi.
Al contrario di Nina, che non usciva mai se non era vestita in maniera impeccabile, a me non importava molto di ciò che indossavo.
Ero una tipa freddolosa, per cui se mi coprivo molto non era solo perché era perché ero timida, ma anche perché sentivo troppo freddo.
Non ero mai stata particolarmente attenta al mio aspetto, per cui quella mattina presi le prime cose che mi capitarono sotto tiro, un paio di leggins neri, una canottiera dello stesso colore e una felpa di tre taglie più grossa marrone.
Mi lasciai i capelli sciolti e mi misi il mascara, l’unico trucco che portavo per andare a scuola.
Non lo facevo tanto per vanità, solo che avevo le ciglia corte e non mi piacevano.
Quando scesi per dire a mia madre che ero pronta lei trovò qualcosa da ridire sul mio look, come al solito.
« Non dovresti vestirti così, Emma » mi disse.
Lei era una gran bella donna, si tingeva i capelli di biondo, si truccava e ci teneva ad essere sempre bella, anche se stava semplicemente in casa.
Per tutta risposta grugnii qualcosa.
Non che il mio umore migliorasse andando avanti con la giornata, ma al mattino era proprio impossibile parlarmi.
Mi misi seduta aspettando che i miei fratelli finissero di mangiare, poi avremmo preso il bus tutti insieme.
Di solito cercavo di evitarlo, mi piaceva camminare per le strade con la mia musica preferita nelle orecchie, ma in quelle mattine così piovose non potevo fare altrimenti.
Mi piaceva Londra, ci ero affezionata, era la mia città e lo sarebbe rimasta per sempre.
Mi piaceva il suo clima così incerto, il cielo piovoso e coperto di nuvole.
Mi piaceva la pioggia, mi rispecchiava, in un certo senso.
« Non mangi nulla signorina? » mi chiese mio padre in tono poco amichevole.
Lui era fatto così, gli piaceva dare ordini e non amava le persone che non gli obbedivano, per lui era importante essere riconosciuto come il capo di tutto.
« Non ho fame » gli risposi.
Lui abbassò il giornale che stava leggendo e mi guardò male.
Aveva sempre l’abitudine di leggere il giornale a colazione, mentre sorseggiava il caffè dalla sua tazza e mangiava qualche biscotto.
« La colazione è il pasto più importante della giornata » continuò lui.
Ecco che iniziava con il suo moralismo da ospedaliero perfetto.
Faceva l’infermiere in un ospedale e ogni giorno non faceva che ricordarmi le mie pessime abitudini alimentari, in più spesso mi portava a fare dei controlli perché pensava che soffrissi di anoressia.
« Mi fa male la pancia » mentii.
Non avevo fame e basta, cosa c’era di strano?
« Come mai? » mi chiese lui preoccupato.
« Ho il ciclo e mi viene da vomitare, ok? » sbottai.
Almeno questo era vero, non mi sarei inventata tutto.
« Va bene, ma stai attenta al tono che usi con me » mi ricordò lui.
Ovviamente, perché lui con me poteva usare il tono che voleva, mentre io no.
Era questa la giustizia nella mia famiglia.
Finalmente i miei fratelli finirono di mangiare.
« Sbrigatevi a lavarvi i denti, così andiamo a scuola tutti insieme, capito? » dissi loro mentre salivano le scale.
Io rimasi seduta mentre papà continuava a leggere il giornale e mamma si preparava per uscire.
« Ecco le tue cinque sterline per il pranzo » mi disse lei prendendo i soldi dal portafoglio.
Ogni mattina mi dava cinque sterline per poter mangiare alla mensa della scuola.
Quando i miei fratelli furono pronti, andammo ad aspettare il pullman.
Andavamo tutti alla stessa scuola solo che loro, essendo più piccoli, si trovavano su un edificio diverso dal mio.
Lo scuolabus giallo arrivò con i suoi soliti dieci minuti di ritardo.
Salimmo tutti quanto e Derek, mio fratello, si andò a sedere con i suoi amici, mentre io mi misi su un posto vuoto davanti.
Vidi che Brianne, la mia sorellina minore, contemplò per un secondo l’idea di sedersi accanto a me, ma la sua amica Camille la stava chiamando con una tale insistenza che le dissi di andare da lei.
Non conoscevo nessuno in quell’autobus della mia scuola, o meglio, alcuni c’erano, ma preferivo fare finta di non conoscerli affatto.
Mi infilai le cuffiette e accesi il mio mp3.
La musica partì e io appoggiai la testa al finestrino, mentre guardavo le gocce di pioggia cadere giù dal cielo grigio.
 
Arrivai a scuola bagnata fradicia: avevo preso tutta l’acqua che era possibile prendere dalla fermata dell’autobus.
Andai ad aprire il mio armadietto e trovai Nina ad aspettarmi come al solito.
L’avevo conosciuta così, il primo giorno che frequentavamo questa scuola, dato che i nostri armadietti erano vicini.
Forse da qualche parte c’era un proverbio che rendeva i tuoi vicini d’armadietto i tuoi migliori amici.
« Ti sei buttata nel Tamigi? » scherzò lei quando mi vide.
« Divertente » le risposi.
« In realtà Brianne si era scordata a casa l’ombrello e dato che Derek è troppo mascolino per condividere l’ombrello con sua sorella le ho prestato il mio e mi sono beccata tutta l’acqua » le spiegai.
Lei scoppiò a ridere.
Da quando ci conoscevamo il mio sarcasmo pungente era sempre stata una delle cose che l’avevano fatta ridere.
« Cos’hai la prima ora? » gli chiesi io del tutto afflitta.
Più la guardavo più mi rendevo conto che le differenze fra noi erano abissali: lei era bellissima, con i suoi capelli biondi ricci, il suoi occhi nocciola e il suo trucco sempre perfetto.
« Matematica, tu? » mi chiese lei.
Avevamo la stessa età, solo che lei era davvero una ragazza intelligente, per questo seguiva tutti corsi avanzati mentre io seguivo ancora quelli base.
Lei era un vero e proprio genio, non c’era materia in cui andasse male, aveva l’eccellenza a tutto.
Molte volte avevo provato a farmi spiegare le cose da lei e mi sorprendeva molto il modo in cui riusciva a ricordarsi tutto e a farlo comprendere agli altri.
« Scienze » borbottai.
Non era di certo la mia materia preferita, ma almeno andavo benino e non potevo lamentarmi del mio rendimento.
L’unica pecca di quella materia era il professor Liuton, un vecchio quasi giunto all’età pensionabile che quando iniziava a parlare non smetteva più.
« Venerdì usciamo di nuovo? » mi domandai lei mentre stava già richiudendo il suo armadietto per dirigersi in classe.
« Non ho voglia » le risposi ancora assonnata.
Lei smise un secondo di fare il resto e mi fissò negli occhi.
« Andiamo, potrebbero essere che ci sia di nuovo Zayn… non lasciare me e Niall da soli » mi pregò.
Niall era il suo ragazzo da un anno, era un tipo molto simpatico e cercava di fare amicizia con me, ma il mio lato da asociale prevaleva sempre.
« Zayn non c’è ho letto su Twitter che andrà via questo fine settimana, a quanto pare è riuscito a procurasi una serata da qualche parte » ero sempre informata su Zayn, quando mi piaceva un ragazzo facevo sul serio.
« Zayn ha usato Twitter? » mi chiese Nina perplessa.
Effettivamente, anche se ci si era iscritto da un anno, aveva pubblicato in tutto dieci tweet, undici se si conta anche quello in cui si era automenzionato e che poi aveva cancellato subito dopo.
« Che ti importa se non c’è, fai compagnia a me e a Niall » cercò di dissuadermi.
« Ho altro di meglio da fare piuttosto che essere il terzo incomodo » ribattei acida.
« Davvero? Tipo fare cosa, stare a casa a guardare la tv? » era arrabbiata e lo capivo.
Odiava le persone che si trascuravano come facevo io e non potevo biasimarla.
Lei sprizzava energia vitale da tutti i pori una noiosa serata passata davanti alla tv l’avrebbe uccisa.
« Va bene, vedrò cosa posso fare » le dissi infine sperando che non tornasse sull’argomento per un po’.
Lei mi lanciò un’occhiata soddisfatta e andò verso la sua classe.
Presi i libri di scienze dall’armadietto e in quel momento vidi l’altro mio compagno, che non era il mio migliore amico, ma c’eravamo vicini.
« Ehi Gant, come va? » mi chiese lui chiamandomi per cognome piuttosto allegro.
Cosa ci fosse da stare allegri di lunedì mattina lo poteva sapere solo lui.
« Bene Styles, tu? » gli risposi.
Eravamo soliti chiamarci per cognome.
« Bene anche io » mi rispose lui.
Eravamo amici, ma ultimamente cercavo di ignorarlo.
Non perché avesse fatto qualcosa di male, ma alcuni giorni fa avevo sentito lui che parlava con Simon, il nostro compagno di classe e gli confessava che si era preso una cotta per me.
Speravo che fosse decisamente una cosa passeggera, perché, per quanto gli volessi bene, non mi sarei mai messa insieme a lui.
L’idea di baciare qualcuno che non amavo, anche se magari era attraente, mi dava il voltastomaco.
« Oggi vai ad un funerale? » scherzò lui riferendosi al mio abbigliamento.
In realtà sapeva la mia scarsa passione per i colori accesi.
« Sì, al tuo se non la fai finita di prendermi in giro » ribattei facendogli la linguaccia.
Lui rise e capì che era meglio lasciarmi in pace.
« Hai sentito? Dice che hanno trovato il sostituto della signora Loren » mi disse.
La signora Loren era la nostra insegnante di inglese e storia.
Erano decisamente le due materie che odiavo di più al mondo, per questo erano anche le due che mi davano più problemi e in cui prendevo più insufficienze.
Però la signora Loren era una donna simpatica, che faceva la burbera e la severa per tutto l’anno, ma che alla fine era sempre felice di promuovere i suoi alunni o di alzargli il voto.
Per questo non capivo perché i miei compagni di classe festeggiavano quando lei faceva assenze: era l’unica che ci salvava sempre tutti.
Era assente da circa un mese e le cause della sua scomparsa erano piuttosto vaghe: c’era chi diceva che avesse un tumore, chi diceva che fosse andata a trovare un parente in fin di vita e altri dicevano che era caduta in depressione perché era zitella.
Giravano anche altre storie, ma alcune erano così assurde che non ci avrei creduto nemmeno se fosse arrivata lei in persona a dirmelo.
« Terra chiama Emma, ci sei? » mi chiese Harry passandomi una mano davanti alla faccia.
« Sì, ci sono, stavo solo pensando a cosa potesse essere successo alla signora Loren…» gli risposi.
« Ah, non ne ho la più pallida idea » ammise lui alzando le spalle.
Sospirai e chiusi il mio armadietto.
« Almeno si sa com’è questo supplente? Voglio dire è severo? » gli chiesi alquanto preoccupata di essere bocciata.
Nella prova del primo trimestre avevo preso la sufficienza, anche se per poco, e quella del secondo non l’avevamo fatta proprio perché l’insegnante mancava, se avessi preso un’insufficienza, poi alla fine dell’anno avrei dovuto prendere un voto alto per poterla recuperare.
« Non so, a quanto pare saremmo noi i primi ad avere l’onore di averlo, oggi, alla seconda ora » mi disse lui.
Lo ringraziai, lo salutai e, al suono della campanella, mi diressi verso l’aula di scienze.
Feci uno sforzo enorme per non addormentarmi durante la sua lezione.
Forse avrei dovuto portare il professor Liuton a casa mia la sera, con la lemma che aveva mi avrebbe fatto addormentare di sicuro.
L’ora passò molto lentamente e quando, finalmente, finì, andai a prendere i libri per l’ora successiva e mi diressi verso la classe della signora Loren.
Entrai e vidi che c’erano le ragazze del mio corso che ridacchiavano fra di loro ai primi banchi.
L’insegnante non c’era, in compenso sulla lavagna c’era scritto grande ‘Signor Tomlinson’.
Cercai un banco in fondo all’aula che fosse libero e mi ci sedetti, aspettando di vedere il nuovo professore.


 
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Ehi, eccomi di nuovo qui con questo capitolo.
Spero di avervi strappato almeno una risata con questo, mi ci sono messa un po' d'impegno per risultare un po' sarcastica, ragion per cui spero di non avervi annoiato.
So che ancora la trama è molto lenta a decollare, ma prima preferisco presentare tutti i personaggi e spiegare il loro ruolo nella FF e poi fare il resto... comunque spero vi piaccia.
Fatemi sapere! :D
Il titolo del capitolo è la canzone di Cher Lloyd, Grow up.

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