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Autore: Mash    29/06/2013    1 recensioni
Ho deciso di fare una fan fiction alquanto tragica, vista dal punto di vista di Yukimura in cui ricorda quello che ha vissuto insieme a Masamune.
La storia è un what if, e si posiziona nella seconda stagione, riscrivendola completamente.
“Aspetta.
Non puoi andare avanti…”
Ma i ricordi non si fermavano. Appoggiato alla balaustra, mi sembrava di nuovo di
essere in quel campo con te, il fuoco che dopo un momento fu spento, la luna
che, come a volerci dare il suo benestare, si oscurava dietro una nuvola.
Genere: Angst, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Masamune Date, Yukimura Sanada
Note: Lime, Missing Moments, What if? | Avvertimenti: Contenuti forti
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“Gli uomini tendono a dimenticare.

Io, personalmente, lo trovo troppo faticoso.”

 

Perché mi stava ritornando alla mente quel terribile episodio cui avevo assistito nemmeno un anno fa? Cosa ci trovava di divertente la mia mente a rivangare cose che avevo deciso di seppellire nei più profondi meandri del mio subconscio?

Per quale ragione si stava spostando su quel nostro scontro?

Quel giorno… Quel nostro incontro.

Se devo essere sincero, ancora non ho ben chiaro quello che provai trovandoti davanti a me dopo così tanto tempo, il mio spirito di rivalità prevaleva sulle altre emozioni, forse ero semplicemente contento per il fatto di aver avuto la possibilità di confrontarmi nuovamente con te.

 Il drago con un occhio solo di Oshuu…

Date Masamune.

Probabilmente… Eravamo destinati a incontrarci, a sfidarci, a diventare rivali, a collaborare... destinati a combattere a fianco a fianco da un momento all’altro come se la nostra rivalità non fosse mai esista, destinati…

A provare tutti quei sentimenti.

“E di conseguenza io… destinato a soffrire.”

Le nostre armi iniziarono subito a stridere l’una contro l’altra. Non ci fu nemmeno il tempo di fare la mia solita faccia entusiasta, non feci nemmeno in tempo a godere del tuo sorriso sarcastico per qualche istante in più. Averlo saputo allora quello che sarebbe presto successo… Probabilmente avrei fatto di tutto per godermi quei momenti passati in tua compagnia. Forse, anche l’esito dello scontro sarebbe stato diverso.

Le mie lance bloccavano i tuoi sei artigli, le tue sei spade, le spade di cui eri così fiero.

“Queste sono le armi di un vero generale di Oshuu.”

Era così che le avevi definite in uno dei nostri incontri, vero?

Dal mio canto io, ero troppo sicuro di me quel giorno. Come un ragazzino che pensa di aver già la vittoria in tasca. Non avevo minimamente ipotizzato che tu potessi essere migliorato così tanto. Non avevo immaginato nemmeno che io fossi rimasto al solito livello.

Il tuo ultimo colpo mi prese alla sprovvista. Non riuscì nemmeno a seguirti con lo sguardo. Il mio affondo migliore, il mio “Tiger Flames”, il colpo di cui vado così fiero, venne sconfitto come se ti fosse stato scagliato contro da un bambino. Ricordo ancora la sequenza dei tuoi movimenti. Il tuo braccio destro che si alza, le lame nella tua mano che scintillano e poi, di nuovo quel tuo sorriso sarcastico che vedendomi scoperto si allarga sempre di più. Io, invece, in meno di un secondo, con ancora quel sorriso nella testa, mi ritrovo sbalzato indietro, le mie lance volate chissà dove, il mio volto stravolto dal dolore di quel colpo e le ginocchia che si rifiutano di ubbidirmi, volendo solo cedere alla forza di gravità che mi attirava giù verso la pianura di Oshuu.

Mi ritrovai piegato in due sul campo di battaglia, le mani che si stringevano nel punto in cui la tua lama aveva trapassato la mia guardia e la mia carne. Un rivolo di sangue scarlatto scese dalle mie labbra e creò una macchia scura sul terreno arido della tua terra. Quella stessa terra che il mio venerabile signore aveva deciso di attaccare. Quella terra che molto probabilmente sarebbe stata il luogo della mia tomba. Ero preparato a morire. Preparato ad esalare l’ultimo respiro guardando il tuo volto e la tua lama che si abbassava verso di me.

Ma non andò come mi ero aspettato.

Ti avvicinasti portandoti alle labbra la spada ancora intinta del mio sangue.

“Un gesto che ti eri ripromesso di non fare più.”

Quel sorriso che ancora illuminava il tuo volto, quella furia che a stento il tuo unico occhio tratteneva dentro di te, quella faccia che in quel momento era dedicata solo a me.

“Sto per… morire?”

Sussurrai in ginocchio, vedendoti fermo proprio davanti a me con quella spada ancora alzata a coprire parte del volto.

“Ho paura…”

Non lo avrei mai ammesso, ma le emozioni che in quel momento attanagliavano la mia mente erano varie e si susseguivano tra loro. Una di queste era la paura.

Paura di morire? Sì. Ma, soprattutto la paura di non riuscire più a parlarti, di non sentirti, di non poterti più vedere, di non poter più confrontare le nostre lame. Di non poter più mettermi in gioco. Di non poter più dimostrare di essere il migliore. Di non poter fare la storia. Di venire… Dimenticato.

“Dimmi.

Chi ci ricorderà?”

Domandasti lapidario. Secco, come se tutto quello che avevi appena detto potesse spiegare le tue precedenti azioni. Come se avessi appena letto nel mio pensiero. Il mio sguardo si alzò verso di te, e subito i miei occhi si sorpresero per quello che lessero sul tuo viso.

“Che fai adesso? Mi regali… un sorriso? È forse compassione la tua? Il drago con un occhio solo che prova compassione per uno come me? Non devi. Non puoi. Eppure…”

Perché quella rabbia che poco prima c’era nel tuo occhio scomparve in quel modo? Perché lasciò il posto a quella strana espressione?

Non avevo mai visto quel lato di te.  Quella, forse, fu la prima volta in cui mi accorsi della tristezza che ci accomunava. Quegli stessi sentimenti che da me stesso, ora ritrovavo riflessi perfettamente dentro al tuo sguardo. Era come se stessi guardando uno specchio…

“Ma non volevo questo. Non volevo lasciare quel mondo con un’espressione del genere.”

Rimasi in silenzio. Nonostante mi aspettassi che anche tu provassi simili emozioni, sentì ugualmente qualcosa rompersi, dentro di me, dopo aver visto quel tuo lato. Un uomo così potente, così fiero, così meraviglioso... E al contempo fragile, tormentato, senza pace. In quel momento pensai di desiderare la morte fatta dalle tue stesse mani. Preferivo la morte piuttosto che quella sensazione che pian piano si stava facendo strada dentro di me. Cos’era? Colpevolezza? Mi sentivo colpevole davvero? E per cosa? Per averti fatto mostrare quel tuo lato? Oppure per aver perso in quel modo? Forse per entrambe le cose.

Stavo morendo tra i sensi di colpa, ma non era il caso. Non in quel momento. Quando la lama sarebbe finalmente giunta sul mio corpo e sulla mia anima, mi sarei crogiolato in quelle emozioni.

 “Tu hai fatto la storia, hai le tue gesta, la tua forza, i tuoi uomini. Di te non ci si può scordare, neanche in sogno.”

Dissi scacciando le sensazioni che provavo cercando invece di mostrare sul mio volto un sorriso che avrebbe dovuto rassicurare chi mi stava fissando. Certo, sapevo che colui che mi era di fronte in quel momento poteva perfettamente essere il mio assassino. Volevo solo… Consolarti? No. Non avevi bisogno di essere consolato, l’espressione che mi avevi mostrato era durata non più di dieci secondi. Eri sempre il solito drago. Maestoso e fiero. Avevo solo bisogno di ripeterlo a me stesso. Di marcare la nostra profonda differenza. Di mettere il dovuto spazio tra me e te. Non volevo che quell’espressione mi accomunasse con il Drago di Oshuu più di quanto non fossimo già legati. Non volevo accorgermi del legame che ci univa saldamente sin dal nostro primo incontro.

 “Shit.”

Una semplice parola che mi fece capire quanto stupido dovevo essere stato a risponderti in quel modo. Ti sarò sembrato patetico in quel momento, vero? Il patetico Sanada Yukimura. La giovane tigre del Kai, che si metteva a parlare in quel modo al proprio nemico. Forse avrei dovuto vergognarmi. Potevo sentire la voce di Sasuke rimbombare nella mia testa… Sicuramente in quel momento era da qualche parte che osservava quello che stava accadendo tra di noi biascicando parole come:

“Vergognati generale, parlare in questo modo, sei veramente senza speranza…”

Solo allora mi resi conto che la pozza di sangue ai miei piedi si era allargata. Tossì per la seconda volta e quella scura macchia sul terreno si estese ancora di più.

“Sto davvero per morire allora”

Pensai, questa volta privo di qualsiasi emozione, osservando un ultimo istante il tuo volto. Durò un attimo. Non riuscì nemmeno a incrociare il tuo sguardo che qualcuno interruppe il nostro momento. Quell’uomo. L’uomo che ci avrebbe portato sull’orlo della catastrofe. Mi abbandonai pesantemente a terra ormai privo di conoscenza, cercando forzatamente di aggrapparmi a quel briciolo di vita che ancora stavi concedendo di brillare dentro di me.

Una pioggia di frecce piombò verso il campo di battaglia e poi quello che ricordo fu soltanto il buio.

Voleva… Ancora continuare? La mia mente voleva ancora andare avanti nel ricordarlo? Perché? Perché mi faceva questo? Perché dopo tutto questo tempo dovevo ricordarlo? Perché quei suoi ricordi non mi lasciavano in pace?

Sembrò non ascoltare le mie lamentele e continuò a perdersi nei ricordi… Così vana era la mia forza di volontà, così forte era quel sentimento che ancora provavo dopo tutto quel tempo?

Il sole passò dolcemente tra i pannelli della mia stanza, nel Kai. Mi risvegliai quattro giorni dopo il nostro combattimento. Ero nel mio letto e accanto a me, c’era lui… Il mio signore. Lord Shingen.

Erano passati troppi giorni da quando avevo fatto ritorno in fin di vita nel nostro campo.

“Masamune-dono… Lui… Dov’è?”

Fu la prima cosa che dissi dopo aver aperto gli occhi. Il successivo colpo da parte del mio venerabile signore mi costrinse a non rifare la domanda.

Scoprì quello che era accaduto sul campo di battaglia pochi giorni dopo. La comparsa di un nuovo potente generale che aveva intenzione di combattere per unificare sotto il suo controllo la terra del Sole… mi dissero che Masamune stesso era stato sconfitto da quest’uomo. Che ormai il suo esercito era in grossi guai e che persino lui aveva rischiato grosso.

Dentro di me, provavo ancora le stesse emozioni del nostro ultimo incontro. Quella paura di morire, quella colpa che il suo sguardo aveva fatto crescere in me e quella vergogna di non essere stato alla sua altezza. Se non ero riuscito a vincere contro di lui… Come avrei potuto sperare di combattere questo nuovo generale?

“E ora? Dimmi, cosa è cambiato dopo tutto questo?”

“Niente, ancora, era cambiato.”

Ero ancora troppo debole per confrontarmi con una persona come lui. O meglio, la mia anima era ancora troppo debole perché potesse confrontarsi con lui. Lui non aveva niente da perdere, andava unicamente avanti sulla sua strada. Non si voltava indietro. Pensava solo al futuro che presto avrebbe realizzato. Almeno, io a quel tempo lo vedevo in questo modo.

“Sei troppo debole. Se ti ripresentassi un’altra volta davanti al drago di Oshuu in queste condizioni, di certo non te la caveresti con queste semplici ferite.”

Aveva ragione.

Il mio signore aveva ragione nel dirmi quelle parole. Aveva ragione a mandarmi ad apprendere quello che in realtà avrei dovuto avere scolpito nella mia mente da troppo tempo. Capire come essere un generale.

Non mi voltai mai indietro.

Nemmeno quando seppi della successiva sconfitta del drago di Oshuu. Nemmeno quando le notizie che mi arrivarono non seppero confermarmi la tua sopravvivenza.

“Dove sei in questo momento? Ci potremmo mai rincontrare? Sono sicuro che sei ancora vivo.”

Erano questi i pensieri che mi passavano per la testa durante il viaggio fino alle coste dell’ovest dove abitava l’antico compagno del mio maestro. Pensavo soltanto al nostro prossimo incontro, incurante del fatto che potesse essere l’ultimo per me o per te.

Qualcuno mi disse tempo prima che i ricordi non potevano essere controllati. Che la memoria scavava e scavava all’interno dell’anima e della mente per cercare qualcosa che in un determinato momento ci potesse appagare. Ricordi che ci tormentano, ricordi piacevoli, ricordi dolorosi, tutti i ricordi che la nostra mente rivanga, sono dei ricordi che noi stessi non riusciamo a dimenticare per un motivo o per un altro. Un sospiro esce dalle mie labbra, mentre, appoggiato al ponte del Kai, fisso il sole che pian piano cala sempre più profondamente. Nonostante tutto, le mie domande rimanevano, perchè dovevo ricordarmi di quel momento? Perché proprio quella notte era tornata alla mia memoria? Perché la mia mente non decideva di smetterla di tornare indietro nel tempo e farmi soffrire rivangando quei ricordi?

Quella notte, la Luna s'ergeva silenziosamente, senza perdere tuttavia la sua romantica solennità e potenza. Dall'alto, dava quel luminoso tepore coperto sì dal freddo della notte, ma comunque presente. Non percepito da tutti, ma presente. Un dolce scenario. Degli uccelli continuavano a volare, godendosi la loro "passeggiata" notturna... senza fare rumore. Era come se la Luna cantasse un'ode alla Terra. Era come se il mondo imponesse, sovrano, il suo rigido ma desiderato abbraccio. Uno scenario probabilmente che non si addiceva al momento che entrambi stavamo vivendo…

Di certo non mi aspettavo di rivederti così presto. Non credevo che il nostro futuro incontro potesse essere così vicino nel tempo. Non ero… preparato.

“Ci incontriamo di nuovo, Sanada Yukimura!”

Quelle parole caddero in un baratro fin troppo grande per la mia percezione. Fu come far cadere un sasso in un pozzo senza fondo con una mano non propria. Sentivo ancora la vergogna che indelebile calcava il mio spirito. Sentivo nuovamente le emozioni che avevo tentato di sopprimere durante quei giorni di viaggio. Ma, sarebbero bastate per quella sera, non ne avrei avute di nuove. Continuavo a usare quelle risorse interne, quel carburante di emozioni, piano piano, come fossero energia vitale. Attingevo, continuavo ad attingere per rimanere con i piedi per terra.

Quando ti guardai però, mi persi.

Sembravi il solito drago di sempre. Come se l’espressione che ti avevo visto in volto non fosse mai esistita. La malinconia di quegli occhi ancora riempiva la mia mente, ancora potevo scorgere, al bagliore del tiepido fuoco che ardeva nella zona in cui mi ero ritirato per avere un po’ di tranquillità, la profondità di quegli occhi e di quelle tue parole. Pozzo non senza fondo, ma molto, molto profondo.

“Perché mi hai lasciato in vita?”

Almeno, questa frase da qualche parte cadde.

Il solito sorriso sarcastico s’infiammò sul tuo volto mentre ti sedevi accanto a me. Sembrava irreale la tua presenza in quel posto. Così lontano dalle tue terre, così lontano dalla tua prossima battaglia mortale. Quello che ci facevi lì in quel momento non lo seppi mai. Nemmeno te lo chiesi… Quello che uscì dalle mie labbra fu unicamente la domanda che mi attanagliava sin da quando mi ero risvegliato nel mio letto.

“Perché ero ancora in vita?”

Poi attesi. Ti guardai. Rimasi in totale silenzio, ma quella stasi sarebbe stata in ogni caso più eloquente di mille parole.

Attendevo solo la tua risposta. Una qualsiasi risposta.

“Non valeva la pena dopo essere stati interrotti in quel modo.”

Non so quello che successe dopo quel responso. Forse non m’interessava poi così tanto la ragione, forse aspettavo una qualsiasi risposta per poi continuare a conversare con te, forse già sapevo che non mi avresti mai rivelato gli oscuri motivi dietro la tua decisione. Mi accorsi che le nostre labbra erano unite soltanto quando sentì il sapore metallico in gola. Quello che stava succedendo non sarebbe dovuto accadere. Non avrebbe dovuto nemmeno passare per la nostra mente. Eppure… Mi ritrovai separato da te con il labbro sanguinante e con il tuo sguardo divertito puntato nel mio forse anche troppo sorpreso.

Fu probabilmente quel tuo sguardo, quel tuo sorriso soddisfatto, o quel tuo modo sensuale di leccare le gocce di sangue, del mio sangue, che ancora avevi sulla punta delle labbra, che mi spinsero ancora una volta verso di te, per ritrovare quel contatto, per ritrovare quelle emozioni che avevo appena provato.

Mille, indescrivibili sensazioni percorsero il mio intero corpo, ora al cuore, ora alla testa, annebbiando tutto quello che di razionale ancora albergava dentro di me. Sentivo il tuo corpo premuto contro il mio, con perfetta aderenza, come se fossero due parti d'uno stesso, grande e perfetto organismo che era stato separato troppo tempo prima... Persone totalmente differenti. Eppure, stessa materia.

Potevo sentire il sapore delle tue labbra. Potevo sentirle sulle mie. Erano delle labbra terribilmente calde, per essere quelle di un uomo. Lo stesso corpo era pervaso da... Calore? Come era... umanamente possibile? Cercavo di trattenere la sopita coscienza. Oscuri impulsi m’imponevano di fermarmi, ma non feci altro che abbandonarmi al vento del caso, danzando.

“Danza!”

Come... di già? Ti allontanasti per la seconda volta da quel nostro contatto. Così era come una sigaretta a metà... Una battaglia troppo veloce... Un abbraccio troppo fugace per essere anche solo ricordato. O immaginato.

Ti seguì con lo sguardo, ancora stupidamente sgranato. Sorpreso che i nostri corpi potessero tornare a essere separati, sorpreso di non sentire più il sapore delle tue labbra sulle mie, sorpreso per ritrovare ancora una volta nel tuo sguardo quella sottile vena di malinconia.

“Perché ti trovavi lì? Perché mi avevi concesso di arrivare fino a quel punto?”

Nessuno dei due emetteva un fiato. La debolezza di quel momento rendeva il momento stesso immortale. Quella stessa solitudine di coppia e quell'inadeguatezza estirpata con una meravigliosa incognita s'avvicinavano al senso puro e irraggiungibile di bello, con quel pizzico d'assurdità dall'effetto dolceamaro.

“Aspetta. Non puoi andare avanti…”

Ma i ricordi non si fermavano. Appoggiato alla balaustra, mi sembrava di nuovo di essere in quel campo con te, il fuoco che dopo un momento fu spento, la luna che, come a volerci dare il suo benestare, si oscurava dietro una nuvola. I miei soldati che, ignari di quanto accadeva a pochi passi da loro continuavano a dormire o a fare la guardia. E infine tu…

Non parlò nessuno di noi due, ci ritrovammo semplicemente a terra, sdraiati, come se fosse la cosa più naturale del mondo continuare ciò che avevamo iniziato. Vedevo il tuo volto sopra il mio, ma era come non vederlo affatto. L’unica cosa che ero sicuro di sentire era quel calore.

“... Calore?”

E tu, provavi calore? Sentivi quello che sentivo io? Me lo domandavo ancora adesso, speravo che sentissi le mie stesse emozioni. Avrei preferito essere completamente cieco, piuttosto che rimanere privo di calore. Privo di quel primo, indiretto contatto non solo tra gli uomini, ma tra l'uomo e il mondo, il mondo e il mondo stesso. L'energia che si fa materia di scambio, informazione, complicità e competizione. Come ci si poteva negare tale piacere?

E tu, di calore, abbondavi. Forse non lo sentivi, ma lo sentivo contro di me e sentivo i tuoi stessi sentimenti passare attraverso il mio corpo e arrivare dritti nella mia anima. Sapevi benissimo come entrare in contatto con la tua energia ed esserne padrone. Io invece, non ne ero così sicuro. Pensai che forse quello che passava da me a te non fosse abbastanza, così, mentre mi muovevo seguendo il tuo ritmo, aumentai il mio calore...

... sperando che, in quel contatto, ti giungesse più calore possibile.

Il ritmo dei miei pensieri non voleva interrompersi. Continuava, ancora e ancora, con il susseguirsi delle immagini, con gli attimi che avevamo passato insieme, oppure i miei lunghi minuti a pensarti.

Dopo quella sera non ti rividi per molto tempo. Mi sembrava come un sogno ciò che avevamo passato insieme; quella notte, quelle sensazioni, quei sentimenti traboccanti, era come se fossero stati scolpiti con colori delebili. Come se fosse passato troppo tempo e il colore fosse andato pian piano a sciogliersi.

Tu non eri con me.

Io ero impegnato nella mia battaglia, tu, nella tua.

Quando seppi ciò che ti era accaduto per colpa di Hideyoshi mi ritornò nuovamente in mente quella sera. Ti sentivi per caso solo quando venisti da me? Senza Kojuro, ti sentivi perso? Avevi bisogno di ritrovare la via? Oppure era stato un capriccio spinto dall’assenza di quest’ultimo che per te era come una coscienza? Ripensandoci, volevo sapere se eri, effettivamente, così solo come sembravi. Se anche tu soffrivi. E di cosa. E qualunque cosa essa fosse stata, gradevole o sgradevole all'udito, avrei voluto contribuire a fare breccia in quel velo. Quel velo da squarciare.

Scossi la testa tornando alla realtà.

Il successivo ricordo era troppo duro da mettere a fuoco. Troppo violento da sopportare ancora una volta, troppo umiliante, troppo terrificante, troppo infamante. L’avrei distrutto se avessi potuto. Avrei voluto cambiare la storia. Cambiare quello che era successo.

“Il tuo spettro è inciso sulla mia retina, e ti guardo anche quando chiudo gli occhi. Così, dopo… il fatale evento, continuerò a guardarti grazie ai miei ricordi.”

Ancora adesso, i contorni del tuo viso sono incisi con un piccolo, minuscolo coltello incandescente sul mio cuore. Ricordare il tuo volto mi provoca sensazioni diverse, e il dolore per la tua perdita è sempre inevitabilmente presente. Immaginare il tuo volto è come un’impressione istantanea, questione d’un attimo, una rivelazione, ma frutto di un lavoro minuzioso e attento.

Un sospiro esce flebile dalle mie labbra, il sole ormai è sul punto di essere inghiottito in quel blu accecante che si espande a macchia d’olio, inglobando il rosso del cielo e la luminosità del sole. Mi ricorda la nostra situazione. Mi hai incantato nello stesso modo.

“Non sei il primo che passa. Il mio sentimento non è stato certo un colpo di fulmine. Definirlo in questo modo sarebbe solo un eufemismo.”

La battaglia finale.

I soldati si sfidavano senza tregua, i generali cercavano di fare il loro meglio per vincere contro Hideyoshi, un’alleanza forse troppo azzardata, ma l’unica soluzione che poteva essere presa. Io sembravo ritornato come un tempo, il mio pensiero nei tuoi confronti era, se possibile, più forte dopo la notte che avevamo trascorso, ma il mio spirito combattivo si era ridestato. Il bozzolo si era schiuso. Se fossi diventato una farfalla ancora non lo sapevo, ma mi piaceva pensare che effettivamente lo ero. Più forte, più coraggioso, più determinato a vincere. Le emozioni che avevo provato, la paura, la vergogna e la colpevolezza si erano come assopite dentro di me, sostituita da qualcosa di più forte che mi faceva andare avanti.

E questa volta quello che provavo non era per il mio signore. Ma per me stesso.

Ci ritrovammo separati sul campo di battaglia. Tu come ovvio che fosse, ti gettasti in prima linea, contro Hideyoshi. Contro quello spaventoso generale che sembrava invincibile, che, nonostante ti avesse sconfitto già una volta t’impuntasti a sfidare nuovamente.

Avrei voluto trovarmi insieme a te, come con Oda. Ma avevo un compito anch’io, Motonari Mori andava fermato. Le sue armi erano troppo potenti per lasciarlo agire indisturbato. Le sue motivazioni troppo egoistiche.

Lottai. Lottai con tutte le mie forze.

Fu una dura battaglia la nostra. Alla fine riuscì a conquistare la mia vittoria. Mori venne sconfitto e la sua strana arma solare distrutta. Riuscì però a scappare, e io mi ritrovai sul campo di battaglia, circondato dai miei uomini, dalla loro gioia per aver vinto e dall’entusiasmo generale.

Non rimasi con loro. Sapevo già dove mi sarei diretto.

Non ti avrei lasciato solo a combattere contro Hideyoshi. Avrei unito nuovamente il mio e il tuo destino. Avremmo combattuto insieme, e poi avrei avuto la mia rivincita, avrei avuto il tuo sorriso. Il tuo entusiasmo, le tue parole, la brillantezza del tuo sguardo. Mi sarei preso tutto di te.

“E tu cosa volevi?”

Quando arrivai sul campo di battaglia avevi già trionfato. Era quasi impossibile da credere che tu, un singolo piccolo uomo, fossi uscito vittorioso contro un simile mostro, grande quasi il doppio di te. Ma la realtà era innegabile. Eri in piedi, il volto rivolto verso il cielo, i capelli che ti sferzavano il viso, e il tuo occhio sinistro chiuso, come ad assaporare il momento.

“Masamune-dono!”

Chiamai, facendoti voltare e beandomi del tuo viso.

Ricordavo ogni tuo singolo tratto.

“La tua bellezza nei miei ricordi, è rimasta la stessa. È così bella, allora, l’immortalità? Porta il tuo stesso volto?”

Fu improvviso. Come per uno scherzo del destino, nessuno dei due si accorse di quello che stava accadendo. Io, che lentamente mi avvicinavo verso di te, trepidante d’attesa. Cosa mi aspettassi non saprei dirlo con esattezza. Il tuo abbraccio? Un nostro scontro? Il tuo sorriso?

Il tuo sapore aspro e caldo allo stesso tempo.

Una freccia perforò quel poco che rimaneva della tua corazza in un semplice istante. Entrò nella tua schiena e uscì dall’addome, lacerando la tua carne e sibilò verso di me, colpendomi al fianco sinistro e rimanendo bloccata, come se fosse stata lanciata da una furia in persona che non sarebbe stata contenta fino a quando tu non fossi morto. Il mio lamento si fermò in gola, mentre ti guardavo lentamente cadere a terra, senza emettere un fiato, portandoti le mani sulla ferita appena inflitta.

Incespicai.

Non volevo cadere a terra e cercai in tutti i modi di portarmi avanti, di camminare verso di te. Di raggiungerti. Non pensai nemmeno a cercare colui che ti aveva colpito. Non mi curai della freccia conficcata nella mia carne. Del sangue che usciva dalla mia ferita.

Mi buttai disperato verso di te. Le mie lance furono abbandonate lungo la distanza che ci teneva separati. Caddi in ginocchio raggiungendoti. Guardando il tuo viso. Toccando il tuo volto.

“…”

La tua voce mi arrivò alle orecchie, ma il mio cervello non elaborò subito quelle parole, troppo sconvolto da ciò che stava scivolando via dalle mie mani. La tua vita che si spegneva lentamente contro il mio respiro. Le tue labbra erano a un soffio dal mio orecchio e poi magnificamente vicino alle mie. Sentivo ancora il tuo flebile respiro. Un soffio, un altro e poi…

Le mani si strinsero disperate sulla tua armatura perforata, cercando di far smettere al sangue scarlatto di fuoriuscire dalla tua ferita, ignorando completamente quello che stava uscendo dalla mia. Non pensavo a niente. Non m’importava di niente. Volevo solo che il tuo sangue smettesse di uscire, che tu riaprissi nuovamente il tuo occhio chiaro e mi guardassi, carico d’entusiasmo.

“Masamune-dono!”

“Non era rimasto altro. Avevo tutto, tra le mani... Ma non rimase altro da dire. Non rimase altro che potessi fare.”

Di nuovo il tuo nome. Il mio richiamo era disperato, il mio volto trasmetteva la furia.

“Rialzati. Rialzati ti prego. Permettimi nuovamente di incontrare il tuo sguardo.

Per favore.”

Fu inevitabile, mentre alcuni i soldati inseguivano la figura che ci aveva colpito e altri si avvicinavano a noi, le lacrime cominciarono lente a riempire le mie palpebre. A traboccare al di fuori e a scendere lungo il mio volto, scavando l’espressione di dolore che accumunava così tante persone.

Troppo veloci. Troppo numerose. Troppo dolorose.

“Perché…?”

Il tuo volto fu inumidito dalle mie lacrime, ma tu non ti muovevi, non mi regalavi nessun sorriso, non dicevi più nulla, non respiravi. Eri…

Morto.

 “Lasciate che muoia. Lasciatemi morire insieme a lui”

Una preghiera silenziosa che continuava a riecheggiare nella mia testa. Avrei voluto congiungermi a te immediatamente, avrei preferito morire che continuare a vivere senza il tuo sorriso, senza la tua voce che mi chiamava…

“Sarebbe stato un gradevole modo di concludere la mia vita se quella freccia si fosse conficcata qualche centimetro più in alto, trafiggendo il mio cuore.”

Le lacrime raggiunsero il presente. Mi accorsi di stare piangendo probabilmente molto più tardi di quando avevo cominciato. Ancora adesso, nonostante tutto desideravo la morte. Ancora oggi vorrei riconciliarmi con te, arrivare nel luogo in cui ti trovi, vederti di nuovo. Smettere di ricordare il tuo viso, smettere di provare quei miei sentimenti.

“Sì, mi piacerebbe morire.

Pace, insomma.”

Il Sole era scomparso e la notte regnava sovrana. C’eravamo unicamente io e il cielo oscuro ormai trapuntato di stelle.

“Vedi quella stella? Le mie gesta sicuramente supereranno la sua fama!”

Non riesco a fermarmi. I ricordi non la smettono di ritornare. I singhiozzi escono sempre più strazianti dalle mie labbra, le gambe cedono al peso di quel dolore ritrovato. Gli occhi continuano a stillare senza tregua lacrime. E intanto, nella mia testa, la tua voce continua a ripetere il mio nome.

“Sanada Yukimura, ci rincontriamo.”

Il tuo corpo rimaneva a terra immobile, ma le tue labbra erano ancora vive, unite alle mie, il tuo tocco sulla mia pelle m’inondava di fiamme, la tua passione pervadeva ancora i miei occhi. Il calore che percepivo nel mio corpo era il tuo. Soltanto tuo.

La mia mente non sapeva mettersi d’accordo. La tua voce, la tua immagine e il tuo sapore si alternavano, più vivide che mai.

“Che cosa hai fatto su di me? Che effetto che trascende i tuoi poteri hai scatenato?”

Ti amo.

L’avevo realizzato solo una volta che ti avevo perso. È così facile pensare queste parole, ma allora perché dirle, è così dannatamente arduo?

Sorrido rialzandomi per l’ennesima volta, asciugandomi il volto umido di lacrime, cercando di darmi un contegno degno di un generale quale ora sono.

Sperando che nessuno abbia visto la parte più segreta che ormai non faccio altro che nascondere dietro l’irruenza delle mie azioni, e la vendetta che mi spinge verso Mitsunari Ishida. La ferita che mi ha inferto mi ricorda il mio dolore e la mia rabbia. Di tanto in tanto la guardo, ricordandomi quanto ho perso a causa di quell’uomo, ed è allora che la tua voce, con le tue ultime parole mi arriva prepotente alla testa, facendomi ricordare perché sono ancora vivo. Perché sto ancora lottando.

Quello che ancora continuo a domandarmi, è se le parole che si pronunciano alla fine della propria vita sono le più vere, o al contrario le più false.

“Vivi Yukimura, vivi anche per me.”

Le tue sono ancora incise dentro di me, ed era solo grazie a quelle che continuo ad andare avanti. Solo grazie a quelle che ho deciso di sopravvivere.

Quelle parole erano diventate la mia nuova base. La mia nuova esistenza di vita.

________________________________________

Ok. Non so cosa sia questa fan fiction. Mi sono spinta oltre ciò che volevo veramente fare in realtà. La mia solita metodologia d’impostazione è andata a farsi benedire e non so come mai ho optato per una parlata in prima persona, o quello che è. Cose da pazzi dato che è la prima volta che mi cimento in una cosa del genere. Inoltre, ho scoperto di essere dannatamente tragica. Mi sono sentita male io stessa nello scrivere queste parole e le situazioni che sono accadute a Yukki (<3). Non è poi tanto una fan fiction, ma una rievocazione di ricordi. Non so se possa piacere. Non so nemmeno se piace a me, quindi pretendere di sapere se piaccia a voi è assurdo, ma, spero che almeno un po’ vi sia stata gradita. Se ci sono errori di battitura e cose simili mi dispiace ancora di più, ho controllato, ma può sicuramente essermi sfuggito qualcosa! Vi ringrazio per essere arrivati fino qui nella lettura.

  
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