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Autore: _Nausica    08/07/2013    4 recensioni
Rose Weasley.
Caos e confusione
È il panorama di sempre tra il groviglio indefinito di cugini che la intrecciano in una trama già scritta, e il sigillo di due genitori già brillanti. Un nome incandescente che rischia di plasmarla nel magma dell’anonimia.
Caos e confusione.
È la paura di lasciarsi sommergere dal disordine che le appartiene.
Sembrerà più facile essere trasportata in un mondo dove realtà e inganno si confondono, e quel confine tra fragilità e orgoglio sarà messo a dura prova dal ragazzo, odiato e amato, che irromperà nella sua vita. Costretta ad affrontare quel gioco semplice e affascinante dell’essere in due, farà emergere dal caos il suo significato, il suo reale contenuto.
Finché anche Scorpius Malfoy prenderà forma dentro sé
Dal testo
Il getto di acqua calda la tranquillizzò. Poi le ricordò il calore dei vapori di quella sera impregnare la camicia di Scorpius e spingerla contro il suo petto sicuro; i capelli biondi ricadere sul volto imbronciato; gocce d’acqua accarezzare i suoi lineamenti, seguire il profilo del naso, lambire le labbra sottili.
Avvertì pressione sulle cosce, lì dove lui l’aveva afferrata per lasciarsi imprigionare dalle sue gambe. Per avere la possibilità di toccarla.
Genere: Avventura, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Albus Severus Potter, Nuovo personaggio, Rose Weasley, Scorpius Malfoy | Coppie: Rose/Scorpius
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nuova generazione
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Sembrava l'inizio di una qualche felicità.
Poi si sa come vanno le cose, scivolano sempre, impercettibili, non c'è verso di fermarle, se ne vanno, semplicemente se ne vanno,
hai un bel cercare di fermarle: se ne vanno.


 

CAPITOLO I

 

Wabi - Sabi 




 

La villa in pietra bianca che la famiglia Weasley aveva affittato per le vacanze estive era avvolta dal verde londinese e si diramava, tra le fresche fronde, attraverso un ampio sentiero che sfociava nel lago aperto. La signora Weasley non aveva potuto trattenere un’esclamazione di giubilo a tale vista e si era immersa nel panorama bucolico con uno spirito da esploratrice, che non poco aveva fatto preoccupare l’interdetto marito.
Certo non le era mancato il sostegno da parte della famiglia, o più precisamente era stato il giovane Hugo, curioso e agile come un felino, ad accompagnare la madre in una solerte analisi del mondo campestre, esausti entrambi del grigiore della capitale, dalla quale tutta la famiglia Weasley tentava di evadere con la contemplazione di una realtà più esotica e spontanea.
Più di tutti, Ron Weasley aveva osservato la figlia maggiore, Rose, per tempra a lui tanto più simile di quanto Herimione avesse piacere di ammettere, passeggiare con piedi leggeri lungo la riva del lago, la mente assorta in chissà quali pensieri e lo sguardo vacante, lieve come i suoi passi, o mentre si abbandonava nel lago aperto all’ondeggiare della barca, inabissata in lontane letture.
Che alla sua esuberante bambina, briosa e intelligente fosse subentrata una difficile ragazza, facilmente irritabile, dallo spirito sagace ma troppo spesso scettico e stizzito, Ron lo attribuiva all’età delicata e passeggera, mentre la madre sosteneva, arricciando il naso e alzando gli occhi al cielo, che quei geni erano fin troppo radicati in famiglia, per essere un’ increspatura momentanea della sua dolce rosa.
Tuttavia in lei Ron coglieva anche delle sfumature che appartenevano alla moglie, delle piccole crepe lungo la sua dura corazza che la ragazza nascondeva abilmente, ritenendole, ancora ingenuamente, debolezze, ma che allo sguardo accorto del padre di certo non sfuggivano: erano i momenti in cui si imbarazzava per qualche complimento ampolloso o quando le ferite dell’animo si confondevano con un’ indole impetuosa e lo sguardo, che si affrettava ad abbassare, era umido e offeso.
 

Ron Weasley consumava la sua colazione delle dieci sul terrazzino che la moglie con cura aveva ornato di piante e piccole composizioni floreali. La colazione che Hermione gli aveva preparato quella mattina era impeccabile e, con le pagine del giornale sospese a mezz’aria,  Ron si godette le ultime frittelle al miele, l’ultima brezza estiva, l’ultima vista dei suoi figli che nuotano spensierati.
Fu in quel momento che un’idea gli balenò in testa, la moglie meditativa fece capolino dalla finestrella della cucina e bastò uno sguardo perché i due coniugi si comprendessero e giungessero ad una definitiva e inaspettata decisione: la famiglia Weasley si sarebbe trasferita nel casale sul lago.
 

Nella camera da letto al terzo piano un tenue fascio lucente penetrò attraverso le tende color mandorla, solleticando il viso addormentato di Rose. Immersa nel calore avvolgente del sonno, la ragazza si convinse ad aprire timidamente gli occhi, dopo l’incalzante graffiare di Ofelia lungo le lastre della porta.
Hermione a lunghe falcate percorreva frettolosamente il corridoio, affaccendata nelle ultime mansioni della mattina e distrattamente aprì la porta, concedendo l’ingresso della soddisfatta cagnolina.
Rose soffocò un lamento di dolore quando Ofelia con un balzo coraggioso atterrò sulle gambe della padroncina, abbaiando eccitata nella sua direzione. Per tutta risposta la ragazza si voltò dal lato opposto rispetto a quel fragore, coprendo ostinatamente le orecchie con il cuscino: avrebbe rimproverato duramente la madre per questo.
Di nuovo passi affrettati e un colpo secco di nocche premute sulla porta.
Rose spalancò gli occhi, questa volta al culmine dell’irritazione e si issò sul letto furibonda.
  «Mamma» urlò, prima di inciampare in un libro ai suoi piedi: era Vanity Fair, un romanzo di Thackeray che la madre le aveva consigliato, uno dei più belli della letteratura inglese a suo dire. Uno sguardo colpevole a quelle magnifiche pagine spiegazzate bastò per acquietare la sua ira, perché la passione per i libri era una delle poche cose che legava madre e figlia indissolubilmente, creando tra le due donne un affiatamento esclusivo.  La letteratura babbana, poi, era la loro passione.
Raccolse quel ruvido gioiello e lo depose con cura tra gli scaffali, dove disordinatamente i suoi libri si disponevano, mentre molti altri erano stranamente assenti. Con sguardo interrogativo perlustrò l’intera stanza, fino a che la sua attenzione non venne completamente catturata da un angolo buio e dimenticato, coperto alla sua vista dalla scrivania, per chissà quanto tempo.
Lì, semiaperto e abbandonato, si trovava il suo baule. Alcuni indumenti invernali erano ben piegati e disposti con ordine accanto a borselli che per tutta l’estate non aveva toccato. I libri scolastici, impilati l’uno sopra l’altro in una colonna eccessivamente slanciata, avevano perso l’equilibrio ed erano rovinosamente precipitati da quell’altura, atterrando sul pavimento.
Per il resto il baule era ancora vuoto.
La consapevolezza la colse con un brivido gelido che la impietrì. D’istinto osservò il grande orologio color crema appeso alla parete, sopra il letto, dove diverse lancette, indicanti i membri della famiglia, si muovevano freneticamente; solo una rossa e fumante procedeva lentamente sui binari di legno, diretto con angosciante tensione al numero 11.
L’Espresso per Hogwarts sarebbe partito da lì ad un’ora.
E Rose se ne era completamente dimenticata.
Grazie tante, cara mamma, per aver smesso di essere petulante proprio in questa occasione.
Poi si ricordò di quella volta, molto tempo addietro, in cui l’aveva rasserenata, dicendole che sua figlia era diventata responsabile e il baule l’aveva già ben preparato.
 
 

- § - 


 

  «Certo mammina, ti scrivo appena arrivo». Hugo stampò un tenero bacio sulla guancia di Hermione, che strinse a sé il bambino con le lacrime agli occhi.
Rose riservò un lungo e penetrante sguardo accigliato al fratello.
Dopo aver liberato a malincuore Hugo dalla sua stretta, Hermione si rivolse alla figlia maggiore. I capelli della donna, arruffati dal vento, le ricadevano piatti sulle tempie, impregnati di smog e odori della grande città; il respiro era ancora affannoso per la corsa contro il tempo, e le rughe inespressive sulla fronte, solchi segnati da pensieri invadenti, erano chiaro segno della recente discussione con la ragazza.
Lo sguardo grifagno di Rose fu spezzato dalle dita della madre che le carezzavano i capelli sempre disordinati, cercando di domarli.
  «Stanno bene oggi» mentì con occhi sereni. «Sarà stata quella nuova crema che hai comprato».
Le labbra erano corrucciate in una smorfia di concentrazione, ma lo sguardo sorridente e malinconico perlustrava il volto di sua figlia, cercando di scovarne segreti che a lei erano preclusi.
Era la medesima espressione addolorata e preoccupata, cui Rose da molto tempo sentiva, con opprimente senso di colpa, di esserne la causa.
   «Non ti è mai piaciuta quella diavoleria babbana» fu la risposta sincera di Rose.
Gli occhi di Hermione furono attraversati da un velo umido di tristezza e, forse, in quell’istante, si pentì di non aver apprezzato subito quell’idea della figlia. In tale momento, tanto odiato, che precedeva il saluto finale, avrebbe volentieri riavvolto i tre mesi appena trascorsi, e, chissà, compiere delle scelte diverse.
Rose analizzava la madre come ormai aveva preso a fare negli ultimi anni, per scorgere le incertezze e debolezze che avrebbero mandato in frantumi l’immagine di sordida perfezione che l’intero mondo magico e sua madre stessa, si erano creati della magnifica Hermione Weasley, eroina e  guida dello Stato: il miglior Ministro della Magia di tutti i tempi.
Il fischio stridulo del treno penetrò come un aculeo angosciante nel cuore di Rose e la riportò alla tremenda realtà. Era lì, in piedi dinanzi alla madre, affranta dalla sua freddezza, per l’ultimo momento in compagnia prima di separarsi per quattro lunghi mesi.
Guardò nuovamente la donna di fronte a sé e vide solo sua madre. Non un brillante esempio di coraggio, intelligenza e astuzia; non una donna prodiga per il bene dei più deboli; non una saggia guida morale e civile per quella famiglia e per tutto il mondo magico; non una madre severa che esigeva dalla figlia un impeccabile riflesso dei suoi successi.
Vide solo la sua dolce mamma e di slancio la abbracciò.
   «Starò bene mamma». Fu una stretta rapida ma forte.
 Affondò nel petto vigoroso del padre, che la strinse forte a sé e le baciò la fronte. «Mi mancherai piccolina».
  «Anche tu papà» gli sorrise con dolcezza, prolungando il suo sguardo oltre le spalle possenti di Ron per condividere quel momento anche con la madre. Lei ricambiò, portandosi le dita agli occhi.
   «Rosie andiamo» le giunse la voce impaziente del fratello, tra il trambusto del via vai dei passanti.
   «Qualche raccomandazione dell’ultimo secondo?».
Il padre la guardò pensieroso. «Sii forte e battagliera anche solo la metà di quanto lo sei a casa e non avrai problemi.» Poi aggiunse «Le pressioni quest'anno saranno diverse, avvertirai maggiormente il bisogno di divertirti e svagarti» fece una pausa eloquente ad ammonitrice che imbarazzò Rose «ma ricorda sempre i tuoi impegni. Mi riferisco al Quidditch ovviamente». Aggiunse l’ultima battuta sottovoce, ricavando una risatina complice dalla figlia.
L’ennesimo richiamo del treno, convinse Rose a dedicare un ultimo sguardo ai suoi genitori prima di inoltrarsi nella folla. Gente che si affrettava, trascinando bauli e gufi schiamazzanti, le ultime raccomandazioni di mamme in lacrime, studenti che ritrovavano gli amici di sempre con abbracci poderosi: lo scenario di King’s Cross il giorno della partenza dell’Espresso era sempre più turbolento.
Rose non riuscì a distinguere la chioma frizzante del fratello e si incamminò in tutta fretta, facendosi largo tra la moltitudine di parenti.
Doveva affrettarsi, l’incontro con le sue amiche doveva avvenire ai piedi del vagone centrale, ma con il suo ritardo era improbabile che le avrebbe trovate ancora lì.
C’era una persona, invece, che l’avrebbe aspettata in quel punto, ferma al loro appuntamento, a costo di non salire sul treno per Hogwarts e attendere il suo arrivo per l’eternità: era la promessa che si scambiarono quello stesso giorno, cinque anni addietro, sul retro polveroso di una vecchia e anonima macchina, affittata per quell’occasione dai loro genitori.
Come un confortevole richiamo, una mano sventolava rapida, emergendo tra la calca e una massa indomita di ricci neri si distinse sempre di più, man mano che Rose le si avvicinava. Albus Potter tese le mani, pronto a ricevere quelle della cugina, che lo abbracciò raggiante.
  «Ross, mi si stanno incrinando le costole. Proprio in questo momento avverto l’inizio di una frattura multipla scomposta» bofonchiò lui, ridendo.
  «Sbaglio io che ti vedo sempre come il mio cuginone grande e grosso» sorrise lei, lasciando il ragazzo libero di respirare.
Una terza voce, simile a quella di Albus, ma più roca e seria, si intromise con tono querulo. «Il ruolo di cuginone grande e grosso toccherebbe a me, se non ti dispiace». James Potter le parlava distrattamente, restituiendo alla propria immagine riflessa nel vetro del treno, un'espressione corrucciata dinanzi a quel ciuffo sedizioso che non gli ricadeva sul volto nel modo appropriato.
Rose ebbe il dubbio che dovette aver perso molto tempo quella mattina per ottenere un effetto così innaturale.
  «E così saresti tu l’uomo di casa?» gli fece eco Rose scettica, incrociando le braccia sul petto, in una ridicola imitazione dell’atteggiamento pomposo del cugino.
James Potter la guardò di sbieco. «Se hai qualche obiezione a riguardo, ricordati che la settimana prossima ci sono le selezioni».
  «Ma io sono già in squadra» protestò.
 «Ma quest'anno sono io il Capitano» rispose semplicemente lui, abbandonando definitivamente il proprio riflesso per gonfiare il petto in direzione della ragazza. «E l'indisponenza non sarà accettata» concluse, colpendole la testa in un gesto che di goffa tenerezza. 
  «Allora speriamo che nessuno segua il tuo esempio, tesoro». Ginny Weasley gli carezzò la guancia con rassegnazione, sotto lo sguardo contrariato del figlio.
Ginny era una donna ancora molto affascinante, nonostante l’età, e la cura per il suo aspetto fisico era impeccabile. Possedeva la stessa energica freschezza che era stata ereditata dal secondogenito, mentre la più piccola, Lily, timida e docile, vantava i tratti delicati del padre, anche se incorniciati da una tenue e fluente chioma rossiccia.
  «Ragazza, sei sempre più bella» zia Ginny guardò Rose ammaliata e le stampò un profumato bacio sulla guancia. «Sempre più bella e sempre più sfuggente. Non sei venuta nemmeno una volta ad Oxford Street con me per qualche acquisto, questa estate».
  «L’atmosfera del casale sul lago ha catturato un po’ tutti noi. Prometto che a Natale mi accompagnerai in giro per scegliere i regali» rispose Rose, avvolgendo il braccio della zia con il proprio, mentre questa porgeva i panini per il pranzo ai suoi figli, distratti dall’arrivo dei loro amici.
  «Guarda che colorito ti ha regalato il sole, si sposa proprio bene con le tue lentiggini».
Rose rispose con un roco silenzio, denso di tutte le proprie incertezze, mentre la zia procedeva nel consueto encomio che le riservava al termine delle vacanze. Era evidente, a suo dire, quanto bagliori estivi nutrissero alla perfezione i geni importanti del padre. 
Fu il cugino ad accorrere in suo aiuto, afferrando la cugina per il polso e trascinandola via.
La coda per salire sul treno era interminabile e la presenza dei bagagli non facilitava le operazioni dei ragazzi. Per issare il proprio baule, Rose dovette impiegare tutte le sue energia, spazientendo sonoramente chi la seguiva.
La voce impertinente del cugino giunse nel momento meno adatto.
 «Ho visto Nonna Molly muoversi con più energia, Ross» proruppe James Potter, mentre attendeva il suo turno «Percepisco il tuo posto in squadra disperdersi all'orizzonte dei sogni infranti».
 «Chiudi il becco James».
Aveva superato il gradino più alto e l’irritazione si impadronì di sé, impedendole di concentrarsi sulle lastre di metallo che legavano il vagone al successivo. Il baule le sfuggì di mano, stramazzando al suolo, mentre la borsa si infiltrò tra i suoi piedi, facendole perdere l’equilibrio.
Lo schianto fu evitato dal corpo di un passante, che a fatica cercava di raggiungere uno scompartimento libero, mentre la sua precipitosa discesa verso il basso, aveva permesso agli altri ragazzi di salire sul treno. James le passò accanto con l'ennesimo scappellotto di tenero compiacimento.
  «Weasley!» con un sibilo d'irritazione il suo malcapitato salvatore si premurava di corroborare quell'intervento cavalleresco. «Levati subito di dosso».
Rose riconobbe quella voce con la stessa familiarità che riservava all'accoglienza delle zanzare all'inizio di ogni stagione estiva. Il ronzare continuo della sua impudenza le pizzicava intorno con la maestria che solo una persona fra tante avrebbe saputo cadenzare.
Sdegnata si alzò, più in fretta che poté.
  «Dio, Malfoy. Perché proprio tu?» dichiarò rassegnata, mentre recuperava la borsa e il baule.
  «È quello che mi chiedo ogni volta».
In quello spazio angusto, bloccata dalla folla occlusa, Rose osservò Scorpius Malfoy, rimettersi in piedi e ricomporre quell’aspetto strategicamente trasandato che lo aveva sempre contraddistinto.
La prima, irrazionale reazione che ebbe Rose fu quella di strabuzzare meravigliata gli occhi.
Fu solo per una frazione di secondo che si concesse di riconoscere come l’estate avesse avuto degli effetti benefici su Malfoy. Il ragazzo la guardava, sovrastandola dall’alto. Con una mano accompagnò i capelli, mossi in morbide onde, lontano dal volto, per rivelare due occhi sottili dalla dolce linea a mandorla che si sposava armonicamente con uno sguardo sprezzante; la mascella marcata e il naso affusolato, appuntito, acuivano l’espressione  arrogante, mentre le labbra disegnavano con grande perizia un sorriso beffardo.
Nel complesso, la prima impressione che ne derivava era di stupefacente fascino.
  «Mi spieghi come sia possibile averti già tra i piedi?» ringhiò tra i denti.
La meraviglia iniziale lasciò il posto ad una sensazione di sgradevolezza.
  «Evidentemente quando accadono disgrazie tu sei sempre nei paraggi, soprattutto se sono coinvolta io» rispose Rose con uno sbuffo.
Malfoy si appoggiò allo stipite della porta e la guardò con un sorriso beffardo, divertito dalle ultime sue parole. «Noto con dispiacere che sei sempre meno aggraziata e con problemi di equilibri pericolosi per chi ha la sfortuna di incontrarti».
Sempre meno aggraziata, problemi di equilibrio pericolosi.
La sgradevolezza si era mutata in odio.
  «Forse non ti sei accorto, visto il tuo tentativo di scavalcare gli altri, che ci troviamo in uno stretto corridoio con altre trecento persone» sbraitò, il volto paonazzo. «E in più non è a te che deve piacere il mio portamento». 
  «Compiango colui che avrà questo arduo compito» aggiunse lui con un sorriso sghembo «Nell’attesa, che immagino sarà lunga, evita gli spazi affollati».
Questo era troppo. Il pugno chiuso scattò nella direzione di Malfoy, ma il treno in movimento deviò la traiettoria del braccio, che fu afferrato con prontezza dal ragazzo. La sua mano corse intorno al pugno di Rose, bloccandone ogni movimento.
  «Quanta grinta».
  «Lasciami andare».
Lui prese a studiarla curioso «Lo sai che i tuoi capelli si agitano, quando ti innervosisci?» fece ormai al limite dell’ilarità. «È affascinante notare che tutto in te sia fuori dalla normalità».
  «Sì, Malfoy, sono dotati di vita propria e si animano quando rivelano un alto tasso di idiozia». Nello stretto spazio che li divideva, Rose riuscì a sferrargli un calcio sugli stinchi. «È un effetto che riservano solo a te» e finalmente si liberò dalla sua presa.
    «Ne sono onorato» gemette.
Rose gli puntò contro dito accusatorio «E se proprio vuoi saperlo è sempre il tuo arrogante atteggiamento la causa dei problemi Se tu provassi a camminare senza ignorare la possibilità che ci siano altri esseri umani intorno a te ...».
Una risata sprezzante la interruppe «Credimi, se potessi ignorare la tua presenza, lo avrei già fatto. E da molto tempo» sibilò, massaggiandosi la zona colpita.
Un movimento brusco della folla fece scuotere i presenti, che si spintonarono tra loro, mentre alcuni si rifugiavano in scompartimenti vuoti e altri ancora si aggiungevano all’opprimente ingorgo. I due ragazzi si urtarono tra loro e per poco non persero l’equilibrio.
  «Se desideri tanto evitarmi, non vedo perché farla tanto difficile». Sbraitò Rose, mentre con una mano afferrava il baule e con l’altra vagava alla ricerca di un sostegno. «Io non aspetto altro».
La condizione di precarietà li costrinse ad avvicinare i propri corpi, che per poco non si sfiorarono.
  «Credimi, non è semplice» rispose il ragazzo guardandola dall’alto.
Rose constatò in quella circostanza quanto quei mesi di lontananza l’avessero reso più slanciato. Con il proprio viso all’altezza del suo mento avvertiva il suo alito fresco sfiorarle la guancia in una sensazione di piacevole tensione.
L’ennesimo sussulto del treno e la mano di Rose cedette arrendevole. Nello stesso rapido istante le dita incerte della ragazza si aggrapparono al lembo della maglietta scura di Malfoy, mentre una mano vigorosa la  afferrò per la spalla, riportandola vicino a sé.
Sicura di aver ritrovato stabilità, osservò la mano tremante ancorata a quel tessuto setoso, mentre i polpastrelli timorosi, tastavano il petto marmoreo di Malfoy ansimante. Sollevò di scatto lo sguardo, sorprendendo il ragazzo mentre seguiva confuso il movimento del braccio di Rose, dalle dita delicate fino alla spalla. Allentò la presa lentamente, studiando, in quella frazione di secondo, l’espressione impietrita di Malfoy.
Certo in quegli anni non erano mancate le situazioni in cui Rose si fosse trovata a stretto contatto con Scorpius Malfoy, impegnati nei battibecchi più vari: non erano mancate le risse i primi anni, gli incantesimi e le malefatte, i Tiri Vispi Weasley che balzavano da un banco all’altro durante le lezioni, gli scossoni e le canzonature nel bel mezzo di una partita di Quidditch, i dispetti imbarazzanti davanti a tutti i compagni.
Quel ragazzino impertinente e borioso, a volte prepotente, aveva dato inizio ad una guerra quando quel lontano primo giorno di scuola spinse Rose nel Lago Nero, davanti a tutti i bambini del primo anno. Lei, fradicia e mortificata, non riuscì a trattenere le lacrime, che si consumarono per giorni in quelle infernali prime settimane ad Hogwarts. La mano di Al, lì accanto a lei si protese per aiutarla a raggiungere la riva. Poi il ragazzino si voltò e sferrò un pugno sulla faccia di Scorpius. 
Ma quel Scorpius Malfoy con un occhio nero che osserva furibondo le proprie mutande appese al soffitto della Sala Grande, inveendo contro la Weasley, non era di certo lo stesso ragazzo che ora la fronteggiava: alto, dal volto duro e ben delineato e con gli occhi gentili, a volte assorti, che si ostinavano a guardarla con la stessa sfrontatezza di una volta.
Il carattere dispettoso del ragazzino si era tramutato in pura arroganza, ma nelle fattezze di un uomo.
Era stato il sostegno di Al e le parole del padre a fomentare il suo bisogno di vendetta in quei primissimi giorni e poi il temperamento di quel ragazzino biondo aveva fatto il resto per i successivi cinque anni.
La porta scorrevole al loro fianco venne aperte da qualcuno all’interno di uno scompartimento e la testa di Albus Potter fece capolino.
  «Oh, eccovi qua» esclamò raggiante.
«Per fortuna vi siete incontrati».
I ragazzi si allontanarono seccati, con l’espressione di chi non considera di certo fortunato quell’incontro.
  «Scorp, che aspetti ad entrare?»
  «Arrivo» disse, scrollandosi di dosso ogni possibile residuo di quell'incontro. «Sono stato trattenuto da quel disastro di tua cugina».
Malfoy si liberò dall’angusto spazio che ancora lo costringeva vicino a Rose e si avvicino ad Albus, appoggiandosi all’infisso della porta. Lo sguardo che riservò a Rose era carico di sdegno e si correlò con un sorriso di supponenza, dipingendo un volto magnificamente superbo. In quel volto così attraente, Rose capì la nuova sensazione che il contatto precedente le aveva causato.
Albus ignorò il commento dell’amico e si rivolse alla cugina.
  «Ti unisci a noi, Ross?».
  «Grazie Al, ma credo di averne abbastanza per oggi».
La smorfia che le si dipinse sul volto era carica di disprezzo e non mancò di farlo notare a Malfoy. Lui la salutò con un cenno del capo e un occhiolino beffardo, che irritò maggiormente Rose, mentre si voltava, pronta ad affrontare la folla.
  «Smettila Scorpius» sentì il cugino sussurrare. «Ehi Ross, ci vediamo più tardi?» le arrivò ormai distante la richiesta di Albus, mentre lei procedeva infuriata nella direzione opposta.
 

Una voce femminile la chiamava a gran voce. La riconobbe all’stante con un tuffo al cuore: era la sua dolce Candice.
Si voltò rapida e vide l’amica farsi largo tra la calca. Quando raggiunse Rose, le due ragazze si strinsero, urlando eccitate, barcollando, ubriache di allegria. Candice prese per mano la sua più cara amica e la portò con sé, verso un posto tranquillo. In uno scompartimento in fondo al vagone, lontano dalla confusione delle aree centrali, dove si accalcava la maggior parte degli studenti, si trovavano le altre due compagne di dormitorio di Rose. Melissa ed Eloise, le due gemelle più diverse che avesse mai conosciuto, chiacchieravano animatamente.
  «Si fa festa senza di me qua dentro?»
Le due ragazze si bloccarono sorprese e si aprirono in un sorriso raggiante, prima di gettare le braccia attorno al collo dell’amica.
  «Rose, ma sei uno schianto». Melissa si allontanò appena per scrutarla affondo e dopo aver scrollato con fare professionale i lunghi e setosi capelli, dichiarò il proprio giudizio. «L’estate ti ha fatto proprio bene».
E non solo a me. Pensò, mentre la mente tornava a quel volto indurito che la sovrastava con espressione arrogante.
  «Mi devi dire cosa fai per i capelli. Guarda i miei, così sfibrati». L’attenzione di Melissa era tornata lì dove aveva sede, verso se stessa.
 «Sai, Rose Weasley, sei davvero ammirevole» una voce intensa ed energica, colorata da una nota di sarcasmo che la rendeva ancora più coinvolgente, arrivò alle loro spalle.

Rose aveva sempre pensato che Johanna Jordan fosse una fonte dispensatrice di buon umore. «Vuoi anche tu il nome del mio parrucchiere?» chiese in un ghigno.
Lei arricciò appena il naso, poi la ignorò. «Hai un'ostentata fermezza nonostante il primo incontro dell’anno con Malfoy» Johanna guardava Rose, appoggiata alla porta con le braccia incrociate.
  «Ti fai sorprendere per così poco?»Rose le sorrise di rimando, inarcando le sopracciglia «Mi deludi Jordan».
   «Ho visto tuo cugino e Malfoy e sono venuta a cercarti nella direzione opposta. Ma tranquilla, non metto in dubbio il tuo potenziale, Weasley».
  «Per favore, Rose» si aggiunse Melissa. «Quest’anno non hai proprio da lamentarti. Vorrei azzuffarmi io ogni due secondi con quel pezzo di figo».
   «Mel» partirono in coroRose, Candice ed Eloise.
   «Beh? Non li avete gli occhi?».
   «Non per Malfoy» dichiarò Rose,sollevando le mani come per scacciare un pensiero di cattivo gusto. Un’ immagine insistente fece capolino nella sua mente, ma lei si affrettò a scacciarla.
Prese posto sul sedile, accanto al finestrino e osservò il panorama scorrere velocemente sotto i suoi occhi.
   «E’ inutile che ci provi,Mel» si aggiunse Eloise, i boccoli ordinatamente raccolti in una coda. «Rose è testarda come un mulo e non cambierà idea su Scorpius Malfoy solo perché è diventato di gradevole contemplazione
».
    «Vecchio vizio di famiglia» confermò Rose.
    «Essere testardi come un mulo o odiare Malfoy?» domandò Joa.
    «Entrambi» fu la risposta corale.
 

Qualche ora più tardi nell’oscurità del cielo, Rose vide stagliarsi lontano e imponente il grande castello con le sue torri illuminate, che si riversava sul silenzioso Lago Nero ai suoi piedi. Dalla carrozza che sobbalzava sul terreno ciottoloso osservava il profilo dell’immenso parco, per l’occasione adornato da torce fiammeggianti, con le sue statue secolari e i muretti bianchi in pietra, mentre percorreva il tragitto segnato dagli alberi ombrosi.
Dinanzi al possente cancello in ferro nero dove erano raccolti tutti i bagagli, Rose alzò lo sguardo e fissò il cielo appena visibile, nascosto dagli articolati disegni delle torri e una familiare sensazione di sicurezza ed eccitazione la travolse d’impeto.
Era finalmente a casa.






Giapponese. Amaro piacere per la caducità e l'imperfezione della bellezza.







 

  
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