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Autore: Aurelia major    15/01/2008    12 recensioni
Cosa succede quando una persona amabile e amichevole ne incontra una scontrosa e sarcastica ? Guai probabilmente , anche perché c'è chi vuole assolutamente fare amicizia e chi cerca d'impedirglielo a tutti i costi ...
Genere: Romantico, Comico | Stato: completa
Tipo di coppia: Yuri | Personaggi: Haruka/Heles, Michiru/Milena
Note: Alternate Universe (AU) | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Memorie in una notte di mezza estate

 

 

--- Parte seconda---

 

 

 

 

Ormai stava per scendere la notte.

Michiru distolse gli occhi dal disegno che stava abbozzando e guardò giù verso la valle vasta e pacifica che si estendeva ai suoi piedi e che lentamente stava tingendosi di scuro. Si era affezionata a quella vista, era un rito che compiva tutte le sere ormai, perché le donava una tranquillità tale da poter cullare persino l’illusione che quell’attimo di beatitudine estrema avrebbe potuto protrarsi per sempre.

Si strinse addosso le braccia, chiudendo gli occhi per meglio assaporare la sensazione fuggevole da cui si sentiva pervadere. Era vano darsi false speranze e lei ne era consapevole, però stasera le sembrava di essere ad un passo dal ghermire quanto fino a quel momento era stato esclusivo alimento delle sue fantasie, azioni e reazioni, che ancora tardavano a concretizzarsi e che si costringeva a circoscrivere e frenare.  

Con la coda dell’occhio lanciò una rapita occhiata all’altro capo della loggia e si chiese per quanto tempo avrebbe potuto ancora reggere quella messinscena. Sempre più spesso infatti, si ritrovava a domandarsi per chi lo stava facendo: per sé stessa o per lei?

Meglio non pensarci.

Si ingiunse tornando a fissare dritto davanti a sé.

Sì, molto meglio concentrarsi nuovamente su quanto stava facendo e lasciare quel perenne interrogativo insoluto, altrimenti non le sarebbe restato altro da fare che alzarsi, dirigersi verso Haruka e prenderla di petto per affrontare la situazione una volta per tutte. La tentazione era forte, ma altrettanta era la paura per ciò che ne sarebbe conseguito. Quindi, ancora una volta, preferì restare in quella vaghezza gravida di attese, piuttosto che precipitarsi in quel che poteva divenire un girone infernale. Ora, più che in precedenza,  aveva troppo da perdere per rischiare.

Tornò a quanto stava creando e, sfumando leggermente il tratto di matita appena tracciato, evitando allo stesso tempo di guardare la realizzazione fin lì eseguita, si dedicò esclusivamente al dettaglio degli occhi, mentre oziosamente i suoi pensieri imboccavano una tangente parallela e si perdevano nella riflessione riguardante la natura ambigua della sua ritrovata creatività.

Da quando era arrivata qui infatti era diventata tutta un fremito di ribollenti ispirazioni, cosa che mancava d’accadere fin dal principio del nuovo anno. Ah certo, non che non avesse dipinto o disegnato nei mesi precedenti, tutt’altro. Ma si era trattato per lo più di studi preparatori, di lavori che in un certo senso erano valsi quali tracce iniziali di un modello che ancora doveva prendere una forma completa nella sua testa. Per cui il suo affannarsi fino allo spasmo non aveva prodotto altro che opere vaghe, incompleti abbozzi di un puzzle ancora da definire e che aveva speso nell’attesa di quel di più che ancora tardava a manifestarsi nella sua creatività.

E ogniqualvolta esaminava quel che all’inizio le era parso uno schizzo promettente, inevitabilmente, ad un’occhiata più approfondita, le montava dentro la frustrazione per non aver espresso quanto avrebbe voluto e, esasperata oltre ogni dire, finiva per appallottolare rabbiosa il frutto di tanti sforzi per darlo in pasto alla pattumiera.

Molto probabilmente quelli erano stati mesi felici per i riciclatori della carta, ché di sicuro l’operatore addetto al ritiro dei sacchetti ricolmi di fogli accartocciati che tutti i santi giorni gli lasciava, come minimo  si ci stava pagando il mutuo con tutta quell’abbondanza!

Era stato un rospo duro da mandare giù quello, giacché fin da quando aveva iniziato a dipingere non le era mai capitata un’impasse simile, né aveva dovuto lottare con il frustrante senso d’impotenza dell’artista che sa quel che vorrebbe generare, che scorge, così come se ce l’avesse davanti, quel sublime che spasima,  ma che infine deve deporre i pennelli, poiché sa che per il momento non è in grado di dargli la forma che questi merita. 

Una bella lezione d’umiltà per lei, soprattutto perché appresa nella sua furia d’insistere.  Ma, paradossalmente, quella sequela di insuccessi le aveva donato una vittoria, giacché finalmente aveva inteso di non essere ancora pronta e sufficientemente matura per riprodurre ciò che si proponeva.

Il che non voleva dire che avesse rinunciato, piuttosto  le era stato utile a capire quanto fosse opportuno darsi un periodo di tregua, anziché  continuare a generare aborti mostruosi di quella meravigliosa idea che aveva preso nella sua testa le proporzioni di una fissa dominante.

E così Michiru, nel modo più doloroso, aveva imparato che l’ispirazione non era uno stato d’appartenenza esclusiva, bensì un qualcosa di capriccioso. Incostante quanto potrebbe esserlo una pagliuzza sospinta dal vento e tanto eclettica quanto potevano essere le totalità infinite dei colori che potrebbe esprimere un tramonto novembrino: ora blu, ora violetto e, una manciata di attimi dopo, di un vellutato indaco.

E forte di questa nuova consapevolezza si rassegnò, dovette farlo, alla realtà dell’estro  volubile. Lo stesso costantemente assente quando con più insistenza lo si cercava e, al contrario, sempiternamente nascosto dietro ogni singolo dettaglio, espressione o ombra scorgesse, qualora  non le fosse possibile esprimerlo appieno e fissarlo su carta come avrebbe voluto.

In un certo senso, pensava adesso che pareva finalmente essersi riconciliata col suo talento, l’ispirazione poteva paragonarsi all’amore, dato che esattamente come questo, se vitale poteva  spandersi in ogni fibra dell’ essere, ma in caso contrario,  quando non c’era più… non c’era più, ed era inutile insistere.

E allora, si chiese per l’ennesima volta sbirciando nel buio alla ricerca del volto di lei,  era un sintomo d’amore il fatto che proprio ora avesse rinvenuto quest’intensa creatività da esprimere, oppure era l’ispirazione stessa a farle credere di provare quei moti affettivi?

Interrogativo interessante per un sofista, ma solo per lui, poiché le era sufficiente levare il capo a contemplare Haruka, che distesa dall’altro capo della terrazza giocherellava con un’intricata matassa di fili, per capire e smentire una simile ipotesi immediatamente.

Inoltre, a che pro gingillarsi con quel punto di domanda, se in cuor suo da un pezzo l’aveva acclarato?  Se quel che provava non fosse stato autentico infatti, da tempo si sarebbe arresa, buttando via quelle patetiche imitazioni dell’originale, per potersi dedicare ad un soggetto molto meno insidioso.

La fissò nuovamente nel buio mentre la carezza della brezza leggera della sera le faceva ondeggiare la coda in cui aveva racconto i lunghi capelli.

Eh già, l’ispirazione era una fottuta bastarda e non era un caso che le venisse meno e facesse la difficile  proprio nei riguardi di colei che avrebbe voluto più d’ogni altra cosa ritrarre. A quanto pareva lo spirito contraddittorio della sua musa aveva influenzato l’arte, quand’invece sarebbe dovuto accadere il contrario. 

A questa riflessione Michiru si lasciò sfuggire, nonostante la stizza impotente che i suoi travagli le avevano creato, un sorrisetto compiaciuto. Chiunque altro avrebbe fatto salti di gioia innanzi alla prospettiva d’esser preso a modello da lei, mentre nel caso della bionda, non si era azzardata a chiedere, sapendo benissimo delle beffe e dei dinieghi cui sarebbe andata incontro qualora l’avesse fatto. Ma, se la sua inventiva s’era inceppata, non era colpa del fatto che dovesse trarre le forme apparenti di Haruka  furtivamente e con il cuore in gola, piuttosto pareva che quanto più le si avvicinasse, giorno per giorno e affettivamente, tanto più le appariva talmente sfaccettata che disperava di poterla mai circoscrivere su tela.

O così le era sembrato, ma poi il tempo e gli eventi accaduti, avevano sconfessato questa pessimistica convinzione ed era rinata in lei la fiducia e con essa l’illusione di essere diventata qualcosa di più che una semplice amica. Già, altrimenti non si spiegavano tanti episodi, apparentemente inspiegabili, che a ritmo vertiginoso si erano susseguiti.

Haruka in effetti aveva avuto un comportamento assai strano dacché avevano preso a frequentarsi assiduamente. Lunatica ed imprevedibile lo era sempre stata, ma nello spazio di tempo che era seguito la loro riconciliazione,  piano, piano aveva cominciato ad agire in modo sempre più strampalato. E la cosa assurda era che, finché si trovavano in pubblico, il suo comportamento appariva quello di sempre: brillante, altezzoso, affabile. Poi come per magia, non appena si ritrovavano sole, le bizzarrie sembravano prendere piede in lei all’improvviso. Sembrava proprio che non appena si ritrovassero a quattrocchi perdesse la calma che normalmente ostentava, cosa che per il passato non era mai accaduta.

Oddio, non che prima avessero condiviso chissà quanto insieme, senza contare che non aveva avuto davvero il tempo materiale di conoscerla veramente bene, ma, per dirne una, davvero non si sarebbe aspettata che la glaciale Haruka fosse un tipo pudico e facile agli imbarazzi. Eppure pareva proprio che così fosse.  E non tanto per sé stessa, quanto solo ed esclusivamente  per quanto riguardava lei, Michiru, ché se qualche volta aveva fatto tanto di girare per il suo appartamento in desabillé, poco c’era mancato che Haruka si facesse prendere da una crisi di panico.

E dire che l’aveva creduta molto più navigata, tant’è vero che se avesse voluto dare credito a certe voci che giravano sul suo conto a scuola, le sarebbe stato molto facile supporre che la bionda l’avesse saputa molto lunga sull’altrui anatomia femminile. In effetti così credeva e su questo presupposto era nata l’ennesima nota dolente su cui non si dava pace.

Certe dicerie infatti l’avevano persuasa che, nel momento in cui avesse deciso di esprimerle apertamente i suoi sentimenti, la cosa l’avrebbe di molto agevolata. Invece pareva che quei pettegolezzi non trovassero altro fondamento che in un abusato e stantio cliché. Indubbiamente Haruka aveva i tratti tipici della nomea che le attribuivano, il che non voleva dire però che questi erano sufficienti ad appiopparle  un dato di sicura appartenenza. D’altro canto lei stessa, benché non avesse affatto le stimmate dello stereotipo, aveva perso la testa per una ragazza. Quindi si era detta che forse non era solo l’aspetto ad essere indicativo. Però certe supposizioni non portavano altro che a farla girare tuttora attorno all’ipotetico che ancora giaceva insoluto…  

Insomma la questione era questa, finché aveva supposto che Haruka avesse una certa inclinazione, si era sentita più che mai sicura di quanto si proponeva di fare. Ma quando poi, a fronte del comportamento estremamente virtuoso che quest’ultima ostentava, le erano venuti i primi dubbi sulla veridicità delle proprie convinzioni, si era sentita in obbligo di darsi una calmata.  In definitiva, se Haruka fosse stata ciò che lei supponeva fosse, sarebbe stata più che contenta d’avere una femmina discinta per casa, giusto?

Per cui, il fatto che non lo fosse, lasciava supporre tutt’altri scenari. Sacrosanta ed innegabile supposizione, però era strana pure la reazione opposta che aveva. Eh sì, perché, posto pure che fosse eterosessuale al di là di ogni ragionevole dubbio,  che noia poteva darle la vista delle nudità altrui?

Mistero.

O invece il problema era da rapportarsi a lei sola? E perchè mai poi?

Belle domande, peccato che entrambe fossero ancora senza risposta e che girassero e rigirassero tra i suoi pensieri fin da quel piovoso pomeriggio che avevano passato a studiare insieme. Se lo ricordava benissimo quello, in effetti le sue fisime da quel momento avevano preso vigore.

Del resto come poteva essere altrimenti, visto che le era piombata bagnata fradicia  sull’uscio e Haruka aveva fatto un’espressione a metà tra lo sconsolato e l’addolorato? Per non menzionare che il sopracciglio le se era talmente arcuato che stava lì, lì per arrivarle sulla nuca. Da quel momento in poi aveva iniziato a dare letteralmente i numeri, cifre che nulla avevano a che fare con la trigonometria!

In quel frangente si era detta che non era assolutamente possibile che un tale comportamento stravagante potesse dipendere da lei o dall’irrilevante dato della sua vicinanza, ché Haruka mai aveva dato simili segni di squilibrio riguardo a lei.

Tuttavia, man a mano che i mesi trascorrevano, e che siffatte stramberie s’intensificavano, il sospetto le era venuto. Del resto ogniqualvolta si era fermata a dormire a casa Tenou, cosa che aveva iniziato a succedere sempre più di frequente, la bionda irragionevolmente si era impuntata sul fatto che dovesse usare un abbigliamento, a suo dire,  più appropriato. E tanto aveva insistito, instancabile, finché Michiru, stremata e sempre più perplessa, non aveva inteso infine che si stava riferendo ad una banalissima vestaglia.

A questo punto non le  era rimasto che accontentarla e non tanto perché ci si era sentita praticamente costretta a causa delle sue petulanze, quanto per il fatto che più aumentava la frequenza dei pernottamenti che Haruka definiva discinti, più si avvicinava allo zero la temperatura del condizionatore. Il che non doveva essere una cosa casuale, molto probabilmente quella bastarda l’abbassava di proposito!  

Michiru a tutt’oggi  ancora non era in grado di dare una spiegazione ad un simile contegno, tenendo conto di quanto sopra, ma era sicura che non si trattasse di nuovi  sintomi di ombrosità o insofferenza nei suoi riguardi. Già, era fin troppo evidente quanto  ad Haruka facesse piacere avere la sua compagnia e la sua presenza costante persino a casa sua, nonostante certe bizzarrie.

Tutto ciò era fonte di estremo appagamento per lei, il dato tangibile di una meta agognata, tanto, che fino ad un certo punto se l’era fatto bastare. Malgrado tutta quella serie di manie inspiegabili stessero minando la sua pazienza. Ma poi, inesorabile, un crescendo di circostanze l’avevano coinvolta ad un punto tale che, al loro culmine,  aveva acquisita la precisa consapevolezza di quel che veramente voleva. E da quel momento in poi nulla era stato più come prima.      

Ad essere onesta fino in fondo infatti, finché i primi campanelli di desiderio non avevano preso a squillare sonoramente,  aveva sempre considerato la sua affezione nei riguardi di Haruka come un ventaglio di sentimenti che andavano dall’ammirazione, all’attaccamento affettivo. Insomma un contesto molto platonico che si nutriva di sensazioni elevate e assolutamente nobili, che nulla avevano a che fare con smanie sensuali. Praticamente era fermamente convita di riscaldarsi al fuoco dei sentimenti puri, piuttosto che ardere di brame che fossero riconducibili al passionale, tantomeno ad al fisico.

In definitiva, si era detta, se guardava il corpo di Haruka con tanta perseveranza, lo faceva con l’occhio dell’artista onnisciente e senza nessuna sottotraccia di fantasie equivoche. E ne era talmente persuasa che si stupiva delle occhiatacce che ne riceveva di rimando. In effetti, quando la fissava a quel modo, e la bionda se ne accorgeva, pareva risentirsene assai, al punto che aveva modificato la sua solita a abitudine di girare per casa in short e canottiera. Cosa che aveva fatto prendere alla violinista l’abitudine di sfotterla al proposito, al punto che definiva il suo appartamento come il primo e unico avamposto nipponico della dirigenza talebana.

Però poi, un sabato sera come tanti, un evento aveva fatto sì che si aprisse la prima e determinante crepa nella muraglia incrollabile di queste sue candide convinzioni. E tale era stata l’impressione che ne aveva avuto, che da quel punto in avanti l’aveva piantata di fare la gioconda in merito, poiché le era completamente caduto il velo dagli occhi.

Casualità o no, fu insieme a Setsuna, che forse chi più di chiunque altro pareva intuire cosa si celasse nel suo cuore,  che si ritrovò in quel frangente catartico.  

Erano appena uscite da un locale dove avevano partecipato ad un interessante caffè letterario incentrato su le Note del guanciale, libro che entrambe adoravano, quando quest’ultima l’aveva indirizzata, quanto  inconsapevolmente ancora se lo chiedeva, verso il suo destino. Da poco era passata la mezzanotte e nessuna delle due aveva voglia di rincasare, cosicché Setsuna le aveva proposto di darsi, una volta tanto, ad un divertimento meno apollineo e più dionisiaco.

Detto ciò, come al suo solito, senza sviscerare più di tanto l’arcano delle sue affermazioni, l’aveva condotta nel ventre pulsante della discoteca più affollata e alla moda del momento. Il che era singolare, giacché questa sapeva benissimo quanto detestasse certi luoghi, quindi, perché l’aveva portata in mezzo a quella ressa sudaticcia e pressoché sbronza? Non seppe darsene motivo, né le fu d’aiuto il sorriso enigmatico che Setsuna le rivolse a fronte delle sue vivaci rimostranze. Si limitò a incoraggiarla ad entrare mentre Michiru, ripensando alla serie interminabile di vernissage a cui l’aveva condotta e ai quali Setsuna l’aveva seguita  esclusivamente per il piacere della sua compagnia, si mordeva la lingua ed arrendevole la seguiva.

In fondo, si era detta entrando in quell’alveo rimbombante,  si trattava solo di stringere i denti per un po’ e, male che andasse, avrebbe trascorso qualche ora noiosa. Poco se paragonata alle medesime che forse aveva imposto all’altra e sulle quali non aveva mai sentito alcuna lamentela. Per cui la piantò di fare la difficile e, prendendola sottobraccio, di sua iniziativa la traghettò verso il bar per offrirle un giro di bevuta in segno di tacita scusa. Del resto non avrebbe potuto fare altrimenti, digiuna com’era di ballo moderno, se ballo si poteva definire quell’esagitato muoversi di qua e di là che poteva scorgere eseguire da quella moltitudine astratta.

Così avevano trascorso qualche ora a sorseggiare bibite tassativamente analcoliche, schivando numerosi e continui approcci da parte di giovanotti parecchio insistenti, mentre tentavano di portare avanti una conversazione in mezzo a quel frastuono insopportabile. Tanto che Michiru si stava chiedendo perché accidenti non fossero andate in una sala da tè, visto che Setsuna pareva volersi limitare a chiacchierare e non le aveva dato nessuna impressione di volersi lanciare in pista, quando quest’ultima le diede il gomito per richiamare la sua attenzione. In effetti aveva notato che aveva gettato più di una penetrante occhiata all’arena gremita durante la loro conversazione, e ora pareva aver trovato quanto andava ricercando, dal momento che stirò le labbra in un sorriso di autentica soddisfazione.

“Guarda, guarda chi c’è.” Affermò bonaria, come se quel rumore intenso non stesse trapanando loro le orecchie e, soprattutto,  come se la vista di quanto aveva scorto fosse casuale e lei non fosse voluta andare in quel luogo di proposito.

Divertita, più dalla reazione dell’amica che per un reale interessamento verso il conoscente che Setsuna aveva scorto, Michiru gettò un’occhiata nella direzione indicatale e lì, in mezzo a quella folla di corpi anonimi e ondeggianti, scorse una figura che faceva spicco su tutti.  E non solo perché stava assisa su di una sorta di palchetto innalzato al centro di quell’umanità brulicante, ma soprattutto perché la stazza e il rilucente oro dei capelli erano inconfondibili. Inoltre, chissà se per un caso o per una precisa volontà del demiurgo che conduceva quella sorta di rito pagano, dal caleidoscopio delle luci colorate un raggio singolo partiva dall’alto illuminandone le movenze.

E come un officiante che eseguisse un rito tribale, così Haruka sembrava presiedere a quella cerimonia d’idolatria collettiva, guidando quella folla che sembrava rapita dalla danza ai limiti dell’indecenza che stava compiendo. In quel momento sembrava non essere più la persona che Michiru conosceva, quanto la proiezione di una forza primigenia del tutto scevra da qualsiasi vestigia di raziocino, al punto che i suoi tratti apparivano addirittura alterati, quasi sovraumani, presa com’era nel vortice del ritmo e delle pulsazioni ancestrali che la scuotevano.

Michiru ebbe la netta impressione che in quell’attimo le due identità della bionda si stessero fondendo in un perfetto equilibrio, quasi fosse diventata l’essere perfetto, un androgino senza sesso e privo di emozioni, capace di attrarre indiscriminatamente le pulsioni primordiali di tutti i presenti. 

In quel momento, per la prima volta, Michiru andò a sbattere, totalmente priva della protezione razionale che fino a quel momento l’aveva sostenuta, faccia a faccia contro quella realtà che fino ad allora aveva volutamente ignorato.  Ché la vista di quel corpo esibito in quel dondolio sensuale, risvegliò in lei sensazioni mai sentite.

E finalmente afferrò la vexata questio: il suo non era un sentimento esclusivamente idealistico, ma si nutriva anche della smania che la stava avvampando e che per la prima volta sentiva in tutta la sua estensione. Tuttavia capì pure che la sua non era solo mera voglia, bensì un eterogeneo miscuglio d’amore e brama di possesso che non le lasciavano scampo.  

Simile rivelazione la lasciò senza fiato, incredula, al punto che seduta stante dovette abbandonare il luogo, giacché troppa era la confusione che sentiva. Con una scusa piantò in asso Setsuna e si allontanò in fretta,  poiché aveva bisogno di restare sola per  riflettere sull’accaduto.

Fu una notte insonne quella per lei, trascorsa in una veglia che passava al setaccio tutto quanto era accaduto fin dal loro primo incontro, poiché doveva capire dove, quella che aveva creduta una forte amicizia, si era trasformata in quanto ora stava sentendo. Rivisse a ripetizione le immagini di Haruka a ritroso, da quella stessa sera fino ai primi giorni e le ore che avevano trascorso insieme, come se si trattasse dei fotogrammi di un film. Tentava infatti, attraverso queste, di dare  un senso al batticuore che sentiva crescere e che pareva l’avesse presa nella sua morsa per non lasciarla più.

E nella solitudine della sua cameretta, le rivelazioni caddero ad una ad una sul suo grembo, ché mentre si agitava  scossa tra le lenzuola del suo letto d’adolescente, afferrò appieno che la bionda aveva fatto nascere in lei i primi germogli del passaggio dall’età dell’innocenza a quella adulta. E soprattutto comprese che questi altro non erano che il barometro indicante la portata dei suoi sentimenti.

Se si stava evolvendo in questo senso allora era esattamente perché questi erano cresciuti, già. Senza contare che ormai, qualsiasi cosa riguardasse Haruka, da tempo andava amplificandosi a dismisura nella sua prospettiva e in quest’ottica tutto prendeva un senso. E il contesto tutto, visto sotto questa luce, le spiegò finalmente anche perché  persino le minuzie nella loro pochezza, se la riguardavano, erano capaci di riempirla di felicità.

Quanti momenti, che parevano come uguali a tanti altri, le erano rimasti impressi dentro? Miriadi.

Frasi, espressioni, movimenti, il tono della voce, l’attimo, il posto, il tempo, la nervatura delle mani, la grana fine dei capelli, il balenare improvviso d’un sorriso o una smorfia di disappunto brusca. Caspita, si fosse trattato d’altro, faticava a ricordarsi persino cosa aveva mangiato a pranzo! Allora se non era amore questo, come accidenti faceva a rivivere così fedelmente tante cose apparentemente insignificanti?

Non c’era scampo, non si trattava più di una tenera amicizia, se mai lo era stata. E se ancora aveva qualche dubbio in proposito, il richiamare alla mente quanto era accaduto nell’occasione in cui aveva perso l’aereo per Osaka, glielo tolse del tutto.

Mancava poco al suo compleanno, sì perché aveva nevicato per tutto il giorno, e l’indomani avrebbe dovuto tenere un importante concerto. Purtroppo, a causa del maltempo, il volo era stato cancellato e lei, non sapendo come fare,  stava per farsi prendere da un attacco di panico, quando Haruka si era offerta di accompagnarla in macchina. Aveva tentennato, un po’ perché la distanza era notevole e sarebbero comunque potute arrivare in ritardo se ci fosse stato traffico, e un po’ perché davvero non voleva infliggerle una faticaccia simile.

A queste rimostranze Haruka si era limitata a fare il gesto di chi risolutamente manda al diavolo ogni preoccupazione e l’aveva esortata a darsi una mossa verso il garage, ché quella era la scusa perfetta per saltare la verifica di giapponese moderno che l’aspettava in classe il mattino dopo.

Una scusa? Un modo silente e discreto per porgerle il destro senza che se ne rendesse conto appieno?

Non riuscii a capirlo, né la bionda si prese la briga di spiegarsi. Così viaggiarono per molte ore l’una a fianco all’altra nell’intimità dello stretto abitacolo e, durante tutto il percorso, nulla parve a Michiru tanto piacevole quanto quel viaggio fatto respirandole il respiro, accompagnata dalla vista dello scorrere dell’autostrada con le sue stazioni di servizio e i punti di ristoro, mentre a tratti,  la voce tranquilla di Haruka faceva da contraltare ai suoi pensieri. E persino quando se n’erano rimaste in silenzio era stato bello, perché era stata una quiete piena del condiviso piacere di essere insieme quella.

“Se vuoi dormi pure.” Le aveva detto ad un certo punto la bionda mentre attendevano che il benzinaio completasse il suo lavoro. Erano in piedi fuori dall’auto per sgranchirsi un po’ le gambe e, a questa proposta, Haruka s’era sfilata il soprabito allungandoglielo.  “Stenditelo addosso, starai più calda. E non preoccuparti troppo Michi, ci penso io. ” Aveva aggiunto per tranquillizzarla che sarebbero arrivate a destinazione in tempo, dopodiché aveva spento lo stereo e si era rimessa alla guida.  

Quel gesto l’aveva toccata nel profondo, esattamente come l’affermazione che ne era seguita. Ché in quel modo le era parso che Haruka le avesse voluto togliere un peso dalle spalle, come se con quella semplice esortazione, avesse afferrato in mano le redini della sua vita, dicendole che da quel punto in poi se ne sarebbe occupata personalmente.

E allora grata si era accoccolata sotto al tepore del cappotto, che ancora conservava il calore del suo corpo, fissandola colma d’affetto.  Perché quella piccola attenzione voleva significare tanto, soprattutto se veniva da parte di colei che non riservava mai premure a nessuno.

Sì, forse già allora si era persa per lei, ma stupidamente non ci aveva pensato. Del resto però non erano solo certi significativi particolari a far testo, giacché spesso era stata sufficiente anche una semplice espressione del volto, o un casuale aneddoto legato ad un gesto specifico, per far sì che le volute del loro legame,  che ora stava scoprendo ed identificando come null’altro che amore, la stringessero sempre di più nel loro vincolo.         

Come quella volta che l’aveva presa in giro perché stava ricucendo dei bottoni che le si erano allentati su alcune camicie.

L’aveva vista come una scenetta troppo muliebre, comica se associata ad Haruka. E infatti aveva fissato interessata tutta l’operazione, notando quanta minuzia ci mettesse e come il risultato fosse inappuntabile, a differenza di quanto si era immaginata vedendola alle prese con ago e filo.

“Però!” Aveva esclamato ilare osservando da vicino il lavoro eseguito. “Non avrei mai immaginato che possedessi simili doti femminili. Che direbbero le tue ammiratrici se sapessero che il re di ogni pista, il maliardo che fa palpitare i loro cuori, cuce e rammenda come la migliore delle couture parigine?”

A quest’uscita Haruka si era limitata a sogghignare senza risponderle, ma poi, visto che aveva continuato a canzonarla, vagheggiando divertita la reazione inorridita dei fan che la domenica pomeriggio affollavano gli spalti, vedendo in lei un modello di maschio virile da emulare, questa aveva fatto spallucce.

“E che c’è di male?” Aveva replicato come se niente fosse, quindi preso un rocchetto di colore diverso per una camicia più scura e inumidendo il filo tra le labbra, sembrò pensarci su. E, mentre infilava nella cruna la nuova gugliata, aveva continuato a fissarla interrogativa come se  quell’obiezione fosse poco calzante, tanto che, fu riprendendo a rammendare che le espose  spassionata il suo punto di vista.

“In fondo quando ho cominciato con l’atletica non avevo il becco di un quattrino, né la prospettiva di vederne per un bel pezzo e credimi,  un paio di scarpette dovevo per forza farmelo durare finché possibile. Giocoforza ho dovuto imparare. Sapessi quante volte me le sono rattoppata da sola! Credi davvero che debba vergognarmene?”

A quest’osservazione Michiru aveva perso tutta la sua verve e si era sentita una vera stupida per aver sollevato la questione, sebbene Haruka non avesse usato il solito registro sarcastico nel bacchettarla, quanto piuttosto nelle sue parole si poteva scorgere una leggera vena di malinconia e quasi di rimpianto. Così Michiru aveva pensato che, paradossalmente,  forse per lei a quel tempo tutto era  più facile, malgrado vivesse in condizioni precarie e fosse per lo più emarginata. Pure, nonostante ciò, pareva ricordarla ugualmente con nostalgia.

Allora la ragazza non poté far a meno di chiedersene il motivo. Probabilmente, quando era costretta nelle privazioni, il disagio di Haruka era esclusivamente materiale, ma al contempo era veramente libera,  svincolata quanto solo un amante della libertà come lei poteva apprezzare. Per contro,  adesso che aveva raggiunto un certo benessere, ora che era una personalità in vista, così come sempre aveva detto di desiderare,  spesso sembrava oppressa da un qualcosa che Michiru poteva solo intuire, ma che ciononostante avvertiva con la chiarezza di una vibrazione stonata.  

Forse, ma forse, poteva darsi che tutto ciò che stava realizzando non fosse esattamente quanto diceva di volere. Forse, ma forse e sempre e solo forse,  quello che gli altri poteva apparire come la concretizzazione di molte ambizioni, non era altro che una maschera che la bionda indossava per affrancare un passato infelice.

Forse.

E chissà, si chiedeva guardandola e spingendosi più a fondo ancora,  se la determinazione ferrea che la portava a spingersi sempre più in avanti fosse il risultato di un sogno a lungo covato o la testardaggine congenita di una che sentiva di dover sempre dimostrare qualcosa…  Michiru di certo non poteva saperlo, ma sperava con tutto il cuore che così non fosse, altrimenti come poteva Haruka non accorgersi di quanto ciò fosse futile e insensato?

Non ebbe il coraggio di chiederglielo, ma quest’episodio marginale, benché  ancora una volta avesse evidenziato quanto fossero grandi le differenze che le separavano, le aveva dato comunque segnale che qualcosa era definitivamente mutato, che un altro fondamentale tassello si era aggiunto ad arricchire il loro rapporto, quasi senza che se ne fosse resa conto. Sì perché con quel breve accenno Haruka l’aveva resa partecipe di un qualcosa dal quale per molto tempo l’aveva esclusa e il parlare in sua presenza di un passato, fino ad allora mantenuto oscuro, denotava da parte sua la tacita consapevolezza e accettazione che lei sapesse, nonostante mai le avesse raccontato alcunché.  

Per cui se ad Haruka era venuto naturale alludervi, era lecito poter affermare che non aveva più di lei la deleteria convinzione che fosse  una volubile ragazzina snob che non avrebbe potuto capire l’entità dei suoi travagli. E constatarlo così, in un momento qualunque di un giorno qualunque, le aveva dato un brivido caldo.

Era stata accettata, le veniva concessa la possibilità di capirla e farsi capire e, in qualche modo, ora si consentiva di sperarlo, la remota eventualità di essere ricambiata poteva dirsi avverabile.

Tutto questo accadeva prima di averla potuta vedere interagire nel campo cui dava il meglio di sé, il che voleva dire che solo dopo averlo fatto poté dirsi sicura di quanto andava rimuginando da mesi, poiché quando finalmente la vide correre sul suo bolide, il cerchio si chiuse.  

Già, come spiegare altrimenti quel che aveva sentito agitarsi dentro la prima volta che aveva assistito al suo sfrecciare folle su quella macchina che sembrava a tal punto fragile da potersi spezzare da un momento all’altro? E, considerato che succedeva dopo l’episodio della discoteca, era ancora più difficile metterlo in parole.

La consapevolezza del suo essere innamorata infatti dava una ridondanza particolare ad ogni emozione, facendo in modo che mutassero improvvisamente,  alterate com’erano dall’enzima del sentimento. Durante quella gara aveva tremato, sussultato e gioito nello spazio di pochi minuti e, quando l’aveva vista tagliare il traguardo, il suo primo impulso era stato quello di correre all’impazzata nella sua direzione. Anche perché era da qualche settimana che non si vedevano. Del resto, dopo la conversazione, oltremodo interessante, che avevano avuta, Michiru si era rifiutata di vederla, né pensava di volerlo più, e le teneva ostinatamente il muso.

Dal suo angolo sulla loggia la violinista tornò all’attuale e sorrise divertita rimembrando quel particolare frangente. Ah, sai che ridere se ne avesse chiesto la rievocazione ad Haruka! Come minimo la bionda avrebbe preferito buttarsi nel baratro sottostante, piuttosto che affrontare nuovamente quella spinosa querelle!

Era successo un vero e proprio casino e davvero ci era mancato poco quella volta. In effetti tale era stato il suo disappunto, o meglio definirla furia assassina? Che sul serio aveva pensato di darle il benservito una volta per tutte.

Rise di gusto, ché ora poteva permetterselo, ma la collera funesta che l’aveva assalita sul momento del fattaccio, non aveva avuto assolutamente nulla di spassoso. Sebbene, riflettendoci adesso, doveva ammettere che di ridicolo ce ne fosse abbastanza, e abbondantemente, nel dato significativo che tutta quella buriana aveva preso piede proprio dagli strali accusatori che Haruka le rivolgeva.

La controversia difatti era cominciata dal suo lamentarsi di lei giacché, a causa d’impegni precedentemente presi, Michiru non aveva potuto assistere alle prime due prove del campionato cui Haruka concorreva, e la bionda se l’era legata al dito.

Non faceva che recriminare a questo proposito, notte e giorno. Ma poi, inspiegabilmente, un misterioso commento di Setsuna aveva spento all’istante i suoi moti di rivalsa. Lì per lì Michiru non ci aveva badato, ché un simile spettacolo non era affatto insolito tra loro, infatti le poteva vedere sovente beccarsi. Ma in questo caso le parole di Setsuna avevano avuto il potere di farle comprendere  un succinto quadretto su cui da tempo s’interrogava. Al che tante cose si erano chiarite con una limpidezza disarmante, tanto che le fette di salame, che da sempre aveva avute sugli occhi, le erano saltate con un triplo salto carpiato.

Le faccenda era andata più o meno così: era passato qualche giorno dall’ultima competizione e ancora Haruka, mentre prendevano il tè tutte e tre nel suo appartamento, stava sbraitando a proposito della sua assenza.

“Neppure un presente di felicitazioni mi ha mandato!” Aveva concluso seccata incrociando  con uno scatto repentino  le braccia, onde accentuare vieppiù il suo sdegno per quella che considerava una  deficienza manifesta ed insultante.  

Setsuna, a quest’atteggiamento, si era limitata a sospirare paziente, come alle bizze di una poppante. Michiru invece, aveva obiettato, usando molto più sarcasmo di quanto non avesse intenzione, che di regali e felicitazioni ne stava ricevendo pure troppi. E, puntando l’indice sull’ammasso voluminoso di lettere che stavano sul tavolino e sui sovrappiù che giacevano in ogni dove, aveva sottolineato quanto le sue numerose adoratrici si fossero date da fare in materia di omaggi, ori, incensi e mirra.

Per cui, aveva continuato pungente, non c’era affatto bisogno del suo contributo per far elevare ulteriormente la sua cresta di presunzione. Quindi, aveva concluso decisa,  non vedeva perché avrebbe dovuto mettersi a buttare ulteriore benzina sul fuoco, visto che di lusinghe e sviolinate, ne stava ricevendo più che a sufficienza.

Inoltre, aveva aggiunto riferendosi ad un cesto di prodotti per l’igiene del corpo ai gusti di vaniglia, cacao e caramella mou, che Haruka pareva aver molto gradito, tanto che lo usava così di frequente che ormai olezzava perennemente come una bancarella di bonbon,  qualche bagnoschiuma e un paio d’essenze, non erano poi questo granché. Anzi, si trattava di un regalo talmente dozzinale, che non valeva proprio la pena d’usarlo come esempio  da sbandierare e sbatterle in faccia ad ogni piè sospinto!

Efficace sortita questa da parte della violinista e Haruka  stava ribatterle salace, quando notò che Setsuna stava inalberando un sorrisetto ironico, che la bloccò all’istante.  Conosceva quel particolare ghigno e non aveva nessuna voglia di sfidare la sorte chiedendogliene il motivo, dato che pareva proprio che Setsuna non aspettasse altro che qualcuno le porgesse il destro adatto a farle dire quale bella parolina in proposito.

Anche Michiru aveva notato quella singolare risatina e le era piaciuta pochissimo, la credeva infatti un lazzo indirizzato a lei, praticamente la derisione silenziosa dell’amica innanzi ai suoi patetici tentativi di darsi importanza agli occhi della bionda.

Grosso errore il suo, poiché non poteva sapere che quello era l’unico tentativo che poteva fare allo scopo di soffocare la ben più crescente ilarità che le stava salendo dalla bocca dello stomaco.  E se la ragazza se la stava ridendo non era per lei,  quanto per la situazione tutta.

Inoltre, visto che proprio non le riusciva di resistere alla tentazione di lanciare una bella stoccata ad entrambe, Setsuna aveva volutamente abbassato gli occhi sul bordo della tazza,  per poi risollevarli immediatamente dopo, nel fissarle placida e con ostentazione mentre soffiava sul liquido fumante. Infine aveva concluso la pantomima chiedendo:

“E dimmi Haru, questi detergenti cremosi, sono un regalino della Yamamay?”

A questa precisa domanda Haruka si era limitata a grugnire un vago assenso,  guardandola oltremodo minacciosa,  quale monito silente d’avvertimento che la piantasse subito, immediatamente, altrimenti sarebbero stati guai grossi.

Setsuna ghignò nuovamente e Michiru, alla quale non era  sfuggito l’eloquente scambio d’occhiate, ne approfittò per chiedere, con finto candore, perché supponesse che un simile omaggio potesse provenire da quella là.  

Haruka si mise una mano in faccia, Michiru si protese in avanti in attesa del verbo onnisciente dell’amica  e Setsuna, la quale era convinta che i tempi ormai lo richiedessero a gran voce e che se non gli avesse dato una spinta decisiva, quelle due sarebbero andate avanti per anni senza approdare a nulla, sorniona rispose:

“Dopotutto,  devi tener presente che il sapore che quella roba lascia sul corpo, dovrebbe essere  piacevole da leccare.”

Furono pochi gli attimi di quiete che quest’affermazione lasciò dietro di sé, infatti  venne interrotta subito dal suono inequivocabile di una persona che si sta strozzando.

In effetti Haruka non credeva a quanto avevano appena udito le sue orecchie e le era andato per traverso il sorso di tè appena sorbito.

Quanto a Michiru,  così come l’altra stava sputando ad idrante l’infuso che la stava soffocando,  allo stesso modo nella sua testolina pudibonda, a quella risposta inequivocabile, cominciarono ad eruttare a zampilli, e  tutte insieme, con la potenza di un vulcano represso dal mesozoico,  le illazioni e i sospetti ai quali fino a quel momento non aveva voluto dar assolutamente credito.  Eppure l’ovvietà di quell’infamante tresca ce l’aveva avuta davanti agli occhi fin dall’inizio!

“Se la fa… E’ da mesi che se la scopa!”

Sbottò mentalmente al termine di questo processo di collegamento tra i vari episodi cui aveva evitato prudentemente di dar nesso. E qui fu presa da una indignazione maestosa, la quale, molto singolarmente,  aveva una certa incertezza nell’indirizzarsi con precisione. Davvero non sapeva se prendersela con quella miserabile lasciva di Haruka, la quale,  mentre lei ne faceva oggetto del suo amore incondizionato e bersaglio di congetture al limite della follia astratta, non aveva trovato niente di meglio da fare che sollazzarsi con quella donnaccia, che chiamare baldracca sarebbe stato farle un vanto!

D’altro canto sarebbe stato lecito rivolersela pure con Setsuna, la quale non si era fatta scrupolo alcuno di far cadere, con un solo abile colpo di lingua, il suo fragile castello di pie illusioni,  senza alcun riguardo per i suoi trasporti e solo per il gusto di fare l’arguta e colei la quale tutto sa e tutto vede!

Quanto a Shanaya le sarebbe piaciuto torcerle il collo lentamente, prima di affogarla in una vasca zincata piena di acido solforico.

Certo, razionalmente sapeva che delle tre era quella che aveva meno colpe sulla coscienza, in quanto nell’ipotesi in cui si fosse trovata al suo posto e nelle medesime condizioni,  si sarebbe comportata allo stesso modo, prendendosi quanto le veniva offerto su di un piatto d’argento. Già, era facile immaginarsi la rapidità con la quale ne avrebbe approfittato qualora Haruka le avesse dato le medesime possibilità porte a quella donnaccia!

Pure non riusciva a darle assoluzione alcuna, giacché le aveva profanato, e continuava a farlo maledizione a lei,  un qualcosa al quale ormai si sentiva troppo avvinghiata per poterci passare sopra con la minima indulgenza.

Insomma, se avesse potuto le avrebbe arse sul medesimo rogo, ché avevano tutte e tre il loro bel carico di responsabilità condivise.

Però, pensò in un momento di cristallina lucidità, seppure avesse immediatamente urlato il suo sdegno, e il suo essere finalmente consapevole, a quella maniaca sessuale e la sua degna compare, che stavano entrambe a fissarla in attesa di una sua minima reazione, oltre a una serie di litigi infiniti, cos’altro avrebbe concluso?

Quella tresca disgustosa di certo non avrebbe avuto fine solo perché ora sapeva e la condannava, figuriamoci quanto poteva fregargliene a quella laida di Haruka! Quanto a Setsuna, non le avrebbe dato altro che l’ennesima occasione per farsi due risate alla faccia sua! No! Che se ne andassero a quel paese entrambe! Lei non voleva averci più nulla a che fare.

Fu così che, con una scusa, si sottrasse a tutta quella discussione e che, per tutti i giorni che la seguirono, si chiuse in un mutismo ed un isolamento che alle due parve inspiegabile. Le settimane passavano e Michiru non dava segni di vita e,  quando il suo silenzio e la sua assenza,  cominciarono a diventare oltremodo pesanti e francamente oppressivi, Haruka, la quale ancora s’illudeva che quelle illazioni fossero passate inermi sulla testa della violinista, cominciò a tampinarla con insistenza.  

Michiru fu d’una fermezza ferrea, addusse come motivazione lo studio e la preparazione per alcuni concerti imminenti, e di gran prestigio, cui sarebbe stata solista, poiché non se la sentiva ancora di dare fuoco alle polveri e urlarle furibonda quanto doveva.

Era chiaro che era ancora troppo vulnerabile nei suoi confronti per darle la possibilità, eventualmente,  di parlare e, a limite, difendersi. Sì, se l’avesse fatto allo stato attuale della sua confusione e  indignazione, quello davvero rischiava di diventare un addio definitivo. Voleva questo?

Certo che no, ma non era giunto ancora il momento di parlarle.

Così a nulla erano valse le insistenti telefonate e i pellegrinaggi sempre più stizziti che Haruka aveva fatto alla sua porta, col cappello in mano, consapevole di star agendo come il più fetente dei questuanti. Ma a questo punto non le importava, voleva sapere e, porca vacca, avrebbe saputo!

Ma Michiru si era sempre fatta negare, incrollabile e sorda alle sue suppliche, insensibile alle blandizie che sempre avevano avuto il potere d’irretirla e che adesso invece respingeva per paura di cadere nuovamente vittima indifesa della sua malia. Per questo aveva preferito farle sbattere sul muso la porta dal suo altezzoso maggiordomo, un impettito e dignitoso signore cui la boria di Haruka non faceva né caldo né freddo, come se l’invettive che la bionda gli sbraitava rabbiosa, rimbalzassero sulla rigidità del suo sparato senza colpo ferire.

Grottesca coincidenza: costui era esattamente lo stesso che comunicava a suo padre, quando erano saltati fuori i suoi intrallazzi adulterini,  che sua madre si era ritirata nei suoi appartamenti e aveva dato ordine di non disturbarla.

Come dire, corsi e ricorsi storici.  

Quanto a Setsuna, lei non si lasciò impressionare più di tanto da quest’atteggiamento austero e glaciale, immaginava infatti che nel petto palpitante e dolente di Michiru stava covando un’ira che prima o poi avrebbe dovuto trovar sfogo. Per cui sarebbe dovuta essere sua cura solo capire  quando sarebbe stata stagionata abbastanza da essere pronta a sprigionarla. Insomma, tutto stava nel farsi trovare pronta al momento opportuno. Nel frattempo, tutto quello che poteva fare era di lasciar tempo al tempo, tanto, tentare di far leva su Haruka sarebbe stato del tutto inutile.

Setsuna volutamente lasciò che Michiru si macerasse nel suo brodo velenoso senza disturbarla, poi, quando stimò che il periodo di decantazione era stato più che adeguato, l’ineffabile ragazza dalle lunghe chiome si presentò non invitata a casa Kaiou e non si stupì affatto quando il distinto uomo in livrea la introdusse là dove Haruka bramava essere e veniva regolarmente mandata indietro. 

Michiru come se la trovò davanti ebbe la medesima impressione di quando il suo professore di musica le dava il là per una esecuzione cui potesse esprimere tutte le sue potenzialità ignorando lo spartito. In effetti, non le diede neppure il tempo di aprire bocca, che gliene disse di cotte e di crude, senza curarsi affatto di star alzando la voce o di  offenderla pesantemente.

Del resto era pure colpa sua no? Ché se Setsuna le avesse rivelato fin da subito la natura schifosa, che sicuramente doveva conoscere visto che si frequentavano da tanto, di quella bastarda di Haruka, lei non avrebbe continuato a sognare ad occhi aperti come una deficiente! Si proclamava sua amica, ma col cavolo che le aveva detto quanto potesse essere infame quella maledetta! Se, e quando, era corsa da lei la prima volta le avesse suggerito di lasciar perdere, ché la bionda era un soggetto da evitare accuratamente se voleva preservare la sua sanità mentale, tutto questo non sarebbe mai successo!

Per cui le rigettò addosso tutto quello che pensava di lei, ma soprattutto tutto quanto pensava di quella cacasotto dell’amica sua, ché solo una vigliacca poteva comportarsi come lei stava facendo.

“Ma quali delicati sentimenti?! Ma quali tenere attenzioni?! Mi hai raccontato solo balle Setsuna! E quanto a quell’altra, non ha avuto neppure il coraggio di dirmi la verità. E lei lo sa quel che provo per lei!” Aveva concluso picchiando un vigoroso pugno sul pianoforte a coda, preziosissimo, dell’ottocento viennese, che a sua madre era costato un occhio della testa.

“Perché tu gliel’hai mai detto?” Fu la replica neutra che ne ebbe, mentre ancora nell’aria s’udiva il vibrare che proveniva dalla cassa armonica appena presa a cazzotti.

Michiru, innanzi a tanta calma ostentata, sentì nuovamente salirle il nervoso, l’atteggiamento sereno che Setsuna riusciva a mantenere in ogni frangente cominciava davvero a darle sui nervi.  

“E non è abbastanza manifesto, accidenti a te?”

“Certamente, ma lasciare che sia l’evidenza a parlare, laddove avresti dovuto farlo tu, ha solo avuto il risultato che ad Haruka sia scattata la classificazione tra santa e puttana.” Affermò concisa, tanto che, davanti all’imperscrutabilità di tale affermazione, Michiru si afflosciò come un soufflè mal cotto, ché davvero si sentiva  cadere le braccia a questo punto.

“Ora che vorresti dire?!” Proruppe stremata com’era da quei giorni di assordante silenzio auto-imposto, sfiancata dai perché sbigottiti e sgomenti che le fiorivano, a qualsiasi ora del giorno e della notte, sul bordo dell’amor proprio offeso, come tanti fiori vermigli in una palude di delusione. Stanca dal quotidiano domare la sua voglia di andare a buttarsi implorante tra le braccia di quella maledetta… implorarla?

E per cosa visto che è stata lei a tenermi a distanza per meglio ficcarsi nel letto di quell’altra debosciata!?

 “Cara.” Cominciò Setsuna cauta, consapevole che l’amica fosse più tesa delle corde del violino che suonava e che doveva andarci con mano leggera, ma ferma. “Non vorrei essere sempre, come m’accusi, quella edotta che coglie nel segno infallibilmente.  Però mi tocca e temo che il punto stia proprio qui. Forse a te non è chiaro, ma debbo dirti che persino una persona evoluta, e che si pretende di mondo, come la nostra Haruka, è finita dritta, dritta in questo stupido equivoco. E questo non fa che condizionarne le scelte.”

“Cazzate Setsuna!” Sbraitò Michiru pestando rabbiosa un piede, gesto quanto mai appropriato per lo stato scarmigliato delle sue chiome, che definire leonine non avrebbe reso del tutto l’idea, e dei solchi neri che le cerchiavano gli occhi. “A te piace da morire giocare a fare la sfinge e colei che sa, laddove noi poveri sempliciotti non abbiamo capito niente!”

“Però, vedo che la solitudine ha portato un progresso notevole nel tuo eloquio.” Tentò di blandirla carezzevole con un lievissimo umorismo, ma Michiru era stufa di farsi infinocchiare bellamente da quelle due dannate affabulatrici, per cui sbrigativa la interruppe.

“E comunque non capisco che intendi dire, quindi perché non parli chiaro?”

“Volentieri.” Fece Setsuna mutando completamente tono. Prese un espressione più seria e cominciò pacata:

“Credi di essere la sola ad aver esaltato l’immagine di chi ti stava dinnanzi? E’ più che palese che pure quella testona  ti ha trasfigurata, a tal punto esaltata nella sua testa, che crede di compiere un imperdonabile peccato qualora s’azzardasse a vederti come una possibile compagna, o peggio ancora, dio non voglia, come la destinataria dei suoi desideri sessuali!”

Certo Setsuna non si stava preoccupando di essere troppo esplicita e, a questo commento nient’affatto velato, Michiru ebbe un sobbalzo. Del resto, visto che solo una volta e solo tra sé e sé, da quando aveva fatto la conoscenza di Haruka, si era azzardata a mettere la questione in questi termini, nel sentirlo fare, era inevitabile che la cosa le desse uno scossone. Sintomo di quanto fosse ricco di significati veritieri il ragionamento che le si stava facendo.  

“Sono mesi che quella cretina si destabilizza nel tentativo di oggettivarti e ridurti ad un qualcosa di molto simile ad un icona che rifulge di santità. Non te ne sei accorta? Eppure è chiaro! Sta lì a fissarti come un baccalà in estatica adorazione, ma non si azzarderebbe mai a muovere un passo nella tua direzione come tu, e pure lei,  vorresti! Se la fa addosso alla sola idea! Per cui l’unica scappatoia che quel genio ha trovato è stata quella di elevarti  ancor di più alla gloria degli altari,  mentre lei si pasce nel concreto!

Con quella ci fa sesso e lo fa perché è convinta che con te sia proibito. Se tu ti svegliassi una buona volta, forse potrebbe darsi che la pianterebbe di vederti come nostra signora immacolata e magari si darebbe una mossa pure lei!”

Concluse veemente, dando finalmente piglio all’impazienza che da mesi covava. In effetti, ogniqualvolta pensava alla situazione assurda cui quelle due si erano impegolate, le veniva voglia di prendere le loro belle teste e sbatterle l’una contro l’altra.

“Così adesso vorresti dirmi che la colpa è mia e che quasi, quasi sarei io a spingerla tra le braccia di quella zoccola?!” Replicò Michiru punta sul vivo.

“No imbecille! Ma parlagliene un buona volta e fallo in modo inequivocabile porca miseria!”

E così, preso debito conto di questa velatissima esortazione, Michiru aveva deciso che l’avrebbe fatto.

E quale occasione più propizia del gran premio che si sarebbe tenuto quella domenica? Le avrebbe dato la possibilità di piombarle addosso e dirle quanto doveva senza che Haruka avesse affatto sentore di quanto stava di lì a venire. Certo lei avrebbe preferito un’atmosfera decisamente più romantica, magari un tramonto in riva all’oceano o un bel tete-a-tete davanti ad una bottiglia di vino. Ma in entrambi i casi sicuramente la bionda avrebbe cominciato a fiutare che c’era qualcosa sotto e, come minimo, avrebbe cercato una scappatoia per filarsela come al suo solito.

No, meglio prenderla alla sprovvista.

Per cui il gran giorno Setsuna l’attese all’ingresso dell’autodromo in modo che Michiru potesse entrare nel motorhome, in quanto lei era provvista del pass che le avrebbe consentito un accesso altrimenti assolutamente proibito.  E, una volta là, era stato inevitabile incontrare e fare la conoscenza della famosa Hitomi,  il che voleva dire per Michiru, scoprire un altro tassello fondamentale della vita di Haruka, oltre ad avere la possibilità di assistere alle fasi cruciali di quell’avvenimento sportivo da un punto molto privilegiato. Senza contare il fine ultimo della sua venuta. 

Quanto a Hitomi, palesemente incuriosita,  l’aveva squadrata da capo a piedi prima di sorriderle apertamente e di appuntarle sul petto il lasciapassare  che le dava libero accesso ai box.

“Tanto”, aveva detto allegra, giustificando quel gesto, “credo proprio che ti vedremo molto spesso qui!”

Michiru rifletté sul dato molto indicativo che pareva che tutti quanti stessero intorno ad Haruka dessero per scontato il fatto che, presto o tardi, sarebbero finite assieme e che lei pendesse dalle sue labbra. Il che, seppur in parte vero, era un tantino offensivo. Ma non ebbe l’agio di chiedersi perché mai poiché, una volta all’interno, fu  catapultata in un contesto sconosciuto, ma che si rivelò molto eccitante, dove tutto pulsava e sapeva di concitazione.

Inoltre, pensò mentre si guardava intorno, familiarizzare con quell’ambito voleva dire annullare  ulteriori gradi di separazione che ancora la tenevano lontana da una Haruka della quale era all’oscuro, quella che ancora doveva vedere da vicino e che forse avrebbe potuto chiarirle una volta per tutte l’enigma che era. Ovverosia, quella che diventava tutt’uno con la sua macchina e che in pista si diceva non avesse scrupoli di sorta.

Come con me?

Non poté far a meno di chiedersi. Ma poi si ripeté che il tempo delle domande e delle ipotesi era finito e che oggi, una volta per tutte, avrebbe saputo.

Così, attenta, si era guardata in giro alla sua ricerca e aveva potuto osservare il nervosismo degli addetti ai lavori nell’imminenza della competizione. Tutti erano intenti ad un febbrile lavorio, eppure del pilota non c’era traccia, ancorché la sua presenza si potesse avvertire ovunque, finanche nella caricatura che, a mo’ di nume tutelare, era fissata sulla tela che proteggeva la strumentazione elettronica.

Setsuna, notando come l’amica stesse cercando freneticamente la bionda, aveva provveduto a tranquillizzarla spiegandole, mentre Michiru pensava tra se e se che doveva essere un habitué per saperla così lunga, che non doveva aspettarsi di vederla comparire nell’immediato.

“Un po’ di pazienza Michiru, lo so che è difficile, ma dopo il warm-up si chiude da qualche parte fino all’ultimo minuto. Lo sanno tutti qui e nessuno va a disturbarla, perché sennò sono guai.” Aveva chiarito, dopodiché le aveva pressoché confermato che, diversamente da lei, che ancora non aveva fatto la conoscenza della bionda quando correva in formula kart, per quanto la riguardava, aveva avuto la possibilità di poterne seguire la parabola fin dal debutto. Quindi conosceva a menadito tutte le sue abitudini e la trafila cui era solita.

“E poi, d’accordo che il motivo per cui sei qui non è questo, però non dimenticarti che avendo visto le prime due gare in tv, ti sei persa lo spasso di assistere alle esibizioni del prima e del dopo di quella peste. Figurati, già normalmente è una miniera di pretese, pensa un po’ che è capace di combinare qui che gioca in casa! Rassegnati cara, per le prossime ore dovrai accontentarti di poterla vedere solo come una macchia di colore che, a intervalli regolari, sfreccia qui davanti. Però, dopo…” Aveva aggiunto lasciando in sospeso la frase e strizzandole l’occhio.

“Dopo potrebbe darsi pure che dovrai portarmi in un bar a prendermi la mia prima sbronza. Non è lì che si va infatti, quando si ha una delusione d’amore?

“Beh? Con tutto lo champagne che ci sarà qui dopo vuoi andartene in un bar? Che spreco!” Le interruppe Hitomi ridacchiando.

Il caso infatti aveva voluto che avesse intercettato quello scambio di frasi e, ridendosela sotto i baffi al pensiero di quanto stava architettando alle spalle della sua protetta, le prese di sorpresa nella loro intima conversazione. Non l’aveva origliata tutta, però ne aveva colto i fatti salienti e tanto bastava.

Michiru avvampò e Setsuna, una volta tanto,  non trovò niente di opportuno da dire ora che i loro altarini erano stati scoperti malamente. Ma Hitomi fu clemente e non ficco il dito nella piaga, piuttosto si adoperò in modo da agevolare il cammino a quella ragazza di cui tanto aveva sentito parlare e sulla quale aveva sempre congetturato speranzosamente.

Che testa di zucchina che sei Haruka!

Pensò ridacchiando e cominciando già a far progetti per il futuro. In effetti c’era da vagliare quella interessantissima proposta di correre in formula indy l’anno venturo e occorreva muoversi con un certo margine per trovare nuovi ingaggi pubblicitari e compagnia bella. Figuriamoci se Perizoma-san non ci farà sbattere fuori non appena quella testona le darà il benservito!  

Ne concluse prima di fare la mossa successiva. Prese Michiru per un braccio e, trascinandosela dietro, continuò:

 “E’ vero, guai a chi si azzarda a deconcentrarla, s’incazza come un animale, però hai visto mai?”

Michiru non seppe che risponderle, ignara com’era di dove volesse andare a parare la donna, e quand’arrivarono in un ambiente che in mezzo a quel caos pareva un’oasi di pace, si chiese turbata, osservando la scena che le si parava davanti al di là dell’uscio,  cosa avrebbe dovuto fare adesso. Per il momento infatti non le pareva proprio il caso di dar piglio a conversazioni concernenti i suoi sentimenti a lungo taciuti.

Là se ne stava Haruka, aveva già indosso la tuta dai colori fiammanti e il casco appoggiato accanto, standosene rannicchiata sul nudo pavimento. Sedeva incurvata su sé stessa, come a voler racchiudere tutta la concentrazione nel nucleo del suo corpo compresso, le gambe erano tirate verso il busto, esattamente come le braccia, poste in modo che con le mani potesse tenersi il volto e la fronte.

Aveva gli occhi chiusi e l’espressione del volto era decisa, ferma, implacabile. Le labbra si muovevano in una muta preghiera e parevano non emettere suoni. Ma Michiru guardandola intensamente riuscì a intuire il bisbiglio concitato che pronunciavano.

Io sono velocità, io sono velocità,  mormorava e Michiru non sapeva se ciò fosse una sorta di mantra che si ripeteva per darsi coraggio, o una consapevolezza che si ripeteva per persuadersi ancora una volta della sua superiorità.

Non glielo chiese, né volle importunarla in un momento tanto segreto, ma fu grata ad Hitomi per averle dato la possibilità di poterla osservare in quella circostanza. Chiunque altro avrebbe scambiato un atteggiamento simile per sicumera presuntuosa, ma lei no, perché già quando alla vigilia della prima gara le aveva disegnato sulle mani e sui piedi, era stata certa delle sue vittorie. Ora poi che aveva visto questo, non aveva più dubbi.

Tanto che aveva accantonato momentaneamente la sua impazienza e seguito la corsa con molta partecipazione, godendosi il boato della folla e il frastuono incredibile che le macchine producevano. Era riuscita persino a mantenere intatta la fiducia in lei quando Haruka pareva aver perso la testa della classifica irrimediabilmente a causa di un brutto svarione al secondo pit stop. Né si era troppo meravigliata quando era tornata in prima posizione, con una serie di manovre spericolate e sorpassi da brivido, quando ormai né sugli spalti, né ai box, nessuno ci sperava più.

Oddio, ad essere onesta aveva intimamente tremato alla vista delle audaci evoluzioni in cui si era prodotta e, durante alcuni sorpassi, era scattata in piedi senza avvedersene. Del resto, come avrebbe potuto restare indifferente innanzi ad un simile sprezzo della propria incolumità? Ché la bionda stava guidando come se non ci fosse stato più domani, come se non avesse nulla a cui tornare, come se non si fosse affatto resa conto che due occhi, i suoi occhi, ansiosi e innamorati, stavano assistendo impotenti alla testimonianza  dell’avventatezza cui stava dando luogo.

Ad ogni modo Haruka aveva riportato una sonante vittoria, ma per Michiru, per quanto lo volesse, per quanto bramasse correre immediatamente nella sua direzione e dirle quanto ormai non riusciva più a trattenere, era stato praticamente impossibile avvicinarla dopo che questa, raggiante, era scesa dalla macchina e si era precipitata a stringere le mani dei suoi collaboratori. E in quel clima di festa condiviso ancor più si era rabbuiata quando dalle tribune erano calati il patron della squadra, accompagnato da quella maledetta Shanaya, per complimentarsi col loro ardimentoso corridore.

Che poteva fare?

Si era rintanata in un angolo a guardarla mentre Haruka faceva la ruota come un maledettissimo pavone, chiedendosi quando si sarebbe degnata di farle un cenno. Ma Haruka, sebbene l’avesse vista, malgrado per un’infinitesimale momento si fossero scambiate uno sguardo imperscrutabile, cui una cercava certezze e l’altra lanciava interrogativi, continuava a  salutare la folla che la stava osannando. E, maledizione a lei e alla sua immodestia, al suo rientro nei box, aveva cominciato a parlare con quel panzone tronfio del suo capo e, naturalmente, subito dopo, invece che andare da lei,  aveva cominciato a fare la splendida con quell’oca bionda di sua figlia! Dopodiché, passandole a pochi metri, ma facendo bellamente finta di non vederla, le era transitata davanti per andare a prepararsi la premiazione.  

Michiru, più dolente che furibonda, ci era rimasta talmente male che immediatamente aveva ricacciato indietro le velleità che fin lì l’avevano sospinta. Ma come aveva potuto convincersi che avrebbe potuto? Che beota! La realtà era quella, altro che quanto andava dicendo Setsuna o quel che le faceva più comodo dirsi!

Continuò a fustigarsi mentre s’avviava mestamente verso l’uscita, ma non ebbe la possibilità di andarsene. Hitomi infatti, che aveva assistito a tutta la scena e che immediatamente aveva inteso il fraintendimento cui aveva potuto dar luogo il comportamento di Haruka,  prese nuovamente in pugno la situazione. Afferrò Michiru per il polso e, stordendola con una fiumara inarrestabile di chiacchiere, alle quali la ragazza non aveva alcuna possibilità di replicare, e la portò fin sotto il palco dove sarebbe avvenuta la consegna dei premi.  

Volentieri Michiru si sarebbe dispersa tra la folla, ma la donna la teneva ben stretta, e così ora le sarebbe toccato pure assistere a tutta quella manfrina. Perché doveva vedere anche questo? Non era sufficiente quanto già aveva patito fin qui? Era proprio necessario che la vedesse pure mentre con una mano teneva il trofeo e con quell’altra s’avvinghiava a quella battona?

Voleva scappare il più lontano possibile, eppure le toccò presenziare alla salita dei tre piloti vincitori accompagnati dallo scroscio delle acclamazioni del pubblico entusiasta. Applausi che, nel caso di Haruka, diventarono una vera e propria ovazione.

Eppure questa, e Michiru lo notò subito,  una volta assisa sul gradino più alto, continuava a volgere il capo tutt’intorno, come se stesse cercando qualcuno o qualcosa.

“Fatti vedere.” L’esortò a questo punto Hitomi e la violinista si volse a guardarla stranita.

“Prego?” Chiese presa d contropiede.

Ah certo, sarebbe stato meraviglioso se davvero fosse stata lei lo scopo di quella frenetica ricerca, ma visto il trattamento che la bionda le aveva riservato, era da escluderlo del tutto. Ammenoché non volesse insistere su un comportamento decisamente masochista! Per cui le aveva risposto in malo modo: “Ehi Hitomi, ti piace giocare al Dottor Stranamore? Non è mica me che vuole!”

“Ah no? E allora chi, mia sorella?” Aveva ribattuto questa ironica, quindi aveva aggiunto con l’aria di chi la sa molto lunga: “Sveglia Kaiou! La Yamamay è proprio davanti al suo naso, e tu credi davvero che stia cercando lei? Secondo te, non l’avrebbe già vista?”

A quest’incontrovertibile verità  Michiru non aveva dato replica, ma del resto che aveva da perdere a questo punto? Così aveva sventolato allegra un braccio per farsi notare, sperando in cuor suo di non rendesi nuovamente ridicola., e con somma gioia s’accorse che Hitomi aveva ragione, perché Haruka, ora che l’aveva finalmente individuata, stava esibendosi nel suo famoso ghigno a trentadue denti, dopodiché,  togliendosi i guanti e mostrandole i disegni che le aveva fatto l’ultima volta, le aveva strizzato l’occhio.   

“Dopo me li ritocchi!” L’avvertii da ultimo,  prima di attaccarsi alla magnum di champagne e innaffiare tutti quelli che le stavano nei paraggi, mentre saltellava beata tutt’intorno.

Da sottolineare che, con gran diletto di Michiru,  il primo getto che schizzò dalla bottiglia, quello più  copioso, prese in pieno la silhouette di Shanaya, che così si vide rovinato il make-up a quale aveva dedicato ore. Effettivamente la cosa parve stizzirla molto, oppure aveva notato qualcos’altro, tipo il fatto che stava venendo letteralmente trascurata?

Michiru lo ignorava, ma ad ogni modo non fu questa piccolezza a cambiarle radicalmente l’umore, quanto lo sfoggio precedente, che le mise addosso una tal voglia di dar sfogo all’euforia, e molto altro ancora,  che si unì ai festeggiamenti di quella calca indescrivibile. Non prima però di aver  ricambiato il sorriso che le era stato rivolto, anzi si poteva dire che il suo ne fu  l’esatto specchio. Cosa che non sfuggì affatto ai numerosi giornalisti presenti,  i quali vigilavano, dacché l’avevano individuata, nell’attesa di un simile siparietto. Tant’è che ci stavano dentro alla grande con foto e domande indiscrete urlate all’indirizzo ora dell’una ora dell’altra. Il che trasformò quella cerimonia in una vera e propria bolgia.

Lo stesso poi si era ripetuto durante la conferenza stampa successiva alla gara, giacché, dopo gli interrogativi di rito sulla strategia e sull’assetto del motore, Haruka si vide porre una serie di domande più da cronaca rosa,  che non da testata sportiva.

Fatto che le divertì intensamente e, il giorno dopo,  ne stavano ancora ridendo insieme, poiché sui quotidiani sportivi l’accento era posto perlopiù sulla loro presunta storia d’amore, che non sulle gesta del pilota o sulla validità della macchina.

“Ma ti rendi conto?” Le stava chiedendo Haruka ridacchiando mentre si accomodava al tavolo per fare colazione. “Io faccio un mazzo così tra allenamenti e gare, e poi finisco oscurata da una querelle riguardante la terribile incognita: quei due se la fanno assieme?!”

Reduce da una notte di baldoria con lei, notte durante la quale aveva preferito non pensare a nulla e lasciarsi andare all’euforia del momento e del loro ritrovarsi, Michiru ebbe un sogghigno ispirato. Ché Haruka si era espressa esattamente come lei aveva fatto allorché aveva scoperto la sua tresca con quella gattamorta  di Shanaya.

Era il caso di tirare in ballo la questione adesso? Chissà, ma non poté resistere alla tentazione di tirarle una frecciatina.

“Povera cara! E io che dovrei dire allora?”  Aveva ribattuto andandole a tergo e scompigliandole i capelli briosa.

“Guarda che dico sul serio. E per favore non inguaiarmi ultimamente il pagliaio!” Ribatté riferendosi allo stato già arruffato cui versavano le sue chiome.  

“Anch’io parlo sul serio, sai? E credo che se i cronisti avessero visto come mi hai trattata prima , dopo e durante la gara, di certo non avrebbero montato tutto questo casino. Non è bello essere ignorati completamente, soprattutto quando è da settimane che non ci si vede.”

Aveva risposto brillante, ma con una tale serietà nello sguardo,  che Haruka si era messa subito su chi vive. Naturalmente l’aveva notato, ma valeva la pena star a vedere come avrebbe reagito poiché, se non avesse cominciato con le sue solite filippiche difensive, lei avrebbe avuto l’occasione per poter sondare la questione che tanto le premeva.

In effetti dopo la conferenza stampa non aveva potuto, in quanto ne era seguita la solita sessione di fisioterapia con Hitomi, dopodiché, con la sua solita irruenza, la bionda l’aveva trascinata nel suo vortice e,  francamente,  non reputava un festino in night club pieno di gente che le interrompeva continuamente, quale luogo ideale per un chiarimento. Tantomeno per una dichiarazione d’amore.

Insomma si era fatta l’alba, erano rincasate assieme, e ancora aspettava il momento più opportuno.

“Ma di che stai parlando?” Incuriosita, Haruka aveva sollevato ad arte un sopracciglio.

Ah naturalmente si aspettava una rimostranza simile, tanto che  il suo finto cadere dalle nuvole era più che altro una provocazione. A suo avviso , in realtà, Michiru non si sarebbe dovuta affatto attendere un comportamento diverso da parte sua.

Figuriamoci, pretendere moine da lei nel bel mezzo della concitazione di una corsa! Eppure pareva proprio che non ci arrivasse  e le spiacque se, nella sua tacita supponenza,

aveva dato origine a dispetto e imbarazzo per lei. Ma che dirle? Meglio farla parlare e metterci una pezza dopo.

“Allora?” L’aveva esortata nuovamente, così Michiru le si era seduta di fronte e, incrociando le braccia con fare spazientito, si era apprestata a chiarirle le idee.

“Naturalmente mi rendo conto che eri concentratissima e che certe cose neppure ti passano per la testa normalmente, figuriamoci prima di una corsa. Però che diamine Haruka, era troppo chiedere un cenno di saluto o una banale occhiata di riconoscimento, quale essere umano, prima di metterti alla guida o magari dopo? E guarda che lo so che mi hai vista, quindi niente scuse!”

“Ah, stiamo parlando di questo allora.” Per nulla stupita o alterata dalle sue pretese, Haruka assunse un’espressione riflessiva e, protendendosi in avanti verso di lei, le sparò una domanda a bruciapelo: “E tu credi che nel qual caso, sarei riuscita a fare quanto ho fatto?”

“A cosa ti riferisci scusa?” Confusa dalla domanda Michiru, che sul serio non aveva capito dove volesse andare a parare, aveva distolto lo sguardo. Ma Haruka non glielo consentì, scioccò le dita per richiamarne l’attenzione e continuò:

“Certo ti ho vista, ma rivolgerti un cenno, parlarti, sarebbe equivalso a registrare la tua presenza, insomma a prenderne atto. Il che vuol dire che ne sarei stata consapevole mentre correvo e, sapendolo, forse non sarei stata in grado di compiere simili azzardi. Diventa tutto più difficile quando sai che lì fuori c’è qualcuno che ti osserva e per il quale non sei solo un pilota.” Concluse, poi si rese conto d quel che aveva appena detto e impallidì visibilmente.

Porca mignotta, porca mignotta, porca mignotta!

Pensò stringendo i pugni sotto il tavolo.       

“Quindi questo vale anche per Setsuna, Hitomi e la Yamamay?” Ribatté sfacciata Michiru nel tentativo estremo di capirla.

Quella sorta mezza ammissione che Haruka si era appena lasciata scappare era preziosa e  doveva sfruttarla al massimo,  perché dalla replica che ne avrebbe ricevuto, sarebbe dipeso molto. Per cui l’incalzò.

“Dimmi Haruka, vale anche per loro, o riguarda solo me?”

“E’ diverso.”

Ammise la bionda deglutendo e guardando ovunque, tranne che a lai. Ma questo fu tutto ciò che Michiru fu capace di cavarle di bocca, giacché, pur insistendo molto su questo punto, Haruka non le spiegò dove fosse la differenza, anzi, si chiuse in un silenzio deliberato, trincerandosi dietro la protezione del quotidiano aperto davanti alla sua faccia, che mai come adesso le era apparso così interessante. Peccato che non stesse capendo una cippa di quanto febbrilmente stava scorrendo, benché stesse ostentando il massimo dell’applicazione.

A questo punto, esasperata, Michiru decise di giocare a carte scoperte. Si riempì nuovamente la tazza di tè, allo scopo di darle il tempo atto a farle stimare di potersi finalmente rilassare dai suoi attacchi, e sparò la bordata successiva, quella dal calibro più grosso. Raccolse tutto il suo coraggio e con fare lieve, quasi spensierato chiese:

“Toglimi una curiosità Haruka,  tu sei gay?”

Il rumore del giornale sbattuto sul piano del tavolo fu per Michiru l’anticipazione alle due pupille di fuoco che la fissarono come se, da un momento all’altro, la loro proprietaria avesse voluto strozzarla. E subito dopo livida di rabbia la bionda sbraitò:

“E questo ora che cazzo c’entra?”

“E dimmi”, continuò imperterrita e  incurante della reazione che stava  deliberatamente fomentando, “ mi trovi attraente?”

“Perché, in caso affermativo le due cose andrebbero di pari passo?!”

Incredula Haruka balzò in piedi, incerta se metterle davvero le mani addosso o tentare di salvare il salvabile. Oddio era inevitabile che una cosa simile non fosse già accaduta, del resto, lei per prima e più di una volta, si era meravigliata che una domanda simile non le fosse stata posta da tempo. Ma, proprio per questo, aveva sperato che lei avesse capito e tacitamente accettato. Quindi, perché adesso la metteva in questi termini? Maledizione, possibile mai che, persino mantenendo quel difficilissimo atteggiamento casto e assolutamente riservato, era riuscita a farla sentire minacciata? E allora a che pro si era repressa per tutto quel tempo?

Ma non c’era più tempo per farsi simili domande ormai, Michiru era davanti a lei e  aspettava una risposta. Le pareva quasi di vedere il bivio spalancarsi davanti a lei. La scelta era semplice a questo punto: o parlava una volta per tutte oppure negava per sempre.

Fulminea prese la sua decisione e saltò il fosso prima d’avere il tempo di ripensarci.

“Sì sono gay e sì, tu mi piaci.”

Ammise serrando le mascelle come se si fosse trovata davanti ad un cavadenti piuttosto che alla ragazza alla quale stava confessando una parte dei suoi trasporti.

“Ma…?” La spronò la violinista davanti alla sua manifesta riluttanza.

“Cosa?”

“Avanti Haruka”, l’invitò Michiru sorridendo debolmente, conscia di quanto le fosse costata tale affermazione e, allo stesso tempo, consapevole che quella non fosse quanto aveva sperato, “sarebbe troppo bello se non ci fosse un ma. Ti conosco ormai e so benissimo che devo aspettarmi una postilla, una chiosa a margine, che ingarbuglierà tutto di nuovo.”   

“Già.” Approvò la bionda intuendo quanto l’aveva delusa con quella sua mezza verità. Ma non poteva farci niente, per il momento questo era tutto quello che poteva darle e lei lo sapeva, perché ormai quella ragazzina la conosceva, pure troppo per i suoi gusti.

La cosa migliore sarebbe stata lasciarla stare dove stava fin da quando se l’era filata alla chetichella dalla loro comune scuola, ma purtroppo non l’aveva fatto ed ora eccole qui, ognuna con le sue ragioni e con i propri validi motivi. Che poteva fare ora per rimandare l’inevitabile?  Scappare non le era più possibile, lei per prima  lo sapeva, anche se era più che restia ad accettarlo. Tutto ciò somigliava molto ad una resa e la cosa, ovviamente, non era un boccone facile da mandar giù.

Optò per un compromesso.

“Senti io non lo so, è la prima volta che mi sento così, e non ci capisco più niente. Mi pare di essere un fottutissimo sputo nel vento!”

“Questo mi lusinga Haruka.” Michiru non voleva interromperla, né intendeva fare dello spirito inappropriato, ma quel francesismo era troppo comico per non farglielo notare. Inoltre, con  quella metafora bizzarra, Haruka aveva avuto il potere di sciogliere immediatamente la tensione che  aleggiava tra loro, laddove, il più pacato dei discorsi, avrebbe fatto cilecca.

“E ci mancherebbe altro, hai di che andarne fiera!”

Commentò sarcastica, dopodiché, passandosi una mano sulla fronte, prese ad andare avanti e indietro com’era solita fare quand’era preda alla  preoccupazione. Michiru se ne stette per un po’ ad osservare quell’irrequieto andirivieni, ma ad un certo punto non ne poté più. Le si parò innanzi e risoluta le afferrò le mani tra le sue.

“Senti , se questo ti può aiutare, stiamo lontane per un po’. Forse in questo momento la mia presenza continua t‘impedisce di fare chiarezza. Magari stando separate capirai cos’è che veramente vuoi. Presto cominceranno le vacanze estive, prenditi un po’ di tempo per te sola, senza legami, so che ne hai bisogno.”    

Haruka non rispose, si limitò ad annuire un paio di volte. Fortuna volle che la frangia spettinata che le cadeva sulla fronte impedì alla violinista di poterla guardare negli occhi, altrimenti,  se avesse potuto vederli, non avrebbe avuto la fermezza di lasciarla andare.

Così fu che, come d’accordo,  non appena terminarono le scuole,  Haruka partì alla volta della penisola di Izu e Michiru tornò alla sua isola natale.

Passò un mese, trenta giorni gravidi d’attesa, desiderio e frustrazione. Ma alla fine i suoi sforzi furono ricompensati.

Una notte, la notte in cui le stelle cadono e, coloro i quali se ne stanno  con naso all’insù, le osservano per poter esprimere i desideri a lungo covati, le arrivò un sms il cui significato era manifesto.

Ti prego,  vieni.

Ad un richiamo  simile non poteva resistere e neppure ci provò, andò da lei e, sebbene ancora non avessero riesumato quel discorso, per il momento non importava, poiché adesso era qui, al suo fianco,  ad assaporare il loro ricongiungersi.

Michiru la contemplò all’altro capo del portico, comparando il ritratto terminato mentre i suoi pensieri vagavano attorno al passato recente, e rifletté sul fatto che aveva cominciato ad amare la notte  proprio dopo quella che le aveva portato il trepidante richiamo di Haruka.

Compiaciuta rabbrividì d’intensa gioia, grata di questo momento unico che aveva preso ad attendere, assaporandolo in prospettiva, durante tutto l’arco delle ore diurne. Lo scoprire quanto le piacesse la notte era una rivelazione recente, tuttavia vi si era abbandonata senza sforzo, con fervore da neofita, e ora le spalancava il cuore, lieta del suo perenne manifestarsi.

Forse anche questa sarebbe stata una semplice notte, una come tante, poiché nulla la differenziava da quella topica che l’aveva trascinata qui, ciò nonostante  se ne faceva irretire lo stesso. Per quel  senso di continuità e di conforto che le donava, per la consapevolezza che dall’istante in cui fosse scesa la tenebra, la calura sarebbe diminuita e il profumo acre del sottobosco avrebbe cominciato a solleticarle le narici.  Ma soprattutto l’amava perché sapeva che al calar del sole lei ed Haruka si sarebbero adagiate lì fuori a godere del fresco e della reciproca presenza.

Sì, forse era soprattutto per questo e persino per l’insignificante gesto di accendere le fiaccole che la bionda compiva immancabilmente quando i primi grilli cominciavano il loro canto notturno. Lo spiava quel gesto, lo covava sera dopo sera nell’attesa del suo compirsi, poiché ai suoi occhi quell’atto aveva preso una valenza quasi rituale, come se la fiamma tenue a cui Haruka dava vita  esaltasse la medesima che sentiva arderle dentro. 

E questo le faceva nascere il sospetto di sbagliarsi, ché forse non erano dei semplici vespri estivi quelli che stava vivendo,  forse ogni sera aveva in sé i germogli di qualcosa di speciale, giacché erano attimi troppo intensi, troppo carichi di significato, per essere tali e per poterli confondere con quelli che aveva trascorso sola in riva all’oceano.

Già lei era un’isolana, amava gli abissi marini e se ne considerava  figlia, tanto che quando il sole si spegneva lentamente nel mare, inondando il cielo di colori di brace e lei veniva cullata dal suono della risacca,  non mancava mai di lasciarsi rapire all’incanto della natura. Pure non le era possibile comparare questo senso di armonia con quello d’assoluto che era nato da quando aveva respirato la notte nel silenzio di queste selve. Ma la differenza non stava nello scenario o nella geografia del luogo, il contrasto era dato da colei che aveva fortemente voluto la sua presenza su questa terrazza affacciata sul mondo.

Le lanciò un’occhiata affettuosa abbracciandola e carezzandola con la sola forza dello sguardo. Sì era solo merito di Haruka se qui l’essenza dell’oscurità si distingueva da qualsiasi altra, anche perché l’intreccio degli sguardi che si scambiavano al chiarore di quella fiamma era troppo complesso per poterlo catalogare con quelli che avevano già avuti in precedenza. Ma forse non c’era da darsi troppe spiegazioni, cincischiare fino a rovinare le sensazioni che provava. Era sufficiente solo godere della difformità del buio e dei sentimenti che sentiva amplificarsi a dismisura nella libertà e vastità di questo spazio incontaminato.

Sorrise indulgente alla propria ottusità, fino a pochi giorni prima infatti, per lei le ore prive di sole non avevano mai avuto un significato personale, più che altro soleva ritenerle come una temporanea cessazione di vitalità, come nient’altro che una prolungata pausa, in attesa che il sole tornasse e desse il via ad un altro giorno. Ingenuamente aveva ritenuto che la luce fosse la vita e la sua assenza una piccola, temporanea, scomparsa della stessa. Ma adesso aveva cambiato idea, quello spazio immobile e granitico aveva avuto il potere di toglierle finalmente i dubbi sui quali per mesi si era dibattuta.

E dire che non aveva mai sospettato di nascondere una vena di notturno nel suo animo, né assolutamente aveva immaginato di aver bisogno di uno sfondo saturnino per ampliare a dismisura pensieri ed emozioni. Quanto si sbagliava!

Doveva essere stata cieca per non accorgersene, poiché aveva scoperto di struggersi letteralmente nell’atmosfera solenne che si poteva creare in questo luogo quando la luce scemava e tutto s’ammorbidiva nella precarietà delle tenebre. Sentiva in quei frangenti i battiti del cuore rallentare, le sembrava persino che il tempo si dilatasse a dismisura mentre colei che le stava di fronte si stemperava fino a darle l’impressione che fosse diventata tutt’uno con il suo  essere più profondo. In quella atmosfera velata per la prima volta la sentiva vicina, talmente tanto da poterle finalmente parlare come dal primo istante avrebbe voluto.  E tutto questo non faceva che esaltare con violenza le sue emozioni, mentre nel buio Haruka, che di quelle suggestioni ne era oggetto e sorgente, le sembrava si trasformasse, poiché i tratti taglienti del suo volto risultavano addolciti, i colori aggressivi degli occhi e dei capelli si sfumavano e in quel momento le era più cara che mai.

In questo remoto rifugio gli strati di ragionevolezza, pudore e tentennamento che le si erano opposti nel corso dei mesi precedenti stavano venendo meno ed ora era ad un passo dal denudarsi interamente. Ma come avrebbe potuto altrimenti, circondata com’era da quella bellissima eco dei suoni accresciuti nello spazio vergine tra le gole e le alture?

Li percepiva come note, segnali annunciatori della tenebra calante, che come un manto protettivo, progressivamente l’avvolgeva. Sì, la notte sarebbe stata la novella messaggera del momento in cui finalmente avrebbe dichiarato l’amore che sentiva.

Si stiracchiò appagata, felice di quel che sarebbe sembrato poco e che invece per lei rappresentava tanto. Felice del leggero graffiare della matita sul foglio che così bene si accompagnava all’occasionale fruscio dell’accoccolato corpo di Haruka. Felice di quella comunanza esteriormente scevra, che al contrario molto sottintendeva, pur restando muta. Ché per raggiungere la felicità di questa che poteva apparire come una qualunque serata estiva, aveva speso risorse che neppure sospettava di possedere.

Non era passato neppure un anno da quando aveva posato gli occhi per la prima volta su di lei, neppure un anno dal momento in cui era entrata in quel vortice che l’aveva scossa e rivoltata come un guanto. E nel frattempo era cambiato tutto, poiché nel volgere di una stagione erano mutate molte cose e ora ogni parola, ogni movimento, qualunque cosa coinvolgesse entrambe,  si stava caricando, anzi sovraccaricando, di significati sostanziali. Tanto che questo crescendo di emozioni non dette, alle quali ambedue non concedevano libero sfogo, per motivi assai differenti, si stavano rimescolando fino a creare una corrente fortissima, che manovrava verso una collisione ormai prossima.

Michiru se lo sentiva nelle ossa, nei muscoli, nello spasmo dell’addome contratto, qualcosa, qualsiasi cosa, doveva succedere. Per troppo tempo aveva abortito  le sue emozioni sul nascere, ed era arrivato il momento di dar loro voce, lasciando che si librassero fin dove avrebbero voluto posarsi. Ma chi poteva dire quando sarebbe arrivato il momento giusto?  Ché la sfinge che riposava le allampanate membra a pochi passi da lei testardamente respingeva affetti e tenerezze.

Ormai era diventato una sorta di corrida e Michiru si trovava suo malgrado ad personificare il ruolo del toro. Tentava di caricarla e sorprenderla da ogni angolazione, allo scopo di coglierla di sorpresa, ma Haruka, come un consumato torero, con abili volteggi e scatti agili dei fianchi eludeva ogni suo attacco. Continuando a piroettare all’infinito ed  era una danza indefinibile la sua, un ondeggiamento arcano, che non le faceva comprendere lo scopo ultimo di questa protratta fuga. Prillava lontano da lei perché inebriata dalla sua stessa inafferrabilità, oppure era un rifiuto prolungato ad arte,  in modo da porgerglielo con grazia per non farla soffrire troppo?

Michiru non sapeva darsi una risposta, però ormai lei sapeva, il suo agire era stato troppo inequivocabile perché fosse altrimenti. E Haruka non poteva ancora far finta d’ignorare bellamente quel che provava per lei maledizione! E se i suoi sentimenti non erano corrisposti, se durante questa ennesima separazione era giunta a questa conclusione, che glielo dicesse chiaramente!

Meglio un no definitivo, piuttosto che quell’incertezza reticente che non portava da nessuna parte.

Fissò il suo ritratto che aveva tra le mani e poi insistentemente guardò a lei, sperando che con la forza del solo sguardo potesse invogliarla ad alzare gli occhi. Sentendosi osservata

Haruka levò il capo e finì dritta tra le braccia di quelle volute azzurre. Quante sfumature poteva comprendere lo zaffiro? Se l’era chiesto spesso negli ultimi giorni, esattamente come si era detta che non era più possibile posticipare la conclusione cui era giunta.   Nonostante ciò la compagnia di Michiru le era così preziosa, così appagante, che non aveva avuto ancora il coraggio d’aprir bocca, sebbene fosse palese quanto lei stesse attendendo impaziente. Forse una persona meno onesta con se stessa avrebbe cercato un altro accomodamento, ma Haruka era Haruka e davanti alla dolcezza di quello sguardo sentì che non era più possibile fluttuare in quel limbo senza certezze.

“Vieni qui Michi” , l’invitò battendo un colpetto sul cuscino vicino al suo, “siediti accanto a me. Dobbiamo parlare.”

       

 

 

 

 

 

 

N.d.A.

 

Chiedo venia per l’intervallo assolutamente tardivo cui questo capitolo giunge. Purtroppo in altre faccende ero affaccendata J .

Spero vivamente che nel frattempo nessuno abbia plasmato una bambolina e con quella dato via a riti voodoo che riguardassero la mia persona e presunto lassismo!

Scherzi a parte, anche a me è dispiaciuto molto dover tralasciare per tutto questo tempo le avventure di queste due impedite, ma a volte le grane ci capitano tra capo e collo e non si può far altro che stargli dietro, sperando che si esauriscano nel più breve tempo possibile.

Mi scuso con quanti attendevano questo capitolo con ansia e mi auguro di cuore che quanto sopra non abbia deluso le aspettative.

Siate clementi!

 

Aurelia

   
 
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