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Autore: Elizabeth9    14/01/2008    9 recensioni
[Alla ricerca della felicità]
“Se vuoi una cosa vai là e prenditela...punto”. Dopo aver visto il film spero che vi piacerà immedesimarvi nel protagonista, e per chi ancora non ha assaporato questo meraviglioso film potrà ritrovare tante delle emozioni che lo caratterizzano e che lo rendono un film speciale.
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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                                                      La ricerca della felicità

“Se vuoi una cosa vai là e prenditela...punto”

 

“Dai devo farcela ,devo farcela manca solo una faccia… forza!”continuavo a stringere i denti, morsicandomi il labbro, mentre guardavo disperatamente con la coda dell’occhio lo scorrere incessante dei dollari sul piccolo schermo del taxi, con la certezza che non sarei mai riuscito a pagare quei soldi.

“Eppure, d-dai…”le mie mani sudaticce e tremolanti tentavano a tutti i costi di forzare quel maledetto piccolo oggetto per trovare la soluzione in tempo. Furtivamente lanciai uno sguardo  all’orologio. Capii che in pochi minuti saremmo arrivati a destinazione! Sbuffavo nervosamente, reprimendo nel mio sguardo fisso sul cubo tutta la mia tensione ”….ecco ,l’ultima curva…”. Non potevo perdere le speranze ora. Sapevo che potevo riuscirci.

“Nessuno ci riesce, è una cosa impossibile”sollevava leggermente quasi compiaciuto la parte del labbro destro, mentre si  lucivada con la mano la sua bella cravatta firmata a righe rosse. Ed io con quei pantaloni e quella giacca che avranno avuto dieci anni se non più, cercavo di sfidare qualcosa, cercavo di ottenere qualcosa per il bene mio, ma soprattutto di mio figlio Christofer.

“SI!” con un gesto deciso gli porsi il cubo, completo in tutte le sue facce! Tirai un sospiro di sollievo. Salutai il signor Jay Twistle, che con la sua valigetta uscì dal taxi e mi diede una possibilità.

Non avrei mai pensato che un semplice cubo, avrebbe potuto cambiare la mia vita. Fu da quel  momento che cominciai a vedere qualcosa oltre la vendita di quei scanner ossei…forse, un futuro? Si, un futuro. Quella cosa che è data a tutti ma che non è apprezzata da nessuno fin quando non si perde. Eppure non dovrebbe essere dato a tutti, un futuro?insomma, nessuno dovrebbe pagare o dimostrare qualcosa per meritarselo. Purtroppo non è così. In questa vita è molto sottile la differenza tra chi può e chi non può…bè sono pochi quelli che possono decidere,ed io purtroppo non sono stato tra questi.

Questa verità così maledettamente fondata, mi si presentò davanti il giorno in cui io e Christofer fummo costretti a lasciare la nostra casa per dormire in un bagno di una metropolitana, aspettando che ci fosse posto in delle comunità d’accoglienza. Me ne stavo lì. Mi ero appena inventato uno stupido gioco con il mio ultimo scanner, diventato all’occorrenza una macchina del tempo che miracolosamente ha trasportato la fantasia di Christofer tra i dinosauri.

“Forza, presto! Andiamo a ripararci lì, prima che ci attacchino”vedevo sorridere Chris, mentre mi accertavo di aver chiuso la porta del bagno. “Ecco qui  Chris, la nostra casa per questa notte”con un gesto feci scorrere la sua attenzione su quell’ambiente come se fosse realmente una nuova abitazione: nulla era accogliente, nulla poteva lontanamente ricordare il tepore di una casa e soprattutto della famiglia; c’era solo sporco. Disperato cercavo nel migliore dei modi di unire pezzi di carta nel pavimento che ci avrebbe alloggiato per un’intera notte. Feci sedere Christofer sopra le mie ginocchia, accarezzandogli lentamente il viso fin quando i suoi occhi non si sarebbero persi nel sonno. I suoi occhi erano l’unica cosa che potessero ancora darmi forza…Eravamo lì, in uno squallido bagno.

Appoggiato alla parete, piangevo. Sentivo le mie lacrime scendere giù,giù…forse era il cuore che voleva liberarsi dal dolore e dalla fatica, dalla delusione e dalla rabbia di non aver dato a mio figlio la vita che si meritava. Impugnavo il mio scanner e con i denti trafiggevo le nocche dell’altra mano trattenendo i singhiozzi per non svegliarlo. Mentre le lacrime sgorgavano mi chiedevo perché tutto questo.

La mattina seguente come prima cosa ci avviammo verso la comunità che ci avrebbe ospitato. Tenevo per mano Christofer che dal canto suo sapeva ancora come sorridere. Sulle spalle aveva il suo solito zainetto, saltellando sorrideva, guardando il cemento della strada con quei morbidi riccioletti arruffati sulla testa. Era lui il più forte con quell’aria sbarazzina ed innocente. Voltammo l’angolo: una coda interminabile era appostata lì per un letto e un po’ di cibo. Non potevo permettere che mio figlio si ritrovasse a dormire un’altra notte in una lurida metropolitana perciò mi feci di coraggio: afferrai la mano di Christofer e mi misi in coda. Quanto era assurdo vedere tra quelle vie, macchine così lussuose sfoggiare la potenza di quei motori, mentre un’ondata di smog e polvere ricopriva le nostre teste ancora pazientemente in fila. Polvere!Come se fossimo degli oggetti vecchi, privi di qualsiasi utilizzo dimenticati in un cassetto, rinchiusi nel buio di una società che non vuole vedere, che non vuole dare la chiave per aprire nuove opportunità a tutti.

Finalmente era il nostro turno. “Visto Christofer,  ora tocca a noi, per oggi possiamo entrare”. Chris voltò il viso verso di me e mi riempì di speranza con un suo piccolo sorriso, inarcando leggermente la fronte. Salimmo in camera: buia, completamente buia. Era piccola con due letti, si sentiva la puzza di chiuso e di vecchio, ma per lo meno non aveva il fetore del bagno. Appoggiai lo scanner sul letto. Chris si era seduto lì: non sembrava meravigliato, ne dispiaciuto. Forse era abituato a questo stile di vita. Forse non si aspetterebbe altro da me; ma io gli farò cambiare idea, ne sono certo. Erano solo le otto quando la luce dello stabile si spense

“E’ ora di andare a dormire!” presi in collo Christofer e lo appoggiai sul letto. Guardavo i suoi occhi e lui i miei, anche se in realtà si scorgevano a mala pena i contorni dei nostri visi data la poca luce che usciva dalla fessura della finestra. Un bacio e un forte abbraccio, poi quando mi stavo per coricare mi prese di scatto la mano e disse con aria imbronciata: “la luce tornerà?” non sapevo per certo se tornasse ma sapevo che quei suoi occhi meritavano di brillare più di qualunque altro “si certo, domani mattina, stai tranquillo” lo rasserenai toccandogli dolcemente una guancia. “Papà?” quella vocina tremolante mi chiamava ancora. Mi voltai verso di lui. “Sei un bravo papà…buona notte” mi disse tirandosi su le coperte impolverate, mentre si stringeva forte a sé con le sue piccole braccia poi  si addormentò con un sorriso.

 Io non avevo motivo di sentirmi fiero di me stesso anzi…orgoglioso?orgoglioso per cosa?Per non essere mai arrivato alla fine del mese con i soldi necessari per comprare un pallone a Chris?Per dargli una nuova maglia, un nuovo quaderno?Per vivere una vita serena? Per avere quello straccio di felicità che potesse ancora mantenere una famiglia e mia moglie…In quel momento pensai alla felicità. La dovevo ricercare, la dovevo afferrare. Fu in quel momento che cominciai a pensare a Thomas Jefferson e alla dichiarazione di indipendenza quando parlava del diritto che avevamo alla vita, libertà e ricerca della felicità e ricordavo di aver pensato: come sapeva di dover usare la parola 'ricerca' ? In fondo non potevo fare altro che tentare di ottenere qualcosa di migliore di questa vita.

Così quel cubo mi dette la possibilità, una delle poche possibilità della mia vita di iniziare gli studi per diventare un broker. Il piccolo Chris mi seguiva, non sapevo come facesse ma era sempre fiducioso nei miei confronti, nonostante il tempo che dedicavo a lui era sempre meno. Ora c’erano anche gli studi ad occuparmi, ma la mano di Chris mi stringeva sempre. Dovevo farlo per lui, dovevo diventare un broker per fargli raggiungere i suoi sogni!

Mi fermai attonito davanti all’edificio che mi avrebbe permesso di studiare e conseguire un nuovo lavoro. Lo guardavo. Ero sorpreso nel vedere tutta quella gente che vi entrava; forse come sempre non c’era posto per me ma questa volta le cose dovevano cambiare. Presi la mia vecchia valigetta e cominciai a percorrere i primi gradini di quell’enorme palazzo, per poi con aria smarrita chiedere informazioni. Il signore Jay Twistle mi aveva dato l’opportunità di studiare come qualsiasi altra persona facoltosa di San Francisco, ed ora mi ritrovavo ad aprire più teso che mai la porta dell’aula di lezione. Tante scrivanie. Tante persone. Tanti libri da dover studiare. Solo un obiettivo. Il massimo dei voti per conseguire il lavoro di broker. Ascoltavo attentamente tutte le lezioni, niente mi sfuggiva, niente! Perché Chris doveva avere un’istruzione altrettanto prestigiosa da grande. Lavoravo sodo, nonostante il mio pensiero fosse costantemente rivolto al piccoletto che passava la maggior parte del tempo a guardarmi, passeggiando per la piccola stanza o mettendosi a cavalcioni su quel letto scomodo.

Eppure giorno per giorno, sembrava quasi che dentro l’aula lezione, l’insegnate volesse a tutti costi farmi perdere  la concentrazione, con delle continue inutili commissioni, che mio malgrado dovevo rispettare. Lo scrutavo da capo a piedi dal bordo della scrivania. Ero certo che si sarebbe avvicinato a me per l’ennesima volta e con aria falsamente cordiale mi impartisse qualche ordine.

“Ma signore, scusi sto…” rispondevo attonito lasciando cadere la penna di mano mentre venivo incitato a lasciare pure il foglio degli appunti. Non sapevo cosa fare. Sapevo solo obbedire: cosa non da poco visto che altrimenti sarei stato sbattuto fuori insieme al mio avvenire e quello di mio figlio; ma sapevo bene che il suo subdolo intento era quello di non farmi conseguire ciò che volevo. Restai chinato per ore sopra quei fogli di carta: ricontrollai svariate volte gli appunti, ogni singola lettera, le annotazioni ai margini…tutto pur di ottenere quel 100! Non 99 ma 100! Purtroppo per quanto non volessi crederci era uno stupido numero a decidere del mio destino e non potevo mollare proprio ora.

Giorno e notte. Giorno e notte. Pagine su pagine, fin quando il giorno dell’esame era arrivato. Uscì dalla sala soddisfatto ma in ansia. Non ero ben cosciente del fatto di aver sbagliato qualcosa o meno. Non volevo consolarmi dicendomi di averci provato. Questa volta non potevo solo provare! Dovevo aver preteso di più! Eppure non sapevo impormi la certezza di aver conquistato il massimo, anche se senz’altro Christofer non ne dubitava. Zaino in spalla e sorriso a trecentosessanta gradi. Corse verso di me e mi diede un forte abbraccio. Sentivo stringere il mio corpo dalle sue piccole mani, che volevano trasmettermi coraggio. Il suo amore era tutto per me.

Passò del tempo. Era il giorno in cui tutto poteva cambiare: i risultati dell’ esame erano lì, in mano del signor Jay Twistle ad aspettarmi. Non mi feci domande lungo la strada. Non volevo pensare alle conseguenze negative o positive che fossero. Voltai lo sguardo verso Chris: seguiva con gli occhi la linea dell’orizzonte cercando di scorgere oltre il via vai di persone l’edificio. Fui convocato nell’ufficio dove Twistle e altri suoi colleghi se ne stavano lì ad aspettarmi.

Un solo foglio era riverso sul tavolo. Uno solo… Sentii il mio cuore palpitare più che mai. La tensione era talmente tanta che l’aria era irrespirabile. La sua mano si allungò verso di me:

“Complimenti  Chris Gardner …sei un broker ora!” mi fu consegnato il risultato. Lo fissai. Un uragano sembrava scoppiare dentro di me. Afferrai tremolante il figlio. In realtà, non ne lessi neanche una sola riga. Annuivo a Jay e agli altri. Non sapevo neanche perché! Ero pervaso dall’emozione di quel momento. Gli occhi cominciavano a illucidirsi, la bocca continuava a muoversi ma non una sola parola usciva dalle mie labbra. Il cuore era in uno stato di eccitazione tale che sarebbe potuto scoppiare da un momento all’altro. Fissavo il vuoto o forse il foglio, nulla mi sembrava reale. A mala pena riuscii a stringere la mia mano a quella degli altri, continuavo solo a respirare incostantemente con gli occhi rossi dalla trepidazione.

“Buona fortuna” mi dissero infine.

Chiusi la porta dell’ufficio, a passi lenti mi diressi fuori. Presi quelle poche cose che avevo lasciato sopra la scrivania, mentre continuavo a toccarmi la fronte. Aprì la porta d’uscita e tra la folla mi misi a battere le mani.

In quel momento … tra la folla, presi in minima parte coscienza di ciò che era accaduto… Ora potevo essere fiero di me, ora potevo alzare la testa e camminare tra gli altri…liberando un sorriso tra le braccia di Christofer!  

 

 Questa parte della mia vita, questa piccola parte della mia vita si può chiamare Felicità!

 

Elizabeth9

Un film come questo meritava una fan fiction! Spero solo che via sia piaciutaJ aspetto i vostri commenti!

 

  
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