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Autore: kurage    04/07/2013    1 recensioni
[KAISOO] "Mi prese delicatamente in mezzo al verde, nel giardino c'eravamo soltanto noi. Sentivo il suo leggero tocco sulla mia pelle. Mi guardava negli occhi e piano sfiorò le mie labbra con le sue, non avevo mai provato l'emozione di un bacio, e mai avrei dovuto. Almeno, non in quel modo. Tra quei fiori e quelle piante sacre, stavo commettendo un peccato, ma nonostante questo non riuscivo a fare nulla per oppormi. Forse perché era quello che in fondo volevo anche io."
Genere: Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shonen-ai, Yaoi | Personaggi: D.O., D.O., Kai, Kai
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Mi prese delicatamente in mezzo al verde, nel giardino c'eravamo soltanto noi. Sentivo il suo leggero tocco sulla mia pelle. Mi guardava negli occhi e piano sfiorò le mie labbra con le sue, non avevo mai provato l'emozione di un bacio, e mai avrei dovuto. Almeno, non in quel modo. Tra quei fiori e quelle piante sacre, stavo commettendo un peccato, ma nonostante questo non riuscivo a fare nulla per oppormi. Forse perché era quello che in fondo volevo anche io.
 
Avevo sette anni, un giorno uscii di casa per giocare in giardino. Quand'ero bambino mi piaceva sedermi nel prato ed esplorare quel piccolo mondo che si nascondeva in mezzo all'erba, e ogni volta scoprire qualcosa di nuovo. Faceva caldo, e per ripararmi dal sole me ne stavo seduto sotto l'ombra dell'albero più grande che avevamo in giardino. Era davvero alto, mia madre mi aveva detto che aveva più di milioni di anni, e mi rivelò, facendomi promettere di non dirlo a nessuno, che era magico. Mi raccontò una storia che ancora oggi conservo nella memoria con lo stesso entusiasmo di quando ero bambino. Quando ancora l'uomo non abitava la terra, al mondo esisteva solamente quest'albero. Un giorno Dio infuse lo spirito santo nelle sue radici, e da lì nacque la vita espandendosi per tutto il pianeta. Per questo motivo pensavo che anche solo stare sotto le sue fronde mi rendesse speciale.
Quel giorno mi addormentai sotto le sue foglie, il vento mi accarezzava il viso e mi sentivo cullato dal dolce canto degli uccelli. Improvvisamente una luce si insinuò nei miei sogni e una voce parlò al mio cuore. Capii che quella voce mi stava chiamando e io sentii il dovere di rispondere a quel richiamo. L'anima si staccò dal corpo e fluttuando nel cielo, cercò di raggiungere le nuvole più alte. Cercava Dio, e  io volevo trovarlo. In quel momento capii quale fosse il mio scopo nella vita e volli raggiungerlo a tutti i costi.

Sono cresciuto in una famiglia cristiana, e sono stato educato a seguire il cammino di Dio. Non ho mai pensato potesse essere una cosa sbagliata, tuttavia non sono una di quelle persone che prende per dogmi qualsiasi cosa gli venga detta. Mi hanno sempre presentato la religione come l'unica via giusta da seguire, l'unica via con la quale poter raggiungere la salvezza dell'anima, e ho sempre pensato che non esistesse cosa migliore. I racconti di mia madre, i pomeriggi estivi di preghiera passati sotto la dolce ombra del grande albero, non ho mai pensato che la mia infanzia potesse essere migliore di così. E fu infatti per questo motivo che decisi di intraprendere la strada che pensavo mi avrebbe avvicinato a Dio più di chiunque altro, ed entrai in seminario.

La vita al seminario era una vita tranquilla. Faticosa, ma lo studio e l'applicazione erano le uniche cose che mi venivano richieste, e io sono sempre stato bravo in questo genere di cose. A volte parlavo con qualcuno, ma non posso dire che inizialmente avessi dei veri e propri amici. Non che mi trovassi male con gli altri, sono sempre stata una persona piuttosto socievole, solo che non pensavo di aver qualcosa di particolare da dire o da condividere con gli altri ragazzi e spesso preferivo starmene in silenzio per conto mio.
C'era un luogo nel quale amavo stare, e quando non avevo impegni di tipo scolastico o religioso mi rifugiavo lì, dal momento che, ancora non capisco per quale motivo, nessuno ci andava mai. Questo posto era il tetto. Ci si accedeva attraverso una piccola scala a chiocciola situata in un angolo del salone comune, e salendo un'altra scala si arrivava ad un piano più alto, dal quale riuscivo a vedere addirittura il mare. Sopra il tetto c'è una piccola stanzina dentro la quale vengono riposti vecchi attrezzi, mi piace quella stanza. D'inverno quando fa freddo è un posto perfetto per ripararsi dalla pioggia, mentre d'estate è l'ideale per ripararsi dal sole. In qualsiasi situazione, riuscivo a trovare pace lì dentro.
Invece, la camera nella quale dormivo, era una stanza al piano terra, con la finestra che dava sul giardino. Avevo un letto ad una piazza con la testiera in legno, una scrivania ed un armadio a muro. Il bagno invece, era in comune. Ai piedi della finestra c'era un piccolo inginocchiatoio in legno dorato, quando pregavo mi piaceva guardare dalla finestra e immergermi nel verde del giardino. Quando lo facevo svuotavo totalmente la mente, in questo modo sentivo una speciale connessione spirituale con la divinità.

Un pomeriggio, mi inginocchiai come mio solito affacciandomi alla finestra e cominciai a fissare ciò che si trovava oltre al vetro. Davanti a me vedevo degli alberi e alcuni cespugli con delle bacche rosse, e dietro i cespugli c'erano delle bellissime rose gialle. Per via del sole facevo fatica a metterle a fuoco per cui assottigliai lo sguardo e mi concentrai su uno di quei fiori. Improvvisamente qualcosa piombò davanti alla mia visuale, facendomi sobbalzare in preda allo spavento. Era un ragazzo che picchiettava sul vetro e mi pregava allarmato di farlo entrare. Ancora con il cuore che mi batteva forte per la sorpresa aprii la finestra e lo feci entrare. Lui, prima che io potessi chiedergli qualcosa, senza dire nulla, si nascose sotto la scrivania e quando feci per dire qualcosa lui mi fece cenno di stare in silenzio e indicò la finestra. Mi girai per guardare, mi affacciai, ma sinceramente non capii esattamente a cosa si riferisse né tanto meno il motivo del suo comportamento.
Mi soffermai a guardarlo. Aveva dei capelli castani e la carnagione scura. Un viso con dei lineamenti particolari, devo ammettere di averlo trovato molto bello, rimasi quasi colpito dal suo aspetto. Indossava una maglietta sportiva e dei pantaloncini corti scuri. Ansimava continuando a guardare dritto davanti a sé.
Quando sembrò essersi calmato uscì da sotto la scrivania e si pulì i pantaloni dalla polvere mentre io lo fissavo senza parlare, aspettando che fossi lui il primo a dire qualcosa.
«Me la son vista brutta,» disse finalmente continuando a guardare fuori dalla finestra con circospezione. Poi, notando la mia aria un po' confusa proseguì: «Ah, scusa, io sono piombato qui così.. ma mi stavano inseguendo, è una storia un po' lunga da spiegare. Comunque, io mi chiamo Kim Jongin.»
Mi sorrise e mi porse la mano per una stretta. Io la strinsi con un po' di diffidenza.
«Oh, ma come siamo freddi. Voi uomini di chiesa siete tutti così?» disse con un tono leggermente canzonatorio. «Scherzo, come ti chiami?»
«Do Kyungsoo,» risposi, senza aggiungere altro.
«Bel nome,» mi sorrise. Io feci un piccolo inchino in segno di ringraziamento.
«Posso sapere esattamente da cosa stavi scappando?» chiesi.
Rise e scosse leggermente la testa.
«Esattamente no. Però posso dirtelo a grandi linee.. erano dei ragazzi.»
«Dei ragazzi..» ripetei. «E immagino che non mi possa dire esattamente neanche perché dei ragazzi ti stessero inseguendo, giusto?» 
«Giustissimo.»
Salì sull'inginocchiatoio con i piedi e cercò di arrampicarsi per uscire nuovamente dalla finestra.
«Fermo! Non puoi salire coi piedi lì!»
Senza prestarmi apparentemente troppo ascolto continuò a cercare un buon appiglio per darsi una spinta.
«Quante storie, ci metti le ginocchia, mica la faccia!»
Sbuffai e lasciai perdere, anche se avessi cercato di spiegargli avevo la sensazione che non avrebbe capito. Lui, dopo essere riuscito a darsi una spinta definitiva ed essere uscito dalla stanza, si affacciò alla finestra rivolto verso di me. Si guardò un po’ intorno e poi mi disse:
«Ehi, grazie. Scusa, sono piombato così, ma non avevo altra scelta. Tu però non dire niente a nessuno.»
Annuii.
«Sarà il nostro segreto,» disse ancora sorridendo, poi si allontanò.
Spolverai leggermente la superficie dell’inginocchiatoio e mi inginocchiai nuovamente continuando a guardare il giardino.
Che persona strana, pensai. Scrollai le spalle. Non penso che lo rivedrò ancora.

Il giorno dopo mi svegliai e andai a fare colazione nella mensa. Mi sedetti accanto a quello che più avrei potuto definire “amico”, il suo nome era Jongdae. Con lui parlavo spesso durante i pasti, mi ci trovavo bene. Talvolta devo ammettere di non essermi trovato in perfetta sintonia con alcune delle persone con le quali mi era capitato di parlare da quando ero entrato in seminario, non parlo solo di miei coetanei ma anche di persone molto più grandi di me, ma con lui era diverso. Lui mi capiva, in un certo senso. Pensai che a lui avrei potuto parlare della piccola incursione del giorno prima, ma alla fine decisi di non farlo e di mantenere al massimo la promessa.
«Non è strano?» mi disse Jongdae. «Ieri pomeriggio ho visto una persona correre per il giardino, sembrava un ragazzo della nostra età.»
«Sul serio?» chiesi facendo finta di nulla, lui annuì continuando a mangiare la sua colazione. 
«Mhn, mi chiedo come sia riuscito ad entrare,» aggiunse.
«Già, strano,» risposi.

Lo stesso giorno, al termine del pranzo tornai nella mia stanza e mi sdraiai sul letto. Fissai il soffitto per qualche minuto senza pensare a niente. Per la prima volta dopo tanti anni mi era tornato il bisogno di cantare. Il bisogno pressante di esprimere le mie emozioni attraverso il canto. Mi alzai dal letto e andai verso la finestra. Chiusi gli occhi e sfiorai il vetro con le dita. Quell’istante, quella sensazione, mi fecero tornare in mente momenti della mia infanzia, il candore di quell’albero. Senza rendermene conto cominciai a cantare una di quelle canzoni che in quelle calde giornate accompagnavano le verdi fronde, una di quelle che riusciva ad avvolgermi il cuore e a darmi pace. 
  
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