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Autore: Hypnotic Poison    12/01/2008    13 recensioni
Erano sei anni che poteva considerare la sua vita – quasi – normale. Anche se di cose ne erano cambiate parecchie. [...]
« Beh! Che c’è, non si salutano più gli amici da queste parti? »
« Cosa ci fai tu qui! »
[...]
« Stamattina… non è scattato nessun allarme, niente di niente, ma i computer si sono riaccesi automaticamente sui dati del progetto Mew. » [...]
« Ora voi parlate. E vi conviene dire tutta la verità. »

[ATTENZIONE: STORIA IN REVISIONE. Aggiornati al 04/02/2024: 1-18]
Genere: Azione, Commedia, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Ichigo Momomiya/Strawberry, Mint Aizawa/Mina, Nuovo Personaggio, Ryo Shirogane/Ryan
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Chapter Seventeen – See how deep the bullet lies

 

 

 

 

 

 

 

 

 

« Continuo a non essere convinto di questa cosa. »
Per l’ennesima volta, Kisshu si tormentò il farfallino dell’uniforme, studiandosi allo specchio con un’espressione assai inappagata.
« Be’ vedi di fartelo andare bene, » gli sbottò contro Ichigo, passandogli alle spalle con una scatola di camicie di scorta, « Anche perché qua funziona così, non abbiamo bisogno del tuo convincimento per fare qualcosa. »
L’alieno le lanciò un’occhiata stizzosa: « Ohi, micetta, stiamo calmini eh. Siamo un po’ su di giri causa mancanza del biondo? »
« Oh, sta’ zitto. »
Lui si scambiò uno sguardo con Purin, che scosse la testa in maniera d’avviso mentre ricominciava a riempire i porta-salviette.
« Hai parlato con Shirogane nii-san, nee-san? »
Ichigo alzò gli occhi al cielo mentre smollava un’altra scatola su un tavolo con un tonfo e l’apriva con rabbia: « Certo che ci ho parlato, è mio marito. »
« Buono a sapersi, vista l’attitudine. »
« Kisshu, ho delle forbici in mano e non ho paura di usarle. »
L’alieno rivolse un’altra occhiata alla mewscimmia, che gli intimò di tacere con un’occhiataccia nonostante il sorrisetto divertito.
« Come sta? »
« Non vedo perché preoccuparsi per lui, » continuò a sbottare la rossa, « Non è lui quello che è rimasto a casa con una neonata, dei nemici di un altro mondo, gli ormoni a mille e pure un Caffè da riaprire. »
« Dai, nee-chan, scommetto che gli mancate un sacco e si sta preoccupando. E torna tra qualche giorno, no? »
« Lo spero ben per lui, visto che il “paio di settimane” effettivamente sono tre. »
« Non che lo possiamo biasimare per la settimana extra, con tutta la comprensione che circola qua. »
« Kisshu! » le due ragazze lo esclamarono all’unisono pur con due toni differenti, e Ichigo lo guardò come se potesse strozzarlo con la forza del pensiero.
« È inutile che fai lo spiritoso, sai! E pensa piuttosto alla tua, di relazione, dato che certo non sei il genio delle coppie. »
L’alieno si gelò di colpo e il suo viso si rabbuiò a quella frecciatina totalmente ingiustificata, mentre la rossa marciava borbottando di nuovo verso il magazzino per recuperare tutto il necessario alla pronta re-inaugurazione del Caffè. Purin, invece, gli andò accanto e gli diede qualche affettuoso colpetto sulla schiena:
« Lascia perdere, lo sai che con la nee-chan è impossibile discutere quando è così. Però tu devi imparare a non ribattere, eh. »
« Si influenzano a vicenda, mi pare, » rimbrottò lui, strappandosi definitivamente il papillon dal collo, « E si deve fare i cazzi suoi. »
La biondina lo guardò divertita e gli fece un’ultima carezza alla schiena: « Ecco, applica il tuo stesso consiglio. »
« Di solito stai dalla mia parte. »
« Ma infatti lo dico per te. To’, porta questi di là, sono avanzati, » gli mise in mano le salviettine che non avevano trovato posto nei portatovaglioli e gli indicò la cucina, « E benvenuto ufficialmente nello staff del Caffè. »
« Guarda, non stavo nella pelle. »
Lei rise e scosse la testa, avviandosi lungo il corridoio per recuperare gli utensili da pulizia. Come ideato da Keiichiro, per far sì che il tattico cambiamento di personale si svolgesse nella maniera più facile possibile, il Caffè era stato chiuso all’incirca un mese per “importanti lavori di riparazione al sistema idraulico”; le cameriere non appartenenti alle Mew Mew erano state raccomandate ad altri locali della città, attraverso la fitta rete di contatti di Akasaka, così da “non arrecare loro disagio visti i lunghi tempi di attesa”, e il loro posto sarebbe stato occupato dai tre Ikisatashi, in modo da poter essere liberi di scattare alla minima necessità.
Sia Kisshu che Pai avevano, nelle ultime due settimane quando la veridicità di quella proposta si era fatta sempre più concreta, opposto estrema resistenza: l’uno perché preso dal suo desiderio di vendetta che smorzava mangiandoli, i dolci, e ben poco predisposto a dover sciogliersi in salamelecchi; l’altro perché non vedeva la necessità di essere distratto da ben più fondamentali compiti, quali il miglioramento dei loro sistemi di rilevamento e protezione.
Solo Taruto aveva accolto la novità con un atteggiamento più propositivo, seppur lui stesso non molto convinto di dover avere a che fare, per la maggior parte, con ragazzine esagitate e coppiette melense: il fratello dagli occhi dorati, però, continuava a rimbrottargli che lo facesse solamente per mancanza di cose migliori a cui pensare e per la costante presenza, invece, di un paio di toniche gambe che spuntavano da una corta gonnellina gialla. Come poche volte nella vita, d’altro canto, il minore dei tre alieni si risparmiava di fargli notare come tutto quel suo pessimo umore degli ultimi tempi fosse provocato dal problema opposto.
Minto e Zakuro, infatti, erano di nuovo delle rare apparizioni al locale: la prima soprattutto aveva ripreso la propria vita come se nulla fosse, anzi, forse caricandosi di impegni più del solito – cosa di cui l’alieno dai capelli verdi non riusciva a non soffrire, sentendosi come se non riuscisse a passare del reale tempo con lei.
E poi c’era anche quell’altro piccolo particolare che…
« Si può sapere cos’è questo macello? » Pai salì le scale del laboratorio e si guardò intorno infastidito, « Qui c’è chi sta cercando di lavorare. »
Kisshu lo trucidò con lo sguardo: « Ti sembro uno che si sta divertendo? »
« Mi sembri uno che trae diletto dall’infastidire Momomiya, così che poi lei infastidisca tutti, » replicò il maggiore con criticismo.
L’altro fece schioccare la lingua e accennò alla scatola di camicie: « Guarda che ce n’è anche per te, sai. Non credere di riuscire a scampartela. »
L’espressione di Pai non mutò: « Ho cose più importanti a cui pensare. Ad esempio, ai nostri nuovi sistemi di protezione. Dove sono gli altri? »
Kisshu si strinse nelle spalle, riappoggiando le salviettine su uno dei tavoli prima di cacciarsi il farfallino in tasca e iniziare a sbottonarsi l’uniforme: « Qua ci sono solo la scimmietta e la gattina, e Akasaka in cucina a darci dentro per domani. Retasu sarà a lezione, no? »
« E Taruto? »
« A fare rapporto. Non che io capisca a cosa serva, visto che nessuno ha intenzione di darci una mano. »
Pai gli diede un’altra scorsa poco convinta, poi estrasse un piccolo apparecchio dalla tasca: « Vallo a chiamare. Dovrei essere riuscito a trovare una soluzione per le sue barriere. »
« Oh, ma vallo a chiamare tu. Non è che perché adesso devo fingere di fare il cameriere che potete darmi tutti ordini! »
La vena sulla fronte del maggiore pulsò pericolosamente: « Preferisci andare tu a chiamare tutte le Mew Mew? »
Kisshu fece una strana smorfia, lanciò uno sguardo verso la cucina, e poi con un ultimo borbottio scontento si teletrasportò via, lasciando che Pai scuotesse la testa sconsolato.
Circa mezz’ora dopo, tra i magnifici effluvi che si alzavano dai forni in funzione, l’intero gruppo si ritrovò in cucina, chi fisicamente e con ancora i musi lunghi – come Ichigo e Kisshu – e chi invece connesso attraverso cellulari e laptop – come Minto e Retasu.
« La onee-sama è nel bel mezzo di una scena, l’aggiorno io dopo, » esclamò la mora, infatti, parlando sottovoce e continuando a guardare alla sua sinistra, verso l’entrata del set, « Però cerchiamo di sbrigarci, non posso disturbare. »
« Sì, anch’io ho solo una pausa veloce! »
Pai sembrò prendere più sul serio il commento della sua ragazza che quello dell’amica; perciò, annuì e posò l’oggetto sul tavolo, un piccolo disco non più grande di un portachiavi con sopra una piccola cupoletta tonda.
Prima di parlare però, rivolse lo sguardo a Ichigo: « Shirogane? »
Lei, a braccia incrociate, si limitò a scrollare le spalle: « Fuso orario. Lo saprà poi. Quindi? »
L’alieno rimase impassibile e parlò, invece, a suo fratello minore: « Dovrei essere riuscito a trovare il sistema di stabilizzare le tue barriere, con questo. »
« Strafigo, nii-san! » commentò subito Purin, avvicinandosi per curiosare con il disco grigio scuro, « E come funziona? »
« È come se fosse un piccolo ripetitore. Riesce a captare gli impulsi emessi dalle barriere di Taruto e sostenerli, finché non gli viene inviato un ordine di spegnimento. Devo controllarne il raggio e la durata, e ne serviranno almeno due per ogni luogo che vogliamo proteggere, ma potrebbe essere un buon punto di partenza. »
Keiichiro annuì e, dopo un muto cenno d’assenso da parte del suo ideatore, si allungò per prendere in mano il ripetitore: « E ovviamente non impedisce movimenti e non è da noi tracciabile? »
« Esatto. A meno che io non vi dia i dettagli. Per quanto riguarda i Geoti… a questo punto non voglio perdere troppo le speranze. »
« Quanto ti ci vuole a ricrearne a sufficienza? »
« Vorrei testare questo, prima di tutto, » rispose a Kisshu, « E perfezionare il modello, se ce n’è bisogno. Poi non dovrebbe essere troppo complesso. »
« Il nii-san ha trovato la maniera di sottrarsi al lavoro sporco. »
Ichigo non trovò la battuta di Purin minimamente divertente: « Essere a corto di personale non è una meraviglia. »
« Da che pulpito, Momomiya. Come se la prima propositrice del licenziamento delle altre non fossi stata tu, per motivi completamente personali. »
« Perché non vieni qui invece di fare tanto la simpatica, » sbottò contro Minto, « Non che il tuo contributo si noterebbe poi così tanto! »
« Troveremo sicuramente una soluzione, Ichigo-chan, » cercò di tranquillizzarla Keiichiro con un sorriso prima che il battibecco degenerasse troppo, « E grazie per questo, Pai-san. Sono convinto che dormiremo tutti sonni più tranquilli così. »
« Iniziamo dalla barriera qui? » domandò Taruto, poi si grattò la nuca, « Potrebbe essere utile, sta cominciando a non essere facile da sostenere. »
« Okay, quindi abbiamo finito? » la voce di Minto gracchiò, « Devo rientrare, e se non c’è niente da parte nostra… »
« Dovremmo parlare di ricominciare i nostri allenamenti, » riprese Pai, scatenando un’ondata di mugolii scontenti, « Bisogna essere costanti, altrimenti – »
« Appena mio marito torna e può stare lui con la bambina, ci pensiamo, » sibilò Ichigo, « Nel frattempo ho già abbastanza cose a cui pensare. »
« Sono due settimane che i Geoti non attaccano, non possiamo – »
« Intanto riapriamo sto benedetto Caffè, poi vediamo. »
« Momomiya – »
« Ikisatashi. »
Il sopracciglio dell’alieno tremolò alla presa in giro, e Taruto fu abbastanza svelto da infilarsi tra i due.
« Okay, andiamo a provare questo coso per le barriere. Non vi serve una mano per domani, vero? »
« No, » Ichigo sorrise fintamente zuccherosa e piegò appena la testa verso Kisshu, « Abbiamo tutto il volenteroso aiuto che ci serve. »
« Per domani gatto al forno sul menù. »
Il nome di Kisshu rimbombò in un ammonimento in cinque voci diverse per la cucina, mentre Pai scuoteva la testa e faceva dietrofront il più velocemente possibile.
 
 
 
 
Il borbottio della pentola ancora sul fuoco faceva da piacevole sottofondo alla cena, accompagnato dal tintinnio delle posate contro i piatti, come in una qualsiasi occasione casalinga; la conversazione, invece, sembrava non riuscire a divergere dalle congetture sui nemici e sulle maniere differenti in cui affrontarle.
La spalla aveva finalmente cessato di cigolargli, e Kert aveva particolarmente voglia di ributtarsi nella mischia e ripagare Kisshu con la sua stessa moneta: gli veniva davvero difficile tenere a bada l’orgoglio, ferito tanto quanto le sue articolazioni.
Si stava distraendo, però, tra una cucchiaiata e l’altra – Pharart aveva probabilmente impegnato l’attesa a sperimentare tra i fornelli, perché numi, era buono quell’intruglio – a studiare Espera, quella sera ancora più silenziosa del solito. Il viso tondo della ragazza gli pareva ancora più pallido, e il mignolo della mano sinistra, poggiata sul tavolo, ogni tanto fremeva, come colpito da un tic. Se n’era sicuramente accorto suo fratello, perché da destrimane qual era, stava invece impugnando la posata con la sinistra, così che il palmo libero potesse posarsi sulla schiena della ragazza e lì accarezzarla.
Kert s’impose di mantenere un’espressione neutra solo per non istigare la solita discussione con i suoi compagni di brigata, apparentemente non disturbati da queste continue interruzioni al loro incarico. Capiva che Espera andasse loro più a genio di quanto potesse dire lui, ma invece non concepiva come non fossero frustrati dai tempi d’attesa che andavano dilatandosi e dai vari aggiustamenti che dovevano apporre vista la di lei presenza.
Cosa diavolo c’era che lui effettivamente non capiva di lei?
Quel pensiero gliene veicolò direttamente un altro, che lo tormentava da prima che la missione addirittura cominciasse, da quella conversazione che aveva origliato a casa Seles.
Ora che l’aveva lì davanti agli occhi, ora che si erano accertati di cosa potesse combinare…
No, non ne era convinto. Non lo era mai stato, e tutta quella situazione non faceva che solidificare i suoi quesiti.
Era tutto troppo importante perché ci si potesse permettere anche il minimo errore.
« Ti ho tolto le parole di bocca, eh? » Pharart, seduto accanto a lui, gli diede una gomitata tra le costole che un po’ lo fece sbuffare, « Te l’ho detto che mi sono superato, stasera! »
« Preparalo in abbondanza, abbiamo trovato una maniera di spegnerlo. »
« Ah-ah-ah, » Kert fece una smorfia al fratello minore dopo quella battuta, « Non ti conviene che il tuo secondo in comando sia spento. »
« Dai, fratellone, fallo un sorriso una volta tanto. »
« Sì, sei così carino quando sorridi! »
« Pharart, dillo che vuoi un cazzotto in bocca. »
Tutti scoppiarono a ridere, Seles compresa, e Kert si rilassò un po’ di più sulla sedia, nonostante quel fastidioso pensiero che continuò a pizzicargli un angolo del cervello.
 
 
 
 
Quando finalmente Taruto riuscì a buttarsi sul letto, a fine serata, non si risparmiò un lungo sospiro. Abituarsi ai nuovi ritmi del Caffè non era facile, e Pai l’aveva letteralmente spremuto con tutte le prove per testare la stabilità del suo nuovo congegno. Quasi non aveva la forza di muovere nemmeno il dito mignolo per afferrare il cellulare e mandare un messaggino a Purin.
La porta della camera si aprì prima che potesse effettivamente raccogliere le ultime energie, e alzò appena il mento per osservare Kisshu che rientrava.
« E tu che ci fai qui? » lo canzonò subito il fratello maggiore, « Pensavo che la scimmietta avesse il monopolio delle tue notti. »
« Potrei farti la stessa domanda, » rimbeccò l’altro.
Kisshu si strinse nelle spalle: « La tortorella era impegnata, e io sono esausto. Se oggi è stato solo un preannuncio di cosa ci toccherà domani… »
Taruto lo seguì con lo sguardo e poggiò la testa contro al palmo per guardarlo meglio: « Tutto okay? »
« Potrei farti la stessa domanda, » lo prese in giro il più grande, con un ghignetto sarcastico, « Non hai avuto molte occasioni di aggiornarmi. » 
Un vago rossore si sparse per le guance del minore: « Perché non sono fattacci tuoi. »
« A parte che tenere una cosa come questa nascosta, in questo gruppo, è quasi impossibile, quindi ringrazia che non l’abbiamo saputo in diretta, ma poi scusami, vorrei sapere se tutti i miei trucchi, lezioni di vita e consigli sono stati adeguatamente applicati. »
« Ma va’ a quel paese. »
« D’accordo, allora chiedo alla scimmietta, poi però non ti lamentare se – oh! »
Il cuscino di Taruto lo centrò in pieno, ma entrambi si misero a ridere sommessi, e Kisshu si sedette sul letto esalando e scompigliandosi i capelli.
« Come sta Minto? »
Evitò lo sguardo del fratello, nonostante il tono casuale della domanda, e cincischiò con la coperta: « Sta, direi. »
« Diresti? »
« Hai mai provato a cavarle più di cinque parole di bocca, quando non vuole parlare di qualcosa? » rispose sarcastico e amaro, « E più insisti, più si chiude a riccio, quindi. »
Taruto passò a fissare il soffitto: « Anche tu eri ben testardo, dopo il nostro ritorno a Duuar. »
« Grazie, sei d’aiuto. »
« O anche mentre Minto… non c’era, se è per questo, » insistette « Ora che ci penso, la quantità di gente con un pessimo carattere in questo gruppo è spaventosamente alta. »
« Perché tu invece sei liscio come l’olio. »
« Sono sicuramente più paziente di te. E più simpatico di Pai. »
Kisshu sorrise a trentadue denti e guardò la parete dietro ai loro letti: « La pesciolina un giorno verrà fatta santa. »
Taruto si assestò ancora nel letto sogghignando, e passarono pochi istanti di silenzio prima che domandasse: « Quando… quanto ci hai messo a capire che ti eri innamorato di Minto? »
« Pfff, » anche l’altro si stese, in una posa molto simile alla sua, « Tu non hai niente da capire. Si vede lontano un miglio che sei cotto della scimmietta e da un pezzo. Che tu non abbia le palle per dirglielo nonostante tutto, è un altro discorso. »
« Oh, e rispondi però, visto che rompi così tanto le palle sulle lezioni di vita! »
Kisshu si strofinò sovrappensiero il petto, studiando una ragnatela nell’angolo del soffitto: « Con Ichigo è stato immediato, e… dilaniante, come una bomba che scoppiava. Con Minto è stato tutto diverso – se solo provi a dirle una parola di questo ti ammazzo, sei avvisato, » s’interruppe lanciandogli un’occhiataccia e riprese solo quando Taruto gli fece il saluto militare, « È stato come… be’, lo capirai più di me, come piantare un seme senza sapere che pianta fosse e veder crescere un baobab. »
« Romantico. »
« Sei tu che fai domande da ragazza! » Kisshu rise quando il fratello gli fece il dito medio, poi continuò a bassa voce, « E comunque, Purin non è Minto. Io ho aspettato a dirglielo perché avevo paura che scappasse, che si sentisse in dovere di lasciarsi andare prima di quando volesse. La scimmietta decisamente non è così – anzi, probabilmente tra poco ti verrà pure a chiedere. »
Un sottile sorriso si dipinse sulle labbra di Taruto: « Lo so. »
Il maggiore ghignò divertito, ripiegando entrambe le braccia dietro alla testa. All’improvviso, quel senso di inquietudine che l’aveva accompagnato negli ultimi quindici giorni si ripresentò ineffabile, e lui si tirò a sedere, colto dalla necessità di assicurarsi – ancora – che la mewbird stesse bene.
« Dove vai? » gli domandò Taruto, preso alla sprovvista.
« Dalla tortorella, » rispose lui, riacciuffando la felpa che aveva abbandonato ai piedi del letto, « Vedo se è tornata. Tanto non devo essere qui fino a dopo pranzo, domani, no? »
Suo fratello fece una smorfia come per protestare, visto ciò che gli aveva detto prima, ma poi si limitò ad annuire e augurargli sottovoce la buonanotte, e Kisshu si teletrasportò con un cenno della mano.
Quando arrivò sul familiare balcone di villa Aizawa, vide le luci della camera accese attraverso le tende accuratamente tirate. Minto doveva quindi essere rientrata, ma non gli arrivò nessuna risposta dopo che ebbe bussato leggero al vetro un paio di volte.
Che si sia già addormentata? si domandò confuso, cercando di sbirciare dentro la stanza. In quel caso, non avrebbe voluto svegliarla, tantomeno di soprassalto, ma non gli sarebbe certo bastato basarsi solo sull’aspetto dell’abitazione dall’esterno.
Quanto più silenzioso possibile, comparve all’interno della camera, fluttuando a pochi centimetri da terra così da non provocare nemmeno il più sottile tonfo. Minto stava effettivamente dormendo, abbozzolata tra le coperte; neanche a dirsi, Mickey sbucò dall’incavo delle sue braccia quando si accorse della presenza dell’alieno, ma si concesse solo di scodinzolare un po' con la linguetta di fuori.
Kisshu ponderò sul da farsi: si era accertato che stesse bene, d’accordo, ed era incredibilmente egoista svegliarla, ben conscio che ultimamente i suoi sonni non erano molto tranquilli – doveva anche essersi addormentata all’improvviso, viste tutte le luci accese. Al tempo stesso, ultimamente gli pareva che riuscissero a ritagliarsi un istante solo loro due unicamente di sera, e anche quando non distratta dalla quotidianità che – giustamente – bramava così tanto adesso, Minto era sempre un po’… sfuggevole.
Volò fino al suo lato del letto, il cagnolino che lo fissò con entusiasmo, riaccucciandosi giù quasi a dirgli di non preoccuparsi, e lui le accarezzò piano il viso, scostandole una ciocca sfuggita alla crocchia morbida con cui dormiva sempre.
« Dormi bene, tortorella, » sussurrò, posandole un bacio sulla testa.
La ragazza nemmeno si mosse, continuando a riposare placida; Kisshu la osservò ancora un altro istante, ascoltando il ritmo profondo e regolare del suo respiro, poi spinse l’interruttore della luce e volò via non appena la stanza piombò nel buio.
 
 
 
 
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Espera si massaggiò le tempie con i polpastrelli, socchiudendo gli occhi e deglutendo piano nel tentativo di placare lo stomaco. Quell’emicrania la stava devastando, e il persistente fischio che percepiva nelle orecchie era la ciliegina sulla torta.
Cercò però di non darlo a vedere: i suoi quattro compagni stavano borbottando tra di loro davanti a lei, in piedi a rivedere ancora i filmati dell’ultimo scontro con le umane per tentare di capire la dinamica di quello strano animale che le aveva accompagnate, e l’ultima cosa che lei desiderava era distrarre di nuovo Rui con il suo malessere. Lui si preoccupava sempre troppo per lei, e soprattutto smetteva di prestare attenzione al suo incarico; non avrebbe sopportato, quel giorno, di vedere ancora l’angoscia nei suoi occhi blu.
« Dovremmo catturarne un esemplare e studiarlo, » stava dicendo in quel momento Zaur, allargando con le dita l’immagine di quell’essere luminoso in mano a uno dei Duuariani, « Devono aver effettuato qualche specie di innesto. »
« Dobbiamo essere sicuri che sia sicuro da maneggiare, » replicò Rui, « Non conoscendone le proprietà, potrebbe essere come portarci una bomba in casa. »
« Ed è un essere vivente, potrebbe essere tossico, o - »
Espera smise di ascoltare, o meglio, smise di provare a sovrastare il sibilo che le stava spaccando la testa a metà. Doveva resistere ancora per poco, avrebbe trovato la scusa perfetta appena dopo pranzo, nessuno si sarebbe incuriosito troppo se fosse andata a stendersi per riposarsi.
Il solo pensiero di cibo le provocò una tale capriola in ventre che temette avrebbe rigettato direttamente lì nel salone, davanti a tutti.
« D’accordo, andiamo adesso, così che – Espera? »
Lei si raddrizzò di scatto alla domanda di Rui, e stese un sorriso il più sincero possibile: « Scusami, mi sono distratta. »
Il compagno la osservò per qualche secondo e le si avvicinò: « Andiamo ad allenarci un po’. Ti dispiace rimanere sola? »
« Assolutamente no. Non vedevo l’ora di avere un po’ di calma. »
E non era certo una bugia.
Gli occhi blu la scrutarono ancora un po’, prima che Kert gli mettesse un braccio attorno alle spalle e lo spingesse verso il corridoio, rumoreggiando su cose cui lei non prestò attenzione.
Attese solo di sentire affievolirsi le loro voci, poi si alzò dal divano e si affrettò verso il bagno; le girava talmente tanto la testa che a metà del corridoio perse l’equilibrio e si scontrò contro il muro. Sibilò un lamento al tonfo sordo della spalla, e al tempo stesso si sfiorò il naso, avvertendo un fastidioso pizzicore: la traccia rossa che si vide sulle dita le strappò un’altra invettiva.
Strinse i denti e quasi si diede la spinta, sfiorando la parete con la mano sinistra per sostenersi finché non raggiunse il bagno. Lì, aprì subito il rubinetto sull’acqua più fredda possibile e ne raccolse un’abbondante quantità tra i palmi prima di affondarci il viso, incurante della frangetta che si infradiciò all’istante. Si sentiva il volto in fiamme come se avesse un febbrone esagerato, ma contemporaneamente stava sudando, senza neanche un brivido.
Tranne quel formicolio tra le spalle che all’improvviso le attraversò il braccio e le fece tremare le mani.
Un altro rivolo di sangue le scese dal naso, denso e costante, tingendo l’acqua di un rosso intenso, ed Espera dovette costringersi a rimanere calma mentre percepiva il cuore scenderle nello stomaco e il respiro farsi più affannoso. Si sciacquò di nuovo la faccia, rimanendo più a lungo dentro al liquido fresco, cercando di rilassare ogni muscolo, gli occhi chiusi anche per contrastare i continui capogiri.
« Spiegami ancora come dovresti esserci d’aiuto, in queste condizioni. »
Strinse i denti per non fare scappare il gemito che le crebbe in gola all’udire la voce dell’ultima persona che avrebbe voluto vedere in quel momento.
Perché non era con gli altri!?
« Quasi mi dispiace per te, » continuò Kert, poggiandosi allo stipite della porta a braccia incrociate, « Non sei un bello spettacolo. »
« Kert, per favore, » gemette Espera, ancora piegata sul lavandino, lanciandogli solo un’occhiata stanca, « Perché devi proprio infierire? Non ti basta questo? »
« È esattamente questo il problema, » uno strano luccichio gli attraversò le iridi dorate mentre si staccava appena dal legno, facendo solo un passo verso di lei ma senza attraversare la soglia, « Non riesco davvero a capire perché il Consiglio abbia insistito così tanto per farti partecipare a questa missione, addirittura facendoti salire sulla navicella di nascosto, se questo è tutto ciò che riesci a contribuire. D’accordo, il trucchetto con la Luna è stato interessante, ma non siamo certo stati capaci di rifarlo, vero? »
Il ronzio nelle orecchie dell’aliena si fece più intenso mentre lei scuoteva la testa e si tamponava il naso con il dorso della mano: « Sai benissimo che non è stata una mia scelta, » ansimò, « Non capisco cosa – »
« Dal mio punto di vista, con te qui le cose sono solo peggiorate, » proseguì lui, quasi ignorandola e facendo un altro passo avanti, « Non ti reggi in piedi, e questo deconcentra Rui. Siamo tutti più impegnati a trovare maniere di non farti soffrire, invece che concentrati sul vero senso di questa missione. Quindi, di nuovo, perché? »
« Io non lo so, il perché! » stridette lei con voce rotta, bagnandosi di nuovo le mani così da passarsi le dita fradice tra i capelli, il cuore che le rimbombava nelle orecchie, « Senti, per favore, capisco che io e te non andiamo d’accordo, e avrei anch’io preferito rimanere a Gaia, ma non… non è colpa mia. »
« Andiamo, piccola Seles, » Kert abbassò la voce e il suo tono si fece più canzonatorio, « Vuoi farmi davvero credere che non ci sia nient’altro sotto? »
« Cos… altro!? Cosa stai dicen – »
« Davvero pensi che non sia evidente quanto sia tutto assolutamente orchestrato a tavolino? Tu, piccolo gioiello speciale di una famiglia importante, con addirittura una vecchia filastrocca profetica alle spalle, che casualmente diventi il centro del mondo di mio fratello. I vostri poteri così compatibili, per solo disegno del fato? »
Espera percepì di nuovo quel formicolio, alla base della nuca, e la stanza girò un’altra volta mentre lei si allontanava di un paio di passi, il cuore che batteva forte: « Kert, smettila. Non ti permetto di dire che – che non… »
« Di dire cosa, che non vi amate? » lo disse con tale sdegno e presa in giro che le strappò un singhiozzo, « Prova quello che vuoi, ma non tentare di convincermi che tu, e tutta la combriccola dietro di te, non ci stiate prendendo in giro. E ora mi sono stancato di non farmi domande. »
« Quali domande!? » boccheggiò ancora lei, e sbatté la schiena contro al muro, « Quello che dici non ha senso, non c’è niente dietro quello che io provo per Rui! Solo perché tu non pensi che io sia – »
« Lo ami così tanto che non ti sei neanche posta un dubbio quando ti hanno caricato sulla navicella? »
« Serviva qualcuno che potesse curarvi, » replicò lei, scuotendo la testa, « Serviva… se vi foste feriti, o se vi fosse servito qualche decotto, e Rui non avrebbe ascoltato nessuna motivazione per… E non essere cieco, quella storia della Luna l’abbiamo sempre conosciuta tutti. »
« Una volta al mese non mi pare giustificazione sufficiente, Seles, » il ghignetto di lui non lasciava trasparire nessun divertimento, ed Espera si premette di più contro la parete quando lui, in due falcate, attraversò l’intero bagno e le si piantò davanti, « Non per come gioca il Consiglio. Non per questa missione. »
« Non so cosa tu voglia, » sussurrò lei, ricacciando indietro il groppo in gola e piantando i polpastrelli contro il muro, perché aveva incominciato a vedere doppio e il cuore le era accelerato come un pazzo, « Mi hanno detto di partire, che sarei stata utile, e che sì, non avrei dovuto separarmi dal mio compagno per mesi, mentre lui partiva per riconquistare la Terra. È così difficile per te da capire? »
« Smettila di prenderci in giro, » sibilò Kert di rimando, « Smettila di prenderlo in giro. Questa non è una favola, i vostri poteri non combaciano per caso, tu non lo ami per caso, e non sei qui per caso. »
« Basta! » Espera scosse la testa e abbassò il capo, lacrime traditrici che le scivolarono dagli occhi, « Sei completamente impazzito, non è – »
L’alieno non si curò della sottile corrente che s’alzò per un secondo nella stanza, troppo concentrato sulla rabbia che gli era sbocciata in petto.
« È un po’ che ti tengo d’occhio, Espera, e c’è qualcosa che non va. Te ne sei accorta anche tu, vero? La tua testolina non è così piena di sogni. Quindi dimmi. la. verità. »
Sillabò con rabbia quell’ultima frase tra i denti stretti, avvicinandosi così tanto a lei che la sua fronte gli sfiorò il petto.
Espera scosse ancora la testa, respirando ad ansiti, sperando solo che si allontanasse in fretta e al tempo stesso non potendo ignorare quel pezzo di lei che gli dava ragione, quel fremito lungo il corpo che non la lasciava libera, anche se lui si stava sbagliando, doveva sbagliarsi, non…
« NO! »
Fu questione di un attimo: Espera lo spinse via, un tremore più violento lungo la spina dorsale, e, nello stesso istante, un’enorme energia scaturì da lei, facendo cozzare Kert contro all’uscio così intensamente che il legno scricchiolò. Lui, però, quasi non ci badò, più concentrato a osservare le iridi improvvisamente del tutto nere della ragazza, indistinguibili dalle pupille, gli artigli che avevano preso il posto delle dita, il ghigno ferino sul suo bel viso tondo.
Durò giusto il tempo di un battito di ciglia, così rapido che per un istante nemmeno lui ci avrebbe creduto se non fosse stato per la fitta di dolore che si ripresentò alla schiena dopo qualche giorno di pausa.
« Ah, eccoti qua, piccola Seles, » Kert ghignò come un bambino, massaggiandosi la spalla, « Lo sapevo che non potevi essere questa rompipalle per niente. »
Espera, ansimando pesantemente, ondeggiò sul posto, si guardò le mani che ritornarono del loro aspetto originale, ancora tremolanti, e scosse la testa: « Io non… non capisco cosa… cosa mi sia suc – »
Alzò il volto e gli lanciò uno sguardo così sperduto che, per un istante, l’alieno provò pietà per lei: « Sarà divertente scoprirlo, non trovi? »
Lei non gli rispose, continuando a scrutarsi i palmi con occhi sgranati, e il suo intero corpo cominciò a tremare prima che le gambe le cedessero e lei crollasse in ginocchio a terra, il volto cereo.
Kert sospirò e le si avvicinò di nuovo, accucciandosi davanti a lei e prendendole il mento tra le dita senza che lei opponesse resistenza: « Facciamo così, per ora sarà il nostro piccolo segreto, » mormorò, specchiandosi nelle iridi scure, « Ma non pensare che mi andrà bene a lungo, che mio fratello sia all’oscuro di certi frammenti di te. »
Espera tentò di fare di no con il capo, all’improvviso priva di qualsiasi energia: « Pensa quello che vuoi, compiaciti di aver avuto ragione, ma quello che c’è tra me e Rui è vero. »
« Dolcezza, » Kert ghignò di nuovo, prima di allontanarsi, « Credo che a questo punto sia l’ultimo dei tuoi problemi. »
 
 
 
 
A cavalcioni sopra di lui, Retasu si aggrappò di più al suo collo e vi nascose il viso contro per smorzare i sospiri, e Pai non poté fare a meno di accigliarsi mentre l’udito fine coglieva i rumori appena fuori dalla stanza, l’andirivieni caotico per il corridoio e i sussurri attutiti dal salone principale ogni volta che la porta veniva aperta. Non erano certo sufficienti a deconcentrarlo dalla meravigliosa sensazione della ragazza tra le sue braccia, dal calore dei loro corpi che si univano, ma sapeva che non era necessariamente lo stesso per lei, che parevano dover fare sempre tutto in segreto, di corsa, mentre lui voleva sentirla, amarla completamente senza nessuna preoccupazione d’impiccio. La strinse a sé, afferrandole con maggiore forza i fianchi morbidi e leggermente sudati, e un pensiero gli si disegnò in mente quando l’avvertì scivolare ancora su di lui.
« Voglio vivere con te, » le sussurrò roco all’orecchio.
Gli sembrò di avvertire il cuore della verde accelerare contro al suo petto, ma era troppo distratta in quel momento per poter rispondere con più che l’ennesimo mugolio di piacere e un fremito che le corse lungo la spina dorsale.
« Dicevi sul serio? » gli chiese sottovoce una decina di minuti dopo, accoccolata placidamente contro di lui, le gambe intrecciate alle sue.
« Certo, » le spinse dolcemente gli occhiali sopra al naso, che lei s’intestardiva a rimettere praticamente subito ma che finivano per storcersi inesorabili quando poggiava la guancia contro al suo petto, « Gli ultimi avvenimenti mi hanno fatto capire che vorrei passare quanto più tempo possibile con te. In santa pace. »
Retasu arrossì subito al velato significato di quell’ultima parte, aggiunta a voce più bassa, e gli rivolse un sorriso tremolante mentre le farfalle nello stomaco si moltiplicavano a dismisura.
« Però magari… ecco, senza fretta, » mormorò, le guance in fiamme, « Prima dovrei… presentarti ai miei genitori. Ah – ehm… magari dovrei anche prima dire loro che… che sì, insomma, che ho un ragaz… un fidan… ? »
L’alieno rise piano, intenerito dal suo balbettio emozionato, ma la guardò con tutta la serietà possibile: « Retasu, non c’è assolutamente fretta. Abbiamo tutto il tempo del mondo. E concordo, ci vuole un ordine alle cose. »
Lei avvertì il cuore galoppare ancora più forte a tutti quei non detti, a tutte quelle certezze che in segreto bramava.
« Sarei onorato di conoscere la tua famiglia. »
Retasu non poté far altro che sporgersi in avanti e baciarlo, il respiro mozzato dalle sensazioni che la stavano assalendo, e Pai la strinse di rimando con una risata soddisfatta, accarezzandole la schiena nuda.
« Devo andare, » mormorò lei però dopo qualche istante, assolutamente controvoglia, « Riapriamo tra poco, e – »
L’alieno si corrucciò: « Non devo davvero mettermi quei vestiti e scendere con voi, vero? »
Retasu non poté fermare la risatina che la prese: « Credo proprio che sia l’idea originale. »
Ogni traccia dell’appagamento di poco prima svanì dal viso del ragazzo, che si stese sulla schiena e premette una mano sugli occhi: « Voi umani mi volete morto. »
La ragazza ridacchiò e si districò dal loro abbraccio, rivestendosi in fretta e sgattaiolando verso il bagno dopo aver controllato che il corridoio fosse libero.
Kisshu che cominciò a chiamarli a gran voce, con tono pure scocciato, dal piano di sotto fu la goccia che fece decisamente traboccare il vaso.
« Oh, alla buon’ora, eh! » li accolse infatti al piano principale qualche minuto dopo, « Scusate, vi abbiamo disturbato? »
Pai gli fece una smorfia, per nulla divertito dal sarcasmo: « Kisshu, strozzati. »
« Non molto difficile, con questo coso, » scoccò un’occhiataccia al maggiore e intanto si torturò il farfallino, « Su, forza, che il supplizio sta incominciando. »
« Benvenuti, bentornati al Caffè Mew Mew! » in quell’istante, Purin aprì la porta d’ingresso e iniziò a vociare a pieni polmoni, con un’energia che fece venire mal di testa istantaneamente ai tre alieni, « Prego, da questa parte, vi portiamo subito al tavolo migliore. Ah, ehm, Pai nii-san… magari tu vai alla cassa, che dici? »
« Non ci dovevo stare io alla cassa!? »
« Ichigo-chan, dai, tu sei più… esperta a trattare con i clienti! »
« Retasu, tu sei amica mia. »
Non ci fu molto spazio per le dispute, perché il Caffè fu sommerso da clienti impazienti di gustarsi le creazioni di Keiichiro dopo un mese di privazione, e il nuovo meccanismo di gestione interna si dovette arrendere a mettersi in moto all’istante, stirandosi sorrisi di circostanza sulle guance.
Ichigo soprattutto dovette sforzarsi di calarsi totalmente nella parte di cameriera perfetta: non le era mancato per niente il lavoro ai tavoli, dopo la pausa della gravidanza e della maternità, invece – ma non l’avrebbe mai ammesso ad alta voce – sentiva la mancanza delle ex colleghe allontanate, sì a lei spiacevolissime ma comunque più rodate a quel tipo di lavoro che i suoi nuovi compagni di sventura.
« Ma che musi lunghi, » Minto varcò la soglia e lanciò un sorrisetto sarcastico verso la rossa, che pur da lontano la sentì e la guardò storto.
«Ah, nee-san, ci sei anche tu! »
« Pensavo sarebbe stato uno spettacolino divertente, » rispose ironica a Purin, sollevandosi gli occhiali da sole sul capo, poi si accigliò appena, scrutando Kisshu che interagiva con un tavolo di ragazze un po’ troppo palesemente contente delle sue attenzioni, « Cosa starebbe combinando? »
« Uhm… servizio clienti ottimale? »
« Mmmhm, » lei continuò a fissarlo male, e probabilmente l’alieno se ne accorse, perché scrisse l’ultimo appunto sul palmare e poi virò subito da lei con un sorriso contento.
« Tortorella, sei venuta a salvarmi da questo incubo? »
« Non mi pare che sia una situazione così disastrosa, visto l’impegno che ci metti. »
« Simpatica, tortorella. Se mi impegnassi davvero, ci sarebbe un chilometro di coda, qua fuori. »
Lei rizzò la schiena e lo sorpassò, schioccando la lingua: « Vedi di non fare l’imbecille e portami un tè, Akasaka-san sa quello che mi piace. »
« Fai sul serio!? »
Purin rise di soppiatto e gli diede un colpetto con la spalla un po’ per rinfrancarlo, un po’ per farlo ritornare al lavoro, ignorando volutamente i borbottii dell’alieno.
Anche Ichigo si tenne alla larga da Minto, più per puro astio nei confronti di vecchie dinamiche che per qualche problema con l’amica – che in realtà avrebbe voluto interrogare al più presto possibile, perché stava iniziando a divagare un po’ troppo anche con lei – ma riuscì quasi a intravederla, con il flusso di gente che continuava imperterrita a sciamare dentro e fuori al locale.
Conosco qualcuno che ne sarà molto contento.
Il pensiero le fece risalire ancora quella fastidiosa rabbia che l’aveva accompagnata negli ultimi quindici giorni e di cui non riusciva proprio a disfarsi, nonostante le frecciatine e i battibecchi costanti con Shirogane al telefono, che non facevano altro che esacerbarsi quando lui la implorava di smetterla di tenergli il muso.
Perché lei non gli teneva il muso, lei aveva ragione, e anche se lui aveva ammesso che lei aveva ragione, a lei non bastava, era arrabbiata, e…
Non finì di concentrarsi sul fatto che la sua coscienza ormai suonava in tutto e per tutto come Ryou, che una silhouette particolarmente conosciuta si stagliò sull’ingresso giusto in quel momento, causandole una strana piroetta allo stomaco.
Oh, che déjà-vu.
« A-Aoyama-kun?! » Ichigo tentò di suonare convinta e accogliente, ma non riuscì a nascondere la sorpresa, « Che ci fai – ah, benvenuto! Anzi, bentornato! »
Masaya le sorrise tranquillo, scostandosi un po’ dall’uscio: « Ciao, Ichigo. Ho saputo che il Caffè avrebbe riaperto e allora ho pensato che sarebbe stato bello rivederlo dopo tutto questo tempo. »
« Hai fatto bene, » lei annuì e poi gesticolò verso la sala, « Come vedi, non sei stato l’unico ad avere questa idea. Non è passata neanche un’ora e siamo già incasinati… il che è un bene, direi. »
Il moro ridacchiò e lanciò un’occhiata veloce alla sua divisa: « Tu come stai? Devo dire che non sembri cambiata neanche di una virgola. »
Lei ricambiò la risatina a disagio e si passò automaticamente i palmi contro i fianchi: « Eh-eh-eh, magari… comunque tutto bene, un po’ stanca, sai… tra la bimba, il lavoro, e… beh, tu sai cosa. »
Masaya si avvicinò cospiratorio su di lei quando abbassò la voce per aggiungere quell’ultimo accenno, e il suo bel viso fu attraversato da un’espressione preoccupata che gli fece stringere le labbra.
« Mi dispiace non essere più di aiuto, » ripeté costernato, « Davvero, se c’è qualcosa che vi possa servire, anche solo… »
La rossa scosse la testa e gli sorrise: « Nessun problema, Aoyama-kun. Ce la caviamo, come sempre. Al massimo siamo un po’ ammaccati. E i ragazzi sono un prezioso aiuto. »
Lui sembrò accorgersi in quel momento della presenza dei tre Ikisatashi tra lo staff e ne rimase stupito per un istante, prima di sorridere e rivolgersi di nuovo alla rossa, scostando lo sguardo da Kisshu: « Sono felice che abbiano trovato la giusta strada e che vi stiano supportando. Dalle poche immagini che passano i notiziari, la situazione appare… complicata. »
Ichigo si torturò il grembiule, desiderosa di cambiare discorso: « È diversa, ma al tempo stesso è… siamo abituate, sai? »
« Sì, capisco, » Masaya le sorrise più caloroso, grattandosi poi la nuca, « Non sono cose che si dimenticano facilmente. »
« No, decisamente no… » ridacchiò, un po’ in un imbarazzo inspiegabile visto il rapporto così negli anni consolidato con il ragazzo, ma lui continuò molto tranquillo.
« I nuovi… ospiti, » abbassò la voce ancora e si scostarono maggiormente verso il muro, « Provengono dallo stesso, uhm, luogo di… ? »
Di primo acchito, Ichigo si stupì un poco della domanda, poi realizzò che tutto il loro primo scontro con i Duuariani aveva avuto lo stesso impatto su Masaya che su di loro, ed era stato una parte importante della sua vita (avrebbe mai potuto dimenticare, lei, di avere avuto ben due entità diverse nascoste dentro di sé?).
« Ecco, è una storia un po’ complessa, in effetti… no, ma sì, cioè… è tutto un gomitolo di progenitori e navicelle perdute, e… »
Aoyama annuì concentrato: « Ammetto di avere avuto motivi egoisti per chiederlo, volevo assicurarmi che non si ripetessero schemi complessi come l’ultima volta. »
Ichigo capì l’antifona: « Sono qui per motivi simili, ma nessuna, ehm, entità cosmica?? da risvegliare. »
« Quindi non sono qui per la Mew Aqua? »
La rossa batté appena le palpebre, poco avvezza al fatto che qualcuno esterno alla sua cerchia più stretta, seppur si trattasse di Masaya, fosse così schietto riguardo gli accadimenti passati: « Non… non che noi sappiamo, ecco. »
« Sì, non è questo il momento adatto per parlare di queste cose, » Aoyama tentò di scherzare, « E perdonami se lo sto facendo, ma non ero sicuro di avere altra occasione. Giuro, sono anche qui per riassaporare le delizie di Akasaka-san. »
Ichigo gli sorrise e poi scosse la testa: « Hai ragione, sono scortesissima, a farti rimanere qua in mezzo al corridoio… scusami, vieni pure… »
 
 
 
 
« Mademoiselle, ecco a lei, » Kisshu posò il tè di Minto sul tavolo con un po’ troppa decisione e una punta di stizza nella voce. La mora non si scompose e lasciò uscire un sospiro contento quando inalò il profumo del vapore dalla teiera.
« Mmm, ora sì che ci siamo, » esalò soddisfatta, « Ah, in effetti mi era mancato molto. »
L’alieno la osservò con stupito divertimento: « Ottengo meno reazioni io. »
« Oh, Kisshu, su, non fare l’esagerato ora, è che – che c’è? »
Non si perse la maniera in cui il ragazzo s’irrigidì di colpo, o il sottile sibilo che gli scappò dai denti stretti, così seguì la traiettoria del suo sguardo.
« Ma guarda, guarda, » commentò sottile, osservando Ichigo e Masaya che parlottavano, « Una scena familiare, Momomiya che viene distratta da Aoyama-kun. Era un sacco che non lo vedevo… fa un po’ strano, in effetti, che sia qui. »
« Mhhm, » Kisshu non si mosse, la schiena dritta come un palo, « Un delizioso tuffo nel passato. »
Lei lo guardò da sotto in su, corrugando la fronte al gelo della sua voce: « Kisshu? »
L’alieno, però, la ignorò, spostando solo le iridi dorate per incrociare quelle di Taruto, dall’altro lato del salone, che aveva notato anch’egli il nuovo ospite.
L’ultima volta che aveva incontrato Aoyama era stato… e sì, il nome di lui era capitato parecchio nei discorsi del loro gruppo, ma rivederlo lì, dal vivo, tranquillo e sorridente come se nulla fosse era un’esperienza del tutto diversa. Gli pareva anche che il moro li stesse volutamente ignorando, assorbito dalla sua conversazione con la mewneko, che gli stava indicando il bancone dove si ritiravano gli ordini take-away – non che lui avesse particolarmente voglia di parlargli, men che meno di essere civile nei suoi confronti, ma l’audacia di fingere che non esistessero, dopo tutto quello che…
« Kisshu? »
Si accorse a malapena delle dita di Minto che si strinsero leggere intorno alle sue per scrollargli appena il braccio, troppo concentrato su quella strana sensazione che gli vibrò in petto e che sapeva anche i suoi fratelli – Pai comparsogli all’estremo del campo visivo – stavano provando, viste le espressioni ceree sui loro volti.
Non era la stessa cosa, lo sapeva, non era lo stesso, eppure… non sapeva nemmeno dove finissero i suoi sentimenti per Masaya e dove iniziassero quelli per i suoi alter ego, e dovette stringere la mascella per evitare che piccole saette gli corressero sui palmi, perché non era quello il momento, decisamente, ma il pulsare del suo cuore non pareva smettere di rimbombargli nelle orecchie, e –
« The fuck. »
Fu l’esclamazione a distanza ravvicinata di Shirogane, spuntato all’improvviso dall’entrata posteriore, che lo riscosse dalla sua trance, forse anche per lo stupore di essere d’accordo con lui, per una volta.
Minto continuava a fissarlo, confusa e quasi sul punto di alzarsi, e Kisshu scosse la testa, ricambiando la sua stretta prima di lanciare un sorrisetto ironico all’americano: « Un arrivo provvidenziale, biondo. »
« Davvero, » fu l’unica cosa che commentò l’altro, poggiando il borsone che reggeva in un angolo del corridoio.
Minto, invece, alzò gli occhi al cielo e lasciò la mano di Kisshu, riconcentrandosi sul suo tè: « Voi due siete proprio senza speranza. »
« Non so di cosa tu stia parlando, » disse laconico l’ultimo arrivato, e si dileguò tra i corridoi secondari prima che lei potesse prenderlo in giro oltre.
La mora sbuffò divertita, poi guardò di nuovo l’alieno: « Tutto okay? »
Lui abbozzò un sorriso che non raggiunse i suoi occhi e poi le fece l’occhiolino: « Mi merito la mancia per l’ottimo servizio, non trovi? »
« Scommetto che c’è qualcuna sicuramente disposta ad accontentarti qua in mezzo. »
« Tortorella, la gelosia non ti si addice, » si azzardò a lasciarle un bacino veloce sulla testa, non dandole occasione di lamentarsi allontanandosi in fretta ed evitando a larghe falcate l’angolo in cui aspettava Aoyama.
Ryou, invece, arrivò in cucina seguendo le code rosse di una certa divisa, e si appoggiò allo stipite silenzioso come un gatto.
« Vedo che la riapertura sta andando a gonfie vele. Un sacco di clienti, oggi. »
Keiichiro concesse al suo protetto un festoso saluto, genuinamente sorpreso dal suo arrivo – e inconsapevole della scena avvenuta qualche minuto prima – mentre Ichigo, impegnata a impacchettare dei bignè su un vassoio da portar via, sobbalzò visibilmente.
« Be’! E tu che ci fai qui! »
« Fino a prova contraria, Momomiya, sono il co-proprietario di questo locale. »
Lei non riuscì a non fare una smorfia seccata: « Sai benissimo cosa intendo! Mi avevi detto che saresti stato via un’altra settimana! »
Akasaka ebbe l’accortezza di scivolare via discreto, borbottando qualcosa sulle scorte da prendere in dispensa, mentre Ryou si staccava dal muro e si avvicinava alla rossa: « Non posso fare più sorprese a mia moglie, oltretutto in una giornata così di spicco? »
Ichigo si concentrò per tenere a bada il calore che le pizzicò le guance e incrociò le braccia al petto: « Ne hai già fatte abbastanza di sorprese a tua moglie, non trovi? »
« Sei davvero ancora arrabbiata con me da due settimane? »
« Il programma era di esserlo per tre. »
« E hai già trovato un rimpiazzo, visto che me ne sono andato? »
Le guance della ragazza s’incendiarono e lei non riuscì a evitare di guardarlo scandalizzata, schiaffeggiandogli anche un braccio: « Shirogane, a volte sei proprio stupido! »
« Sei tu quella assorbita dal tuo ex fidanzato e che ce l’ha ancora con me. »
« Appunto, ex, » Ichigo gli sventolò davanti la mano con anello di fidanzamento e fede, « E abbiamo già discusso ampiamente del perché io abbia ragione ad avercela con te, quindi non venire a fare il geloso ora per motivi assurdi. Se fossi arrivato tra dieci minuti non te ne saresti neanche accorto, Masaya-kun sa benissimo come non causare disagio. »
Ryou occhieggiò il pacchetto che lei aveva chiuso con un nastrino: « Sono per lui quelli? Glieli porto io. »
« Shirogane, no! »
Ichigo cercò di sgusciargli sotto al braccio per fermarlo, ma lui aveva già afferrato l’involucro tenendolo troppo in alto perché lei ci arrivasse e stava già marciando verso il moro.
« Hey there, Aoyama. »
Masaya staccò lo sguardo dal cellulare e gli sorrise, tendendogli la mano con fare garbato: « Shirogane, che piacere rivederti. Vedo che gli affari vanno benone, congratulazioni. »
« Non ci possiamo lamentare, » Ryou non ricambiò la stretta, preferendo mettergli in mano direttamente il suo ordine, « Grazie del supporto. »
« Ah, è il minimo. Come dicevo a Ichigo, mi dispiace non poter fare di più, ma come ti avrà sicuramente detto, io non ho più… nessuna capacità, ecco. »
Il biondo lanciò un’occhiata di sbieco alla rossa, spuntatagli alle spalle quasi di corsa e che stava tentando di fingere che fosse tutto a posto, le mani intrecciate dietro la schiena.
« No worries, » rispose schietto, facendogli un gesto col mento, « La situazione è sotto controllo. »
« Sì, Ichigo mi raccontava. Gli Ikisatashi sono una risorsa preziosa, giusto? »
Shirogane non poté non sentirsi colto sul vivo, seppure dubitando che Aoyama gli stesse lanciando una frecciatina connessa al fatto che lui, effettivamente, per le circostanze attuali poteva fare ben poco di concreto.
« Sono una spinta in più a un meccanismo ben oliato. »
Ichigo gli diede un pizzicotto di soppiatto al tono infastidito e monocorde, ma Masaya perseguì a sorridergli e poi alzò il pacchettino a mo’ di saluto.
« Be’, ora devo andare. Mi ha fatto piacere passare e vedere che le cose stanno andando per il meglio, è stato bello riviverlo per un attimo. Magari ci vediamo un’altra volta, che ne dite? »
« Sì, Aoyama-kun, sentiamoci, » la rossa intervenne prima che Ryou potesse aprire bocca, il gelo nel suo sguardo fin troppo eloquente, e rispose al sorriso del ragazzo con altrettanta simpatia, « E fa attenzione in giro, mi raccomando! »
« Vale lo stesso per te, Ichigo. Salutami tanto le altre, e ringraziale ancora. Arrivederci, Shirogane! »
L’americano non disse nulla, scrutandolo con astio finché non lo vide scomparire oltre il portone d’ingresso, poi guardò la moglie dall’alto verso il basso: « It does seem you two talk an awful lot. »(*)
Ichigo lo scrutò malissimo prima di scuotere le mani in aria: « Sei insopportabile! Vai a casa da tua figlia che è meglio, o tra un po’ non ti riconoscerà più. »
Lui la riagguantò per un polso prima che si allontanasse troppo: « Ichigo, would you stop punishing me already? »
« No, guarda che non funziona, » la rossa alzò gli occhi al cielo e fece, però, magra resistenza al suo voltarla, « Soprattutto se fai l’antipatico con gli altri! »
« Perdonami se dopo quasi tre settimane che non ti vedo, non ho voglia di condividerti con Masaya Aoyama, a cui piace rivivere il passato, » rimbeccò lui, afferrandola piano per la vita.
« Non mi stai condividendo con lui, » sbuffò esasperata lei, poi gesticolò verso la sala gremita, « Piuttosto con tutti i clienti che sono di là in balia di Kisshu e Taruto. »
« They can wait, » Ryou abbassò la voce e poggiò la fronte sulla sua, « Mi siete mancate. »
« Devi farti perdonare, » lei persistette a fare la sostenuta, nonostante il sorrisetto che minacciò di spuntarle sul viso, « Ho intenzione di rimanere arrabbiata per tutta la settimana rimanente, dico sul serio. »
« Lo so, lo so. Prometto che – »
« Oh, sposini! Guardate che qua i tavoli non si puliscono da soli! » Taruto spuntò da dietro una colonna, il viso coperto da un sottile strato di sudore e il farfallino già storto, e li guardò truce, « Tu dovresti star dirigendo i lavori, in quanto cameriera più anziana! »
« Chi hai chiamato anziana?! »
Ryou rise piano quando Ichigo sgusciò via per andare a rincorrere il giovane alieno, poi si sgranchì la schiena affaticata dal lungo volo, l’organismo che non riusciva a percepire su quale fuso orario fosse. Forse avrebbe dovuto davvero ascoltare la moglie e andarsene a casa, per un sonnellino e le dozzine di coccole arretrate a Kimberly; stava quasi per ritornare sui suoi passi e riprendersi le valigie, quando Pai attirò il suo sguardo dalla cassa.
Shirogane si concesse di pensare a quanto fosse una stramba visione, l’alieno con l’uniforme e lo sguardo torvo a contare i resti e augurare una buona giornata ai clienti in uscita, così incredibilmente glaciale come quando annunciava loro i deludenti risultati delle loro ricerche.
Anche se gli sembrava più svelto di Ichigo a valutare le monete.
Si salutarono con un cenno del capo, e l’americano poggiò il gomito contro al banco: « Tutto sotto controllo? »
« Stabile, » rispose spiccio il Duuariano, « Abbiamo quasi finito di mettere di perfezionare gli stabilizzatori per le barriere di Taruto. »
Shirogane annuì: « Sarei interessato a saperne di più in dettaglio. Non è il forte di Ichigo spiegare queste cose. »
Pai non batté ciglio: « Ho lasciato una relazione approssimativa sulla scrivania. Ci sarebbe da lanciare anche un aggiornamento dei nostri sistemi, ho ricevuto una notifica pochi minuti fa. »
Il biondo annuì, vedendo la sua possibilità di un riposino allontanarsi sempre di più.
« Scendo adesso. Raggiungimi quando hai finito. »
Gli rispose solo un vago mugolio che gli parve assomigliare molto a Se mai finirò.
 
 
 
 
Si sentiva coperta da un sottile strato di sudore congelato, ma aveva così tanto freddo, in quel momento, che l’idea di un bagno non le sfiorò nemmeno l’anticamera del cervello. Se quella mattina si era sentita incandescente, ora, invece, stava facendo fatica a non sbattere i denti.
Rannicchiata nel letto, con ogni possibile strumento per riscaldare l’ambiente in funzione, Espera si avviluppò ancora di più tra le coperte pesanti, tentando di placare il tremolio che le irrigidiva ogni muscolo.
Forse era meglio così, però: le rendeva difficile pensare, rimuginare su quanto successo poche ore prima, sulla smorfia soddisfatta e insopportabile che si era disegnata sul viso di Kert e che non era scomparsa per il resto della giornata.
Non sapeva nemmeno lei come aveva fatto a non rivelare nulla a Rui, e sperò che suo fratello maggiore mantenesse la misera promessa di non farlo lui stesso. Prima doveva essere lei a capire cosa le fosse successo e quale fosse il suo significato. Contemporaneamente, non voleva nemmeno paventare a sé stessa la possibilità che ci fosse un granello di verità in quello che Kert aveva suggerito.
Non dubitava di sé stessa, certo che no, e nemmeno di Rui. Ma poteva essere realmente certa che non ci fosse stato nulla di combinato, alle loro spalle? Che se i loro sentimenti non fossero stati genuini, le loro famiglie non avrebbero comunque trovato la maniera di farli avvicinare?
Serrò gli occhi strettissimi, si morse il labbro inferiore. Non aveva mai provato così tanta paura, intrappolata nell’ignoto di quel suo strano potere, ancora più spaventoso della sua connessione con la Luna, a cui non aveva nemmeno ancora fatto l’abitudine.
Come avevano potuto mandarla allo sbaraglio, senza mai prepararla a qualcosa del genere? Avevano davvero giocato tutto sulle possibilità che antichi sospetti si rivelassero reali? E come poteva lei ora affrontarlo, senza avere la minima idea di cosa stesse affrontando? Non avrebbe potuto neppure contattare il Consiglio e chiedere spiegazioni, perché non sapeva come comunicare con loro senza avvertire Rui o gli altri. Forse se fosse riuscita a prendere Sunao da parte a un certo punto…
« Stai dormendo? » non aveva neanche sentito il suo compagno entrare, e il suo sussurro inquieto le spezzò il cuore. Rui non aspettò che rispondesse e le si sedette accanto, il materasso che oscillò sotto il suo peso, accarezzandole la testa, « Devo ammettere che mi stai facendo preoccupare molto. »
« S-s-s-scu-u-sami, » balbettò lei, senza il coraggio di guardarlo.
« Non dirlo neanche per scherzo, » le sfiorò la fronte sudata come ad assicurarsi della sua temperatura, « Posso chiedere a Zaur di aiutarti a dormire? »
Espera avvertì un tremore nel petto all’idea che l’amico utilizzasse i suoi poteri su di lei, ma riconobbe l’utilità di quel suggerimento, e annuì soltanto.
Rui sospirò e si concesse qualche altro secondo da solo con lei, ignaro della tempesta che le imperversava dentro e che non sapeva nemmeno da che parte cominciare a spiegargli.
 
 
 
 
Ichigo girò la pagina del libro che teneva appoggiato alle ginocchia, senza aver davvero letto le righe precedenti. Era stanchissima, ma non riusciva ancora a prendere sonno.
Ryou, invece, era crollato poco dopo cena, dopo aver praticamente monopolizzato le attenzioni di Kimberly, e ora stava ronfando piano accanto a lei, un braccio avvinghiato attorno alla sua vita e il viso sepolto tra i cuscini.
Cercando di non svegliarlo, gli accarezzò leggera i capelli biondi, intanto che cercava di riconcentrarsi almeno sulla sua lettura. Era ancora irritata con lui, pienamente cosciente che la permalosità di entrambi era sempre stato un problema, ma il palloncino di ansia che aveva portato in petto per tutti quei giorni si era sgonfiato non appena le era ricomparso davanti agli occhi.
La causa della sua insonnia corrente, invece, era uno strano pizzicore al cervello procuratole dall’incontro con Masaya. Forse non ci era più abituata, o forse davvero le frecciatine gelose di Ryou la stavano influenzando, ma più ci pensava più si sentiva confusa, e parte di lei si sentiva in colpa per quelle sensazioni e per non sentirsi capace di avere con lui una conversazione tranquilla e completamente onesta.
O forse era solo la sua maniera di proteggerlo da quell’ennesimo casino intergalattico, per non fargli rivivere l’incubo che avevano condiviso. Non c’era bisogno che lui sapesse esattamente chi fossero i loro nemici, era già abbastanza che si preoccupasse e fosse costernato di non essere più d’aiuto (anche se il suo senso di colpa non si attutiva quando realizzava che parte di lei fosse parecchio contenta che Masaya non avesse più i suoi poteri, visti i precedenti), la cosa migliore per lui era girarle più alla larga possibile.
Poi, se doveva essere sincera, aveva la quasi piena certezza che Pai non avrebbe esitato a farla fuori se avesse scoperto che condivideva particolari sui loro nuovi nemici con qualcuno di “esterno” …
« Why are you not sleeping. »
Ryou lo bofonchiò in una maniera così stretta e pastosa che Ichigo ci mise qualche secondo di più a capirlo.
« Scusami, non ti volevo svegliare, » sussurrò, poggiando il libro sul comodino e spegnendo la luce, « Stavo solo pensando a delle cose. »
Lui aprì un unico occhio azzurro: « Che cose? »
La rossa sorrise al tono preoccupato anche sotto la coltre del sonno e gli si stese accanto: « Niente di che. Forse sono troppo su di giri dopo tutto il lavoro di oggi. »
La stretta dell’americano si fece un po’ più decisa e lui incastrò meglio il naso nell’incavo del collo di lei.
« È la tua maniera di chiedere un part-time? »
« No, » Ichigo rise e riprese a passargli le dita tra i capelli, « Dormi, ora. Mi servi in forma. »
Ryou le borbottò qualcos’altro in inglese che lei non si prese la briga di comprendere, e gli si allineò contro, ascoltando il rumore del suo respiro per placare il ronzio della sua mente.
                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                       
 
 
 
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« Siamo riusciti a perfezionare lo stabilizzatore, » la voce di Pai risuonò fiduciosa all’interno del laboratorio, « La barriera attorno al Caffè è solida, e stiamo procedendo all’installazione dei congegni in tutte le vostre case. Qualsiasi altra miglioria successiva sarà compiuta da remoto. »
« E io finalmente potrò liberarmi del mal di testa, » scherzò Taruto, un po’ orgoglioso per il merito condiviso in quella creazione.
« Ovviamente, ripeto che non possiamo essere sicuri che i Geoti non lo captino, ma abbiamo ridotto al minimo gli impulsi che emette e speriamo che ciò sia sufficiente. »
« O che almeno non gli interessi abbastanza da catturare la loro attenzione. »
Pai annuì al commento di Zakuro, poggiata a braccia conserte contro al muro.
« Almeno è un sollievo, » esalò Retasu, ancora con la divisa da cameriera addosso, il Caffè chiuso da poco più di una mezz’oretta, « Sapere che così noi o i nostri cari possiamo avere una protezione in più, soprattutto quando non ci siamo noi. »
« Forse ricomincerò a dormire tutta la notte, » la battuta di Ichigo risuonò molto debole, e Ryou, accanto a lei, le accarezzò piano la schiena.
« Ciò non significa che dovrete abbassare la guardia. È soltanto una precauzione aggiuntiva, ma che non vi distragga. »
« Figurati se ci distraiamo, Shirogane, » replicò acida Minto, « È un pensiero che proprio non ci abbandona, sai com’è. »
Pai fu di nuovo il primo a spezzare il silenzio gelido che era sceso nella stanza: « Per questo, a discapito di suonare come un disco rotto, bisogna rimettersi in carreggiata con i nostri allenamenti. E forse discutere di strategie durante i combattimenti, visti i casini dell’ultima volta. »
Kisshu si strinse nelle spalle all’occhiataccia velenosa: « Il chimero è stato utile all’effetto sorpresa. »
« Come no, » il fratello maggiore fece schioccare la lingua, « Comunque, ora, capisco se il nostro numero si ridurrà per un po’, però – »
« Perché? » Minto sbottò ad alta voce, lanciandogli uno sguardo di ghiaccio, « Se stai parlando di me, sappi che non ho nessuna intenzione di stare a guardare. Non ho bisogno di un trattamento di favore. »
Zakuro le posò una mano sulla spalla, scrutandola con preoccupazione: « Non è un trattamento di favore. Vogliamo solo darti il tempo di recuperare. »
« Ho recuperato. »
« Sei sicura? »
La mora annuì, le unghie che si conficcarono negli avambracci: « Non voglio… darla vinta a nessuno. »
« Minto-chan, non è questione di – »
« Stai scherzando? »
Perfino Retasu tremò sotto il gelo della domanda di Kisshu e che gli aveva attraversato gli occhi.
« Tu non ti avvicinerai di un centimetro a loro. »
« Decido io cosa fare, » gli replicò la ragazza con livore, « Non ho intenzione di nascondermi, è mio dovere aiutare le altre. »
« Non ti metterò in pericolo una seconda volta, » ribatté irremovibile lui, avvicinandosi, « È assolutamente fuori discussione che tu ti ributti nella mischia così pre– »
« Fuori discussione?! » lo strillo stridulo e incredulo di Minto rimbombò nella sala, inondata di un silenzio di piombo, e lei notò appena come la stretta di Zakuro sulla sua spalla fosse aumentata, « Tu non hai nessun diritto di… ! »
« Col cazzo, » sibilò Kisshu, colmo d’ira, « Pensi davvero che ti lasci andare là fuori dopo quello che è successo? »
« Non dipende da te! » sibilò lei, stringendo i pugni lungo i fianchi solo per fermare le lacrime che sentiva affacciarsi sulle ciglia. Con la coda dell’occhio, vide Ichigo titubare e accennare a un passo avanti:
« Minto-chan, forse… »
« No! » la interruppe bruscamente, poi si rivolse di nuovo a Kisshu, « Tu non puoi dirmi cosa devo o non devo fare, ora più che mai è mio compito combatterli. Non darò loro certo la soddisfazione di pensare che siano riusciti a… a… »
L’alieno espirò rumorosamente per calmarsi, rilassando le spalle, e la raggiunse per prenderle il volto tra le dita: « Tortorella, non posso combattere se devo pensare a – »
« Non te l’ho certo chiesto, » Minto soffiò livorosa e scattò all’indietro, scostandogli con malagrazia le mani, « Non mi serve un babysitter. »
« Min–  »
« Lasciami stare, » Kisshu aveva provato di nuovo a riavvicinarsi allungando un braccio, ma la mora lo allontanò ancora di getto, scrollando le spalle per evitarlo e scuotendo la testa mentre iniziava a respirare pesantemente, « Mi devi lasciare stare, io devo – »
« Minto! »
« Minto-chan! »
Sia Ichigo che Zakuro si lanciarono in avanti quando la videro inciampare e perdere all’improvviso tutto il colore dal volto; fu però Keiichiro a raggiungerla per primo, e l’afferrò gentilmente per le spalle così da aiutarla a sedersi.
« Minto-san, va tutto bene, » esclamò con sicurezza, inginocchiandosi davanti a lei e cercando di incontrare gli occhi della mora che però erano vacui e persi sul pavimento, « Respira con me, dal naso. »
Un suono strozzato uscì dalla gola della ragazza, che continuava ad ansare con una mano sul petto. Keiichiro le prese le mani e le parlò sottovoce qualche altro istante, poi guardò gli altri da sopra la spalla: « Credo sia un attacco di panico, è meglio se uscite. Rimango io con lei. Davvero, Kisshu-san, » insistette con gentilezza quando lo vide esitare un passo avanti.
Lui si lasciò condurre fuori solo dalla presa di Taruto sulla spalla e da quella di Purin, che gli si avvinghiò al braccio mentre guardava l’amica con preoccupazione.
« Vogliamo continuare a insistere che vada tutto bene? » ringhiò quando furono tutti in corridoio.
« Non è il momento, Kisshu, » lo riprese Zakuro.
« Non lo è mai, » mugugnò rabbioso lui a mezza voce, e la biondina attaccata a lui lo scosse un istante come a dirgli di tacere, « Ditemi che ho torto a dirle che sarebbe meglio si prendesse un momento. »
« Glielo devi consigliare, non imporre, Kisshu. »
Lui alzò gli occhi al cielo al rimbrotto di Ichigo: « Da che pulpito. »
Purin si mordicchiò un labbro e sbirciò la porta chiusa: « La nee-san potrebbe dirci qualcosa… sembrava così tranquilla l’ultima volta a casa tua, Ichigo nee-san… »
« È più complicato di così, Purin, » la voce di Zakuro era gentile, ma solcata da un accenno di preoccupazione, « A volte le emozioni ti sorprendono tutte all’improvviso. »
« Sì, però se non ne parla… »
« Sfondi una porta aperta, » con maggiore cura del solito, Kisshu si scrollò la ragazzina di dosso e, nonostante il flebile richiamo di Retasu, non attese molto prima di rientrare nella stanza.
Minto era ancora seduta per terra, le braccia strette intorno a sé e il viso nascosto contro le ginocchia. Keiichiro le stava accanto, accarezzandole piano la schiena pur tenendosi a una distanza consona per lasciarla respirare, e gli rivolse un’occhiata di comprensione cui Kisshu rispose con un cenno che sperò indicasse la sua riconoscenza.
Il pasticcere abbozzò un mezzo sorriso e mormorò qualche altra parola di conforto alla mora prima di alzarsi, quasi cedendogli il posto mentre l’alieno le si accovacciava in fronte.
« Non ti azzardare a dirmi te l’avevo detto o altro di simile. »
Gli scappò un sibilo divertito al commento pungente, e le sfiorò piano i capelli: « Non sia mai che io abbia ragione, eh, tortorella? »
Gli occhi color caffè, lucidi e arrossati, si alzarono abbastanza per trucidarlo con poca allegria verso il suo sarcasmo non richiesto, e lui sospirò pesantemente.
« Ascoltami per una volta in vita tua, » mormorò, « Non c’’è niente di male ad ammettere di avere bisogno di una tregua. Fidati. »
« Voi non capite, » s’intestardì lei, un brivido che le attraversò di nuovo mani e gola, « Per me sarebbe come ammettere che… che mi hanno sconfitta davvero. »
« Minto, a costo di essere crudele, » le divaricò con cautela le ginocchia così da esserle ancora più vicino, posando la fronte contro la sua, « Se reagisci così al solo pensiero di affrontarli, come immagini che reagirai ad averli davanti sul serio, e ritieni che possa essere strategicamente saggio? »
La mora sgranò appena gli occhi e non riuscì nemmeno a guardarlo in faccia mentre le guance le si coloravano di stizza.
« Lo dici solo perché non vuoi che possa succedere qualcos’altro. »
Kisshu combatté la voglia di alzare le iridi al soffitto: « Anche. Ma so pure di cosa sto parlando. »
« Non ti preoccupare, nee-san! » la testa di Purin sbucò dalla fessura della porta, « Noi ce la caviamo e ti aspettiamo più carica che mai! »
Lei fece schioccare la lingua, già estremamente scocciata dalla sua sciocca e incontrollata esplosione emotiva, e accettò l’aiuto di Kisshu a tirarsi in piedi.
« Anche Ryou nii-san sta praticamente sempre nelle retrovie, gli vogliamo bene lo stesso. »
« Thank you, so kind of you. »
« Non credo che paragonarmi a Shirogane sia un complimento efficace. »
Il biondo le rivolse un’espressione stoica, ammorbidita però dall’ombra di un sorriso.
Minto fece di nuovo per aprire la bocca e tentare di replicare ancora, quando il segnale di allarme iniziò a risuonare acuto in laboratorio.
Un gemito collettivo si sollevò dalle Mew Mew, che si irrigidirono all’unisono.
« E ti pareva, » borbottò Ichigo, « Una puntualità paurosa. »
Kisshu aveva già estratto i sai, e si voltò serio verso la mora: « Tu rimani qui. »
Lei represse l’istinto di ribattere con forza, il senso di colpa in gola che si mischiò al batticuore erratico che le riempì il petto, ed ebbe solo l’energia di annuire mentre altre quattro luci colorate riempivano lo spazio.
 
 
 
 
Il vento gelido soffiava tra i piloni di acciaio, creando uno stridio inquietante che quasi faceva dolere le loro orecchie delicate, ma Pharart si stava concentrando di più su quanto incredibile fosse quella costruzione altissima, che cozzava così tanto con la maniera in cui Gaia era stata edificata e che, per lui, non era altro che una deturpazione della natura.
« Hanno davvero bisogno di stare così in alto? » domandò a Zaur, accanto a lui, « Bloccano qualsiasi vista, qualsiasi luce per coloro che non li raggiungono. »
« Forse è a causa della sovrappopolazione, » commentò placido l’altro, neanche una smorfia sul viso pallido, « È tutto così… grigio. »
« Non siamo qui a discutere di architettura, » abbaiò Kert, i capelli sciolti che sferzavano nel vento, « Dove sono le nostre amichette? »
« Vedi di non fare troppe cazzate. »
« Siete un po’ ripetitivi. »
Zaur fece ruotare pigramente il proprio bastone: « E tu una testa calda. »
« Io avrei in mente un’altra descrizione. »
Si rivolsero tutti e quattro verso il basso, dove finalmente erano spuntati i loro avversari, la tizia dalle orecchie nere e con la buffa gonna rosa in testa.
Il ghigno di Kert si fece più maligno: « Parrebbe che manchi la mia dolce ospite. Non aveva voglia di rivederci? »
L’unico indizio che Kisshu non avesse gradito la frecciatina fu il luccichio dei sai che spuntarono tra le sue dita.
Fu MewIchigo invece a lanciarsi per prima, un lampo di luce rosa magenta che investì i Geoti mentre lei saltava in alto, per avvicinarsi di più a loro, che contemporaneamente si gettarono contro terrestri e Duuariani.
Non si soffermò molto a pensare al luogo scelto per lo scontro: il cantiere di un nuovo centro commerciale di lusso, con annesso enorme parcheggio riservato, ancora semplicemente un vuoto scheletro di cemento e acciaio, tra cui le folate di vento s’inserivano gemendo. Parando i fendenti di Pharart e al contempo lanciando saette colorate, MewIchigo risalì la rampa per raggiungere il piano più alto disponibile e ridurre così la distanza dai nemici, segretamente invidiando gli Ikisatashi e la loro capacità di volare.
« Ribbon Strawberry Surprise! »
La luce travolse i quattro Geoti, ma non abbastanza per rallentare la loro controffensiva. La mewgatto udì chiaramente il clangore delle armi di Kisshu contro l’accetta di Kert, e delle bolas di Taruto contro la corta spada di Rui.
« State lontane da Zaur quanto possibile, mi raccomando. »
Il richiamo di MewZakuro le arrivò forte e chiaro mentre anche le altre la raggiungevano, e si scambiarono tutte un cenno d’intesa, il respiro che si fece più affannoso al solo pensiero di ciò che Minto aveva raccontato loro.
« Ribbon Lettuce Rush! »
Il getto d’acqua di MewRetasu accompagnò una scarica di proiettili di ghiaccio di Pai, il vento che pareva giocare a loro favore: Pharart riuscì a schivare di poco l’attacco, un pezzo della sua maglietta che venne tranciato via di netto.
« Erreskorakas, » mormorò tra i denti, incoccando un’altra freccia, i cui poteri erano nullificati vista la mancanza di un suolo fertile da colpire, « Non potevamo scegliere un luogo più semplice per me?! »
Kert parò un fendente di Kisshu, che lo stava tallonando incessantemente, e si scambiò un’occhiata velocissima col compagno.
« Nessuno ha niente in contrario a liberarsi di questo obbrobrio, vero? »
Non aspettò neanche la risposta dei suoi compatrioti: un colpo di taglio d’accetta si premurò di mantenere una distanza adeguata dal suo avversario, e al contempo, con la mano sinistra riuscì a reindirizzare una folata di vento così da deviare un getto di luce di MewIchigo e spingere Kisshu ancora più lontano, abbastanza per poter liberare il suo bazooka.
« Teneteli impegnati! » gridò agli altri Geoti, e poi mirò dritto a uno dei piloni che sorreggevano l’ultimo piano del cantiere, lì dove le Mew Mew erano impegnate a combatterli.
 
 
 
 
Dalla sala di controllo del laboratorio, Shirogane dovette trattenere una bestemmia tra i denti nell’osservare le immagini che scorrevano nello schermo a tutta parete, il cuore che gli scivolò in gola – o meglio, le immagini che non riusciva a vedere, a causa del polverone che aveva invaso l’intera ripresa di Masha; mantenne la calma solo per Minto, accanto a lui, che piantò le mani sul tavolo e singhiozzò un Ragazze! che riverberò solo tra le mura fredde.
Il biondo digitò qualcosa sulla tastiera, stringendo i denti e lanciando uno sguardo al piccolo schermo alla sua sinistra, dove le quattro lucine colorate lampeggiavano speranzose: « Stanno bene, » sibilò, quasi ad autoconvincersi, « Sia i ciondoli che i connettori degli Ikisatashi lo confermano, sono solo… »
La mewbird sbatté ancora i palmi sulla scrivania e gemette piano, incitando dentro di sé l’inquadratura a schiarirsi mentre il senso di colpa e l’ansia le impedivano di respirare. Si frugò in tasca e ne estrasse il proprio ciondolo, provando un angosciante senso di déjà-vu mentre ci esclamava dentro per richiamare le proprie amiche e riceveva solo staticità in risposta.
Shirogane digitò ancora qualcosa e attivò il vivavoce, spedendo Masha il più vicino possibile al luogo dell’impatto, e mormorando un’altra ingiuria quando finalmente riuscì a intravedere qualcosa.
 
 
 
 
Mentre il cemento si sgretolava sotto i loro piedi in tante zolle diverse, MewZakuro si era ritrovata a scivolare verso il basso prima ancora di rendersi conto di cosa stesse succedendo, i tacchi degli stivali che avevano tentato di frenare invano la caduta. L’urlo acuto di MewPurin le aveva perforato i timpani mentre la biondina slittava accanto a lei e cercava di afferrarla, il bordo del parcheggio in costruzione che si era avvicinato pericolosamente veloce.
La mewlupo era riuscita solo a sguainare la propria frusta e lanciarla contro uno dei piloni ancora in piedi, mentre stendeva il braccio destro per agguantare l’amica pregando che il suo istinto la stesse guidando correttamente. Il bagliore violetto si era arrotolato attorno al pilastro nello stesso momento in cui lei aveva percepito il vuoto nello stomaco, la mancanza di terra sotto il sedere e il peso di MewPurin che le tirava ancora di più verso il basso, e non era riuscita a contenere il gemito di sollievo quando la frusta aveva retto, che si era mischiato all’esalazione pesante che le era scappata allo schiantarsi, per il contraccolpo, contro uno dei piloni della costruzione.
« Nee-san! » MewPurin annaspò in quel momento, stringendole la mano con forza, « Siamo appese come dei salami! »
MewZakuro digrignò solo i denti, le spalle che le cigolarono dolorosamente allo sforzo di reggere sia lei che la mewscimmia, e cercò invano con gli occhi un appoggio per arrampicarsi di nuovo al sicuro.
« Onee-sama! » la voce di Minto le giunse dal robottino rosa che fluttuò innervosito accanto a lei, « State… come possiamo…?! »
« Le altre… » MewZakuro riuscì solo a mormorare mentre una goccia di sudore le scendeva da sotto la frangetta, « O… gli Ikisatashi… »
« Taruto!! »
MewPurin cercò di rimanere il più ferma possibile mentre scrutava verso l’alto alla ricerca dell’alieno, ma i detriti che si erano sollevati nello scoppio le facevano prudere gli occhi e le rendevano difficile riuscire a inquadrare più di una vaga silhouette in cielo. Guardò quindi verso il basso, cercando di calcolare quale sarebbe stata la distanza di una eventuale caduta per togliersi da quella situazione, ma pure lei avvertì un brivido di vertigini nel constatare quanto fosse distante il suolo.
« Nee-san… ce la fai se io mi spingo e… provo a infilarmi al piano di sotto? »
In tutta risposta, la mewlupo sentì la presa sulla frusta che scivolò di qualche prezioso millimetro.
 
 
 
 
Le orecchie smisero di fischiarle dopo quelli che sembrarono minuti interminabili, e MewRetasu sentì una miriade di sassolini correrle giù per le braccia non appena le sciolse dalla presa protettiva sopra la testa. Quando il terreno le era scomparso da sotto i piedi, lei era caduta dritta al piano inferiore, infilandosi in un’intercapedine momentanea che un po’ l’aveva protetta dal crollo.
Cercò con lo sguardo le amiche, ma non vide nessuno attorno a sé, così prioritizzò uscire da lì. Tossendo a causa della polvere, e con un fianco ammaccato che sentiva pulsare, si arrampicò con cautela tra i pezzi di cemento e acciaio che ora spuntavano minacciosi l’uno sull’altro, facendo sbucare con cautela prima la testa per controllare che il campo fosse libero.
Non si aspettò certo di vedere i piedi di MewPurin penzolarle davanti.
« Ragazze! » si tirò fuori dal buco di scatto e corse fino al bordo della piattaforma, « Ma come… forse posso provare a – » 
Le caviglie della biondina erano a qualche centimetro a penzoloni da lei, e la mewfocena tentò di afferrarle, per portare almeno una di loro coi piedi per terra; ma il pilone all’angolo, ancora in piedi, era troppo lontano, e lei non aveva nessun tipo di appoggio cui sostenersi per allungarsi il più possibile.
Il cemento cigolò terribilmente un’altra volta e l’intera costruzione tremò, e MewRetasu ebbe la netta sensazione di vedere la più giovane delle Mew Mew scivolare un po’ di più. Si sporse di nuovo, intanto che la voce stremata di MewZakuro la raggiungeva.
« MewPurin, fallo. »
« Nee-san, sei sicura che…? »
MewZakuro quasi le scosse la coda da lupo in faccia per dirle di sbrigarsi; così, la mewscimmia prese il respiro e poi lo trattenne, mentre scalciava per aria e tentava di darsi la spinta per saltare di nuovo dentro al cantiere.
« Retasu nee-san, prendimi eh. »
« Ci-ci provo! »
La mewlupo trattenne una parolaccia mentre lo sforzo sulla sua spalla si faceva estremo, ma cercò di aiutare l’amica, accompagnandone i movimenti quanto riusciva: probabilmente fu per i geni potenziati di entrambe, ma dopo un paio di sgraziati tentativi e sgambate nel vuoto, MewPurin riuscì ad inarcarsi quanto bastava per volare goffamente tra le braccia di MewRetasu, che l’agguantò stretta a sé mentre entrambe capitombolavano per terra.
MewZakuro esalò, di colpo molto più leggera, e sgranchì il braccio dolorante, la spalla in fiamme, prima di portarlo anch’esso attorno all’elsa della frusta così da sentirsi più sicura.
« Okay, nee-san, come facciamo a recuperare te ora? »
MewPurin non riuscì a finire la domanda che un altro colpo d’aria colpì la parte opposta del cantiere, e un altro boato dolorante riempì l’aria.
 
 
 
 
Il primo istinto di Pai, non appena aveva capito cosa stesse succedendo, sarebbe stato quello di correre a proteggere Retasu; ma – e la parte più addestrata di lui gliene avrebbe dato atto – i loro nemici erano stati particolarmente furbi a gettarsi serrati contro di loro per impedirgli di soccorrere le umane, senza lasciargli la minima possibilità. Zaur gli si era lanciato contro velocissimo, e Pai aveva ondeggiato sotto la forza del bastone premuto contro il suo fidato ventaglio. Con la coda dell’occhio, aveva visto Pharart frapporsi tra Kert e Kisshu così che il primo potesse scaricare tutto il suo potere, mentre Rui continuava a tallonare Taruto a colpi di spada, che il più giovane scansava con abilità ma con difficoltà crescente, anche a causa dell’angoscia per la sorte delle ragazze.
La nube di polvere che si era sollevata in conseguenza dell’attacco di Kert aveva impedito loro sia di prendere un respiro profondo sia di potersi accertare dell’entità dei danni per vari minuti, minuti che il maggiore degli Ikisatashi aveva passato con il cuore che gli aveva battuto contro le tempie fino quasi a renderlo sordo. Il loro sviluppato udito gli aveva almeno concesso di poter udire il richiamo di MewPurin, ma l’occhiata veloce che era riuscito a concedersi non aveva placato la bile che gli bruciò la gola, e sperò che anche suo fratello più giovane mantenesse la calma.
« Ci tenete davvero tanto a quelle ragazzine, eh? »  con una risata sarcastica, Kert volò sotto Pharart, il bazooka sempre retto con la mano sinistra come se pesasse la metà di ciò che sembrava, e assestò un colpo d’accetta ben piazzato a Kisshu, che riuscì a pararlo con uno dei sai solo all’ultimo secondo, « Siete un po’ troppo prevedibili ormai. »
Pai fece schioccare la lingua e con un Fuu Shi Sen scatenò una corrente d’aria abbastanza decisa per mettere in difficoltà Zaur per il tempo necessario ad andare a dare supporto al verde, decisamente troppo infastidito dalle continue provocazioni del loro avversario.
Una scarica di aculei di ghiaccio si frappose tra i due Geoti, costringendoli a separarsi, ma una freccia di Pharart gli soffiò di rimando a un millimetro dall’orecchio, impedendogli di caricare un’altra raffica come avrebbe voluto.
Non riuscì a evitare, cedendo pure lui alle istigazioni di Kert, di controllare ancora una volta il cantiere dove c’erano le Mew Mew, di scrutare per la frazione di un secondo un paio di code verde brillante – almeno MewRetasu pareva in piedi, intenta a provare di acciuffare la mewscimmia, ma…
Zaur gli fu addosso una seconda volta, le spire del suo potere che si avvilupparono intorno al suo collo mozzandogli il fiato e impedendogli di schivare il colpo di bastone che lo colpì in pieno petto. Pai volò all’indietro per qualche istante, più cadendo alla cieca mentre cercava di recuperare la lucidità. Avvertì Kisshu masticare un’imprecazione tra i denti mentre incrociava i sai e formava una bolla di elettricità che spedì a velocità avanzata contro i nemici per placcarli e fare guadagnare al fratello preziosi attimi.
« Fuu Rai Sen! »
Pur con voce un po’ roca, Pai contribuì all’energia lanciata da Kisshu, creando un muro di fulmini che costrinse i tre Geoti a dover virare all’ultimo secondo. Il fratello minore quasi non attese che si dissolvesse prima di lanciarvisi attraverso e caricare di nuovo Kert, il quale però scansò verso sinistra e si allontanò veloce dall’altro lato del cantiere, troppo veloce perché il Duuariano riuscisse a raggiungerlo in tempo prima che, con un ghignetto divertito, mirasse una seconda volta contro lo scheletro della costruzione.
 
 
 
 
MewRetasu l’aveva stretta a sé d’istinto quando i pezzi di cemento e acciaio aveva iniziato a cadere attorno a loro, e MewPurin non era riuscita a non urlare quando aveva percepito lo stomaco fare cinque capriole all’improvviso vuoto d’aria.
Almeno era riuscita a spedire un paio di Pudding Ring Inferno sopra le loro teste così da bloccare quante più pietre volanti possibili.
Non sapeva più nemmeno dove si trovassero o cosa restasse di quel povero centro commerciale, ormai un lato quasi del tutto sventrato: ringraziò solo di sentirsi tutte le ossa al posto giusto, nonostante le escoriazioni che ora le decoravano le ginocchia.
« Tutto okay, nee-san? »
La mewfocena si tastò un paio di volte la testa e la schiena, poi annuì poco convinta: « Mi… mi sembra di sì. MewZakuro? »
La mewscimmia si tirò in piedi con cautela, non fidandosi delle crepe che decoravano quel pezzo di cemento caduto insieme a loro e i cumuli di macerie lì attorno, e diede una scorsa all’ambiente circostante.
« Là! »
Qualche metro più in basso, alla fine di una slavina di detriti, intravide l’amica, stesa a terra con la frusta mollemente abbandonata sotto di sé.
MewPurin si stese sul pavimento e portò le mani a coppa davanti alla bocca per chiamarla con preoccupazione: « Nee-san! Mi senti!? MewZakuro nee-san!! »
Le parve di vederla muoversi appena, la coda folta che fremette; Masha le frullò davanti e poi piombò laggiù, strofinandosi contro al viso della mewlupo e sicuramente trasmettendole la voce di Ryou e Minto all’orecchio. Fortunatamente, questa volta il movimento della modella fu più evidente, e MewPurin esalò un sospiro di sollievo mentre faceva il segno dell’okay a MewRetasu.
« Dobbiamo andare ad aiutarli, » esclamò poi, cercando con lo sguardo gli Ikisatashi, « E dobbiamo andarcene da qua, non so quanto reggerà questo coso! »
Masha si ricongiunse a loro con un pigolio agitato, e il tono di Shirogane fece gelare a tutte e due il sangue nelle vene quando si accorsero, effettivamente, che c’era qualcos’altro che non andava.
« Dov’è Ichigo? »
 
 
 
 
Pharart fece una capriola all’indietro, schivò l’ennesima saetta bruciante di Kisshu, poi utilizzò la punta del suo arco per assestargli di rimando un colpo sul gomito, facendogli perdere l’equilibrio per qualche istante.
Doveva cambiare strategia, il combattimento corpo a corpo non era il suo forte, men che meno in una situazione così serrata come quella che si era venuta a creare, e soprattutto con Kert che sembrava una pallottola frenetica che cercava di mettere a segno quante più mazzate possibili.
Il suo secondo attacco contro quell’ingombrante e oscena costruzione umana non aveva sortito del tutto gli effetti desiderati, e il suo compagno sembrava deciso a frustrare quanto più possibile i Duuariani invece che concentrarsi sulle umane: quindi forse Pharart avrebbe potuto approfittarne.
Devo solo riuscire a trovare una minuscola via d’ingresso.
Lanciò una freccia contro Pai, centrandolo in pieno nel suo ventaglio sproporzionato e riuscendo così a evitare che generasse abbastanza potere, poi lasciò che se ne occupasse Zaur e si fiondò in verticale verso il basso, non badando alle loro nemiche né agli schiamazzi della battaglia sopra di loro, concentrato solo invece a trovare un centimetro di verde da poter sfruttare.
Quasi gli scappò un fischio di vittoria quando si accorse di quella piccola aiuola, giusto all’angolo più a nord del grigio edificio: gli umani vi avevano accalcato quelli che immaginava fossero gli strumenti e i materiali necessari a completare il loro lavoro, ma a lui non importava. Gli sarebbe bastato anche molto meno.
Afferrò quattro frecce contemporaneamente dalla sua faretra e le incoccò senza aspettare, incastrandole perfettamente nel terreno. Non attese neanche di controllare che andasse tutto per il meglio, fece dietrofront e ritornò in alto, tra i suoi compagni, muovendo appena un polso.
Pochi istanti dopo, otto radici dal diametro quasi pari a quello di uno dei piloni di sostegno sibilarono fuori dal terreno, seguendolo senza che lui facesse niente per poi serpeggiare tra il cantiere abbattendo muri e colonne.
MewRetasu e MewPurin quasi non si accorsero dell’arrivo di tre di queste: le piante senzienti le agguantarono e si avvilupparono a loro in una morsa implacabile, sbattendole contro a una delle pareti rimaste e silenziando le loro grida di sorpresa e dolore. Anche MewZakuro fu afferrata dalla terza di esse e lanciata vicino alle amiche, e dovette stringere i denti quando le radici le ribaltarono a testa in giù, lasciandole minacciosamente a penzolare nel vuoto.
« AH, così si fa! » esclamò soddisfatto Kert, osservando l’operato dell’amico, « Ce ne hai messo per sgranchirti, eh, vecchio mio? »
Una saetta di ghiaccio ed elettricità di Pai gli fece sfrigolare un lembo della maglietta, ma quel colpo quasi messo in segno non gli fece perdere la spavalderia.
« Vediamo di giocare sul serio, da bravi. »
 
 
 
 
Shirogane avrebbe annotato sul calendario quel giorno come la prima volta che aveva udito Minto Aizawa lasciarsi scappare un’esclamazione ben poco elegante alle scene che stavano scorrendo sui monitor; ma d’altro canto non poteva certo biasimarla, visto quanto lui stesso stava sforzandosi di non sciogliere la lingua in una bestemmia dopo l’altra, il cuore che gli stava battendo in petto come un forsennato.
Dovette quasi costringere Masha ad allontanarsi dalle Mew Mew, appese ancora come salami e nelle mani solamente della volontà dei Geoti, per reindirizzarlo verso il punto in cui, sulla mappa alla sua sinistra, lampeggiava piano l’icona di MewIchigo, che ancora non era spuntata dopo il primo sparo contro il cantiere.
« Dov’è quella cretina!?! » sibilò piano Minto, la voce carica d’angoscia e le nocche bianche contro al tavolo, « Perché Taruto non… »
Ma il più giovane degli Ikisatashi stava venendo attaccato con sempre maggiore velocità da Rui, e fin sullo schermo erano visibili le gocce di sudore che gli correvano lungo le tempie e il pallore che gli annebbiava le guance.
Ryou digitò ancora qualcosa, e il piccolo robottino s’incuneò lungo un piccolo e scuro tunnel tra i detriti, poco distante da dove il centro commerciale aveva iniziato a collassare a causa della prima corrente d’aria ricevuta. Le immagini si fecero buie e poco chiare mentre Masha svolazzava qua e là chiamando la sua padroncina a gran voce: poi, finalmente, dopo che il segnale si distorse così tanto che solo qualche confuso pixel fu visibile, la trasmissione inquadrò un ammasso di stoffa rosa ricoperto di polvere e sassolini.
« Ichigo, » lui esalò dapprima un sospiro di sollievo vedendo le orecchiette nere guizzare alla sua voce, che tentò di mantenere più salda possibile, poi dovette schiarirsi la gola nel notare il rivoletto di sangue sotto i capelli rosa acceso, « Ichigo, mi senti? »
« Ichigo! » Minto scosse il tavolo come se avesse potuto scuotere l’amica, poi afferrò di nuovo il suo ciondolo e ripeté stridula la chiamata, nella speranza che le arrivasse più forte e chiara, « Ichigo, rispondi!  Tirati su! »
Ci volle qualche secondo, Masha che continuò a pigolare e svolazzare in quello spazio ristretto causando ancora più interferenze, poi la mewgatto emise un gemito confuso e sbatté le palpebre un paio di volte.
« Che… che succede? »
« Ichigo, Ichigo, pii! Stai bene, stai bene! »
Lei picchiettò un dito guantato sulla testolina del robot solo per farlo stare calmo: « Sì, penso di… ma dove sono finita!? »
Shirogane ruotò appena la visuale sui loro monitor: « Ti è franato metà dell’ultimo piano addosso. Sei tutta intera? »
MewIchigo, ancora rannicchiata per terra, tentò di muoversi, e fece una smorfia dolorante quando si sfiorò la testa: « Ehm… ho come la brutta sensazione di essere intrappolata qui. »
Minto sbatté di nuovo i palmi sulla scrivania: « Devi andare ad aiutare gli altri! » strepitò « Sono in difficoltà, Pharart le ha… »
Ryou le sfiorò appena una mano per cercare di tranquillizzarla: « Sei sicura di non riuscirti a muovere? »
« Sono letteralmente in un buco, Shirogane! » strepitò di rimando lei, l’espressione all’improvviso piena di panico, « Riesco a malapena a stendere le gambe, come diavolo faccio a - ?! »
L’americano fece un respiro profondo, poi ordinò piatto: « Trasformati in gatto. »
Sia la moglie che la mewbird lo guardarono come se fosse diventato matto.
« Shirogane, se si trasforma poi non riuscirà a… »
« E se non si trasforma, rimarrà lì sotto e rischia di non uscirci, » rimbeccò lui, guardando solo la mora, « Quindi, Ichigo, trasformati. »
Il trillo del campanellino sulla sua coda riecheggiò nel laboratorio mentre MewIchigo tentennava: « Non  so se... »
« Ichigo, do it now. »
« Oh, al diavolo! »
 
 
 
 
Taruto parò l’ennesimo colpo della spada di Rui e volò ancora più vicino ai suoi fratelli: serrare i ranghi in quel momento gli sembrava l’unica opzione disponibile, combattere quanto più uniti possibile e sperare che le Mew Mew riuscissero a togliersi dall’impiccio il più in fretta possibile.
Un moto di rabbia, angoscia e vergogna gli attraversò il petto a quel pensiero: lui e Pharart parevano condividere un potere simile, eppure lui non riusciva a controllare le piante del Geota, che in quel momento stavano tenendo in scacco le ragazze – dovette concentrarsi per non lanciare l’ennesima occhiata a Purin, una macchiolina gialla in quel serpente verde e lucido che pareva stringersi ad ogni tentativo della biondina di liberarsi – né era riuscito ancora a trovare lo spazio per creare a sua volta delle piante in grado di contrastarlo. Rui lo teneva con precisione sotto tiro, non lasciandogli più del tempo di un respiro, e Taruto stava iniziando ad avvertire la stanchezza prendere il sopravvento sui suoi muscoli.
Per un istante, invidiò Kisshu: era sicuramente il più concentrato tra loro tre, conscio che Minto era al sicuro al Caffè Mew Mew, e rispetto all’ultima volta i suoi colpi apparivano più precisi, più freddi, anche se Taruto riusciva a riconoscere la luce indispettita nei suoi occhi ogni volta che Kert apriva bocca per tormentarli.
Lanciò le sue bolas, seguite poi dal suo pugnale, esultando piano quando riuscì almeno a far sì che le prime si attorcigliassero alla punta dell’arma di Rui, frenandolo quanto bastava perché Taruto tentasse di richiamare a sé qualche ramo spinoso che almeno rallentasse le cinque radici libere di Pharart, che saettavano tra di loro cercando di afferrare pure i Duuariani.
Riuscì a malapena ad aprire una mano, però, perché Rui fu svelto a liberarsi delle bolas e ricacciarsi contro di lui, quasi bloccandolo tra di sé e una delle grosse e agguerrite piante.
« Avete rotto i coglioni, » udì suo fratello di mezzo sibilare, mentre piantava ripetutamente i sai in una delle radici, che gli sprizzò linfa verde acido in faccia, « Taruto, un chimero - »
« No! » ruggì Pai, e lanciò l’ennesima scarica di ghiaccio contro le piante e contro i Geoti, « Niente che non riusciamo a controllare! »
« Ah perché questa ti sembra una situazione controllata! »
Kisshu ebbe appena il tempo di scrollarsi la frangia umida di sudore dagli occhi prima che Zaur gli fosse addosso con il suo bastone, e fece una carambola di lato, al tempo stesso fendendo l’aria con i sai e usando una delle radici selvagge come base di appoggio per rilanciarsi contro il nemico.
Pai non gli rispose, troppo impegnato a sparare colpi uno dopo l’altro contro Kert, che ribatteva con tante piccole scariche di aria compressa che vanificavano tutti i loro sforzi.
Maledizione…
 
 
 
 
Le orecchie le vibravano insopportabilmente, tutto il sangue al cervello a forza di rimanere a testa in giù. Per l’ennesima volta, MewZakuro tentò di liberarsi, ormai satura di non avere un appoggio saldo per i piedi, ma le spire di quel serpente vegetale sembravano non avere intenzione di lasciarla andare, e ad ogni suo sforzo esse aumentavano il loro ondeggiare, sbatacchiandola di qua e di là e provocandole il mal di mare, oltre che a spezzarle il fiato.
Non le sembrava che le sue amiche fossero in condizioni migliori, anche se MewPurin pareva essere stata in grado di liberare almeno un braccio e ora prendeva a randellate la radice che la intrappolava con uno dei suoi tamburelli.
« Lasciami… andare… brutta… stronza! »
Puntualizzò ogni parola con un colpo, ma l’ultima parolaccia le uscì strozzata, perché la punta della radice le saettò di più lungo la gola e gliela strinse leggermente, mozzandole ancora il respiro.
« MewPurin! » la chiamò preoccupata MewRetasu, che stava provando a rimanere il più ferma possibile mentre litigava con le nacchere strette tra le mani, le braccia troppo bloccate lungo il corpo perché riuscisse a metterle in funzione.
All’improvviso, un bagliore di luce rosata attirò la loro attenzione: MewRetasu quasi trattenne il respiro, ma fu solamente Ichigo in versione gattina nera che fece la sua comparsa dopo tanti anni.
« Ma che diamine… » bofonchiò annaspando MewPurin, « Nee-san, non sei molto utile così?! »
La micetta soffiò incarognita, e senza attendere oltre si lanciò verso le amiche, piantando i piccoli artigli contro la radice che intrappolava la mewscimmia e arrampicandosi fino in cima, prendendo a morderne la punta così che mollasse la presa.
MewPurin non riuscì a trattenere un gridolino impaurito quando la spira incominciò a dimenarsi come un’ossessa per scacciarsi la bestiolina di dosso: Ichigo però resistette, azzannando con tutta la forza che aveva in corpo la parte più sottile dell’essere vegetale e graffiando in quanti più punti possibili, con la caparbietà di una tigre.
L’ennesimo scossone, Ichigo che miagolò e soffiò agguerrita, la spira che lasciò andare il collo di MewPurin ma che di contro si lanciò contro la gattina, riuscendo finalmente a scrollarsela di dosso con un’ultima avvitatura su sé. La mewscimmia gridò, un po’ per il movimento improvviso che la avvicinò al suolo a una velocità spaventosa, un po’ per l’angoscia per l’amica, il corpicino nero che venne eiettato lontano dove non c’erano appigli.
« Ichigo! »
In quello stesso istante, tre fiotti di luce azzurra apparvero quasi dal nulla, e MewMinto dietro di loro, le ali ancora un po’ ammaccate ma spiegate e l’arco ben teso davanti a sé: mentre le sue frecce filavano verso le radici che intrappolavano le ragazze, lei piombò verso il basso e afferrò la micia all’ultimo, stringendosela protettiva al petto prima di atterrare con cautela.
« Stai bene, brutta scema!? » esclamò, controllando il folto pelo nero e ignorando i miagolii irritati, « Cosa pensavi di fare!!? »
MewMinto neanche le diede retta, se la mise sotto al braccio e si riconcentrò sulle altre: i suoi primi Ribbon Mint Echo avevano solo indebolito le radici, così non attese oltre e ne rispedì altri, tutti di fila, senza nemmeno pensare, finché non vide una forte luce azzurra e finalmente le piante ritirarsi quasi uggiolando nel terreno, mentre il budino di Purin creava per la seconda volta una piattaforma di appoggio più morbida del cemento.
« Sei grande, nee-chan! » l’accolse festosa la biondina, « Ora andiamo a fargli il culo a strisce! »
 
 
 
 
Non l’avrebbe mai ammesso, ma Pai fu positivamente stupito – e, sotto sotto grato – dell’apparizione improvvisa di MewMinto e dell’occasione che il trambusto da lei causato gli presentò.
Non ascoltò il ringhio del fratello di mezzo, né quello irritato dei loro nemici: si erano distratti tutti a causa del vociare, delle luci colorate, del rumore delle radici che si ritiravano e delle loro sorelle che parevano correre loro in aiuto.
Non avrebbero avuto un’altra occasione simile.
Pharart gli era più vicino, avevano combattuto faccia a faccia fino a un istante prima, il biondo che usava le sue frecce come arma bianca e lui che si riparava e attaccava a colpi di ventaglio. Veloce come un fulmine, Pai chiuse la distanza tra di loro, afferrò la freccia che Pharart ancora teneva in mano riuscendo a strappargliela per la sorpresa, e gliela conficcò dritto nel ventre.
L’ossigeno parve sparire dall’aria mentre quasi la scena si fermava: Pharart si irrigidì un istante, gli occhi verdi che si spostarono sul rametto ruvido che gli spuntava dalla pancia, prima che iniziasse a cadere all’indietro.
Un ruggito, e sia Kert che Rui gli furono subito dietro, il primo che riuscì a teletrasportarglisi alle spalle e lo afferrò appena prima che si schiantasse al suolo. Non tentò di estrarre la freccia, lanciò solo uno sguardo al fratello, che gli atterrò accanto l’istante successivo, e svanì nel nulla, seguito poco dopo da Rui.
Pai guardò solo Zaur, poco lontano da lui con il bastone ancora alzato e che gli rivolse lo sguardo più nero che il Duuariano avesse mai visto, prima di scomparire anch’egli.
« Cos’è successo!? » domandò stravolta MewPurin non appena gli Ikisatashi le raggiunsero in terra, ma il maggiore di loro si rese conto in quel momento di non avere nemmeno più la forza di risponderle.
Abbandonò mollemente il braccio lungo al fianco, il suo fidato ventaglio che ritornò delle sue dimensioni normali, e riuscì a sostenere lo sguardo preoccupato e sconcertato di MewRetasu soltanto per una frazione di secondo.
Kisshu, allora, emise un lungo e sgraziato barrito mentre gettava la testa all’indietro e incrociava i sai dietro la schiena, poi indicò Ichigo, tra le braccia di Minto, con un dito che fece girare in cerchio: « Ebbene? »
Un miagolio irritato, che interpretarono come un lasciate perdere e andiamocene, per favore, fu l’unica risposta che ottenne.
Masha frullò tra di loro, così che Shirogane potesse di nuovo interpellarli: « Venite al Caffè, non mi sembrate una favola. »
« Hai anche il coraggio di pontificare, biondo, dalla tua comoda seduta? »
« Magari quel cazzotto che hai preso in faccia te la renderà più sopportabile. »
« La tua è chiaramente gelosia, » l’alieno oltrepassò il robottino e avvolse le spalle di MewMinto con un braccio, senza dirle niente ma stringendola con un po’ troppa decisione perché fosse del tutto contento, prima di precedere gli altri al loro quartier generale.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
(*) « Pare proprio che voi due parliate davvero tanto. »
   
 
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