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Autore: _M e l_    02/07/2013    2 recensioni
[In the flesh]
[Kieren/Rick | Giallo per precauzione]
Song-fic ispirata dalla canzone 'This is what it feels like' di Armin van Buuren.
Tratto dalla storia:
Allora, sospiri di sollievo.
Stai per tornare a vivere. Con lui.
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One shot scritta per l'iniziativa "Settimana tematica #1: SONGFIC", indetta dal forum Pseudopolis Yard.
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Dedicata a tre grandi persone.
Genere: Angst, Introspettivo, Song-fic | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate
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A Daniele che, pur essendo per me un estraneo, con la sua prematura scomparsa mi ha fatto capire che davvero dobbiamo cogliere ogni attimo possibile della nostra vita, senza lasciarci sfuggire niente.
A mia cugina Federica che, guadagnando la mia più totale ammirazione, è riuscita a superare una situazione affine, e mi domando ancora come.
Infine, a Maria che, pur essendoci da poco avvicinate, mi ha conquistata con il suo sorriso sempre presente e la sua dolcezza disarmante. A lei che mi spinge a vivere davvero ogni attimo e a vedere il meglio di tutte le cose e di tutte le persone. A lei che voglio già un mare di bene e che è una di quelle poche persone al mondo che non si meriterebbero mai di soffrire, perché è una persona splendida e solare.
A lei che è la mia Amy, con la sola differenza che io non sarò stolta come Ren, perché chi la lascia andare perde davvero una meravigliosa amica.
Grazie.



 
«I kept us going. In my head, I kept us alive.»
[3036 parole.]
 
 
 
 
 
«Non avresti dovuto farlo.»
 
 
 
 
«Ok, ci vediamo domani» dice Rick, posando una mano sulla tua spalla. La stringe un po' e tu sorridi, prima che si allontani – mani nelle tasche e camminata lenta. Lo imiti, proseguendo lungo il verso opposto della strada. Porti la bottiglia di White Lightning davanti agli occhi per vedere quanta birra è rimasta, poi la svuoti e, prima di girare l'angolo di casa tua, la lasci cadere nella spazzatura. Hai il volto distorto in una smorfia disgustata, mentre il sapore della bevanda impregna la tua bocca e il liquido ti infiamma un po' la gola. Forse dovresti dirlo a Rick che non ti piace, forse potresti farlo domani – e ti sentiresti rispondere, con espressione stranita, che è impossibile dato che è la migliore, con sguardo un po' deluso un po' scherzoso, che sei sempre il solito strano e  poi, con cipiglio risoluto, bevi e basta.
Scuoti il capo. Magari, invece, non dirai nulla – ti abituerai al sapore e alla sensazione di vomito, non ci vuole tanto – e vi godrete la giornata, come questa sera. Aspetterai la sua chiamata, aspetterai che venga a bussarti e poi passerete la serata a divertirvi, tra sigarette e birre – seppur disgustanti.
Ti chiudi la porta della tua camera dietro le spalle e, ancora vestito, ti stendi sul letto, pronto a dormire.
Sì, vi divertirete domani.
 
 
[Nobody here knocking at my door
The sound of silence I can’t take anymore
Nobody ringing my telephone now
Oh, how I miss such a beautiful sound]

 
«Pronto?»
«Salve signor Macy, sono Kieren Walker--»
«Cosa vuoi?»
«Sono giorni che non sento Rick, mi chiedevo se stesse bene»
«Sta benissimo. È partito, ragazzino; è andato a Preston per la formazione di base.»
«Ah... grazie sig--»
 
 
Sei steso sul letto a pancia all'aria, occhi chiusi e mente in trambusto. Le mani, poste sul tuo grembo, stringono il cellulare: ci ticchetti sopra con l'indice e il medio, in stato di attesa. Aspetti una sua chiamata da settimane ormai, ma sai – speri – che chiamerà, perché, per la miseria, te lo deve. Ti deve una spiegazione per la sua sparizione, ti deve delle scuse per il tormento che ti sta infliggendo – nella testa continuano a susseguirsi le sue parole (Ci vediamo domani) e quelle del padre (È andato a Preston per la formazione di base), le une (Domani) dopo le altre (Preston, formazione di base), in un infinito vortice di dolore –, ti deve un addio.
Chiamerà, lo sai – lo speri. Chiamerà – e così ai ci vediamo domani e ai è andato a Preston si aggiungono i vedrai che chiamerà, al dolore si aggiunge la speranza, al dolore si aggiunge altro dolore. Chiamerà.
Eppure il telefono è muto da settimane, e ti sembra che il silenzio ti stia schiacciando, sotto il peso della sua eco di cose non dette.
Chiamerà, chiamerà, chiamerà.
Apri gli occhi, fissi con intensità il telefono.
Silenzio, silenzio, silenzio.
Lo lanci contro la porta e porti le mani a coprirti le orecchie – non riesci più a sopportarne il suono.
Sei così stanco, così debole – da quant'è che non dormi o mangi? Non lo sai, ma sei sicuro sia troppo –, che anche quel semplice movimento per te è paragonabile allo spostamento di un macigno. Il tuo stesso corpo è un macigno, diresti anche privo di vita se non fossi scosso dalla disperazione o non sentissi chiaramente il battito del tuo cuore nel silenzio della stanza.
Il tuo corpo è un macigno, eppure, quando nella stanza rimbombano dei colpi alla porta, ti alzi di scatto – è speranza quella che trapela dal tuo sguardo e dal tuo mezzo sorriso, è bisogno angoscioso che sia lui, desiderio di rivederlo, riaverlo, riabbracciarlo e baciarlo. Ma la porta si apre, e la forza ti abbandona, lasciandoti ricadere inerme sul letto. È solo tua sorella. È solo la tua piccola Jem che, preoccupata, lancia prima uno sguardo al telefono – ormai rotto – e poi a te. È solo la tua piccola Jem che, premurosa, si avvicina e ti lascia una carezza sul braccio, sedendosi al tuo fianco. È solo la tua piccola Jem e quelle sono solo le sue dita e quello è solo il suo corpo. Chiudi gli occhi. È solo la tua piccola Jem.
«Ren?» il volume della sua voce ti sembra troppo alto dopo giorni che sei, muto, chiuso in quella stanza. La sua voce ti sembra sbagliata – troppo femminile e delicata. Senti la sua mano stringersi attorno al tuo avambraccio, richiamando la tua attenzione. Apri gli occhi e li fissi nei suoi: non ci trovi pena, ma supporto e paura – di perderti. È quest'ultimo sentimento che ti spinge ad abbracciarla e nascondere il viso nei suoi capelli. Lei reagisce in ritardo – forse stupita –, portando le braccia a circondare la tua schiena e stringendoti a lei. Volevi consolarla, farle capire che avevi bisogno di un po' di tempo per ritornare il Ren di prima, ma che non ti avrebbe persa. Volevi consolarla, ma è lei che sta consolando te – accarezza lentamente la tua nuca, passandoti le dita nei capelli, e tu ti senti protetto e senti che con lei puoi lasciarti andare. Una lacrima scivola lenta sul tuo volto, una frase scivola lenta fuori dalla tua bocca: «Mi manca».
Ti stringe un po' di più, mentre tu trai un respiro, inspirando il suo odore, tentando di tranquillizzarti – e di non scoppiare a piangere lì, sulla spalla di tua sorella.
«Non ritornerà», ti risponde. Te l'aspettavi, lei è sempre stata diretta.
«Lo so», dici e ti sembra una pugnalata quel dolore al petto.
Lo sai da quando hai parlato con il padre. Lo sai, come sai che non richiamerà. Come sai che probabilmente ti ha già dimenticato. Lo sai, ma hai necessità di credere che lo farà, contro le tue aspettative, perché quella flebile illusione permette alla tua mente di non essere sopraffatta dal dolore, ti permette di sopportarlo e di respirare.
E forse l'ha capito anche lei, perché si scosta da te, si alza e si dirige verso il tuo telefono. Lo prende, tira fuori anche il suo dalla tasca destra del pantalone, armeggia un po' con i due aggeggi e poi ti porge il suo. Alla tua evidente confusione risponde con un sospiro, alzando gli occhi al cielo.
«Se Rick chiamerà lo farà sul tuo numero, no? Ma se il tuo telefono è rotto non potrai rispondere. Ho messo la tua sim nel mio, puoi usare quello per adesso».
È sincero il sorriso che tira le tue labbra, fa trasparire tutta la tua gratitudine. Lei, però, non ha finito. Si avvicina, infatti, alla tua mensola dei cd, prendendo una scatola rettangolare e svuotandone il contenuto sul tuo cuscino. Non hai il tempo di protestare per il maltrattamento dei tuoi dischi – non ne hai neanche voglia in realtà, forse perché hai già capito il suo intento –, ché lei lascia la scatola sulle tue gambe e un bacio sulla tua guancia.
«Cerca di dimenticarlo, Ren».
Solo quando ormai Jem è uscita dalla stanza, chiudendosi con un tonfo la porta dietro le spalle, noti che il contenitore non è del tutto vuoto. Al suo interno, c'è il cd che Rick ti aveva regalato.
Sai cosa devi fare.
 
 
[Nothing to hold but the memories and frames
Oh, they remind me of the battle I face
without your love, without you I drown]

 
Sei ancora seduto sul letto, la scatola sulle gambe e il cellulare tra le mani. Ti guardi attorno, indeciso sul da farsi. Sei davvero pronto a fare una cosa del genere?
I disegni sulle tele, le fotografie sui muri, i cd sulle mensole, di lui, di voi, ti ricordano che è esistito – che siete esistiti –, ti ricordano che per lui eri importante.
Il dipinto che gli avevi fatto a quattordici anni, ti riporta immediatamente agli anni del liceo, quando eri uno sfigato – troppo esile, troppo debole, troppo strano per la cittadina di Roarton dai ragazzi possenti, virili, amanti della caccia e dello sport. Ti riporta agli spintoni e le prese in giro, alle percosse e le frecciatine. Ti ricorda che eri solo e che non avevi alcuna voglia di cambiare quella situazione. Ti ricorda che non te ne importava. Ti ricorda che invece interessava a lui. Ti ricorda che si era avvicinato a te senza che tu gli avessi chiesto niente, ti ricorda che aveva fatto lui il primo passo. Ti ricorda che ti proteggeva e che ti aveva salvato quando neanche tu sapevi di dover essere salvato.
Ritornerai ad essere quell'impassibile sfigato o deciderai di abbandonare questa merda di città, con la certezza, però, di perderlo per sempre?
La foto in cui lui, scherzosamente, ti stringe il collo nella morsa ferrea del suo braccio, sfregando il pugno chiuso sulla tua nuca, ti riporta agli inizi della vostra complicata relazione, quando sapevate di piacervi – quando sapevi già di amarlo –, ma aveva una stramaledetta paura di accettarlo. Ti riporta a quando lo stesso giorno in cui era stata scattata quella fotografia lo avevi baciato di nascosto, spingendolo contro il muro della vostra tana – l'avevi bloccato tenendo la sua testa tra le mani, le dita fra i suoi capelli, e avevi assalito la sua bocca, così, senza apparente motivo. Ti ricorda l'impulsività che ti aveva spinto a farlo, l'urgenza che avevi provato di far scontrare le tue labbra contro le sue. Ti ricorda che ti aveva scostato con violenza, ti ricorda i suoi occhi colmi di paura. Ti ricorda i vostri respiri affannosi, poi il suo scatto repentino che ti aveva riportato su di lui – e a nessuno dei due importava delle sue mani strette con troppa forza attorno le tue braccia, del lieve dolore che ti stava causando, dei lividi che sarebbero comparsi il giorno dopo. Ti ricorda che dopo era stato lui a baciarti, con disperazione e terrore. Ti ricorda la sua foga, i suoi denti che mordevano le tue labbra e la sua lingua che cercava furiosamente la tua. Ti ricorda il sapore stranamente dolce dei suoi baci, che strideva con il suo profumo aspro. Ti ricorda il suo amore, che faceva a pugni con la sua ostinazione nel trattarti rudemente, come solo sapeva fare.
Riuscirai ad amare qualcun altro o lascerai che ti tolga anche questo?
I cd delle canzoni che più gli piacevano ti riportano ai compleanni e le festività passate con lui, quando ti regalava qualcosa. Ti riportano al suo impaccio dovuto non al fatto che non sapesse cosa farti, ma al fatto che, facendoti un regalo, potevano etichettarlo come finocchio. Ti ricordano che, nonostante ciò, non c'era mai stato una volta in cui avesse mancato un regalo. Ti ricordano che era il suo modo di dirti ti amo. Ti ricordano che con quel singolo gesto ti voleva far capire che ti amava più di quanto gli fregasse degli altri, più di quanto gli fregasse del padre.
Riuscirai a riascoltare quelle canzoni senza che i pensieri ti sommergano o ti lascerai soffocare da questi?
Posi la scatola sulla scrivania e il telefono al suo fianco sinistro. 
Sei davvero disposto a dimenticare?
Con un groppo in gola, inizi a staccare le foto dalle pareti e a posizionarle nel contenitore. Foto dopo foto, disegno dopo disegno, disco dopo disco, il cuore ti si contorce nel petto e le lacrime abbandonano i tuoi occhi.
Quando hai finito, nella stanza è rimasto solo, posato sul pavimento, il suo dipinto. Quello e il dolore che stai provando basteranno a farti ricordare di voi, l'impassibile sfigato e il ragazzo che lo ha salvato.
Decidi, però, di tentare un'ultima carta. Così, dopo aver posizionato la scatola sotto il tuo letto, ti siedi alla scrivania, foglio sul tavolo e penna alla mano. E inizi a svuotarti.
 
Caro Rick,
senza di te io annego, ma tenterò di salvarmi. Devo farlo, per Jem.
 
 
[And I don’t even know how I survive
I won’t make it to the show without your light
No, I don’t even know if I’m alive
Oh, oh, oh, without you now
This is what it feels like]

 
«Mamma, tutto bene?»
«Siediti, Ren, per favore»
 
«Mamma?»
«Ren... Rick è...»
«Rick cosatornato?
«Rick è morto»
 
Sorridi, incredulo, quando Jem conclude la frase di vostra madre. Tenti anche una risata — l'aria gratta contro la tua gola, ma il suono decide di restarvene ancorato, graffiandola, così ciò che esce fuori sono solo sbuffi isterici. Cosa stanno dicendo?
Rick è nato per fare il soldato. Rick lo sognava da una vita. Rick si preparava da una vita, con il padre che l'istruiva ad usare il fucile e a sparare finché non centrava il bersaglio. Rick che schivava tutti i colpi egregiamente, che sa difendersi, che sa picchiare. No, Rick non può essere... deve essere uno scherzo.
No. Rick deve rispondere alle tue lettere, Rick deve richiamarti, Rick deve tornare. Rick ti deve delle scuse, una spiegazione. Rick ti deve un addio. Rick non deve essere... che assurdità!
Perché Jem si sta inginocchiando difronte a te? Perché posa il suo palmo destro sulla tua gamba? Perché con la sinistra sposta il tuo viso fino a costringerti a guardarla negli occhi?
«Ren, Rick è morto»
Perché lo ripete? Crede che tu sia così stupido da cascare in quello stupido scherzo di dubbio gusto?
Improvvisamente il suo tocco ti infastidisce, come la sua voce, e, bloccando le sue parole, le prendi il polso sinistro tra le mani, allontanandolo dalla tua faccia. Nonostante l'irritazione, però, stai ancora sorridendo, mezzo shoccato.
«Ok, adesso...» ma non continui, perché senti dei singhiozzi provenire dal tuo fianco. Volti lo sguardo lentamente, finché non entra nella tua visuale tua madre. Mamma, perché piangi? Vorresti chiederglielo, ma le parole ti muoiono in gola, e le corde vocali non sembrano più voler rispondere ai tuoi comandi.
Sei confuso, cerchi tuo padre, ma anche lui ha gli occhi rossi, e le vedi le lacrime solcare il suo viso. Perché siete tristi? Di nuovo, non hai voce per porre quella domanda.
Allora ti ancori a lei, l'ultima speranza, quella che è sempre diretta, quella che non direbbe mai una bugia – non a te –, tua sorella. Le iridi chiare della tua piccola Jem richiamano le tue, le iridi chiare della tua piccola Jem ti mostra tutto il suo dolore.
Nelle iridi chiare della tua piccola Jem leggi la verità.
Il sorriso muore lento sul tuo volto, mentre il tuo cuore sprofonda e non riaffiora più. Il tuo corpo si irrigidisce, mentre l'angoscia lo pervade. La mente urla, mentre la consapevolezza la destabilizza.
I tuoi occhi bruciano, ma le palpebre non battono, e le lacrime non cadono.
Rick è morto.
Ti alzi tremante, barcollando arrivi all'imbocco del salotto, pronto a salire in camera. Ti muovi come un automa ormai, senti che la vita ti abbandona pian piano.
«Domani c'è il suo funerale» tuo padre pronuncia quelle parole senza sapere cosa ti provocheranno.
Sgrani gli occhi, come colpito da una saetta. Le parole che ti hanno perseguitato nei primi mesi in cui era andato via, rientrano nella tua testa prepotentemente.
«Ci vediamo domani»
Fai un sorriso tirato.
Sì, domani ci rivedremo.
Poi, il tuo autocontrollo vacilla, e, finalmente, piangi. Ed è sofferenza in ogni dove.
Come potresti sopravvivervi? Come possono anche solamente chiederti di farlo?

 
All'indomani, stavolta – che era proprio la volta in cui avresti preferito non succedesse –, l'hai visto veramente.
Erano suoi gli oggetti che i conoscenti ponevano all'interno della bara. Era sua la cassa che veniva calata con lentezza nella fossa. Era sua la lapide commemorativa, con la foto che lo ritraeva sorridente in uniforme militare.
Era suo il funerale. Rick è morto.
Sei nella tua stanza, seduto sul tuo letto e assorto a fissare con sguardo vacuo la parete di fronte a te. Ti ripeti quella frase da questa mattina, domandandoti perché non provi niente.
Solo adesso lo capisci. E ti dai dell'idiota.
Idiota per le volte in cui, in quei mesi passati, hai preso gli anti-depressivi perché ti sentivi triste. Idiota per le volte in cui, in quei mesi passati, hai trattenuto le lacrime e le urla perché te n'eri stancato. Idiota per le volte in cui, in quei mesi passati, hai provato a frenare il dolore perché era troppo forte. Idiota per le volte in cui, in quei mesi passati, hai zittito le speranze perché ti sembravano inutili.
Adesso non provi più tristezza, né voglia di piangere e urlare. Non provi dolore, né hai più speranze. Non provi assolutamente più nulla, e pagheresti tutto l'oro del mondo pur di ritornare a quei mesi passati. Tutto l'oro del mondo pur di riavere la possibilità di rivederlo, un giorno – e riaverlo e riabbracciarlo e baciarlo.
Ma adesso lui è morto, e ti senti così anche tu. Ecco che cosa si prova realmente a restare senza lui.
Come potresti sopravviverlo? Come possono anche solamente sperare che tu lo faccia?
Ti alzi lentamente e lentamente esci dalla tua stanza. Lentamente scendi le scale che portano in salotto, lentamente arrivi alla porta di casa e la chiudi alle tue spalle. Lentamente percorri la strada che ti separa dalla vostra tana, lentamente ti ci intrufoli dentro.
È il coltellino svizzero che porti nella tasca dei jeans o la coscienza di ciò che stai andando a fare che ti rallenta?
Non lo sai, non hai la forza di pensarci. Perché stai pensando a quando ti difendeva, stai pensando al vostro primo bacio, stai pensando ai suoi regali. Pensi al suo sorriso, al suo profumo, al suo sapore. Pensi ai suoi occhi brillanti di luce propria e vitali. Pensi che voleva fare il militare da quand'è nato, ma che l'ha fatto veramente solo perché tu stavi per andartene. Pensi che è a causa tua se lui è morto e ti accorgi che neanche i sensi di colpa riescono a scalfirti.
Sollevi le maniche della camicia, arrotolandole fino al gomito – proprio come ti aveva insegnato la tua mamma per non sporcarti. Prendi il coltellino e lo apri, scegliendo l'arma più tagliente – proprio come ti aveva insegnato il tuo papà per rompere i lacci più resistenti. Chiudi gli occhi e ricordi i momenti più felici della tua vita, mentre la lama taglia prima il braccio destro e poi quello sinistro – proprio come faceva la tua piccola Jem per sopportare il dolore delle sue sbucciature.
Così, pensi a Jem che cammina sulle punte, alla mamma che cucina l'agnello, al papà che perde ai giochi da tavolo, a Rick che si muove dentro di te, e non ti accorgi del sangue che scorre, se non quando pensare diventa troppo faticoso e il battito del tuo cuore rallenta, rallenta, rallenta.
 
Allora, sospiri di sollievo.
Stai per tornare a vivere. Con lui.
 
 
[Somebody save me, I’m going down.]
 
 

 
«Io ci ho fatti andare avanti. Nella mia testa, ci ho fatti restare in vita.»












I versi in corsivo all'ineati sul lato destro sono tratti dalla canzone 'This is what it feels like' di Armin van Buuren. La prima frase e quella finale - nonché anche alcune frasi che si trovano all'interno della storia, ma che non ho tempo di citare - provengono dallo stesso telefilm.
Songfic scritta per l'iniziativa "Settimana tematica #1: SONGFIC", indetta dal forum Pseudopolis Yard.


Non ho molto da dire in realtà, se non che ho cercato di fare del mio meglio per dedicare una bella storia a quelle personcine citate lassù e perché il tema trattato è a me caro.
Spero solo di esserci riuscita :)
Per qualsiasi cosa, come sempre, non esitate a domandare :)


Ringrazio chi metterà la storia tra le seguite/preferite/ricordate, chi recensirà e chi leggerà solamente :)
Vostra,
     _M e l_
   
 
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