Memorie
in una notte di
mezza estate
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Parte seconda---
Ormai
stava per scendere la notte.
Michiru
distolse gli occhi dal disegno che stava abbozzando e guardò
giù verso la valle
vasta e pacifica che si estendeva ai suoi piedi e che lentamente stava
tingendosi
di scuro. Si era affezionata a quella vista, era un rito che compiva
tutte le
sere ormai, perché le donava una tranquillità
tale da poter cullare persino
l’illusione che quell’attimo di beatitudine estrema
avrebbe potuto protrarsi
per sempre.
Si
strinse addosso le braccia, chiudendo gli occhi per meglio assaporare
la
sensazione fuggevole da cui si sentiva pervadere. Era vano darsi false
speranze
e lei ne era consapevole, però stasera le sembrava di essere
ad un passo dal
ghermire quanto fino a quel momento era stato esclusivo alimento delle
sue fantasie,
azioni e reazioni, che ancora tardavano a concretizzarsi e che si
costringeva a
circoscrivere e frenare.
Con
la coda dell’occhio lanciò una rapita occhiata
all’altro capo della loggia e si
chiese per quanto tempo avrebbe potuto ancora reggere quella
messinscena.
Sempre più spesso infatti, si ritrovava a domandarsi per chi
lo stava facendo:
per sé stessa o per lei?
Meglio
non pensarci.
Si
ingiunse tornando a fissare dritto davanti a sé.
Sì,
molto meglio concentrarsi nuovamente su quanto stava facendo e lasciare
quel
perenne interrogativo insoluto, altrimenti non le sarebbe restato altro
da fare
che alzarsi, dirigersi verso Haruka e prenderla di petto per affrontare
la
situazione una volta per tutte. La tentazione era forte, ma altrettanta
era la
paura per ciò che ne sarebbe conseguito. Quindi, ancora una
volta, preferì
restare in quella vaghezza gravida di attese, piuttosto che
precipitarsi in
quel che poteva divenire un girone infernale. Ora, più che
in precedenza, aveva
troppo da perdere per rischiare.
Tornò
a quanto stava creando e, sfumando leggermente il tratto di matita
appena
tracciato, evitando allo stesso tempo di guardare la realizzazione fin
lì
eseguita, si dedicò esclusivamente al dettaglio degli occhi,
mentre oziosamente
i suoi pensieri imboccavano una tangente parallela e si perdevano nella
riflessione riguardante la natura ambigua della sua ritrovata
creatività.
Da
quando era arrivata qui infatti era diventata tutta un fremito di
ribollenti
ispirazioni, cosa che mancava d’accadere fin dal principio
del nuovo anno. Ah
certo, non che non avesse dipinto o disegnato nei mesi precedenti,
tutt’altro.
Ma si era trattato per lo più di studi preparatori, di
lavori che in un certo
senso erano valsi quali tracce iniziali di un modello che ancora doveva
prendere una forma completa nella sua testa. Per cui il suo affannarsi
fino
allo spasmo non aveva prodotto altro che opere vaghe, incompleti
abbozzi di un
puzzle ancora da definire e che aveva speso nell’attesa di
quel di più che ancora
tardava a manifestarsi
nella sua creatività.
E
ogniqualvolta esaminava quel che all’inizio le era parso uno
schizzo
promettente, inevitabilmente, ad un’occhiata più
approfondita, le montava
dentro la frustrazione per non aver espresso quanto avrebbe voluto e,
esasperata oltre ogni dire, finiva per appallottolare rabbiosa il
frutto di
tanti sforzi per darlo in pasto alla pattumiera.
Molto
probabilmente quelli erano stati mesi felici per i riciclatori della
carta, ché
di sicuro l’operatore addetto al ritiro dei sacchetti ricolmi
di fogli
accartocciati che tutti i santi giorni gli lasciava, come minimo si ci stava pagando il
mutuo con tutta quell’abbondanza!
Era
stato un rospo duro da mandare giù quello,
giacché fin da quando aveva iniziato
a dipingere non le era mai capitata un’impasse simile,
né aveva dovuto lottare
con il frustrante senso d’impotenza dell’artista
che sa quel che vorrebbe
generare, che scorge, così come se ce l’avesse
davanti, quel sublime che spasima,
ma che infine deve deporre i pennelli, poiché
sa che per il momento non è in grado di dargli la forma che
questi merita.
Una
bella lezione d’umiltà per lei, soprattutto
perché appresa nella sua furia
d’insistere. Ma,
paradossalmente, quella
sequela di insuccessi le aveva donato una vittoria, giacché
finalmente aveva
inteso di non essere ancora pronta e sufficientemente matura per
riprodurre ciò
che si proponeva.
Il
che non voleva dire che avesse rinunciato, piuttosto le
era stato utile a capire quanto fosse opportuno
darsi un periodo di tregua, anziché
continuare a generare aborti mostruosi di quella
meravigliosa idea che
aveva preso nella sua testa le proporzioni di una fissa dominante.
E
così Michiru, nel modo più doloroso, aveva
imparato che l’ispirazione non era
uno stato d’appartenenza esclusiva, bensì un
qualcosa di capriccioso.
Incostante quanto potrebbe esserlo una pagliuzza sospinta dal vento e
tanto
eclettica quanto potevano essere le totalità infinite dei
colori che potrebbe esprimere
un tramonto novembrino: ora blu, ora violetto e, una manciata di attimi
dopo,
di un vellutato indaco.
E
forte di questa nuova consapevolezza si rassegnò, dovette
farlo, alla realtà
dell’estro volubile.
Lo stesso
costantemente assente quando con più insistenza lo si
cercava e, al contrario,
sempiternamente nascosto dietro ogni singolo dettaglio, espressione o
ombra
scorgesse, qualora non
le fosse
possibile esprimerlo appieno e fissarlo su carta come avrebbe voluto.
In
un certo senso, pensava adesso che pareva finalmente essersi
riconciliata col
suo talento, l’ispirazione poteva paragonarsi
all’amore, dato che esattamente
come questo, se vitale poteva spandersi
in
ogni fibra dell’ essere, ma in caso contrario,
quando non c’era più… non
c’era più, ed era inutile insistere.
E
allora, si chiese per l’ennesima volta sbirciando nel buio
alla ricerca del
volto di lei, era
un sintomo d’amore il
fatto che proprio ora avesse rinvenuto quest’intensa
creatività da esprimere, oppure
era l’ispirazione stessa a farle credere di provare quei moti
affettivi?
Interrogativo
interessante per un sofista, ma solo per lui, poiché le era
sufficiente levare
il capo a contemplare Haruka, che distesa dall’altro capo
della terrazza giocherellava
con un’intricata matassa di fili, per capire e smentire una
simile ipotesi immediatamente.
Inoltre,
a che pro gingillarsi con quel punto di domanda, se in cuor suo da un
pezzo
l’aveva acclarato? Se
quel che provava
non fosse stato autentico infatti, da tempo si sarebbe arresa, buttando
via
quelle patetiche imitazioni dell’originale, per potersi
dedicare ad un soggetto
molto meno insidioso.
La
fissò nuovamente nel buio mentre la carezza della brezza
leggera della sera le
faceva ondeggiare la coda in cui aveva racconto i lunghi capelli.
Eh
già, l’ispirazione era una fottuta bastarda e non
era un caso che le venisse
meno e facesse la difficile proprio
nei
riguardi di colei che avrebbe voluto più d’ogni
altra cosa ritrarre. A quanto
pareva lo spirito contraddittorio della sua musa aveva influenzato
l’arte,
quand’invece sarebbe dovuto accadere il contrario.
A
questa riflessione Michiru si lasciò sfuggire, nonostante la
stizza impotente
che i suoi travagli le avevano creato, un sorrisetto compiaciuto.
Chiunque
altro avrebbe fatto salti di gioia innanzi alla prospettiva
d’esser preso a
modello da lei, mentre nel caso della bionda, non si era azzardata a
chiedere,
sapendo benissimo delle beffe e dei dinieghi cui sarebbe andata
incontro
qualora l’avesse fatto. Ma, se la sua inventiva
s’era inceppata, non era colpa
del fatto che dovesse trarre le forme apparenti di Haruka furtivamente e con il
cuore in gola,
piuttosto pareva che quanto più le si avvicinasse, giorno
per giorno e
affettivamente, tanto più le appariva talmente sfaccettata
che disperava di
poterla mai circoscrivere su tela.
O
così le era sembrato, ma poi il tempo e gli eventi accaduti,
avevano sconfessato
questa pessimistica convinzione ed era rinata in lei la fiducia e con
essa
l’illusione di essere diventata qualcosa di più
che una semplice amica. Già,
altrimenti non si spiegavano tanti episodi, apparentemente
inspiegabili, che a
ritmo vertiginoso si erano susseguiti.
Haruka
in effetti aveva avuto un comportamento assai strano dacché
avevano preso a
frequentarsi assiduamente. Lunatica ed imprevedibile lo era sempre
stata, ma
nello spazio di tempo che era seguito la loro riconciliazione, piano, piano aveva
cominciato ad agire in
modo sempre più strampalato. E la cosa assurda era che,
finché si trovavano in
pubblico, il suo comportamento appariva quello di sempre: brillante,
altezzoso,
affabile. Poi come per magia, non appena si ritrovavano sole, le
bizzarrie sembravano
prendere piede in lei all’improvviso. Sembrava proprio che
non appena si
ritrovassero a quattrocchi perdesse la calma che normalmente ostentava,
cosa
che per il passato non era mai accaduta.
Oddio,
non che prima avessero condiviso chissà quanto insieme,
senza contare che non
aveva avuto davvero il tempo materiale di conoscerla veramente bene,
ma, per
dirne una, davvero non si sarebbe aspettata che la glaciale Haruka
fosse un
tipo pudico e facile agli imbarazzi. Eppure pareva proprio che
così fosse. E
non tanto per sé stessa, quanto solo ed
esclusivamente per
quanto riguardava
lei, Michiru, ché se qualche volta aveva fatto tanto di
girare per il suo
appartamento in desabillé, poco c’era mancato che
Haruka si facesse prendere da
una crisi di panico.
E
dire che l’aveva creduta molto più navigata,
tant’è vero che se avesse voluto
dare credito a certe voci che giravano sul suo conto a scuola, le
sarebbe stato
molto facile supporre che la bionda l’avesse saputa molto
lunga sull’altrui
anatomia femminile. In effetti così credeva e su questo
presupposto era nata l’ennesima
nota dolente su cui non si dava pace.
Certe
dicerie infatti l’avevano persuasa che, nel momento in cui
avesse deciso di esprimerle
apertamente i suoi sentimenti, la cosa l’avrebbe di molto
agevolata. Invece
pareva che quei pettegolezzi non trovassero altro fondamento che in un
abusato
e stantio cliché. Indubbiamente Haruka aveva i tratti tipici
della nomea che le
attribuivano, il che non voleva dire però che questi erano
sufficienti ad
appiopparle un dato
di sicura
appartenenza. D’altro canto lei stessa, benché non
avesse affatto le stimmate
dello stereotipo, aveva perso la testa per una ragazza. Quindi si era
detta che
forse non era solo l’aspetto ad essere indicativo.
Però certe supposizioni non portavano
altro che a farla girare tuttora attorno all’ipotetico che
ancora giaceva
insoluto…
Insomma
la questione era questa, finché aveva supposto che Haruka
avesse una certa
inclinazione, si era sentita più che mai sicura di quanto si
proponeva di fare.
Ma quando poi, a fronte del comportamento estremamente virtuoso che
quest’ultima
ostentava, le erano venuti i primi dubbi sulla veridicità
delle proprie
convinzioni, si era sentita in obbligo di darsi una calmata. In definitiva, se Haruka
fosse stata ciò che
lei supponeva fosse, sarebbe stata più che contenta
d’avere una femmina
discinta per casa, giusto?
Per
cui, il fatto che non lo fosse, lasciava supporre tutt’altri
scenari. Sacrosanta
ed innegabile supposizione, però era strana pure la reazione
opposta che aveva.
Eh sì, perché, posto pure che fosse eterosessuale
al di là di ogni ragionevole
dubbio, che noia
poteva darle la vista
delle nudità altrui?
Mistero.
O
invece il problema era da rapportarsi a lei sola? E perchè
mai poi?
Belle
domande, peccato che entrambe fossero ancora senza risposta e che
girassero e
rigirassero tra i suoi pensieri fin da quel piovoso pomeriggio che
avevano passato
a studiare insieme. Se lo ricordava benissimo quello, in effetti le sue
fisime
da quel momento avevano preso vigore.
Del
resto come poteva essere altrimenti, visto che le era piombata bagnata
fradicia sull’uscio
e Haruka aveva fatto un’espressione
a metà tra lo sconsolato e l’addolorato? Per non
menzionare che il sopracciglio
le se era talmente arcuato che stava lì, lì per
arrivarle sulla nuca. Da quel
momento in poi aveva iniziato a dare letteralmente i numeri, cifre che
nulla
avevano a che fare con la trigonometria!
In
quel frangente si era detta che non era assolutamente possibile che un
tale comportamento
stravagante potesse dipendere da lei o dall’irrilevante dato
della sua
vicinanza, ché Haruka mai aveva dato simili segni di
squilibrio riguardo a lei.
Tuttavia,
man a mano che i mesi trascorrevano, e che siffatte stramberie
s’intensificavano, il sospetto le era venuto. Del resto
ogniqualvolta si era
fermata a dormire a casa Tenou, cosa che aveva iniziato a succedere
sempre più
di frequente, la bionda irragionevolmente si era impuntata sul fatto
che dovesse
usare un abbigliamento, a suo dire, più
appropriato. E tanto aveva
insistito,
instancabile, finché Michiru, stremata e sempre
più perplessa, non aveva inteso
infine che si stava riferendo ad una banalissima vestaglia.
A
questo punto non le era
rimasto che
accontentarla e non tanto perché ci si era sentita
praticamente costretta a
causa delle sue petulanze, quanto per il fatto che più
aumentava la frequenza
dei pernottamenti che Haruka definiva discinti, più si
avvicinava allo zero la
temperatura del condizionatore. Il che non doveva essere una cosa
casuale,
molto probabilmente quella bastarda l’abbassava di proposito!
Michiru
a tutt’oggi ancora
non era in grado di
dare una spiegazione ad un simile contegno, tenendo conto di quanto
sopra, ma
era sicura che non si trattasse di nuovi sintomi
di ombrosità o insofferenza nei suoi
riguardi. Già, era fin troppo evidente quanto
ad Haruka facesse piacere avere la sua compagnia e la sua
presenza
costante persino a casa sua, nonostante certe bizzarrie.
Tutto
ciò era fonte di estremo appagamento per lei, il dato
tangibile di una meta
agognata, tanto, che fino ad un certo punto se l’era fatto
bastare. Malgrado tutta
quella serie di manie inspiegabili stessero minando la sua pazienza. Ma
poi,
inesorabile, un crescendo di circostanze l’avevano coinvolta
ad un punto tale che,
al loro culmine, aveva
acquisita la precisa
consapevolezza di quel che veramente voleva. E da quel momento in poi
nulla era
stato più come prima.
Ad
essere onesta fino in fondo infatti, finché i primi
campanelli di desiderio non
avevano preso a squillare sonoramente, aveva
sempre considerato la sua affezione nei
riguardi di Haruka come un ventaglio di sentimenti che andavano
dall’ammirazione,
all’attaccamento affettivo. Insomma un contesto molto
platonico che si nutriva
di sensazioni elevate e assolutamente nobili, che nulla avevano a che
fare con
smanie sensuali. Praticamente era fermamente convita di riscaldarsi al
fuoco
dei sentimenti puri, piuttosto che ardere di brame che fossero
riconducibili al
passionale, tantomeno ad al fisico.
In
definitiva, si era detta, se guardava il corpo di Haruka con tanta
perseveranza,
lo faceva con l’occhio dell’artista onnisciente e
senza nessuna sottotraccia di
fantasie equivoche. E ne era talmente persuasa che si stupiva delle
occhiatacce
che ne riceveva di rimando. In effetti, quando la fissava a quel modo,
e la
bionda se ne accorgeva, pareva risentirsene assai, al punto che aveva
modificato la sua solita a abitudine di girare per casa in short e
canottiera. Cosa
che aveva fatto prendere alla violinista l’abitudine di
sfotterla al proposito,
al punto che definiva il suo appartamento come il primo e unico
avamposto nipponico
della dirigenza talebana.
Però
poi, un sabato sera come tanti, un evento aveva fatto sì che
si aprisse la
prima e determinante crepa nella muraglia incrollabile di queste sue
candide convinzioni.
E tale era stata l’impressione che ne aveva avuto, che da
quel punto in avanti
l’aveva piantata di fare la gioconda in merito,
poiché le era completamente
caduto il velo dagli occhi.
Casualità
o no, fu insieme a Setsuna, che forse chi più di chiunque
altro pareva intuire
cosa si celasse nel suo cuore, che
si
ritrovò in quel frangente catartico.
Erano
appena uscite da un locale dove avevano partecipato ad un interessante
caffè
letterario incentrato su le Note del
guanciale, libro che entrambe adoravano, quando
quest’ultima l’aveva
indirizzata, quanto inconsapevolmente
ancora
se lo chiedeva, verso il suo destino. Da poco era passata la mezzanotte
e nessuna
delle due aveva voglia di rincasare, cosicché Setsuna le
aveva proposto di
darsi, una volta tanto, ad un divertimento meno apollineo e
più dionisiaco.
Detto
ciò, come al suo solito, senza sviscerare più di
tanto l’arcano delle sue
affermazioni, l’aveva condotta nel ventre pulsante della
discoteca più
affollata e alla moda del momento. Il che era singolare,
giacché questa sapeva
benissimo quanto detestasse certi luoghi, quindi, perché
l’aveva portata in
mezzo a quella ressa sudaticcia e pressoché sbronza? Non
seppe darsene motivo,
né le fu d’aiuto il sorriso enigmatico che Setsuna
le rivolse a fronte delle
sue vivaci rimostranze. Si limitò a incoraggiarla ad entrare
mentre Michiru,
ripensando alla serie interminabile di vernissage a cui
l’aveva condotta e ai
quali Setsuna l’aveva seguita
esclusivamente per il piacere della sua compagnia, si
mordeva la lingua
ed arrendevole la seguiva.
In
fondo, si era detta entrando in quell’alveo rimbombante, si trattava solo di
stringere i denti per un
po’ e, male che andasse, avrebbe trascorso qualche ora
noiosa. Poco se
paragonata alle medesime che forse aveva imposto all’altra e
sulle quali non
aveva mai sentito alcuna lamentela. Per cui la piantò di
fare la difficile e,
prendendola sottobraccio, di sua iniziativa la traghettò
verso il bar per
offrirle un giro di bevuta in segno di tacita scusa. Del resto non
avrebbe
potuto fare altrimenti, digiuna com’era di ballo moderno, se
ballo si poteva
definire quell’esagitato muoversi di qua e di là
che poteva scorgere eseguire
da quella moltitudine astratta.
Così
avevano trascorso qualche ora a sorseggiare bibite tassativamente
analcoliche, schivando
numerosi e continui approcci da parte di giovanotti parecchio
insistenti, mentre
tentavano di portare avanti una conversazione in mezzo a quel frastuono
insopportabile.
Tanto che Michiru si stava chiedendo perché accidenti non
fossero andate in una
sala da tè, visto che Setsuna pareva volersi limitare a
chiacchierare e non le
aveva dato nessuna impressione di volersi lanciare in pista, quando
quest’ultima
le diede il gomito per richiamare la sua attenzione. In effetti aveva
notato
che aveva gettato più di una penetrante occhiata
all’arena gremita durante la
loro conversazione, e ora pareva aver trovato quanto andava ricercando,
dal
momento che stirò le labbra in un sorriso di autentica
soddisfazione.
“Guarda,
guarda chi c’è.” Affermò
bonaria, come se quel rumore intenso non stesse trapanando
loro le orecchie e, soprattutto, come
se
la vista di quanto aveva scorto fosse casuale e lei non fosse voluta
andare in
quel luogo di proposito.
Divertita,
più dalla reazione dell’amica che per un reale
interessamento verso il
conoscente che Setsuna aveva scorto, Michiru gettò
un’occhiata nella direzione
indicatale e lì, in mezzo a quella folla di corpi anonimi e
ondeggianti, scorse
una figura che faceva spicco su tutti. E
non solo perché stava assisa su di una sorta di palchetto
innalzato al centro
di quell’umanità brulicante, ma soprattutto
perché la stazza e il rilucente oro
dei capelli erano inconfondibili. Inoltre, chissà se per un
caso o per una
precisa volontà del demiurgo che conduceva quella sorta di
rito pagano, dal
caleidoscopio delle luci colorate un raggio singolo partiva
dall’alto
illuminandone le movenze.
E
come un officiante che eseguisse un rito tribale, così
Haruka sembrava
presiedere a quella cerimonia d’idolatria collettiva,
guidando quella folla che
sembrava rapita dalla danza ai limiti dell’indecenza che
stava compiendo. In
quel momento sembrava non essere più la persona che Michiru
conosceva, quanto la
proiezione di una forza primigenia del tutto scevra da qualsiasi
vestigia di
raziocino, al punto che i suoi tratti apparivano addirittura alterati,
quasi
sovraumani, presa com’era nel vortice del ritmo e delle
pulsazioni ancestrali
che la scuotevano.
Michiru
ebbe la netta impressione che in quell’attimo le due
identità della bionda si stessero
fondendo in un perfetto equilibrio, quasi fosse diventata
l’essere perfetto, un
androgino senza sesso e privo di emozioni, capace di attrarre
indiscriminatamente le pulsioni primordiali di tutti i presenti.
In
quel momento, per la prima volta, Michiru andò a sbattere,
totalmente priva
della protezione razionale che fino a quel momento l’aveva
sostenuta, faccia a
faccia contro quella realtà che fino ad allora aveva
volutamente ignorato. Ché
la vista di quel corpo esibito in quel
dondolio sensuale, risvegliò in lei sensazioni mai sentite.
E
finalmente afferrò la vexata
questio:
il suo non era un sentimento esclusivamente idealistico, ma si nutriva
anche
della smania che la stava avvampando e che per la prima volta sentiva
in tutta
la sua estensione. Tuttavia capì pure che la sua non era
solo mera voglia,
bensì un eterogeneo miscuglio d’amore e brama di
possesso che non le lasciavano
scampo.
Simile
rivelazione la lasciò senza fiato, incredula, al punto che
seduta stante dovette
abbandonare il luogo, giacché troppa era la confusione che
sentiva. Con una
scusa piantò in asso Setsuna e si allontanò in
fretta, poiché
aveva bisogno di restare sola per riflettere
sull’accaduto.
Fu
una notte insonne quella per lei, trascorsa in una veglia che passava
al
setaccio tutto quanto era accaduto fin dal loro primo incontro,
poiché doveva
capire dove, quella che aveva creduta una forte amicizia, si era
trasformata in
quanto ora stava sentendo. Rivisse a ripetizione le immagini di Haruka
a
ritroso, da quella stessa sera fino ai primi giorni e le ore che
avevano
trascorso insieme, come se si trattasse dei fotogrammi di un film.
Tentava
infatti, attraverso queste, di dare un
senso al batticuore che sentiva crescere e che pareva
l’avesse presa nella sua
morsa per non lasciarla più.
E
nella solitudine della sua cameretta, le rivelazioni caddero ad una ad
una sul
suo grembo, ché mentre si agitava scossa
tra le lenzuola del suo letto d’adolescente,
afferrò appieno che la bionda aveva
fatto nascere in lei i primi germogli del passaggio
dall’età dell’innocenza a
quella adulta. E soprattutto comprese che questi altro non erano che il
barometro indicante la portata dei suoi sentimenti.
Se
si stava evolvendo in questo senso allora era esattamente
perché questi erano
cresciuti, già. Senza contare che ormai, qualsiasi cosa
riguardasse Haruka, da
tempo andava amplificandosi a dismisura nella sua prospettiva e in
quest’ottica
tutto prendeva un senso. E il contesto tutto, visto sotto questa luce,
le
spiegò finalmente anche perché persino
le
minuzie nella loro pochezza, se la riguardavano, erano capaci di
riempirla di
felicità.
Quanti
momenti, che parevano come uguali a tanti altri, le erano rimasti
impressi
dentro? Miriadi.
Frasi,
espressioni, movimenti, il tono della voce, l’attimo, il
posto, il tempo, la
nervatura delle mani, la grana fine dei capelli, il balenare improvviso
d’un
sorriso o una smorfia di disappunto brusca. Caspita, si fosse trattato
d’altro,
faticava a ricordarsi persino cosa aveva mangiato a pranzo! Allora se
non era
amore questo, come accidenti faceva a rivivere così
fedelmente tante cose
apparentemente insignificanti?
Non
c’era scampo, non si trattava più di una tenera
amicizia, se mai lo era stata.
E se ancora aveva qualche dubbio in proposito, il richiamare alla mente
quanto era
accaduto nell’occasione in cui aveva perso l’aereo
per Osaka, glielo tolse del
tutto.
Mancava
poco al suo compleanno, sì perché aveva nevicato
per tutto il giorno, e
l’indomani avrebbe dovuto tenere un importante concerto.
Purtroppo, a causa del
maltempo, il volo era stato cancellato e lei, non sapendo come fare, stava per farsi prendere da
un attacco di panico,
quando Haruka si era offerta di accompagnarla in macchina. Aveva
tentennato, un
po’ perché la distanza era notevole e sarebbero
comunque potute arrivare in
ritardo se ci fosse stato traffico, e un po’
perché davvero non voleva
infliggerle una faticaccia simile.
A
queste rimostranze Haruka si era limitata a fare il gesto di chi
risolutamente
manda al diavolo ogni preoccupazione e l’aveva esortata a
darsi una mossa verso
il garage, ché quella era la scusa perfetta per saltare la
verifica di
giapponese moderno che l’aspettava in classe il mattino dopo.
Una
scusa? Un modo silente e discreto per porgerle il destro senza che se
ne
rendesse conto appieno?
Non
riuscii a capirlo, né la bionda si prese la briga di
spiegarsi. Così
viaggiarono per molte ore l’una a fianco all’altra
nell’intimità dello stretto
abitacolo e, durante tutto il percorso, nulla parve a Michiru tanto
piacevole quanto
quel viaggio fatto respirandole il respiro, accompagnata dalla vista
dello
scorrere dell’autostrada con le sue stazioni di servizio e i
punti di ristoro,
mentre a tratti, la
voce tranquilla di
Haruka faceva da contraltare ai suoi pensieri. E persino quando se
n’erano
rimaste in silenzio era stato bello, perché era stata una
quiete piena del
condiviso piacere di essere insieme quella.
“Se
vuoi dormi pure.” Le aveva detto ad un certo punto la bionda
mentre attendevano
che il benzinaio completasse il suo lavoro. Erano in piedi fuori
dall’auto per
sgranchirsi un po’ le gambe e, a questa proposta, Haruka
s’era sfilata il
soprabito allungandoglielo. “Stenditelo
addosso, starai più calda. E non preoccuparti troppo Michi,
ci penso io. ”
Aveva aggiunto per tranquillizzarla che sarebbero arrivate a
destinazione in
tempo, dopodiché aveva spento lo stereo e si era rimessa
alla guida.
Quel
gesto l’aveva toccata nel profondo, esattamente come
l’affermazione che ne era
seguita. Ché in quel modo le era parso che Haruka le avesse
voluto togliere un
peso dalle spalle, come se con quella semplice esortazione, avesse
afferrato in
mano le redini della sua vita, dicendole che da quel punto in poi se ne
sarebbe
occupata personalmente.
E
allora grata si era accoccolata sotto al tepore del cappotto, che
ancora
conservava il calore del suo corpo, fissandola colma
d’affetto. Perché
quella piccola attenzione voleva
significare tanto, soprattutto se veniva da parte di colei che non
riservava
mai premure a nessuno.
Sì,
forse già allora si era persa per lei, ma stupidamente non
ci aveva pensato.
Del resto però non erano solo certi significativi
particolari a far testo,
giacché spesso era stata sufficiente anche una semplice
espressione del volto,
o un casuale aneddoto legato ad un gesto specifico, per far
sì che le volute
del loro legame, che
ora stava scoprendo
ed identificando come null’altro che amore, la stringessero
sempre di più nel
loro vincolo.
Come
quella volta che l’aveva presa in giro perché
stava ricucendo dei bottoni che
le si erano allentati su alcune camicie.
L’aveva
vista come una scenetta troppo muliebre, comica se associata ad Haruka.
E
infatti aveva fissato interessata tutta l’operazione, notando
quanta minuzia ci
mettesse e come il risultato fosse inappuntabile, a differenza di
quanto si era
immaginata vedendola alle prese con ago e filo.
“Però!”
Aveva esclamato ilare osservando da vicino il lavoro eseguito.
“Non avrei mai
immaginato che possedessi simili doti femminili. Che direbbero le tue
ammiratrici se sapessero che il re di ogni pista, il maliardo che fa
palpitare
i loro cuori, cuce e rammenda come la migliore delle couture
parigine?”
A
quest’uscita Haruka si era limitata a sogghignare senza
risponderle, ma poi,
visto che aveva continuato a canzonarla, vagheggiando divertita la
reazione
inorridita dei fan che la domenica pomeriggio affollavano gli spalti,
vedendo in
lei un modello di maschio virile da emulare, questa aveva fatto
spallucce.
“E
che c’è di male?” Aveva replicato come
se niente fosse, quindi preso un
rocchetto di colore diverso per una camicia più scura e
inumidendo il filo tra
le labbra, sembrò pensarci su. E, mentre infilava nella
cruna la nuova
gugliata, aveva continuato a fissarla interrogativa come se quell’obiezione
fosse poco calzante, tanto che,
fu riprendendo a rammendare che le espose
spassionata il suo punto di vista.
“In
fondo quando ho cominciato con l’atletica non avevo il becco
di un quattrino,
né la prospettiva di vederne per un bel pezzo e credimi, un paio di scarpette dovevo
per forza farmelo
durare finché possibile. Giocoforza ho dovuto imparare.
Sapessi quante volte me
le sono rattoppata da sola! Credi davvero che debba
vergognarmene?”
A
quest’osservazione Michiru aveva perso tutta la sua verve e
si era sentita una
vera stupida per aver sollevato la questione, sebbene Haruka non avesse
usato
il solito registro sarcastico nel bacchettarla, quanto piuttosto nelle
sue
parole si poteva scorgere una leggera vena di malinconia e quasi di
rimpianto. Così
Michiru aveva pensato che, paradossalmente, forse
per lei a quel tempo tutto era più
facile, malgrado vivesse in condizioni
precarie e fosse per lo più emarginata. Pure, nonostante
ciò, pareva ricordarla
ugualmente con nostalgia.
Allora
la ragazza non poté far a meno di chiedersene il motivo.
Probabilmente, quando
era costretta nelle privazioni, il disagio di Haruka era esclusivamente
materiale, ma al contempo era veramente libera,
svincolata quanto solo un amante della libertà
come lei poteva
apprezzare. Per contro, adesso
che aveva
raggiunto un certo benessere, ora che era una personalità in
vista, così come
sempre aveva detto di desiderare,
spesso
sembrava oppressa da un qualcosa che Michiru poteva solo intuire, ma
che ciononostante
avvertiva con la chiarezza di una vibrazione stonata.
Forse,
ma forse, poteva darsi che tutto ciò che stava realizzando
non fosse
esattamente quanto diceva di volere. Forse, ma forse e sempre e solo
forse, quello che
gli altri poteva apparire come la
concretizzazione di molte ambizioni, non era altro che una maschera che
la
bionda indossava per affrancare un passato infelice.
Forse.
E
chissà, si chiedeva guardandola e spingendosi più
a fondo ancora, se
la determinazione ferrea che la portava a
spingersi sempre più in avanti fosse il risultato di un
sogno a lungo covato o
la testardaggine congenita di una che sentiva di dover sempre
dimostrare
qualcosa… Michiru
di certo non poteva
saperlo, ma sperava con tutto il cuore che così non fosse,
altrimenti come
poteva Haruka non accorgersi di quanto ciò fosse futile e
insensato?
Non
ebbe il coraggio di chiederglielo, ma quest’episodio
marginale, benché ancora
una volta avesse evidenziato quanto fossero
grandi le differenze che le separavano, le aveva dato comunque segnale
che qualcosa
era definitivamente mutato, che un altro fondamentale tassello si era
aggiunto
ad arricchire il loro rapporto, quasi senza che se ne fosse resa conto.
Sì
perché con quel breve accenno Haruka l’aveva resa
partecipe di un qualcosa dal
quale per molto tempo l’aveva esclusa e il parlare in sua
presenza di un
passato, fino ad allora mantenuto oscuro, denotava da parte sua la
tacita
consapevolezza e accettazione che lei sapesse, nonostante mai le avesse
raccontato alcunché.
Per
cui se ad Haruka era venuto naturale alludervi, era lecito poter
affermare che
non aveva più di lei la deleteria convinzione che fosse una volubile ragazzina snob
che non avrebbe
potuto capire l’entità dei suoi travagli. E
constatarlo così, in un momento
qualunque di un giorno qualunque, le aveva dato un brivido caldo.
Era
stata accettata, le veniva concessa la possibilità di
capirla e farsi capire e,
in qualche modo, ora si consentiva di sperarlo, la remota
eventualità di essere
ricambiata poteva dirsi avverabile.
Tutto
questo accadeva prima di averla potuta vedere interagire nel campo cui
dava il
meglio di sé, il che voleva dire che solo dopo averlo fatto
poté dirsi sicura
di quanto andava rimuginando da mesi, poiché quando
finalmente la vide correre
sul suo bolide, il cerchio si chiuse.
Già,
come spiegare altrimenti quel che aveva sentito agitarsi dentro la
prima volta
che aveva assistito al suo sfrecciare folle su quella macchina che
sembrava a
tal punto fragile da potersi spezzare da un momento
all’altro? E, considerato
che succedeva dopo l’episodio della discoteca, era ancora
più difficile
metterlo in parole.
La
consapevolezza del suo essere innamorata infatti dava una ridondanza
particolare ad ogni emozione, facendo in modo che mutassero
improvvisamente, alterate
com’erano dall’enzima del sentimento.
Durante quella gara aveva tremato, sussultato e gioito nello spazio di
pochi
minuti e, quando l’aveva vista tagliare il traguardo, il suo
primo impulso era
stato quello di correre all’impazzata nella sua direzione.
Anche perché era da
qualche settimana che non si vedevano. Del resto, dopo la
conversazione,
oltremodo interessante, che avevano avuta, Michiru si era rifiutata di
vederla,
né pensava di volerlo più, e le teneva
ostinatamente il muso.
Dal
suo angolo sulla loggia la violinista tornò
all’attuale e sorrise divertita rimembrando
quel particolare frangente. Ah, sai che ridere se ne avesse chiesto la
rievocazione ad Haruka! Come minimo la bionda avrebbe preferito
buttarsi nel
baratro sottostante, piuttosto che affrontare nuovamente quella spinosa
querelle!
Era
successo un vero e proprio casino e davvero ci era mancato poco quella
volta.
In effetti tale era stato il suo disappunto, o meglio definirla furia
assassina? Che sul serio aveva pensato di darle il benservito una volta
per
tutte.
Rise
di gusto, ché ora poteva permetterselo, ma la collera
funesta che l’aveva
assalita sul momento del fattaccio, non aveva avuto assolutamente nulla
di spassoso.
Sebbene, riflettendoci adesso, doveva ammettere che di ridicolo ce ne
fosse
abbastanza, e abbondantemente, nel dato significativo che tutta quella
buriana
aveva preso piede proprio dagli strali accusatori che Haruka le
rivolgeva.
La
controversia difatti era cominciata dal suo lamentarsi di lei
giacché, a causa
d’impegni precedentemente presi, Michiru non aveva potuto
assistere alle prime
due prove del campionato cui Haruka concorreva, e la bionda se
l’era legata al
dito.
Non
faceva che recriminare a questo proposito, notte e giorno. Ma poi,
inspiegabilmente, un misterioso commento di Setsuna aveva spento
all’istante i suoi
moti di rivalsa. Lì per lì Michiru non ci aveva
badato, ché un simile
spettacolo non era affatto insolito tra loro, infatti le poteva vedere
sovente
beccarsi. Ma in questo caso le parole di Setsuna avevano avuto il
potere di
farle comprendere un
succinto quadretto
su cui da tempo s’interrogava. Al che tante cose si erano
chiarite con una
limpidezza disarmante, tanto che le fette di salame, che da sempre
aveva avute
sugli occhi, le erano saltate con un triplo salto carpiato.
Le
faccenda era andata più o meno così: era passato
qualche giorno dall’ultima competizione
e ancora Haruka, mentre prendevano il tè tutte e tre nel suo
appartamento,
stava sbraitando a proposito della sua assenza.
“Neppure
un presente di felicitazioni mi ha mandato!” Aveva concluso
seccata incrociando con
uno scatto repentino le
braccia, onde accentuare vieppiù il suo sdegno
per quella che considerava una
deficienza manifesta ed insultante.
Setsuna,
a quest’atteggiamento, si era limitata a sospirare paziente,
come alle bizze di
una poppante. Michiru invece, aveva obiettato, usando molto
più sarcasmo di
quanto non avesse intenzione, che di regali e felicitazioni ne stava
ricevendo
pure troppi. E, puntando l’indice sull’ammasso
voluminoso di lettere che stavano
sul tavolino e sui sovrappiù che giacevano in ogni dove,
aveva sottolineato
quanto le sue numerose adoratrici si fossero date da fare in materia di
omaggi,
ori, incensi e mirra.
Per
cui, aveva continuato pungente, non c’era affatto bisogno del
suo contributo
per far elevare ulteriormente la sua cresta di presunzione. Quindi,
aveva
concluso decisa, non
vedeva perché
avrebbe dovuto mettersi a buttare ulteriore benzina sul fuoco, visto
che di
lusinghe e sviolinate, ne stava ricevendo più che a
sufficienza.
Inoltre,
aveva aggiunto riferendosi ad un cesto di prodotti per
l’igiene del corpo ai
gusti di vaniglia, cacao e caramella mou, che Haruka pareva aver molto
gradito,
tanto che lo usava così di frequente che ormai olezzava
perennemente come una
bancarella di bonbon, qualche
bagnoschiuma
e un paio d’essenze, non erano poi questo granché.
Anzi, si trattava di un
regalo talmente dozzinale, che non valeva proprio la pena
d’usarlo come esempio
da sbandierare e
sbatterle in faccia ad
ogni piè sospinto!
Efficace
sortita questa da parte della violinista e Haruka
stava ribatterle salace, quando notò che
Setsuna
stava inalberando un sorrisetto ironico, che la bloccò
all’istante. Conosceva
quel particolare ghigno e non aveva
nessuna voglia di sfidare la sorte chiedendogliene il motivo, dato che
pareva
proprio che Setsuna non aspettasse altro che qualcuno le porgesse il
destro
adatto a farle dire quale bella parolina in proposito.
Anche
Michiru aveva notato quella singolare risatina e le era piaciuta
pochissimo, la
credeva infatti un lazzo indirizzato a lei, praticamente la derisione
silenziosa dell’amica innanzi ai suoi patetici tentativi di
darsi importanza
agli occhi della bionda.
Grosso
errore il suo, poiché non poteva sapere che quello era
l’unico tentativo che poteva
fare allo scopo di soffocare la ben più crescente
ilarità che le stava salendo
dalla bocca dello stomaco. E
se la
ragazza se la stava ridendo non era per lei, quanto
per la situazione tutta.
Inoltre,
visto che proprio non le riusciva di resistere alla tentazione di
lanciare una
bella stoccata ad entrambe, Setsuna aveva volutamente abbassato gli
occhi sul
bordo della tazza, per
poi risollevarli immediatamente
dopo, nel fissarle placida e con ostentazione mentre soffiava sul
liquido
fumante. Infine aveva concluso la pantomima chiedendo:
“E
dimmi Haru, questi detergenti cremosi, sono un regalino della
Yamamay?”
A
questa precisa domanda Haruka si era limitata a grugnire un vago
assenso, guardandola
oltremodo minacciosa, quale
monito silente d’avvertimento che la
piantasse subito, immediatamente, altrimenti sarebbero stati guai
grossi.
Setsuna
ghignò nuovamente e Michiru, alla quale non era
sfuggito l’eloquente scambio
d’occhiate, ne approfittò per chiedere, con
finto candore, perché supponesse che un simile omaggio
potesse provenire da quella là.
Haruka
si mise una mano in faccia, Michiru si protese in avanti in attesa del
verbo
onnisciente dell’amica e
Setsuna, la
quale era convinta che i tempi ormai lo richiedessero a gran voce e che
se non
gli avesse dato una spinta decisiva, quelle due sarebbero andate avanti
per
anni senza approdare a nulla, sorniona rispose:
“Dopotutto,
devi tener presente
che il sapore che
quella roba lascia sul corpo, dovrebbe essere piacevole
da leccare.”
Furono
pochi gli attimi di quiete che quest’affermazione
lasciò dietro di sé, infatti venne
interrotta subito dal suono
inequivocabile di una persona che si sta strozzando.
In
effetti Haruka non credeva a quanto avevano appena udito le sue
orecchie e le era
andato per traverso il sorso di tè appena sorbito.
Quanto
a Michiru, così
come l’altra stava
sputando ad idrante l’infuso che la stava soffocando, allo stesso modo nella sua
testolina
pudibonda, a quella risposta inequivocabile, cominciarono ad eruttare a
zampilli, e tutte
insieme, con la
potenza di un vulcano represso dal mesozoico,
le illazioni e i sospetti ai quali fino a quel momento non
aveva voluto
dar assolutamente credito. Eppure
l’ovvietà di quell’infamante tresca ce
l’aveva avuta davanti agli occhi fin
dall’inizio!
“Se
la fa… E’ da mesi che se la scopa!”
Sbottò
mentalmente al termine di questo processo di collegamento tra i vari
episodi cui
aveva evitato prudentemente di dar nesso. E qui fu presa da una
indignazione maestosa,
la quale, molto singolarmente, aveva
una
certa incertezza nell’indirizzarsi con precisione. Davvero
non sapeva se
prendersela con quella miserabile lasciva di Haruka, la quale, mentre lei ne faceva
oggetto del suo amore
incondizionato e bersaglio di congetture al limite della follia
astratta, non
aveva trovato niente di meglio da fare che sollazzarsi con quella
donnaccia,
che chiamare baldracca sarebbe stato farle un vanto!
D’altro
canto sarebbe stato lecito rivolersela pure con Setsuna, la quale non
si era
fatta scrupolo alcuno di far cadere, con un solo abile colpo di lingua,
il suo
fragile castello di pie illusioni, senza
alcun riguardo per i suoi trasporti e solo per il gusto di fare
l’arguta e
colei la quale tutto sa e tutto vede!
Quanto
a Shanaya le sarebbe piaciuto torcerle il collo lentamente, prima di
affogarla
in una vasca zincata piena di acido solforico.
Certo,
razionalmente sapeva che delle tre era quella che aveva meno colpe
sulla
coscienza, in quanto nell’ipotesi in cui si fosse trovata al
suo posto e nelle
medesime condizioni, si
sarebbe
comportata allo stesso modo, prendendosi quanto le veniva offerto su di
un
piatto d’argento. Già, era facile immaginarsi la
rapidità con la quale ne
avrebbe approfittato qualora Haruka le avesse dato le medesime
possibilità
porte a quella donnaccia!
Pure
non riusciva a darle assoluzione alcuna, giacché le aveva
profanato, e
continuava a farlo maledizione a lei, un
qualcosa al quale ormai si sentiva troppo avvinghiata per poterci
passare sopra
con la minima indulgenza.
Insomma,
se avesse potuto le avrebbe arse sul medesimo rogo, ché
avevano tutte e tre il
loro bel carico di responsabilità condivise.
Però,
pensò in un momento di cristallina lucidità,
seppure avesse immediatamente urlato
il suo sdegno, e il suo essere finalmente consapevole, a quella maniaca
sessuale e la sua degna compare, che stavano entrambe a fissarla in
attesa di
una sua minima reazione, oltre a una serie di litigi infiniti,
cos’altro
avrebbe concluso?
Quella
tresca disgustosa di certo non avrebbe avuto fine solo
perché ora sapeva e la
condannava, figuriamoci quanto poteva fregargliene a quella laida di
Haruka!
Quanto a Setsuna, non le avrebbe dato altro che l’ennesima
occasione per farsi
due risate alla faccia sua! No! Che se ne andassero a quel paese
entrambe! Lei
non voleva averci più nulla a che fare.
Fu
così che, con una scusa, si sottrasse a tutta quella
discussione e che, per
tutti i giorni che la seguirono, si chiuse in un mutismo ed un
isolamento che
alle due parve inspiegabile. Le settimane passavano e Michiru non dava
segni di
vita e, quando il
suo silenzio e la sua
assenza, cominciarono
a diventare oltremodo
pesanti e francamente oppressivi, Haruka, la quale ancora
s’illudeva che quelle
illazioni fossero passate inermi sulla testa della violinista,
cominciò a
tampinarla con insistenza.
Michiru
fu d’una fermezza ferrea, addusse come motivazione lo studio
e la preparazione
per alcuni concerti imminenti, e di gran prestigio, cui sarebbe stata
solista,
poiché non se la sentiva ancora di dare fuoco alle polveri e
urlarle furibonda
quanto doveva.
Era
chiaro che era ancora troppo vulnerabile nei suoi confronti per darle
la
possibilità, eventualmente,
di parlare e, a limite, difendersi. Sì, se
l’avesse fatto allo stato attuale
della sua confusione e indignazione,
quello davvero rischiava di diventare un addio definitivo. Voleva
questo?
Certo
che no, ma non era giunto ancora il momento di parlarle.
Così
a nulla erano valse le insistenti telefonate e i pellegrinaggi sempre
più stizziti
che Haruka aveva fatto alla sua porta, col cappello in mano,
consapevole di
star agendo come il più fetente dei questuanti. Ma a questo
punto non le
importava, voleva sapere e, porca vacca, avrebbe saputo!
Ma
Michiru si era sempre fatta negare, incrollabile e sorda alle sue
suppliche,
insensibile alle blandizie che sempre avevano avuto il potere
d’irretirla e che
adesso invece respingeva per paura di cadere nuovamente vittima
indifesa della
sua malia. Per questo aveva preferito farle sbattere sul muso la porta
dal suo
altezzoso maggiordomo, un impettito e dignitoso signore cui la boria di
Haruka
non faceva né caldo né freddo, come se
l’invettive che la bionda gli sbraitava
rabbiosa, rimbalzassero sulla rigidità del suo sparato senza
colpo ferire.
Grottesca
coincidenza: costui era esattamente lo stesso che comunicava a suo
padre, quando
erano saltati fuori i suoi intrallazzi adulterini,
che sua madre si era ritirata nei suoi
appartamenti e aveva dato ordine di non disturbarla.
Come
dire, corsi e ricorsi storici.
Quanto
a Setsuna, lei non si lasciò impressionare più di
tanto da quest’atteggiamento
austero e glaciale, immaginava infatti che nel petto palpitante e
dolente di
Michiru stava covando un’ira che prima o poi avrebbe dovuto
trovar sfogo. Per
cui sarebbe dovuta essere sua cura solo capire quando
sarebbe stata stagionata abbastanza da essere
pronta a sprigionarla. Insomma, tutto stava nel farsi trovare pronta al
momento
opportuno. Nel frattempo, tutto quello che poteva fare era di lasciar
tempo al
tempo, tanto, tentare di far leva su Haruka sarebbe stato del tutto
inutile.
Setsuna
volutamente lasciò che Michiru si macerasse nel suo brodo
velenoso senza
disturbarla, poi, quando stimò che il periodo di
decantazione era stato più che
adeguato, l’ineffabile ragazza dalle lunghe chiome si
presentò non invitata a
casa Kaiou e non si stupì affatto quando il distinto uomo in
livrea la
introdusse là dove Haruka bramava essere e veniva
regolarmente mandata indietro.
Michiru
come se la trovò davanti ebbe la medesima impressione di
quando il suo
professore di musica le dava il là per una esecuzione cui
potesse esprimere
tutte le sue potenzialità ignorando lo spartito. In effetti,
non le diede
neppure il tempo di aprire bocca, che gliene disse di cotte e di crude,
senza
curarsi affatto di star alzando la voce o di
offenderla pesantemente.
Del
resto era pure colpa sua no? Ché se Setsuna le avesse
rivelato fin da subito la
natura schifosa, che sicuramente doveva conoscere visto che si
frequentavano da
tanto, di quella bastarda di Haruka, lei non avrebbe continuato a
sognare ad
occhi aperti come una deficiente! Si proclamava sua amica, ma col
cavolo che le
aveva detto quanto potesse essere infame quella maledetta! Se, e
quando, era
corsa da lei la prima volta le avesse suggerito di lasciar perdere,
ché la bionda
era un soggetto da evitare accuratamente se voleva preservare la sua
sanità
mentale, tutto questo non sarebbe mai successo!
Per
cui le rigettò addosso tutto quello che pensava di lei, ma
soprattutto tutto
quanto pensava di quella cacasotto dell’amica sua,
ché solo una vigliacca
poteva comportarsi come lei stava facendo.
“Ma
quali delicati sentimenti?! Ma quali tenere attenzioni?! Mi hai
raccontato solo
balle Setsuna! E quanto a quell’altra, non ha avuto neppure
il coraggio di
dirmi la verità. E lei lo sa quel che provo per
lei!” Aveva concluso picchiando
un vigoroso pugno sul pianoforte a coda, preziosissimo,
dell’ottocento viennese,
che a sua madre era costato un occhio della testa.
“Perché
tu gliel’hai mai detto?” Fu la replica neutra che
ne ebbe, mentre ancora
nell’aria s’udiva il vibrare che proveniva dalla
cassa armonica appena presa a
cazzotti.
Michiru,
innanzi a tanta calma ostentata, sentì nuovamente salirle il
nervoso,
l’atteggiamento sereno che Setsuna riusciva a mantenere in
ogni frangente cominciava
davvero a darle sui nervi.
“E
non è abbastanza manifesto, accidenti a te?”
“Certamente,
ma lasciare che sia l’evidenza a parlare, laddove avresti
dovuto farlo tu, ha
solo avuto il risultato che ad Haruka sia scattata la classificazione
tra santa e puttana.”
Affermò concisa, tanto
che, davanti all’imperscrutabilità di tale
affermazione, Michiru si afflosciò
come un soufflè mal cotto, ché davvero si sentiva
cadere le braccia a
questo punto.
“Ora
che vorresti dire?!” Proruppe stremata com’era da
quei giorni di assordante
silenzio auto-imposto, sfiancata dai perché sbigottiti e
sgomenti che le
fiorivano, a qualsiasi ora del giorno e della notte, sul bordo
dell’amor
proprio offeso, come tanti fiori vermigli in una palude di delusione.
Stanca dal
quotidiano domare la sua voglia di andare a buttarsi implorante tra le
braccia
di quella maledetta… implorarla?
E
per cosa visto che è stata lei a tenermi
a distanza per meglio ficcarsi nel letto di quell’altra
debosciata!?
“Cara.”
Cominciò Setsuna cauta, consapevole
che l’amica fosse più tesa delle corde del violino
che suonava e che doveva
andarci con mano leggera, ma ferma. “Non vorrei essere
sempre, come m’accusi,
quella edotta che coglie nel segno infallibilmente.
Però mi tocca e temo che il punto stia proprio
qui. Forse a te non è chiaro, ma debbo dirti che persino una
persona evoluta, e
che si pretende di mondo, come la nostra Haruka, è finita
dritta, dritta in
questo stupido equivoco. E questo non fa che condizionarne le
scelte.”
“Cazzate
Setsuna!” Sbraitò Michiru pestando rabbiosa un
piede, gesto quanto mai
appropriato per lo stato scarmigliato delle sue chiome, che definire
leonine
non avrebbe reso del tutto l’idea, e dei solchi neri che le
cerchiavano gli
occhi. “A te piace da morire giocare a fare la sfinge e colei
che sa, laddove
noi poveri sempliciotti non abbiamo capito niente!”
“Però,
vedo che la solitudine ha portato un progresso notevole nel tuo
eloquio.” Tentò
di blandirla carezzevole con un lievissimo umorismo, ma Michiru era
stufa di
farsi infinocchiare bellamente da quelle due dannate affabulatrici, per
cui
sbrigativa la interruppe.
“E
comunque non capisco che intendi dire, quindi perché non
parli chiaro?”
“Volentieri.”
Fece Setsuna mutando completamente tono. Prese un espressione
più seria e
cominciò pacata:
“Credi
di essere la sola ad aver esaltato l’immagine di chi ti stava
dinnanzi? E’ più
che palese che pure quella testona
ti ha
trasfigurata, a tal punto esaltata nella sua testa, che crede di
compiere un
imperdonabile peccato qualora s’azzardasse a vederti come una
possibile
compagna, o peggio ancora, dio non voglia, come la destinataria dei
suoi
desideri sessuali!”
Certo
Setsuna non si stava preoccupando di essere troppo esplicita e, a
questo
commento nient’affatto velato, Michiru ebbe un sobbalzo. Del
resto, visto che
solo una volta e solo tra sé e sé, da quando
aveva fatto la conoscenza di
Haruka, si era azzardata a mettere la questione in questi termini, nel
sentirlo
fare, era inevitabile che la cosa le desse uno scossone. Sintomo di
quanto
fosse ricco di significati veritieri il ragionamento che le si stava
facendo.
“Sono
mesi che quella cretina si destabilizza nel tentativo di oggettivarti e
ridurti
ad un qualcosa di molto simile ad un icona che rifulge di
santità. Non te ne
sei accorta? Eppure è chiaro! Sta lì a fissarti
come un baccalà in estatica
adorazione, ma non si azzarderebbe mai a muovere un passo nella tua
direzione
come tu, e pure lei, vorresti!
Se la fa
addosso alla sola idea! Per cui l’unica scappatoia che quel
genio ha trovato è
stata quella di elevarti ancor
di più
alla gloria degli altari, mentre
lei si
pasce nel concreto!
Con
quella ci fa sesso e lo fa perché è convinta che
con te sia proibito. Se tu ti
svegliassi una buona volta, forse potrebbe darsi che la pianterebbe di
vederti
come nostra signora immacolata e magari si darebbe una mossa pure
lei!”
Concluse
veemente, dando finalmente piglio all’impazienza che da mesi
covava. In effetti,
ogniqualvolta pensava alla situazione assurda cui quelle due si erano
impegolate,
le veniva voglia di prendere le loro belle teste e sbatterle
l’una contro
l’altra.
“Così
adesso vorresti dirmi che la colpa è mia e che quasi, quasi
sarei io a
spingerla tra le braccia di quella zoccola?!”
Replicò Michiru punta sul vivo.
“No
imbecille! Ma parlagliene un buona volta e fallo in modo inequivocabile
porca
miseria!”
E
così, preso debito conto di questa velatissima esortazione,
Michiru aveva
deciso che l’avrebbe fatto.
E
quale occasione più propizia del gran premio che si sarebbe
tenuto quella
domenica? Le avrebbe dato la possibilità di piombarle
addosso e dirle quanto
doveva senza che Haruka avesse affatto sentore di quanto stava di
lì a venire.
Certo lei avrebbe preferito un’atmosfera decisamente
più romantica, magari un
tramonto in riva all’oceano o un bel tete-a-tete
davanti ad una bottiglia di vino. Ma in entrambi i casi sicuramente la
bionda
avrebbe cominciato a fiutare che c’era qualcosa sotto e, come
minimo, avrebbe
cercato una scappatoia per filarsela come al suo solito.
No,
meglio prenderla alla sprovvista.
Per
cui il gran giorno Setsuna l’attese all’ingresso
dell’autodromo in modo che Michiru
potesse entrare nel motorhome, in quanto lei era provvista del pass che
le
avrebbe consentito un accesso altrimenti assolutamente proibito. E, una volta
là, era stato inevitabile
incontrare e fare la conoscenza della famosa Hitomi, il
che voleva dire per Michiru, scoprire un
altro tassello fondamentale della vita di Haruka, oltre ad avere la
possibilità
di assistere alle fasi cruciali di quell’avvenimento sportivo
da un punto molto
privilegiato. Senza contare il fine ultimo della sua venuta.
Quanto
a Hitomi, palesemente incuriosita,
l’aveva squadrata da capo a piedi prima di
sorriderle apertamente e di
appuntarle sul petto il lasciapassare
che le dava libero accesso ai box.
“Tanto”,
aveva detto allegra, giustificando quel gesto, “credo proprio
che ti vedremo
molto spesso qui!”
Michiru
rifletté sul dato molto indicativo che pareva che tutti
quanti stessero intorno
ad Haruka dessero per scontato il fatto che, presto o tardi, sarebbero
finite
assieme e che lei pendesse dalle sue labbra. Il che, seppur in parte
vero, era
un tantino offensivo. Ma non ebbe l’agio di chiedersi
perché mai poiché, una
volta all’interno, fu catapultata
in un
contesto sconosciuto, ma che si rivelò molto eccitante, dove
tutto pulsava e
sapeva di concitazione.
Inoltre,
pensò mentre si guardava intorno, familiarizzare con
quell’ambito voleva dire
annullare ulteriori
gradi di separazione
che ancora la tenevano lontana da una Haruka della quale era
all’oscuro, quella
che ancora doveva vedere da vicino e che forse avrebbe potuto chiarirle
una
volta per tutte l’enigma che era. Ovverosia, quella che
diventava tutt’uno con
la sua macchina e che in pista si diceva non avesse scrupoli di sorta.
Come
con me?
Non
poté far a meno di chiedersi. Ma poi si ripeté
che il tempo delle domande e
delle ipotesi era finito e che oggi, una volta per tutte, avrebbe
saputo.
Così,
attenta, si era guardata in giro alla sua ricerca e aveva potuto
osservare il nervosismo
degli addetti ai lavori nell’imminenza della competizione.
Tutti erano intenti
ad un febbrile lavorio, eppure del pilota non c’era traccia,
ancorché la sua
presenza si potesse avvertire ovunque, finanche nella caricatura che, a
mo’ di
nume tutelare, era fissata sulla tela che proteggeva la strumentazione
elettronica.
Setsuna,
notando come l’amica stesse cercando freneticamente la
bionda, aveva provveduto
a tranquillizzarla spiegandole, mentre Michiru pensava tra se e se che
doveva
essere un habitué per saperla così lunga, che non
doveva aspettarsi di vederla
comparire nell’immediato.
“Un
po’ di pazienza Michiru, lo so che è difficile, ma
dopo il warm-up si chiude da
qualche parte fino all’ultimo minuto. Lo sanno tutti qui e
nessuno va a
disturbarla, perché sennò sono guai.”
Aveva chiarito, dopodiché le aveva
pressoché confermato che, diversamente da lei, che ancora
non aveva fatto la
conoscenza della bionda quando correva in formula kart, per quanto la
riguardava, aveva avuto la possibilità di poterne seguire la
parabola fin dal
debutto. Quindi conosceva a menadito tutte le sue abitudini e la
trafila cui
era solita.
“E
poi, d’accordo che il motivo per cui sei qui non è
questo, però non
dimenticarti che avendo visto le prime due gare in tv, ti sei persa lo
spasso
di assistere alle esibizioni del prima e del dopo di quella peste.
Figurati,
già normalmente è una miniera di pretese, pensa
un po’ che è capace di
combinare qui che gioca in casa! Rassegnati cara, per le prossime ore
dovrai
accontentarti di poterla vedere solo come una macchia di colore che, a
intervalli regolari, sfreccia qui davanti. Però,
dopo…” Aveva aggiunto
lasciando in sospeso la frase e strizzandole l’occhio.
“Dopo
potrebbe darsi pure che dovrai portarmi in un bar a prendermi la mia
prima
sbronza. Non è lì che si va infatti, quando si ha
una delusione d’amore?
“Beh?
Con tutto lo champagne che ci sarà qui dopo vuoi andartene
in un bar? Che
spreco!” Le interruppe Hitomi ridacchiando.
Il
caso infatti aveva voluto che avesse intercettato quello scambio di
frasi e,
ridendosela sotto i baffi al pensiero di quanto stava architettando
alle spalle
della sua protetta, le prese di sorpresa nella loro intima
conversazione. Non
l’aveva origliata tutta, però ne aveva colto i
fatti salienti e tanto bastava.
Michiru
avvampò e Setsuna, una volta tanto,
non
trovò niente di opportuno da dire ora che i loro altarini
erano stati scoperti
malamente. Ma Hitomi fu clemente e non ficco il dito nella piaga,
piuttosto si
adoperò in modo da agevolare il cammino a quella ragazza di
cui tanto aveva
sentito parlare e sulla quale aveva sempre congetturato speranzosamente.
Che
testa di zucchina che sei Haruka!
Pensò
ridacchiando e cominciando già a far progetti per il futuro.
In effetti c’era da
vagliare quella interessantissima proposta di correre in formula indy
l’anno
venturo e occorreva muoversi con un certo margine per trovare nuovi
ingaggi
pubblicitari e compagnia bella. Figuriamoci
se Perizoma-san non ci farà sbattere fuori non appena quella
testona le darà il
benservito!
Ne
concluse prima di fare la mossa successiva. Prese Michiru per un
braccio e,
trascinandosela dietro, continuò:
“E’
vero, guai a chi si azzarda a
deconcentrarla, s’incazza come un animale, però
hai visto mai?”
Michiru
non seppe che risponderle, ignara com’era di dove volesse
andare a parare la
donna, e quand’arrivarono in un ambiente che in mezzo a quel
caos pareva
un’oasi di pace, si chiese turbata, osservando la scena che
le si parava
davanti al di là dell’uscio, cosa
avrebbe dovuto fare adesso. Per il momento infatti non le pareva
proprio il
caso di dar piglio a conversazioni concernenti i suoi sentimenti a
lungo
taciuti.
Là
se ne stava Haruka, aveva già indosso la tuta dai colori
fiammanti e il casco
appoggiato accanto, standosene rannicchiata sul nudo pavimento. Sedeva
incurvata
su sé stessa, come a voler racchiudere tutta la
concentrazione nel nucleo del
suo corpo compresso, le gambe erano tirate verso il busto, esattamente
come le
braccia, poste in modo che con le mani potesse tenersi il volto e la
fronte.
Aveva
gli occhi chiusi e l’espressione del volto era decisa, ferma,
implacabile. Le
labbra si muovevano in una muta preghiera e parevano non emettere
suoni. Ma
Michiru guardandola intensamente riuscì a intuire il
bisbiglio concitato che
pronunciavano.
Io
sono velocità, io sono velocità, mormorava
e
Michiru non sapeva se ciò fosse una sorta di mantra che si
ripeteva per darsi
coraggio, o una consapevolezza che si ripeteva per persuadersi ancora
una volta
della sua superiorità.
Non
glielo chiese, né volle importunarla in un momento tanto
segreto, ma fu grata
ad Hitomi per averle dato la possibilità di poterla
osservare in quella
circostanza. Chiunque altro avrebbe scambiato un atteggiamento simile
per
sicumera presuntuosa, ma lei no, perché già
quando alla vigilia della prima
gara le aveva disegnato sulle mani e sui piedi, era stata certa delle
sue
vittorie. Ora poi che aveva visto questo, non aveva più
dubbi.
Tanto
che aveva accantonato momentaneamente la sua impazienza e seguito la
corsa con
molta partecipazione, godendosi il boato della folla e il frastuono
incredibile
che le macchine producevano. Era riuscita persino a mantenere intatta
la
fiducia in lei quando Haruka pareva aver perso la testa della
classifica
irrimediabilmente a causa di un brutto svarione al secondo pit stop.
Né si era
troppo meravigliata quando era tornata in prima posizione, con una
serie di
manovre spericolate e sorpassi da brivido, quando ormai né
sugli spalti, né ai
box, nessuno ci sperava più.
Oddio,
ad essere onesta aveva intimamente tremato alla vista delle audaci
evoluzioni
in cui si era prodotta e, durante alcuni sorpassi, era scattata in
piedi senza
avvedersene. Del resto, come avrebbe potuto restare indifferente
innanzi ad un simile
sprezzo della propria incolumità? Ché la bionda
stava guidando come se non ci
fosse stato più domani, come se non avesse nulla a cui
tornare, come se non si
fosse affatto resa conto che due occhi, i suoi occhi, ansiosi e
innamorati,
stavano assistendo impotenti alla testimonianza
dell’avventatezza cui stava dando luogo.
Ad
ogni modo Haruka aveva riportato una sonante vittoria, ma per Michiru,
per
quanto lo volesse, per quanto bramasse correre immediatamente nella sua
direzione e dirle quanto ormai non riusciva più a
trattenere, era stato
praticamente impossibile avvicinarla dopo che questa, raggiante, era
scesa
dalla macchina e si era precipitata a stringere le mani dei suoi
collaboratori.
E in quel clima di festa condiviso ancor più si era
rabbuiata quando dalle
tribune erano calati il patron della squadra, accompagnato da quella
maledetta
Shanaya, per complimentarsi col loro ardimentoso corridore.
Che
poteva fare?
Si
era rintanata in un angolo a guardarla mentre Haruka faceva la ruota
come un
maledettissimo pavone, chiedendosi quando si sarebbe degnata di farle
un cenno.
Ma Haruka, sebbene l’avesse vista, malgrado per
un’infinitesimale momento si
fossero scambiate uno sguardo imperscrutabile, cui una cercava certezze
e
l’altra lanciava interrogativi, continuava a salutare la folla che la
stava osannando. E,
maledizione a lei e alla sua immodestia, al suo rientro nei box, aveva
cominciato a parlare con quel panzone tronfio del suo capo e,
naturalmente, subito
dopo, invece che andare da lei, aveva
cominciato
a fare la splendida con quell’oca bionda di sua figlia!
Dopodiché, passandole a
pochi metri, ma facendo bellamente finta di non vederla, le era
transitata
davanti per andare a prepararsi la premiazione.
Michiru,
più dolente che furibonda, ci era rimasta talmente male che
immediatamente
aveva ricacciato indietro le velleità che fin lì
l’avevano sospinta. Ma come
aveva potuto convincersi che avrebbe potuto? Che beota! La
realtà era quella,
altro che quanto andava dicendo Setsuna o quel che le faceva
più comodo dirsi!
Continuò
a fustigarsi mentre s’avviava mestamente verso
l’uscita, ma non ebbe la
possibilità di andarsene. Hitomi infatti, che aveva
assistito a tutta la scena
e che immediatamente aveva inteso il fraintendimento cui aveva potuto
dar luogo
il comportamento di Haruka, prese
nuovamente in pugno la situazione. Afferrò Michiru per il
polso e, stordendola
con una fiumara inarrestabile di chiacchiere, alle quali la ragazza non
aveva
alcuna possibilità di replicare, e la portò fin
sotto il palco dove sarebbe
avvenuta la consegna dei premi.
Volentieri
Michiru si sarebbe dispersa tra la folla, ma la donna la teneva ben
stretta, e
così ora le sarebbe toccato pure assistere a tutta quella
manfrina. Perché
doveva vedere anche questo? Non era sufficiente quanto già
aveva patito fin
qui? Era proprio necessario che la vedesse pure mentre con una mano
teneva il
trofeo e con quell’altra s’avvinghiava a quella
battona?
Voleva
scappare il più lontano possibile, eppure le
toccò presenziare alla salita dei
tre piloti vincitori accompagnati dallo scroscio delle acclamazioni del
pubblico entusiasta. Applausi che, nel caso di Haruka, diventarono una
vera e
propria ovazione.
Eppure
questa, e Michiru lo notò subito,
una
volta assisa sul gradino più alto, continuava a volgere il
capo tutt’intorno,
come se stesse cercando qualcuno o qualcosa.
“Fatti
vedere.” L’esortò a questo punto Hitomi
e la violinista si volse a guardarla stranita.
“Prego?”
Chiese presa d contropiede.
Ah
certo, sarebbe stato meraviglioso se davvero fosse stata lei lo scopo
di quella
frenetica ricerca, ma visto il trattamento che la bionda le aveva
riservato,
era da escluderlo del tutto. Ammenoché non volesse insistere
su un
comportamento decisamente masochista! Per cui le aveva risposto in malo
modo: “Ehi
Hitomi, ti piace giocare al Dottor Stranamore? Non è mica me
che vuole!”
“Ah
no? E allora chi, mia sorella?” Aveva ribattuto questa
ironica, quindi aveva
aggiunto con l’aria di chi la sa molto lunga:
“Sveglia Kaiou!
A
quest’incontrovertibile verità
Michiru
non aveva dato replica, ma del resto che aveva da perdere a questo
punto? Così aveva
sventolato allegra un braccio per farsi notare, sperando in cuor suo di
non
rendesi nuovamente ridicola., e con somma gioia s’accorse che
Hitomi aveva
ragione, perché Haruka, ora che l’aveva finalmente
individuata, stava esibendosi
nel suo famoso ghigno a trentadue denti, dopodiché, togliendosi i guanti e
mostrandole i disegni
che le aveva fatto l’ultima volta, le aveva strizzato
l’occhio.
“Dopo
me li ritocchi!” L’avvertii
da ultimo, prima di
attaccarsi alla magnum di champagne e
innaffiare tutti quelli che le stavano nei paraggi, mentre saltellava
beata
tutt’intorno.
Da
sottolineare che, con gran diletto di Michiru, il
primo getto che schizzò dalla bottiglia,
quello più copioso,
prese in pieno la
silhouette di Shanaya, che così si vide rovinato il make-up
a quale aveva
dedicato ore. Effettivamente la cosa parve stizzirla molto, oppure
aveva notato
qualcos’altro, tipo il fatto che stava venendo letteralmente
trascurata?
Michiru
lo ignorava, ma ad ogni modo non fu questa piccolezza a cambiarle
radicalmente
l’umore, quanto lo sfoggio precedente, che le mise addosso
una tal voglia di
dar sfogo all’euforia, e molto altro ancora, che si unì ai
festeggiamenti di quella calca
indescrivibile. Non prima però di aver
ricambiato il sorriso che le era stato rivolto, anzi si
poteva dire che
il suo ne fu l’esatto
specchio. Cosa che
non sfuggì affatto ai numerosi giornalisti presenti, i quali vigilavano,
dacché l’avevano
individuata, nell’attesa di un simile siparietto.
Tant’è che ci stavano dentro alla
grande con foto e domande indiscrete urlate all’indirizzo ora
dell’una ora
dell’altra. Il che trasformò quella cerimonia in
una vera e propria bolgia.
Lo
stesso poi si era ripetuto durante la conferenza stampa successiva alla
gara, giacché,
dopo gli interrogativi di rito sulla strategia e sull’assetto
del motore,
Haruka si vide porre una serie di domande più da cronaca
rosa, che non da
testata sportiva.
Fatto
che le divertì intensamente e, il giorno dopo, ne stavano ancora ridendo
insieme, poiché sui
quotidiani sportivi l’accento era posto perlopiù
sulla loro presunta storia
d’amore, che non sulle gesta del pilota o sulla
validità della macchina.
“Ma
ti rendi conto?” Le stava chiedendo Haruka ridacchiando
mentre si accomodava al
tavolo per fare colazione. “Io faccio un mazzo
così tra allenamenti e gare, e
poi finisco oscurata da una querelle riguardante la terribile
incognita: quei
due se la fanno assieme?!”
Reduce
da una notte di baldoria con lei, notte durante la quale aveva
preferito non
pensare a nulla e lasciarsi andare all’euforia del momento e
del loro
ritrovarsi, Michiru ebbe un sogghigno ispirato. Ché Haruka
si era espressa
esattamente come lei aveva fatto allorché aveva scoperto la
sua tresca con
quella gattamorta di
Shanaya.
Era
il caso di tirare in ballo la questione adesso? Chissà, ma
non poté resistere
alla tentazione di tirarle una frecciatina.
“Povera
cara! E io che dovrei dire allora?” Aveva
ribattuto andandole a tergo e scompigliandole i capelli briosa.
“Guarda
che dico sul serio. E per favore non inguaiarmi ultimamente il
pagliaio!” Ribatté
riferendosi allo stato già arruffato cui versavano le sue
chiome.
“Anch’io
parlo sul serio, sai? E credo che se i cronisti avessero visto come mi
hai
trattata prima , dopo e durante la gara, di certo non avrebbero montato
tutto
questo casino. Non è bello essere ignorati completamente,
soprattutto quando è
da settimane che non ci si vede.”
Aveva
risposto brillante, ma con una tale serietà nello sguardo, che Haruka si era messa
subito su chi vive. Naturalmente
l’aveva notato, ma valeva la pena star a vedere come avrebbe
reagito poiché, se
non avesse cominciato con le sue solite filippiche difensive, lei
avrebbe avuto
l’occasione per poter sondare la questione che tanto le
premeva.
In
effetti dopo la conferenza stampa non aveva potuto, in quanto ne era
seguita la
solita sessione di fisioterapia con Hitomi, dopodiché, con
la sua solita
irruenza, la bionda l’aveva trascinata nel suo vortice e, francamente,
non reputava un festino in night club pieno di gente che
le interrompeva
continuamente, quale luogo ideale per un chiarimento. Tantomeno per una
dichiarazione d’amore.
Insomma
si era fatta l’alba, erano rincasate assieme, e ancora
aspettava il momento più
opportuno.
“Ma
di che stai parlando?” Incuriosita, Haruka aveva sollevato ad
arte un
sopracciglio.
Ah
naturalmente si aspettava una rimostranza simile, tanto che il suo finto cadere dalle
nuvole era più che
altro una provocazione. A suo avviso , in realtà, Michiru
non si sarebbe dovuta
affatto attendere un comportamento diverso da parte sua.
Figuriamoci,
pretendere moine da lei nel bel mezzo della concitazione di una corsa!
Eppure
pareva proprio che non ci arrivasse
e le
spiacque se, nella sua tacita supponenza,
aveva
dato origine a dispetto e imbarazzo per lei. Ma che dirle? Meglio farla
parlare
e metterci una pezza dopo.
“Allora?”
L’aveva esortata nuovamente, così Michiru le si
era seduta di fronte e,
incrociando le braccia con fare spazientito, si era apprestata a
chiarirle le
idee.
“Naturalmente
mi rendo conto che eri concentratissima e che certe cose neppure ti
passano per
la testa normalmente, figuriamoci prima di una corsa. Però
che diamine Haruka,
era troppo chiedere un cenno di saluto o una banale occhiata di
riconoscimento,
quale essere umano, prima di metterti alla guida o magari dopo? E
guarda che lo
so che mi hai vista, quindi niente scuse!”
“Ah,
stiamo parlando di questo allora.” Per nulla stupita o
alterata dalle sue
pretese, Haruka assunse un’espressione riflessiva e,
protendendosi in avanti
verso di lei, le sparò una domanda a bruciapelo:
“E tu credi che nel qual caso,
sarei riuscita a fare quanto ho fatto?”
“A
cosa ti riferisci scusa?” Confusa dalla domanda Michiru, che
sul serio non
aveva capito dove volesse andare a parare, aveva distolto lo sguardo.
Ma Haruka
non glielo consentì, scioccò le dita per
richiamarne l’attenzione e continuò:
“Certo
ti ho vista, ma rivolgerti un cenno, parlarti, sarebbe equivalso a
registrare
la tua presenza, insomma a prenderne atto. Il che vuol dire che ne
sarei stata
consapevole mentre correvo e, sapendolo, forse non sarei stata in grado
di
compiere simili azzardi. Diventa tutto più difficile quando
sai che lì fuori
c’è qualcuno che ti osserva e per il quale non sei
solo un pilota.” Concluse,
poi si rese conto d quel che aveva appena detto e impallidì
visibilmente.
Porca
mignotta, porca mignotta, porca
mignotta!
Pensò
stringendo i pugni sotto il tavolo.
“Quindi
questo vale anche per Setsuna, Hitomi e
Quella
sorta mezza ammissione che Haruka si era appena lasciata scappare era
preziosa
e doveva sfruttarla
al massimo, perché
dalla replica che ne avrebbe ricevuto,
sarebbe dipeso molto. Per cui l’incalzò.
“Dimmi
Haruka, vale anche per loro, o riguarda solo me?”
“E’
diverso.”
Ammise
la bionda deglutendo e guardando ovunque, tranne che a lai. Ma questo
fu tutto
ciò che Michiru fu capace di cavarle di bocca,
giacché, pur insistendo molto su
questo punto, Haruka non le spiegò dove fosse la differenza,
anzi, si chiuse in
un silenzio deliberato, trincerandosi dietro la protezione del
quotidiano
aperto davanti alla sua faccia, che mai come adesso le era apparso
così
interessante. Peccato che non stesse capendo una cippa di quanto
febbrilmente
stava scorrendo, benché stesse ostentando il massimo
dell’applicazione.
A
questo punto, esasperata, Michiru decise di giocare a carte scoperte.
Si riempì
nuovamente la tazza di tè, allo scopo di darle il tempo atto
a farle stimare di
potersi finalmente rilassare dai suoi attacchi, e sparò la
bordata successiva,
quella dal calibro più grosso. Raccolse tutto il suo
coraggio e con fare lieve,
quasi spensierato chiese:
“Toglimi
una curiosità Haruka, tu
sei gay?”
Il
rumore del giornale sbattuto sul piano del tavolo fu per Michiru
l’anticipazione
alle due pupille di fuoco che la fissarono come se, da un momento
all’altro, la
loro proprietaria avesse voluto strozzarla. E subito dopo livida di
rabbia la
bionda sbraitò:
“E
questo ora che cazzo c’entra?”
“E
dimmi”, continuò imperterrita e incurante
della reazione che stava deliberatamente
fomentando, “ mi trovi attraente?”
“Perché,
in caso affermativo le due cose andrebbero di pari passo?!”
Incredula
Haruka balzò in piedi, incerta se metterle davvero le mani
addosso o tentare di
salvare il salvabile. Oddio era inevitabile che una cosa simile non
fosse già
accaduta, del resto, lei per prima e più di una volta, si
era meravigliata che
una domanda simile non le fosse stata posta da tempo. Ma, proprio per
questo,
aveva sperato che lei avesse capito e tacitamente accettato. Quindi,
perché
adesso la metteva in questi termini? Maledizione, possibile mai che,
persino
mantenendo quel difficilissimo atteggiamento casto e assolutamente
riservato, era
riuscita a farla sentire minacciata? E allora a che pro si era repressa
per
tutto quel tempo?
Ma
non c’era più tempo per farsi simili domande
ormai, Michiru era davanti a lei e
aspettava una
risposta. Le pareva quasi
di vedere il bivio spalancarsi davanti a lei. La scelta era semplice a
questo
punto: o parlava una volta per tutte oppure negava per sempre.
Fulminea
prese la sua decisione e saltò il fosso prima
d’avere il tempo di ripensarci.
“Sì
sono gay e sì, tu mi piaci.”
Ammise
serrando le mascelle come se si fosse trovata davanti ad un cavadenti
piuttosto
che alla ragazza alla quale stava confessando una parte dei suoi
trasporti.
“Ma…?”
La spronò la violinista davanti alla sua manifesta
riluttanza.
“Cosa?”
“Avanti
Haruka”, l’invitò Michiru sorridendo
debolmente, conscia di quanto le fosse
costata tale affermazione e, allo stesso tempo, consapevole che quella
non
fosse quanto aveva sperato, “sarebbe troppo bello se non ci
fosse un ma. Ti
conosco ormai e so benissimo che devo aspettarmi una postilla, una
chiosa a
margine, che ingarbuglierà tutto di nuovo.”
“Già.”
Approvò la bionda intuendo quanto l’aveva delusa
con quella sua mezza verità.
Ma non poteva farci niente, per il momento questo era tutto quello che
poteva
darle e lei lo sapeva, perché ormai quella ragazzina la
conosceva, pure troppo
per i suoi gusti.
La
cosa migliore sarebbe stata lasciarla stare dove stava fin da quando se
l’era
filata alla chetichella dalla loro comune scuola, ma purtroppo non
l’aveva
fatto ed ora eccole qui, ognuna con le sue ragioni e con i propri
validi
motivi. Che poteva fare ora per rimandare l’inevitabile? Scappare non le era
più possibile, lei per
prima lo sapeva,
anche se era più che
restia ad accettarlo. Tutto ciò somigliava molto ad una resa
e la cosa,
ovviamente, non era un boccone facile da mandar giù.
Optò
per un compromesso.
“Senti
io non lo so, è la prima volta che mi sento così,
e non ci capisco più niente.
Mi pare di essere un fottutissimo sputo nel vento!”
“Questo
mi lusinga Haruka.” Michiru non voleva interromperla,
né intendeva fare dello
spirito inappropriato, ma quel francesismo era troppo comico per non
farglielo
notare. Inoltre, con quella
metafora
bizzarra, Haruka aveva avuto il potere di sciogliere immediatamente la
tensione
che aleggiava tra
loro, laddove, il più
pacato dei discorsi, avrebbe fatto cilecca.
“E
ci mancherebbe altro, hai di che andarne fiera!”
Commentò
sarcastica, dopodiché, passandosi una mano sulla fronte,
prese ad andare avanti
e indietro com’era solita fare quand’era preda alla
preoccupazione.
Michiru se ne stette per un
po’ ad osservare quell’irrequieto andirivieni, ma
ad un certo punto non ne poté
più. Le si parò innanzi e risoluta le
afferrò le mani tra le sue.
“Senti
, se questo ti può aiutare, stiamo lontane per un
po’. Forse in questo momento
la mia presenza continua t‘impedisce di fare chiarezza.
Magari stando separate
capirai cos’è che veramente vuoi. Presto
cominceranno le vacanze estive, prenditi
un po’ di tempo per te sola, senza
legami,
so che ne hai bisogno.”
Haruka
non rispose, si limitò ad annuire un paio di volte. Fortuna
volle che la frangia
spettinata che le cadeva sulla fronte impedì alla violinista
di poterla
guardare negli occhi, altrimenti, se
avesse potuto vederli, non avrebbe avuto la fermezza di lasciarla
andare.
Così
fu che, come d’accordo, non
appena
terminarono le scuole, Haruka
partì alla
volta della penisola di Izu e Michiru tornò alla sua isola
natale.
Passò
un mese, trenta giorni gravidi d’attesa, desiderio e
frustrazione. Ma alla fine
i suoi sforzi furono ricompensati.
Una
notte, la notte in cui le stelle cadono e, coloro i quali se ne stanno con naso
all’insù, le osservano per poter
esprimere i desideri a lungo covati, le arrivò un sms il cui
significato era
manifesto.
Ti
prego, vieni.
Ad
un richiamo simile
non poteva resistere
e neppure ci provò, andò da lei e,
sebbene
ancora non avessero riesumato quel discorso, per il momento non
importava,
poiché adesso era qui, al suo fianco, ad
assaporare il loro ricongiungersi.
Michiru
la contemplò all’altro capo del portico,
comparando il ritratto terminato
mentre i suoi pensieri vagavano attorno al passato recente, e
rifletté sul
fatto che aveva cominciato ad amare la notte proprio
dopo quella che le aveva portato il
trepidante richiamo di Haruka.
Compiaciuta
rabbrividì d’intensa gioia, grata di questo
momento unico che aveva preso ad
attendere, assaporandolo in prospettiva, durante tutto l’arco
delle ore diurne.
Lo scoprire quanto le piacesse la notte era una rivelazione recente,
tuttavia vi
si era abbandonata senza sforzo, con fervore da neofita, e ora le
spalancava il
cuore, lieta del suo perenne manifestarsi.
Forse
anche questa sarebbe stata una semplice notte, una come tante,
poiché nulla la
differenziava da quella topica che l’aveva trascinata qui,
ciò nonostante se
ne faceva irretire lo stesso. Per quel senso
di continuità e di conforto che le
donava, per la consapevolezza che dall’istante in cui fosse
scesa la tenebra, la
calura sarebbe diminuita e il profumo acre del sottobosco avrebbe
cominciato a
solleticarle le narici. Ma
soprattutto l’amava
perché sapeva che al calar del sole lei ed Haruka si
sarebbero adagiate lì
fuori a godere del fresco e della reciproca presenza.
Sì,
forse era soprattutto per questo e persino per
l’insignificante gesto di accendere
le fiaccole che la bionda compiva immancabilmente quando i primi grilli
cominciavano il loro canto notturno. Lo spiava quel gesto, lo covava
sera dopo
sera nell’attesa del suo compirsi, poiché ai suoi
occhi quell’atto aveva preso
una valenza quasi rituale, come se la fiamma tenue a cui Haruka dava
vita esaltasse la
medesima che sentiva arderle
dentro.
E
questo le faceva nascere il sospetto di sbagliarsi, ché
forse non erano dei semplici
vespri estivi quelli che stava vivendo, forse
ogni sera aveva in sé i germogli di qualcosa di speciale,
giacché erano attimi troppo
intensi, troppo carichi di significato, per essere tali e per poterli
confondere con quelli che aveva trascorso sola in riva
all’oceano.
Già
lei era un’isolana, amava gli abissi marini e se ne
considerava figlia,
tanto che quando il sole si spegneva
lentamente nel mare, inondando il cielo di colori di brace e lei veniva
cullata
dal suono della risacca, non
mancava mai
di lasciarsi rapire all’incanto della natura. Pure non le era
possibile
comparare questo senso di armonia con quello d’assoluto che
era nato da quando
aveva respirato la notte nel silenzio di queste selve. Ma la differenza
non
stava nello scenario o nella geografia del luogo, il contrasto era dato
da
colei che aveva fortemente voluto la sua presenza su questa terrazza
affacciata
sul mondo.
Le
lanciò un’occhiata affettuosa abbracciandola e
carezzandola con la sola forza
dello sguardo. Sì era solo merito di Haruka se qui
l’essenza dell’oscurità si
distingueva da qualsiasi altra, anche perché
l’intreccio degli sguardi che si
scambiavano al chiarore di quella fiamma era troppo complesso per
poterlo
catalogare con quelli che avevano già avuti in precedenza.
Ma forse non c’era
da darsi troppe spiegazioni, cincischiare fino a rovinare le sensazioni
che
provava. Era sufficiente solo godere della difformità del
buio e dei sentimenti
che sentiva amplificarsi a dismisura nella libertà e
vastità di questo spazio
incontaminato.
Sorrise
indulgente alla propria ottusità, fino a pochi giorni prima
infatti, per lei le
ore prive di sole non avevano mai avuto un significato personale,
più che altro
soleva ritenerle come una temporanea cessazione di vitalità,
come nient’altro
che una prolungata pausa, in attesa che il sole tornasse e desse il via
ad un
altro giorno. Ingenuamente aveva ritenuto che la luce fosse la vita e
la sua
assenza una piccola, temporanea, scomparsa della stessa. Ma adesso
aveva cambiato
idea, quello spazio immobile e granitico aveva avuto il potere di
toglierle
finalmente i dubbi sui quali per mesi si era dibattuta.
E
dire che non aveva mai sospettato di nascondere una vena di notturno
nel suo
animo, né assolutamente aveva immaginato di aver bisogno di
uno sfondo
saturnino per ampliare a dismisura pensieri ed emozioni. Quanto si
sbagliava!
Doveva
essere stata cieca per non accorgersene, poiché aveva
scoperto di struggersi
letteralmente nell’atmosfera solenne che si poteva creare in
questo luogo
quando la luce scemava e tutto s’ammorbidiva nella
precarietà delle tenebre. Sentiva
in quei frangenti i battiti del cuore rallentare, le sembrava persino
che il
tempo si dilatasse a dismisura mentre colei che le stava di fronte si
stemperava
fino a darle l’impressione che fosse diventata
tutt’uno con il suo essere
più profondo. In quella atmosfera velata
per la prima volta la sentiva vicina, talmente tanto da poterle
finalmente
parlare come dal primo istante avrebbe voluto. E
tutto questo non faceva che esaltare con
violenza le sue emozioni, mentre nel buio Haruka, che di quelle
suggestioni ne
era oggetto e sorgente, le sembrava si trasformasse, poiché
i tratti taglienti
del suo volto risultavano addolciti, i colori aggressivi degli occhi e
dei
capelli si sfumavano e in quel momento le era più cara che
mai.
In
questo remoto rifugio gli strati di ragionevolezza, pudore e
tentennamento che le
si erano opposti nel corso dei mesi precedenti stavano venendo meno ed
ora era
ad un passo dal denudarsi interamente. Ma come avrebbe potuto
altrimenti, circondata
com’era da quella bellissima eco dei suoni accresciuti nello
spazio vergine tra
le gole e le alture?
Li
percepiva come note, segnali annunciatori della tenebra calante, che
come un
manto protettivo, progressivamente l’avvolgeva.
Sì, la notte sarebbe stata la novella
messaggera del momento in cui finalmente avrebbe dichiarato
l’amore che
sentiva.
Si
stiracchiò appagata, felice di quel che sarebbe sembrato
poco e che invece per
lei rappresentava tanto. Felice del leggero graffiare della matita sul
foglio
che così bene si accompagnava all’occasionale
fruscio dell’accoccolato corpo di
Haruka. Felice di quella comunanza esteriormente scevra, che al
contrario molto
sottintendeva, pur restando muta. Ché per raggiungere la
felicità di questa che
poteva apparire come una qualunque serata estiva, aveva speso risorse
che
neppure sospettava di possedere.
Non
era passato neppure un anno da quando aveva posato gli occhi per la
prima volta
su di lei, neppure un anno dal momento in cui era entrata in quel
vortice che
l’aveva scossa e rivoltata come un guanto. E nel frattempo
era cambiato tutto,
poiché nel volgere di una stagione erano mutate molte cose e
ora ogni parola,
ogni movimento, qualunque cosa coinvolgesse entrambe, si
stava caricando, anzi sovraccaricando, di
significati sostanziali. Tanto che questo crescendo di emozioni non
dette, alle
quali ambedue non concedevano libero sfogo, per motivi assai
differenti, si stavano
rimescolando fino a creare una corrente fortissima, che manovrava verso
una
collisione ormai prossima.
Michiru
se lo sentiva nelle ossa, nei muscoli, nello spasmo
dell’addome contratto,
qualcosa, qualsiasi cosa, doveva succedere. Per troppo tempo aveva
abortito le sue
emozioni sul nascere, ed era arrivato
il momento di dar loro voce, lasciando che si librassero fin dove
avrebbero
voluto posarsi. Ma chi poteva dire quando sarebbe arrivato il momento
giusto? Ché
la sfinge che riposava le
allampanate membra a pochi passi da lei testardamente respingeva
affetti e
tenerezze.
Ormai
era diventato una sorta di corrida e Michiru si trovava suo malgrado ad
personificare il ruolo del toro. Tentava di caricarla e sorprenderla da
ogni
angolazione, allo scopo di coglierla di sorpresa, ma Haruka, come un
consumato
torero, con abili volteggi e scatti agili dei fianchi eludeva ogni suo
attacco.
Continuando a piroettare all’infinito ed era
una danza indefinibile la sua, un
ondeggiamento arcano, che non le faceva comprendere lo scopo ultimo di
questa
protratta fuga. Prillava lontano da lei perché inebriata
dalla sua stessa
inafferrabilità, oppure era un rifiuto prolungato ad arte, in modo da porgerglielo con
grazia per non
farla soffrire troppo?
Michiru
non sapeva darsi una risposta, però ormai lei sapeva, il suo
agire era stato
troppo inequivocabile perché fosse altrimenti. E Haruka non
poteva ancora far
finta d’ignorare bellamente quel che provava per lei
maledizione! E se i suoi
sentimenti non erano corrisposti, se durante questa ennesima
separazione era
giunta a questa conclusione, che glielo dicesse chiaramente!
Meglio
un no definitivo, piuttosto che quell’incertezza reticente
che non portava da
nessuna parte.
Fissò
il suo ritratto che aveva tra le mani e poi insistentemente
guardò a lei,
sperando che con la forza del solo sguardo potesse invogliarla ad
alzare gli
occhi. Sentendosi osservata
Haruka
levò il capo e finì dritta tra le braccia di
quelle volute azzurre. Quante
sfumature poteva comprendere lo zaffiro? Se l’era chiesto
spesso negli ultimi
giorni, esattamente come si era detta che non era più
possibile posticipare la
conclusione cui era giunta.
Nonostante
ciò la compagnia di Michiru le era così preziosa,
così appagante, che non aveva
avuto ancora il coraggio d’aprir bocca, sebbene fosse palese
quanto lei stesse
attendendo impaziente. Forse una persona meno onesta con se stessa
avrebbe
cercato un altro accomodamento, ma Haruka era Haruka e davanti alla
dolcezza di
quello sguardo sentì che non era più possibile
fluttuare in quel limbo senza
certezze.
“Vieni
qui Michi” , l’invitò battendo un
colpetto sul cuscino vicino al suo, “siediti
accanto a me. Dobbiamo parlare.”
N.d.A.
Chiedo
venia per l’intervallo assolutamente tardivo cui questo
capitolo giunge.
Purtroppo in altre faccende ero affaccendata J .
Spero
vivamente che nel frattempo nessuno abbia plasmato una bambolina e con
quella
dato via a riti voodoo che riguardassero la mia persona e presunto
lassismo!
Scherzi
a parte, anche a me è dispiaciuto molto dover tralasciare
per tutto questo tempo
le avventure di queste due impedite, ma a volte le grane ci capitano
tra capo e
collo e non si può far altro che stargli dietro, sperando
che si esauriscano nel
più breve tempo possibile.
Mi
scuso con quanti attendevano questo capitolo con ansia e mi auguro di
cuore che
quanto sopra non abbia deluso le aspettative.
Siate
clementi!
Aurelia