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Autore: Alvin Miller    05/07/2013    0 recensioni
Credevate che avessi detto tutto il dicibile su Alvin Superstar dopo la mia trilogia "IL DRAMMA DELL'AMORE"? Ebbene no, c'era un altro personaggio al quale non avevo ancora dato un minimo di attenzione nelle mie fic, così, armato di ispirazione, mi ci sono buttato a capofitto, concependo una delle fic più deliranti della mia carriera XD! E ora, non posso che augurarvi buona lettura nella speranza che vi piaccia!
N.B. Questa fic può considerarsi a tutti gli effetti un continuo de "La storia delle Chipettes", mia fic precedentemente scritta. Non tanto per la trama, quanto per alcune ambientazioni e personaggi che vengono riproposti qui. Se non avete avuto possibilità di leggerla, quindi, fatelo prima di questa!
TRAMA: Ridotto al lastrico da una vita piena di rammarichi, Ian Hawke trascorre le sue giornate in una squallida casupola in una delle tante contee del Wisconsin. La sua vita si basa esclusivamente sul poltrire davanti alla tv, sopravvivendo quel tanto che basta per farsi passare le giornate. Ma quando, di punti in bianco, si ritrova costretto ad ospitare in casa una nuova "coinquilina", imparerà presto che le vie del destino spesso sono più imprevedibili di quanto uno potrebbe mai immaginarsi...
Genere: Comico, Commedia, Demenziale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altri, Nuovo personaggio
Note: Movieverse | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Un violento fulmine impattò non molto lontano, mentre Ian percorreva a lunghe falcate il sentiero lungo la foresta.
Correre nel cuore nella boscaglia durante quel tempaccio era il modo migliore per essere colpiti da una saetta vagabonda, ma oramai c’era in mezzo e non aveva senso tornarsene a casa proprio ora.
Vagava nel bosco alla ricerca di una meta che non conosceva, un gran bell’inizio, considerati i rischi a cui andava incontro.
Sapeva solo di dover raggiungere un ruscello, e la memoria lo guidò verso l’unica radura nella quale avrebbe potuto trovarne uno.
La strada da percorrere era lunga e tortuosa, e per completarla dovette superare diversi ostacoli, tra cui alberi caduti da saltare, enormi cespi di rovi da evitare e aree fitte di vegetazione da scostare, finché non trovò la via che lo avrebbe condotto all’arrivo. In lontananza riusciva già a udire lo scrosciare dell’acqua risuonare, in contrasto al rumore delle fronde scosse dal vento.
Finalmente arrivò alla radura, uno spiazzo di terreno ricoperto da foglie morte e fango, dal diametro di circa venti metri, con un ruscello che ne attraversava il fianco destro. Il corso veniva spezzato da piccole cascate che infrangendosi sulle rocce contribuivano a creare una melodia di acqua in scorrimento che avrebbe saputo trasmettere calma e relax a chiunque si fosse fermato a contemplarla. Ian però, non era giunto fin lì per godersi un pomeriggio all’aria aperta.
Si guardò intorno per trovare dei riferimenti che potessero aiutarlo e nel frattempo scavò nella sua memoria alla ricerca delle parole recitate da Randal.
«Una radura con un ruscello. Ma che altro?» Si interrogò ad alta voce «Cosa mi avevi detto, Randal?» Chiuse gli occhi e si picchiettò la fronte per cercare di ricordare «vicino al… al… che diavolo era? In una radura… attraversata da un ruscello… vicino… al “sasso a forma di sasso”» spalancò gli occhi in una smorfia di smarrimento «sasso a forma di sasso?! Che accidenti è un “sasso a forma di sasso”?!?»
Nella foga di mandarlo via, non si era minimamente preoccupato di chiedere a Randal cosa avesse voluto dire con quell’esclamazione. Un sasso a forma di sasso, cosa mai poteva essere? Quando lo udì dal vivo, Ian credé che l’avesse detto solo per costatare il suo livello di attenzione, e solo ora si stava pentendo di non avergli dato le giuste attenzioni.
Si guardò intorno alla ricerca di un qualunque indizio che potesse fornirgli la soluzione del rebus, finché un dettaglio non richiamò la sua attenzione: era sulla riva del ruscello, e qualunque cosa fosse, dava l’idea di stonare con il resto del paesaggio. Ian si avvicinò per osservarlo attentamente e ciò che trovò fu una specie di piccola targhetta metallica inchiodata a un masso. Notò anche che su di essa era incisa un’iscrizione, macchiata qua e là da un accenno di muschio e licheni in via di sviluppo:

“Pierre sous la forme de pierre”

Di

Antoine Marchand

Il nome non gli era nuovo. Aveva sentito dire che di recente un controverso artista di Parigi aveva deciso di fare della contea il teatro di mostra per alcune delle sue “opere”, e che alcune di esse erano state concepite proprio all’interno della foresta. Che fosse questa una esse?  
«Pierre sous la forme de pierre… » ripeté sussurrandolo. Aveva ancora dei rudimenti di lingua francese dai tempi in cui, da manager discografico, gli capitava di dover rispondere a qualche domanda nel corso delle tournee a Parigi. Ci pensò su un po’ e capì «Pietra dalla forma di pietra, ma certo!»
Malgrado i dubbi sulla qualità in se “dell’opera d’arte”, ebbe la conferma di trovarsi nel posto giusto.
«Quindi adesso devo solo trovare un albero cavo nel quale potrebbero nascondersi dei chipmunk, uhm… » intorno a se vedeva solo alberi; alberi piccoli, alberi grandi, alberi ovunque.
«Facile come scaricare la musica pirata!» Disse con tono autoironico.
Camminò per la radura, analizzando attentamente ognuno degli alberi in cui incappava il suo sguardo. Sapeva di dover cercare un nocciolo, il punto è che non aveva idea di come distinguerlo.
Intravide solo dopo una lunga ricerca, un tronco cavo che avrebbe potuto corrispondere alla descrizione di Randal: era bucato e, apparentemente, era anche un nocciolo.
«Sarà quello forse?»
Si avvicinò con estrema cautela, pronto a svignarsela nel caso qualche animale gli fosse balzato addosso con intenti aggressivi. Per fortuna, nessuna minaccia minò la sua salute.
L’anfratto dell’albero si rialzava a un’altezza di circa venti centimetri maggiore rispetto a quella di Ian, così per poterla raggiungere, dovette aggrapparsi a un ramo e tirarsi su per riuscire ad affacciarvisi.
L’interno oscuro e silenzioso lo mise a disagio. Si aspettò che da un momento all’altro qualcosa gli balzasse addosso con l’intento di dilaniargli il naso o ancora peggio, cavargli gli occhi.
«Ehila, c’è qualcuno in casa?» Chiese con tono vacillante, senza ricevere risposta. Deglutì nervosamente e si spinse ancora più in dentro con la testa. I suoi occhi erano ancora troppo abituati alla luce per permettergli di scrutare la tana con il massimo del dettaglio, ma quando finalmente le sue pupille cominciarono ad accettare l’oscurità, con la coda dell’occhio riuscì a localizzare la piccola occupante del nido, che se ne stava rannicchiata in un angolino a fissarlo con diffidenza.
 Il piccolo cucciolo di chipmunk, una femmina, dal manto giallo canarino, molto più chiaro rispetto a quello di Randal, lo guardava con occhi timorosi ma pieni di curiosità.
«Hey, ciao piccolina! Non avere paura. » La rassicurò, ottenendo l’effetto opposto. La piccola si schiacciò ancora di più verso la parete dell’albero cavo e si coprì con la piccola coda ergendola a mo’ di scudo.
«Sono un amico di tua padre, mi ha mandato lui da te.» Continuò Ian.
La piccola ebbe un sussulto, come se lo avesse capito. «Pa-pà?» Squittì con voce incerta e tartagliante, come quella di un bambino alla sua prima parola.
«Sì, esatto!» esultò l’uomo «mi chiamo Ian Hawke. Papà vuole che tu venga con me. Starai a casa mia per un po’. Ok?»
La piccola fissò il vuoto, pensierosa. «H-Hawke?» pronunciò una prima volta. Quel nome non le era nuovo. Poi parve rimembrare « uh… Hawkey-Hawke!»
Di tutti i modi in cui era stato chiamato in passato, da “Zio Ian” per i Chipmunks, a “babbeo” per gli amici, passando per “gonzolino” – che era il nome con cui lo appellava sua madre – quello della piccola era senza dubbio il più balzano che avesse mai sentito.
«Sì, certo…» commentò perplesso. Il rombo tonante di un lampo che s’infrangeva nelle vicinanze gli ricordò di doversi muovere. Non pioveva ancora, ma a giudicare dalle nuvole sempre più nere in cielo e dal vento che si alzava sempre più furente, non avrebbero dovuto attendere a lungo prima che l’ondata temporalesca li investisse. «Ehm, su coraggio. Dobbiamo andare!»
Cercò di infilare una mano all’interno della fenditura per afferrarla, ma non fece nemmeno in tempo a sfiorarla che la piccola gli affondò d’impulso le zanne sull’indice.
L’uomo urlò, più per la sorpresa che non per il dolore, rischiando a momenti di perdere la presa dal ramo e schiantarsi di testa sulle solide radici emergenti dell’albero. Per fortuna, con uno strattone riuscì a liberarsi il dito prima che ciò accadesse . La piccola ridacchiò burlesca.
«Ma sei impazzita?! Mi stavi staccando un dito, brutta piccola mmm…manticora!»
La chipmunk cambiò subito atteggiamento smettendo di sogghignare, si sentì offesa e cominciò a frignolare rumorosamente.
«Oh… no, ti prego! Su non piangere! Io non volevo offenderti!» Cercò di giustificarsi, ma a nulla valsero le sue parole. Urgeva una soluzione immediata  «io… Manty… sì… sì! Io volevo dire Manty! Ti chiamerò così, ti piace?»
La piccola smise di piangere, ma lo guardò con circospezione «M-anty?»
«Sì, Manty…  beh, se a te piace… »
La chipmunk meditò sulla proposta, e per un attimo Ian temette che stesse per tornare a far i capricci. «Manty sìì! Man-ty p-piace Hawkey-Hawke!» Annunciò invece lei, con grande sollievo dell’uomo.
«Fiuu. Ok, così va meglio. E a proposito, adesso è meglio andare. Niente più morsi, ci siamo intesi?»
«Hawkey-Hawke!» Asserì ancora.
«Già… Hawkey-Hawke, come vuoi tu. Yuhuu…»
Tentò di afferrarla una seconda volta e sta volta non ci furono più aggressioni da parte sua.
«Reggiti forte, mi raccomando.» La avvertì.
 Scesero giù dall’albero e tenendo la piccola chipmunk in mano, Ian ripercorse a perdifiato il sentiero di ritorno, prima che la pioggia cominciasse a incedere su di loro.

«Eccoci qua, benvenuta a casa di Ian Hawke.» La accolse, ostentando una sicurezza che invece non aveva.
Nel frattempo fuori la pioggia aveva iniziato a imperversare sulla contea, accompagnando con il suo fiotto i fischi del vento che si abbatteva sulle case e il rugghio dei fulmini che lambivano il cielo con le loro ragnatele di luce.
La appoggiò su di un mobile e la piccola saltellò allegra.
«Hawkey-Hawke!» Ripeté lei.
«Vaa bene… ora… ehm, non so esattamente cosa farti fare maaa… che ne dici di un giretto per la casa? Così ti ambienti un po’.» Propose, anche se non era ancora sicuro che la piccola riuscisse a capirlo in tutto e per tutto.
La chipmunk si guardò intorno, studiando con grande curiosità l’ambiente circostante di quel mondo “umano” che fino a quel momento non aveva mai visto. Dopo di che, indirizzò la sua attenzione su Ian per rispondergli con un «O-ei» (“Ok”) per poi saltare giù e cominciare a correre di qua e di là per la casa, attraversando sulle sue piccole zampette le varie stanze alla velocità della luce.
«La piccoletta corre… » costatò Ian tra sé e sé.
“Ok, calmo! Puoi farcela! E’ come per le rock star: basta che le assecondi di tanto in tanto e per il resto puoi fare quello che vuoi. Quanto sarà difficile?” Disse a se stesso per spronarsi.
Stava per tornare dalla chipmunk quando d’improvviso la senti piangere nuovamente. «Oh, no! Cominciamo bene.»
Ian andò a cercarla. «Hey, piccoletta, dove sei?»
Malgrado la udisse distintamente, dovette metterci un po’ a trovarla.
Guardò in una stanza e la chiamò «Piccola?» Niente.
Guardò in un’altra e di nuovo «Manty? Sei qui?» Ma ancora nulla.
Finalmente, giunto in cucina, la trovò. Era in piedi sul bancone e piangeva. «Che succede? Ti sei fatta male?» Le chiese con premura. Una rapida ispezione lo convinse che non si era fatta niente. «Meno male. Ok, che cerchi, cosa vuoi?»
Manty non la smetteva di piangere.
«Di che cosa avrà bisogno… » si chiese «ehem… vuoi… dormire?» Manty piangeva.
«No… vuuoii… un giocattolo?» Pianse più forte.
Ian si spazientì «e che cavolo, si può sapere cosa vuoi?!» Manty era una cascata di lacrime e un’orchestra di stridenti pianti.
«Vuoi mangiare qualcosa?»
Finalmente si placò.
«Uff… ok, mangiare… cibo, vediamo… cosa mangeranno i cuccioli di chipmunk?» Si guardò intorno in cerca di qualcosa da darle, scavando nel frattempo anche nella sua memoria. Ai tempi in cui aveva ospitato i Chipmunks, per quel poco che aveva vissuto con loro, li aveva nutriti a dolci e colesterolo, al contrario delle Chipettes, con le quali era stato più coscienzioso, nutrendole con frutta e verdura per preservarne la linea che avrebbero dovuto esibire ai concerti ai quali avrebbero dovuto prendere parte. Il problema era che ora non aveva né gli uni né gli altri.
Guardò in uno dei ripiani, alla ricerca di un sacchetto di noccioline che era convinto di avere, ma niente. Si era sbagliato. «Dannazione!»
Doveva fare qualcosa. Probabilmente era tutta la giornata che la piccola non metteva qualcosa sotto i denti, e dubitava altamente che quell’irresponsabile di suo padre, pronto com’era a darla in adozione, si fosse preso la briga di portarle qualche dispensa di cibo.
Rimase in riflessione sull’argomento ancora per un po’, fino a che il suo sguardo non lo guidò alle chiavi della macchina, che gli diedero la soluzione.
«Ho trovato!» Esclamò poi, rivolgendosi a Manty «allora, ascolta. Io adesso vado a comprarti qualcosa da mangiare, perché qui non ho niente per te, ma tu, per favore, resta qui e non andartene, ci siamo intesi?»
La piccola lo fissò con gli occhi ricolmi di fiducia e un sorrisetto abbozzato sul volto. «Hawkey-Hawke!»
Ian restò ammutolito per qualche secondo, ma poi parlò «Ok, ci siamo intesi.»
Si preparò in fretta e furia indossando solo una giacca di finta pelle marrone scuro tutta rovinata e un paio di vecchie Nike da jogging sporche e insudiciate, prese le chiavi dell’auto e la congedò con un «Torno subito!» per poi correre fuori armato d’ombrello per affrontare la pioggia che ancora non accennava a fermarsi.
Manty restò da sola.
In un primo momento non fece nulla. Stava seduta là, dove Ian le aveva chiesto di rimanere e obbediva, ma poi la fame e la noia presero il sopravvento.
Armata della sua inesauribile curiosità, all’inizio ispezionò la cucina con lo sguardo, sondando l’ambiente, fino a che non trovò ciò di cui era alla ricerca. Dopo di che vi si buttò a capofitto non curante delle conseguenze delle sue azioni.

«Eccomi, sono tornato!» Si annunciò Ian venti minuti dopo. Con sé aveva una borsa della spesa piena di frutta fresca di negozio. Frutta secca, di bosco, del fruttivendolo, di qualsiasi tipo ne avesse trovata, e in più si era preso la premura di comprarle un paio di pacchetti di biscotti e amenità varie.
Si aspettò che Manty, sentendolo rientrare, si gettasse a capofitto verso di lui, magari esultando col suo “Hawkey-Hawke” per esibire la gioia del suo ritorno, ma non fu così.
Ian non perse tempo e andò subito in cucina, dove si augurò di ritrovarla pazientemente in attesa sul balcone dove l’aveva lasciata.
«Ho una sorpresa per te! Penso ti piacerà… » la voce gli si spezzò in gola. Si aspettò di trovare quasi di tutto al suo rientro, ma non lo spettacolo osceno che la piccola aveva scatenato intorno a sé! La borsa con la spesa gli cadde dalle mani atterrando con un tonfo sordo sul pavimento, mentre l’uomo osservava attonito lo spettacolo delle cibarie del frigo cosparse un po’ dappertutto nella stanza.
In qualche modo, Manty era riuscita ad aprire lo sportello del frigo e a intrufolarvisi, ma non si era limitata a pasteggiare con tutto ciò che vi aveva trovato all’interno. No, lo aveva anche rovesciato sul parquet e su tutto il mobilio, a partire dai battiscopa del lavandino per giungere alle mensole attaccate alle pareti.
Cosa più sconcertante, Ian trovò Manty per terra, intenta a spolpare dalle ossa gli avanzi del pollo arrosto di due sere prima.
Quando la piccola chipmunk - che in quel contesto, più che un roditore, pareva un piccolo coguaro famelico, con brandelli di arrosto pendenti dalla sua bocca - si accorse della presenza di Ian, lo accolse alla vista di quel macabro spettacolo con uno dei suoi entusiastici «Hawkey-Hawke!»
«Hawkey-Hawke anche a te… » rispose Ian, con lo sguardo disperso nel caos della cucina e nel pasto della chipmunk.
Manty riprese a divorare la carcassa dell’arrosto, incurante del fatto che madre natura l’avrebbe concepita come “fruttivoro”.
«Se non altro abbiamo risolto il problema della fame… » farfugliò Ian, indeciso se sottrarle quel che rimaneva della carcasse e correre il rischio di finire egli stesso nel menù, o lasciarle stravolgere la catena alimentare continuando quel lugubre pasto. Alla fine optò saggiamente per la seconda scelta.

Per farla dormire, Ian aveva riempito una piccola scatola per scarpe con alcuni panni recuperati da vecchi abiti del guardaroba, e l’aveva portata nel suo studio con l’intento di farla dormire lì.
Dopo averla accompagnata in braccio nella stanza e averla appoggiata tra i morbidi stracci di quella cuccetta improvvisata augurandole la buonanotte, si stava convincendo che finalmente quella lunghissima giornata stava ormai volgendo al termine, e non vedeva l’ora di gettarsi sul letto per una lunga e riposante dormita. Malauguratamente per lui, Manty non era dello stesso avviso e glielo dimostrò balzando fuori e defilandosi come un razzo.
«Hey, Manty! Dove cavolo stai andando?! MANTY!!»
Altro che meritato riposo. Ian dovette rincorrerla per mezz’ora in giro per casa! Manty correva di qua e dì là, in qualunque piano o superficie riuscisse ad appoggiare le zampette, saltando sopra i mobili e nascondendosi sotto i tavoli, dovunque pur di non farsi acciuffare. Quando finalmente la recuperò, tornò nuovamente nello studio per ritentare la medesima operazione, e lei di nuovo lo morse sul lembo di pelle tra pollice e indice per poi fuggire di nuovo. Ne seguì un altro inseguimento.
La ritrovò arrampicata sul guardaroba in camera sua. Non sembrava avere il fiatone, al contrario di Ian, che ormai aveva il cuore a mille e il fiato corto.
«Manty, per piacere… sono esausto! Voglio andare a dormire. Ti prego, scendo giù!» La supplicò alternando ansimi e colpi di tosse.
«NO!» Rispose lei, mettendogli il broncio.
«Manty!» Tuonò di nuovo Ian, adirato.
La piccola scosse la testa. Non aveva nessuna intenzione di scendere.
Ian si rimestò alla ricerca di una soluzione, ma scarto subito la prima. Non aveva il coraggio di provare a prenderla, gli bastava il dolore pulsante alla mano a ricordargli di essere cauto.
Doveva escogitare qualcos’altro. Qualcosa che potesse mettere d’accordo entrambi, perché era chiaro che se anche fosse riuscito a catturarla e rinchiuderla nella stanza dello studio per quella notte, non avrebbe potuto ricorrere alla stessa manovra anche nelle sere seguenti. Manty  non si sarebbe fatta gabbare una seconda volta. Le circostanze esigevano un piano alternativo, ed era pressoché ineluttabile che le richieste e le suppliche non funzionavano con quel piccolo mostriciattolo.
Si osservò intorno alla ricerca di una soluzione e gli giunse quella più assurda di tutte, ma appunto per questo, forse l’unica efficace.
«E se… ti facessi dormire nel mio letto mentre io me ne andrò sul divano?»
Manty osservò il materasso, rimuginando sulla proposta. «No!» Rifiutò, quindi.
“Piano B” si disse Hawke tra sé e sé.
«E se… dormissi con me?»
Questa volta l’offerta fu accolta. «Sì!!» Esultò lei. Sembrava quasi che non mirasse ad altro che a questo. Spiccò un balzo dalla cima del guardaroba e atterrò sulla spalla di Hawke, soddisfatta dell’accordo, al contrario di Ian, che invece si sentiva recalcitrante. Ma oramai il dado era tratto, non aveva altra scelta che assecondarla.
La prese in braccio per l’ennesima volta e quindi la condusse al letto, ove la appoggiò con una raccomandazione: sarebbe tornato poco dopo, a patto che lei avrebbe fatto la brava e si sarebbe messa a dormire senza fare altre storie. «Ok?» Ammonì in conclusione.
«Shi!» rispose lei.
 La fece entrare sotto le coperte e la rimboccò, spense le luci e cercando di mantenere un atteggiamento composto, uscì dalla stanza.
A quel punto si assicurò solo di allontanarsi di qualche passo lungo il corridoio e quando si sentì abbastanza al sicuro, prese fiato e diede libero sfogo al panico represso: «OH MIO DIO!! Questa è una pazzia!! Hawke! Hawke! Non Può andare avanti così, non può!» Stava iperventilando «Si è mangiata tutto il pollo! Lei… una chipmunk… il pollo!» Si guardò la mano ferita dal morso «Oh no! Si mangerà anche me! Calma Ian, calma… devi solo… devi solo chiedere aiuto a qualcuno! Sì, aiuto! Già… ma a chi?»
Ebbe un sussulto, forse aveva la risposta. Raggiunse il bagno, dove la sua attenzione corse subito al suo riflesso nello specchio.
«“Riflesso”? Ehm… “Dave dall’altra parte dello specchio”? Ci siete? Aiutatemi!» Ma no, questa volta non vi furono voci nello specchio a parlargli.
«Specchio riflesso, parlami… adesso!»
Niente.
«Ehm… specchio, specchio delle mie brame, salvami dalla sua fame!»
E nemmeno questa nenia funzionò. «E dannazione!»
Doveva trovare qualcos’altro.
«Hawkey-Hawke?»
La vocetta di Manty, giuntagli così bruscamente alle orecchie, lo fece urlare e trasalire, tanto che quasi cadde di peso nella doccia.
La chipmunk era alla soglia della porta, e lo stava guardando.
«Ehm, piccola… io… io arrivo subito. Non ti preoccupare, stavo solo… uh… provando una nuova canzone, eheh… “Specchio, specchio delle mie brame, chi mi salverà dalla sua fame. Specchio, specchio tu lo farai, specchio, specchio, tu mi salverai!”» la intonò canticchiandola a ritmo di un’improvvisata musica «Capito? E’ il ritornello di una canzone, tutto qui! Vai a dormire, io ti raggiungo tra poco, promesso! Ok?»
Manty curvò il capo verso destra, perplessa, ma poi annuì e se andò.
«Fiù!» sospirò l’uomo «Ok, niente panico. Puoi farcela! Sei grande e grosso. Tempo che cominci a mangiarti, tu sarai già scappato! E solo una chipmunk, che vuoi che sia?» Respirò con calma, cercando di placare il terrore che gli scorreva nelle vene «già. Una chipmunk che scarnifica polli arrosto…»

In stanza, la scostò leggermente per avere spazio dove sdraiarsi. Era ancora scettico dell’idea di condividere con lei il letto, ma mentre la guardava appisolarsi, dolce e innocente, per un istante non gli parve più tanto spietata come se l’era figurata poco prima. Era iperattiva e ribelle, questo sì, ma pericolosa no. Tuttavia, un pensiero cadde alla memoria del fu Randal: chi sa se si comportava in questo modo anche con lui? Se così fosse stato, in parte lo si sarebbe potuto quasi compatire. Con una figlia del genere ogni padre sarebbe impazzito.
Mentre se lo diceva tra sé e sé, non si accorse che Manty si era svegliata e gli si stava accoccolando al suo fianco, un po’ come quella volta con Theodore Seville. Solo che stavolta non la scacciò via, ma le lasciò fare, guardandola mentre s’infilava sotto le coperte lasciando spuntar fuori delle coperte solo la testolina.
Si assopì subito dopo, senza mordere, senza strillare, senza piangere, e soprattutto, senza agitarsi.
Ian trasse silenziosamente un sospiro di sollievo.
«Buona notte, piccoletta.» Le augurò.
«N-ote Hawkey-Hawke.» Bofonchiò lei con la voce offuscata dalla sonnolenza.
Ian sorrise d’istinto, pensando che malgrado tutto Manty era un vero fenomeno della natura. Ancora non era nemmeno in grado di parlare correttamente, eppure era già in grado di comprendere al volo tutto ciò che le dicevano. E sapeva persino rispondere a tono!
Rimase a osservarla dormire ancora per un paio di minuti, dopo di che accantonò i pensieri che gli albergavano in testa e si sdraiò accanto a lei dopo aver spento la luce sul comodino .

La mattina, il risveglio fu problematico. Ian era abituato a usare la sveglia per alzarsi, (anche se non aveva un lavoro da svolgere o un appuntamento da raggiungere), e poiché l’ultima in suo possesso aveva vissuto una brutta esperienza con la parete della stanza, ciò lo aveva portato a svegliarsi in ritardo. Molto più in ritardo di quanto dovesse. La mattina infatti si destava dal letto alle nove in punto. Ora, invece, si svegliò a mezzogiorno e mezzo.
Ma il vero dramma non era questo, quanto lo scoprire che al contrario di lui Manty era in piedi già da un pezzo, e probabilmente aveva una fame da lupi… una fame da branco di lupi!
«Manty!» Esclamò.
Uscì dal letto compiendo un balzo inumano e con la stessa agilità si catapultò fuori dalla stanza, guidato verso il salotto dal rumore della TV accesa.
«Manty, sei qui?» chiese esagitato, una volta raggiunta la stanza.
 La chipmunk era sul divano, con il dorso appoggiato sullo schienale e le zampe distese in avanti in una perfetta postura da relax .
«C-iao, Hawkey-Hawke!» Lo salutò lei con il suo ineluttabile entusiasmo.
«Oh, meno male. Sei qui!» Trasse un sospiro di sollievo, convinto di averla scampata per un soffio, ma aveva parlato troppo presto. L’uragano Manty aveva colpito ancora, e ora se ne accorse.
«Oddio, che hai fatto alle tende?!?» Urlò tanto da farsi male alla gola, mentre si stringeva le tempie con le mani.
Le tende erano state ridotte a brandelli, con diversi segni di lacerazioni da graffi e morsi che apparivano ben evidenti laddove il tessuto non era stato del tutto strappato dalle loro asticelle di supporto. Alcune erano ridotte peggio di altre, con parti di lino sparpagliate per terra e su tutto il mobilio, mentre altre sembravano persino scomparse nel nulla, come se fossero state mangiate.
«Oh no! No! No! No! Perché?!» Ian fece ricorso a tutta la sua buona volontà per non aggredirla. «Perché devi fare così, non puoi startene ferma per… » mentre si girò per guardarla, la vide sgranocchiare con innaturale ingordigia il telecomando della TV. Glielo strappò con la forza dalle zanne.
«Hey!» Esclamò Manty, tentando persino di morderlo per riappropriarsi del suo “osso”.
«“Hey” un bel niente! E’ il momento di cominciare a stabilire delle regole se vogliamo andare d’accordo. So che mi capisci, quindi ascolta bene: regola numero uno, questa che vedi qui intorno è casa mia! » indicò tutto la stanza con un gesto delle mani «E se vuoi continuare a viverci devi piantarla di masticare ogni cosa che ti capita sotto mano! Chiaro?!»
In Manty comparve una smorfia di disappunto. «S-hi…» (“Sì”) bofonchiò lei, volgendo lo sguardo altrove.
«Bene, lo spero, perché adesso arriva la regola numero due: siccome è casa mia, decido IO cosa si può fare e cosa no, perciò, quando io ti dico NO a qualcosa, è INSINDACABILE! Chiaro?»
«Oc-chei.»
«Regola numerò tre, e questa è la regola più importante» Le indicò il morso sulla mano. «Non-si-morde-il-padrone-di-casa! Spero di essere stato chiaro anche su questo!»
Uscì dalla stanza, sperando che nel frattempo Manty avrebbe riflettuto sui suoi errori mentre rimaneva da sola, e puntò alla caffettiera. La macchina sta volta aveva funzionato, ma a causa dell’orario, il caffè era ormai freddo. Pazienza. Se ne versò una tazza e lo bevé lo stesso.
Per terra era appoggiata in un angolo la borsa con gli acquisti della sera prima, ma ora come ora, non aveva molto senso riporli nei ripiani: Manty aveva già provveduto a depredarla da cima a fondo, svuotandola dal suo contenuto e disseminando briciole di biscotti e bucce di sfrutta ovunque.
Tornò in salotto.
«E un'altra regola: da oggi il mangiare te lo darò io, negli orari che deciderò io e nella quantità che riterrò opportuna io!»
«Hawkey-Hawke?» Lo chiamò lei, triste in viso.
«Che c’è?»
«Pa-pà?» Biascicò lei.
Tutta la sicurezza di Ian mantenuta fino a un istante prima, crollò come un castello di carte abbattuto dall’impatto con quella domanda.
«Oh… ehm… » non sapeva come comportarsi, tanto meno, non riuscì a dirsi se quell’uscita improvvisa fosse stato un astuto piano per deviarlo dal farle la predica o se veramente era preoccupata per le sorti di suo padre, fatto sta che il suo viso comunicava una profonda inquietudine.
Ian andò a sedersi vicino a lei, sul divano.
«Vedi, piccola… tuo padre è… » prima o poi avrebbe dovuto dirglielo, ma quando? Ora forse? «E’ dovuto partire per un po’. Ieri era venuto da me, e… e mi aveva chiesto di prendermi cura di te per un po’.» Non ebbe il coraggio di confessarglielo.
«Ca-nto?»
«Canto?» Ian non la capì, sta volta.
«No… Q-anto?»
«Quanto? Oh… uhm… non lo so. Credo per un po’.» Le mentì.
«Oh… »
«Già. Per il momento credo che dovremo imparare ad abituarci l’uno dell’altra.»
In fondo non aveva altra scelta. Non poteva di certo cacciarla di casa proprio ora .
«Ma promettimi che farai la brava. Ok?»
«Eheheh, s-hi.»
Quel sogghigno non promise nulla di buono a Hawke. Non avrebbe rispettato le quattro regole, questo era lampante, ma chi poteva dirlo? Forse era come diceva lui, dovevano solo abituarsi a quella strana convivenza.
«Piccola furbetta.» La etichettò Ian, e di risposta Manty gli fece un occhiolino beffardo.
Rimasero insieme a guardare la TV per una decina di minuti. A un certo punto su un canale passarono un video dei Chipmunks e delle Chipettes, uno dei tanti che stavano circolando in quel periodo, complice il nuovo album in uscita entro un mese.
Manty restò ammaliata nel vedere quei suoi simili esibirsi in TV.
«Quelli sono “Alvin e i Chipmunks”. Ho avuto a che fare con loro qualche anno fa. Una storia lunga, magari un giorno te la racconterò.»
A guardarla, però, Manty sembrava più concentrata alle tre scoiattoline in costume di scena, che non alle loro controparti maschili.
«Oh, e quelle sono le Chipettes. Stanno insieme ai Chipmunks da qualcosa come quattro anni. Anche loro me ne hanno fatte passare di tutti i colori.»
«Chi-tette?» Domandò Manty.
Ian scoppiò a ridere.
«Ma no! ChiPette, con la P!»
Manty meditò un paio di secondi.
«Chitette!»
Ian fece spallucce. “Bé, d'altronde, perché contraddirla?” Pensò tra sé e sé.
«E va bene, come vuoi tu. » Restarono in silenzio a guardarli ancora per un po’, poi Ian aggiunse «Ti piacciono?»
Era curioso di sentire la risposta, anche se già immaginava quale sarebbe stata: un misto tra il giubilo e la frenesia di qualcuno in overdose da caffeina. In pratica, come la reazione di una qualunque fan di fronte al suo idolo.
Dopo aver osservato con attenzione il video musicale e aver ammirato la maestria con la quale i sei chipmunk sullo schermo alternavano versi di canzoni a spettacolari mosse di danza acrobatica, la risposta definitiva di Manty fu:
«Chitette chifo » (“schifo”)
No, decisamente Ian Hawke non  se l’aspettò. Mostrò un sorriso a trentadue denti, uno di quelli che la gente esibisce di fronte a un blando tentativo di contenere un’imminente eruzione di gioiosa soddisfazione.
«Lo sai? A parte i morsi e tutto il resto, ho l’impressione che io e te andremo molto d’accordo, piccola.» Disse poi, per tentare di placare almeno in parte il suo desiderio di gridare “VITTORIA!”

Più le ore passavano e più stava cominciando ad accettare di buon grado la coabitazione con quel piccolo ciclone di nome Manty.
Tuttavia, prendendo il valore della sua inesperienza come “tutore”, sommata alle sue ridicole disponibilità economiche ed elevando il tutto al fattore “Caos” che la piccola si lasciava dietro al suo passaggio, Ian sapeva che quella convivenza non sarebbe durata a lungo. Aveva bisogno di un aiuto. Almeno per schiarirsi le idee sull’ABC del perfetto “patrigno di un chipmunk”. Purtroppo nelle librerie non era ancora disponibile un “ Allevare chipmunk per inetti”, perciò decise di affidarsi all’unico uomo che su quel campo aveva una riconosciuta esperienza pluriannuale.
Deciso ciò, si armò della cornetta del telefono e compose un numero.
«Pronto?» Rispose la voce dall’altro capo.
«Dave, sono io.» Si annunciò Ian.
Dave esitò. «Io… chi?»
Sbuffò. «L’addetto alla nettezza urbana, Seville! Ci risulta che non avete pagato le bollette dell’ultima mensilità, perciò stiamo venendo a riportarvi la spazzatura delle ultime quattro settimane!» Annunciò acidamente.
Dave rimase attonito per un lasso di tempo compreso tra i tre e i cinque secondi, secondo in più, secondo in meno. «Ian, sei tu?» Chiese dunque.
«E’ bello sapere che ancora ti ricordi della mia voce, Dave.»
«Scusami. E’ che non me l’aspettavo una tua chiamata, non dopo la discussione di ieri!»
«Per quanto riguarda quella, mi dispiace. Mi ero svegliato con il piede sbagliato.»
«Diciamo pure con entrambi i piedi sbagliati!» Scherzò. Ma Ian non raccolse la battuta.
«Senti, Dave. Vengo subito al punto. E’ un po’ strano quanto sto per chiederti, ma… mi trovo invischiato in una faccenda piuttosto delicata.»
«Di che si tratta, Ian? Hai bisogno di soldi?»
«No, no, è solo che… bé, mettiamola così. Ho… ospiti in casa.»
Ian tacque brevemente ed ebbe un sussulto. «E di che tipo?» Disse poi.
«Bé, non è che siano proprio ospiti… diciamo, un… una coinquilina…»
Altra pausa. «Ho capito, ti sei preso la cotta per qualcuno e vuoi dei consigli. Ma purtroppo non posso aiutarti, dovresti saperlo.»
«Dave, i Chipmunks te lo dicono mai di piantarla di saltare alle conclusioni affrettate?» Gli chiese seccato.
«Ma che ci posso fare se continui a parlare per indovinelli! Mi dici di che si tratta senza girarci intorno?» Controbatté.
“E va bene, diciamoglielo.” Si rassegnò Ian.
Trasse un profondo respiro e poi parlò. «Vedi, Dave. Il fatto è che ho in casa un… cucciolo femmina di chipmunk. E non so bene cosa fare per prendermene cura, quindi ho pensato: magari potevo chiedere a te, dato che tu te ne tieni in casa sei e hai ancora una parvenza di sanità mentale. Tutto qui.»
Dall’altro capo del telefono Dave non fiatò.
«Ehm, Dave? Sei ancora in… »
«COS’HAI TU?!?» Esplose d’improvviso dando libero sfogo a tutto il fiato che aveva in corpo
«Ok, ritiro quello che ho detto sulla sanità mentale.» Canzonò Ian dopo essersi ripreso dal frastuono.
«Non posso credere che tu l’abbia fatto di nuovo, Ian! Avevi detto di essere cambiato! E invece sei ancora qui a rapire chipmunk per quei diavolo di sogni di vendetta che nutri verso di noi!»
«Hai finito di lanciarmi contro calunnie oppure hai ancora qualcosa da dire?» Gli chiese, mantenendo un atteggiamento calmo e a tratti distaccato.
«Ho ancora qualcosa da dire, per la miseria! Non so dove tu l’abbia trovato, ma riportalo subito indietro finché sei in tempo! Oppure questa volta finisce che ti porteranno alla gogna in piazza con il pubblico che si gusterà lo spettacolo tra bibite e pop corn!»
«Bé, vedi Dave» si grattò la nuca «vista la situazione, in questo caso particolare sarei ben felice di fare come mi hai detto. Ma ahimè, non posso farlo.»
«Oh, si che lo farai! E anche alla svelta, oppure… »
«Che vuoi fare?» lo interruppe con fermezza «Denunciarmi alla protezione animali? Bene, fallo pure, ma prima siediti comodo e goditelo te lo spettacolo. Perché adesso ti racconterò io in che casino mi sono cacciato, e se vuoi aiutarmi, mi ascolterai. D’accordo?»
Dave indugiò sulla proposta, ma poi si convinse a dargli almeno una chance. «D’accordo. Parla.» Tuttavia, la sua voce non parve molto convinta.
Ian gli riassunse la vicenda che lo portò ad “adottare” Manty, partendo dal principio raccontandogli di Randal e della sua presunta (pessima) fine, per poi proseguire con tutti gli avvenimenti che si era ritrovato a dover gestire da quando la piccola era piombata nella sua vita. Non tralasciò alcun dettaglio, arrivando a parlargli persino delle tende strappate e dei morsi alle mani.
«Ah.» fu la risposta secca di Dave al termine del racconto.
«Tutto qui? Cioè, fammi capire bene… fino a poco fa sembrava che ti dovessero abbattere per farti tacere, e ora non hai niente da dire?!»
«No… è che… non credevo che la situazione potesse essere questa.»
«Capisci in che casini mi trovo, quindi? Ho bisogno di aiuto, Dave! La piccola mi ha già divorato le riserve di cibo di tutta la casa e si è mangiata persino gli avanzi dell’arrosto di pollo!»
«Stai forse dicendo che le hai dato da mangiare della carne?!»
«No! Ha aperto il frigo e l’ha depredato, DA SOLA!»
«E come… »
Ian non lo fece parlare. «E per favore, non chiedermi come ha fatto ad aprirlo, perché io proprio non lo so!»
«E’ possibile che l’hai lasciato aperto mentre te ne andavi?» Suggerì.
«Non lo so!» Gridò Ian «E ora come ora non mi interessa, tanto ormai è vuoto. Il fatto è che non so già più che fare! Per oggi va bene, per domani potrei farcela. Ma tra una settimana? Tra un mese? Tra… un anno??»
«E’ una situazione un po’ difficile, Ian, lo so…» fece comprensivo «tra l’altro io ho con me i ragazzi da quando erano già grandicelli. Ma da quel che mi hai detto, lei deve avere solo, quanto, quindici mesi?»
«Quattordici.» Lo corresse.
«Giusto. Quindi mi trovo un po’ impreparato a questa cosa… »
«Perché, io no?» Chiese di getto.
«E’ vero. Bé, ci penserò su e vedrò di inventarmi qualcosa… »
In quel momento a casa Seville, mentre Dave era al telefono con Ian, Simon e Eleanor fecero la loro comparsa nella stanza. L’uomo e i due chipmunk si salutarono con un cenno e restarono ad ascoltare la conversazione.
«Che succede?» Si intromise Simon.
«Ehm, Ian, resta un attimo in linea per favore.» Dave coprì l’estremità inferiore della cornetta con il palmo della mano.
«Ian ha in casa un cucciolo di chipmunk femmina.»
«Cosa?!?» Risposero in coro Simon ed Eleanor, sbigottiti.
«Non posso crederci! L’ha fatto di nuovo!» Aggiunse poi Simon.
«Ho detto anch’io la stessa cosa, ma è una situazione particolare questa volta.» Spiegò Dave.
«Di che tipo?» Chiese Eleanor.
«E’ complicata da spiegare. Ma ora Hawke sta cercando qualcuno che gli dica come prendersene cura. Vi viene in mente qualche nome?»
I due Chipmunk lo fissarono confusi, chiedendosi tra le righe se in quel momento il loro tutore non fosse impazzito.
«Non guardatemi così, ragazzi. So benissimo che state pensando, ma o lo aiutiamo oppure lo lasciamo in balia della piccola. Cosa credete che sia meglio?»
Il Chipmunk e la Chipette concordarono con lui e cominciarono a far ruotare le ruote degli ingranaggi. I pronostici davano Simon per vincitore, ma alla fine fu Eleanor ad avere la risposta.
«Bé… ci sarebbe “Lei”…» asserì, avara però di dettagli.
«“Lei” chi?» Chiese Simon.
«Lo sai.» Sostenne, sicura di se.
Simon rimuginò reggendosi il mento con la mano, finché infine si schiarì le idee. «Ah già… è vero! Lei è perfetta!»
«State parlando di chi penso io? Quella “Lei”?» Intervenne Dave.
«Proprio lei “Lei”.» Confermò Eleanor.
Dave strabuzzò gli occhi. «Ma certo!» Poi guardò verso i due chipmunk, indirizzando la sua attenzione su qualcosa. «Ma… un momento. Da quando voi due andate in giro insieme?»
Simon ed Eleanor sussultarono e si scambiarono sguardi imbarazzati mentre gesticolando compulsivamente cercavano di mettersi d’accordo su chi doveva parlare. Tocco a Simon. «Ehm… ogni tanto capita, Dave. Che c’è di male?»
«Ah, ok.» La loro risposta stiracchiata fu più che sufficiente. Evidentemente Dave non ci aveva comunque dato molto peso. Tornò a rivolgersi a Ian, mentre Simon ed Eleanor si scambiarono occhiate d’intesa alle sue spalle.
«Ian, sei ancora in linea?» Lo chiamò.
«Finalmente! Sì Dave, ci sono. Dimmi che hai buone notizie!»
«Diciamo di sì, ma prima una domanda… hai i soldi per un viaggio in aereo?»
   
 
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