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Autore: La X di Miria    26/06/2013    0 recensioni
Avvertenza: non c'entra nulla con Hunger Games, sebbene il titolo sia simile.
La protagonista è Marta, una ragazza che lavora per una casa di moda, con il complesso della taglia 40 e dei fotografi. Impegnata nell'ennesima sfilata, sarà vittima di un gioco inumano e spietato.
Ma la verità era un'altra. La verità era che io avevo un terrore innato per i fotografi. Una fifa blu, perché la paura è blu, come i flash di quelle dannatissime macchine, che scoccavano all'unisono, tutte dirette verso un singolo obiettivo: tu.
Genere: Avventura, Azione | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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La soglia di guardia della mia pazienza fu raggiunta quando Léon Garcia Murquiero Seledon blà blà blà entrò trionfale dalla porta secondaria. Il famoso stilista, più famoso per la sfilza di nomi che per le sue creazioni. Secondo molti, i suoi tanti nomi erano chic. Secondo le riviste, aveva un talento incalcolabile. Secondo me, doveva solo impiccarsi.

«Mmmmh! Macciao, mia bella principessa!» Allargò le braccia in direzione di Jacqueline e insieme protesero il collo l'uno verso l'altra, strofinandosi teneramente i nasini. Lui, con lo smoking rosa confetto, i guanti bianchi, il bastone in ebano e i capelli impomatati, faceva la figura del fenicottero stordito. Lei, stretta in un vestitino nero attillato, con i denti bianchissimi, le rughe disegnatesi lungo il naso e ai lati della bocca, pareva una iena cretina.

«Ma come siamo belli stasera!» Léon rifilò una carezza sul volto di Alessia, si passò il bastone sull'altra mano e toccò il fianco di Carolina.

Io ero indaffarata a sistemare un abito indosso a quell'ammasso di ossa, muscoli e legamenti che era Luciana. Le avrei regalato volentieri un po' della mia pancetta, che ora sorrideva e faceva capolino sotto la maglia. Era perché dovevo stare sulle punte, per vestire quella giraffa.

«Ahi! Così mi prendi i capelli!» si lamentò.

«Oooh, ma cosa succede qui?!» gloglottò Léon «Non starai mica facendo male alla mia piccola stellina?!» Mise i pugni sui fianchi e chinò il busto sopra di me. Voleva sembrare minaccioso, ma con quello smoking faceva solo ridere. Il suo naso da fenicottero arrivava proprio sulla mia fronte. Ma perché qui sono tutti così schifosamente alti?

«No, mi scusi... » borbottai.

«NO! Niente “mi scusi”, carina! Qui siamo gente seria, gente che lavora, gente qualificata che suda il proprio stipendio» Tutte le quinte si erano zittite di colpo, tutti si erano fermati, tutti mi osservavano. Ansia. «Non siamo mica qui a scambiare borse di Chanel per borse di Armani, chiaro il concetto?! O lei non sa che differenza c'è tra una borsa di Chanel e una di Armani? Eh? È così? Risponda!»

Ero viola di vergogna e tenevo lo sguardo basso, consapevole di essere la star involontaria di quel teatrino umiliante. «Sì, be', io... .»

«Oh no, niente giustificazioni insulse, please! Veda di fare bene il suo lavoro altrimenti carina, be', quella è la porta! Fa' le sue valige e se ne va fuori dalla mia sfilata, capito?!»

Alzai timidamente gli occhi. Erano lucidi perché le zaffate del suo profumo me li avevano irritati, insieme alla gola. Per questo dovetti sembrargli abbastanza contrita da decidere di lasciarmi stare.

«Va bene» gli dissi e lui se ne andò senza calcolarmi, sistemandosi i ciuffi ribelli e il colletto della camicia che si erano scomposti nell'accesso di rabbia.

«Sentito? Vedi di fare attenzione» mi rimbeccò Luciana.

Volevo una pistola. Per fare fuori loro o me? Non lo sapevo, ma alla fine era uguale, avrei trovato la pace in entrambi i casi. Incontrai lo sguardo di Ale, che mi sorrise e mi diede forza: scosse la testa e accennò un sorriso sarcastico. Se non ci fosse lei, sarei persa.

Questo però aveva solo ritardato l'esplosione dei miei nervi: alla fine la mia pazienza non ci vide più, si mise in sciopero, fece le valige, serrò la porta del mio animo e se ne volò alle Bahamas, sopra un aereo targato 'Fanculo.

 

 

La sfilata era iniziata. Alcune sarte e truccatrici sbirciavano il proseguimento della serata e dai loro commenti sembrava che filasse tutto liscio. A me non importava un fico secco. Vedere quelle oche su trampoli vertiginosi sculettare lungo la passerella mi faceva venire il prurito alla pancia e le luci dei fotografi mi abbagliavano. Ripensai al sogno del vestito giallo e mi allontanai decisa dal gruppetto che stava seguendo la serata.

Pochi secondi dopo, la pausa per il cambio vestiti.

«Oh, ho bisogno di un po' d'acqua. Sto morendo di sete!» Jacqueline si sventolava il viso con la mano. Qualcuno le porse un bicchiere e, invece di bere, si avvicinò a me con una luce maliziosa negli occhi.

«Ciao, tesoro.»

Non la guardai nemmeno e continuai a cercare tra le file di appendini.

«Léon si è proprio arrabbiato con te... possibile che tu sappia solo combinare pasticci?»

Marta, 'sta calma, questa iena ha qualcosa in mente, e non è niente di buono. Sii impassibile, non fare nulla che la urti, non...

«Cos'è, t'hanno tagliato la lingua?» Poggiò un gomito sopra il carrello degli appendini e si protese verso di me «Sai che sembri un cagnetto peloso? Un cagnetto peloso senza lingua.» Snudò la chiostra di denti assassini.

Io la fulminai con lo sguardo pieno d'odio ed ira repressi.

E così accadde: lei non smise di sorridere e mi rovesciò l'acqua sulla testa. Freschi tentacoli liquidi si sparpagliarono tra le ciocche castane ed esplorarono l'intrico della mia chioma ondulata, raggiunsero la cute e precipitarono ai lati del capo, scivolarono sulla nuca e sul collo, mi sciolsero la matita, s'insinuarono sotto la maglia e trovarono rifugio nel reggiseno.

Non dissi nulla. Raggiunsi la porta, spinsi il portellone e urlai un grande, sonoro, liberatorio: 'FANCULO!

(Ciao Pazienza mia, fa' buon viaggio e allaccia le cinture)

  
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