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Autore: arizona96    28/06/2013    10 recensioni
Piemonte, 1721.
Callie è una delle tante giovani povere che esistevano a quel tempo e fino a quel momento aveva avuto la possibilità di ammirare gli aristocratici e il loro mondo perfetto solo da lontano. Ma tutto cambierà quando verrà presa a servizio presso una famiglia nobile dei dintorni e conoscerà una ragazza dagli occhi azzurri come il cielo...
Genere: Drammatico, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash, FemSlash | Personaggi: Arizona Robbins, Callie Torres
Note: AU | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessuna stagione
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Mi piaceva guardare il cielo. Non era un passatempo molto comune tra le ragazze del mio tempo, infatti molte di loro credevano che fossi strana. Ma non mi è mai importato molto di quello che pensava la gente. Diciamo che per me guardare il cielo era come leggere un libro...non che io sapessi leggere. Noi ragazze povere non potevamo permetterci la scuola, quindi non sapevamo leggere. E anche se avessimo saputo leggere, non avremmo potuto permetterci i libri. A stento potevamo comprarci da mangiare, qualche vestito e un paio di scarpe...se andava bene. Mio fratello di otto anni andava in giro senza scarpe da più di un mese ormai, mentre le mie erano quasi completamente consumate, ero sicura che di lì a poco anch’io sarei andata in giro scalza.
Il mondo dei nobili, invece, era tutta un’altra storia. In paese non se ne vedevano spesso in giro, passavano la maggior parte del loro tempo nei loro castelli in campagna. Beati loro! Avevano tutto quello che un essere umano potesse desiderare senza neanche lavorare: un tetto sicuro, un letto caldo, tre pasti assicurati, vestiti puliti e scarpe intatte. Era un piacere guardarli, quelle poche volte che riuscivo a vederne uno. Erano così composti, soprattutto le donne. Mi domandavo come riuscissero a stare dentro quei corpetti che mi sembravano così stretti. Ecco, questa era l’unica cosa che non gli invidiavo per niente. Ma non so cosa avrei dato per poter leggere anche una sola pagina di uno dei loro libri. E invece, non mi restava che accontentarmi di guardare il cielo, sdraiata su un prato vicino casa mia; quando soffiava anche un leggero venticello, stavo davvero da Dio. Ma ovviamente, arrivava sempre qualcuno a interrompere i miei pensieri.
“Callie!” urlò mio fratello Ethan, correndo verso di me.
Feci uno sforzo enorme per non strozzarlo con le mie mani. Così, feci un respiro profondo e mi misi seduta. “Cosa c’è?”
“Sono le sei del mattino!”
Va bene, dovevo ammettere che spesso le sue interruzioni mi salvavano dalla sonora sgridata del proprietario della bettola dove lavoravo da quando avevo sette anni. Non mi pagava molto, ma in fondo non facevo granché. Tutte le altre ragazze che lavoravano lì si intrattenevano la notte nelle stanze degli uomini che venivano a bere in quel posto sporco e puzzolente. Io invece mi ero sempre rifiutata di vendere il mio corpo per qualche soldo in più, quindi mi limitavo a servire ai tavoli. Diciamo che ero una delle poche diciottenni che conservava ancora la propria dignità. Prima o poi me ne sarei andata da lì, ne ero sicura.
“Dannazione!” mi misi velocemente in piedi e cominciai a correre il più velocemente possibile, sperando che quell’uomo ripugnante non si fosse ancora accorto della mia assenza.
Appena arrivai, presi il primo grembiule che trovai, lo allacciai alla vita e cominciai subito a lavorare. Era ora che cominciassi a ringraziare mio fratello per farmi da orologio vivente.
Quella sera, due uomini sconosciuti entrarono nella locanda e si sedettero al tavolo più vicino. Erano molto ben vestiti e anche troppo puliti per appartenere al nostro stesso ceto sociale; erano sicuramente aristocratici.
Mi sentii chiamare da dietro il bancone e mi sorpresi quando, voltandomi, vidi che era proprio il proprietario a chiedermi di avvicinarmi.
“Li vedi quei due?” mi chiese quasi sussurrando.
“Certo.” risposi, confusa. Non riuscivo davvero a capire perché stesse parlando a voce così bassa, come se non volesse far sentire a qualcuno quello che mi stava dicendo.
“L’uomo biondo è il conte Daniel Carignani. Il suo castello si trova a qualche miglia di distanza dal paese. Non so chi sia l’altro uomo, ma questo non importa. Va’ da loro e chiedigli cosa desiderano. Mi raccomando, sii il più gentile possibile, sono sicuro che a casa loro non sono abituati a dei servi scortesi. Fa’ del tuo meglio, e sono sicuro che ci pagheranno di più di quei poveracci che passano sempre di qui.”
“Io sono sempre cortese.” affermai sorridendo. Proprio lui mi veniva a parlare di gentilezza? Ma per favore. Mi avvicinai lentamente ai due nobiluomini e mi fermai a qualche centimetro dal loro tavolo. “Buonasera, signori.” dissi inchinandomi. “Cosa posso portarvi?”
“Il vino migliore che avete, per favore.” mi rispose il conte. L’uomo sconosciuto al suo fianco si limitò a sorridermi. Era abbastanza evidente che mi stesse spogliando con gli occhi, e la sensazione non mi piaceva per niente.
“Subito, signore.” dissi prima di voltarmi e allontanarmi per prendere quello che mi avevano chiesto. Lo sguardo di quell’uomo mi innervosiva. Quando tornai tenendo in mano un vassoio con una bottiglia di vino e due bicchieri, ascoltai parte della loro conversazione mentre disponevo le cose sul tavolo.
“Quindi, hai trovato qualcuno per rimpiazzare la serva che se n’è andata?” chiese l’uomo di cui ancora sconoscevo l’identità al conte.
“No. Sembra che a tutte le ragazze di questo paese stia bene lavorare nelle bettole, giusto per avere qualcosa da fare la notte che non sia dormire.”
Mi schiarì la voce, tossendo lievemente. “Serve altro?”
“No, grazie.”
Mi allontanai e cominciai a servire altri tavoli, quando mi sentii chiamare nuovamente. Mi voltai, convinta che fosse stato un’altra volta quel brutto muso che voleva chiedermi qualche altra cosa. Fui sorpresa quando mi resi conto che il conte mi stava facendo segno di avvicinarmi col dito.
Inizialmente pensai che fosse finito il vino, ma appena fui più vicina al tavolo mi accorsi che la bottiglia era più piena che vuota. “Il vino non è di vostro gradimento?”
“No, anzi, è molto buono. Ma non è per questo che ti ho chiamata.” era più che evidente che il conte era totalmente diverso dal suo amico. Il suo sguardo era quasi buono. A noi poveri non capitava spesso di essere guardati in quel modo, se non dai nostri genitori. “Come ti chiami?” continuò lui.
“Callie, signore.”
A quel punto, mise un mucchietto di monete sul tavolo, dritto davanti a me. “Queste sono tue. Ma solo se passi la notte con quest’uomo qui accanto a me.” mi propose guardando l’uomo che prima mi sorrideva.
“Con tutto il rispetto signor conte, non potrei. Non sto insinuando che il vostro amico sia un uomo poco piacevole ma, personalmente, io non sono una di quelle che si vende per qualche moneta. Quindi se non vi dispiace, tornerei a lavorare, con permesso.” mi inchinai dicendo le ultime parole, ma proprio mentre stavo per girarmi e andarmene, il conte disse qualcosa che non compresi.
“Sei tu.”
“Come?”
“Ascolta. Qualche giorno fa una mia serva ha dovuto lasciare il mio servizio per stare vicina alla madre malata e ho bisogno di un’altra ragazza che la sostituisca. Ho chiesto a varie ragazze del paese, ma tutte preferiscono restare a lavorare nelle locande per continuare a divertirsi con gli uomini quando vogliono. Tu mi sembri diversa, e sei anche molto educata, a quanto posso vedere. Ti andrebbe di venire a lavorare per me?”
“E cosa dovrei fare?” chiesi un po’ esitante. Non mi sembrava vero che avrei potuto lasciare quel posto nauseante.
“Niente di più di quello che fai qui. Dovrai semplicemente servire il pranzo e la cena a tavola e la colazione in camera di mia figlia minore la mattina. Ovviamente però dovrai vivere al castello, insieme a tutti gli altri servi, ma avrai un giorno libero alla settimana in cui potrai tornare in paese per visitare la tua famiglia. Accetti?”
“Se accetto? Ma scherzate? Certo che accetto!” ero fuori di me. Il cuore mi batteva all’impazzata, sprizzavo felicità da tutti i pori. Allora, mi accorsi di essere stata un po’ troppo esuberante e cercai di ricompormi. “Sarebbe un onore, signor conte.”
 “Perfetto. Domani mattina presto un mio servo verrà a prenderti su un calesse, in modo che tu possa cominciare già a colazione.” Si alzò, prese le monete che mi aveva offerto qualche minuto prima e le mise nella mia mano. “Queste puoi tenerle comunque. A domani.”
“Certo, grazie, grazie mille signor conte, non se ne pentirà signore, glielo prometto.” dissi quasi balbettando, ero sicura di esplodere da un momento all’altro. Finalmente, la mia vita stava per cambiare.
  
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