Libri > Peter Pan
Ricorda la storia  |      
Autore: Beauty    08/07/2013    6 recensioni
Dopo la separazione da Peter Pan, Wendy ha dovuto affrontare la realtà e diventare adulta.
Ma anni e anni dopo le viene ancora data la possibilità di sognare. Per sempre.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Wendy Moira Angela Darling
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Non era stata così ingenua da credere che i medici le avessero concesso di ritornare a casa perché si sentiva meglio, come sia loro sia sua nipote – cara ragazza! – avevano tentato di darle a bere. Aveva avuto un’altra crisi solo tre giorni prima, era impossibile che stesse già meglio. E poi, aveva visto l’espressione strutta di Rose e i suoi occhi gonfi, sebbene lei avesse tentato di nasconderle questi dettagli.
I dottori avevano concesso a sua nipote di riportarla a casa perché, ormai, per lei non c’era più niente da fare.
Wendy Darling questo l’aveva compreso già da tempo, e ora ne aveva la certezza assoluta.
Stava morendo.
Beh, tentava di consolarsi appellandosi alla filosofia, prima o poi doveva capitare a tutti.
No, non era vero. Non era vero che doveva capitare a tutti.
A lui non sarebbe mai capitato. Lui sarebbe rimasto per sempre giovane, per sempre immortale, per sempre bambino e per sempre avrebbe riso e giocato nella sua magica isola.
- Sei sicura che non ti occorra niente, nonna?
La voce di sua nipote riuscì per un attimo a riportarla su quel mondo – oh, ma era questione di poco, ormai, non ci sarebbe rimasta ancora a lungo! – e Wendy volse il capo nella sua direzione, incrociando un volto ovale e giovanile, incorniciato da lunghi e mossi capelli color cioccolato, e due occhi azzurri che, in un tempo non troppo lontano, avrebbero brillato di allegria e vitalità.
Ora, invece, gli occhi di Rose erano stanchi e spenti, provati dalle nottate trascorse insonni in un corridoio di un ospedale o ad accudire quella sua nonna che ora non era divenuta altro se non un peso per tutti. Tranne che per lei, l’unica cosa bella che le fosse rimasta in quella vita.
Wendy le sorrise, stringendole la mano che Rose le porgeva.
- No, sta’ tranquilla. Vorrei dormire un po’, ora. Sono molto stanca…
- Va bene. Spengo la luce…
Rose premette l’interruttore sulla parete, e subito nella stanza calò l’oscurità, smorzata solo un poco dalla luce della luna e delle stelle che filtrava dalla finestra aperta. Wendy sentì improvvisamente la mancanza dell’odore forte del petrolio utilizzato per alimentare le lampade, e ricordò che quello era lo stesso profumo che l’aveva accompagnata quella sera di tanti, troppi, quando aveva spento la luce e si era coricata sotto le coperte, e poi quella finestra si era aperta come per magia ed era entrata un’ombra, quell’ombra che aveva perso il suo padrone…
- Vuoi che chiuda la finestra?
A quella semplice e gentile domanda, Wendy si sentì raggelare.
- No!- si affrettò a dire, forse con un po’ troppa foga, perché Rose la guardò inarcando le sopracciglia con evidente sorpresa e sconcerto…
Wendy si impose di ricomporsi.
- No, grazie…- disse, con più calma.- Fa caldo, qui dentro…
- D’accordo- Rose le si avvicinò, sorridendo, e le posò un lieve bacio su una guancia.- Se hai bisogno di qualcosa, chiamami. Io sono nella stanza accanto. Buona notte, nonna…
- Buona notte, tesoro…- le sorrise l’anziana donna, guardando sua nipote uscire dalla stanza e chiudersi la porta alle spalle.
Rose aveva mantenuto il sorriso fino a quel preciso istante, ma Wendy era sicura che, raggiunta la sicurezza della stanza accanto, la ragazza sarebbe immediatamente scoppiata a piangere.
Sospirò, cercando di ignorare l’irritante beep beep dei macchinari.
E dunque, eccola lì. Il momento temuto da ogni essere umano era giunto anche per lei.
Wendy aveva pensato spesso alla sua morte, in maniera più o meno seria. Da piccola, spesso aveva sognato di morire per il cuore infranto fra le braccia del suo amato, oppure pugnalata a morte in un duello con i pirati. E poi, da adulta, la morte l’aveva sfiorata talmente tante volte, le aveva portato via così tanti cari, che soffermarcisi sopra era divenuto inevitabile per lei.
Wendy si era domandata spesso, nei mesi precedenti, quando il cancro la stava lentamente divorando dall’interno e altri veleni che avrebbero dovuto curarla non facevano altro che distruggerla ancora di più, che cosa ci trovasse la sorte in questo macabro scherzo, quale fosse il senso di tutto ciò.
In fondo, lei era una sopravvissuta. Era sopravvissuta alla polmonite che l’aveva colpita a sei anni, era sopravvissuta a due guerre, all’influenza spagnola del 1918, a tutto il dolore che la vita le aveva portato; la morte l’aveva avvicinata tante volte, e aveva sempre finito col risparmiarla, portandosi via invece chi amava.
E ora, lei era lì, nella stessa stanza in cui aveva condiviso tante ore felici insieme ai suoi fratelli, quella stessa stanza dove tutto era cominciato e finito al tempo stesso, quella stanza che lei aveva tenuta sigillata per anni e anni, non permettendo a nessuno di avvicinarsi.
Rose non era riuscita a nascondere il suo stupore quando le aveva chiesto, quella stessa mattina, di dire agli infermieri di collocare là dentro tutto il necessario – ma senza che spostassero nulla, niente di ciò che era rimasto di quella notte doveva essere toccato. Tuttavia, sua nipote non aveva obiettato, e ora Wendy aveva la consolazione – che era ben misera, a dire il vero, avrebbe di gran lunga preferito rivedere sua figlia, bloccata sul continente a causa di un problema al transatlantico, ma era pur sempre meglio di nulla – di morire nel luogo in cui aveva vissuto i momenti più belli della sua vita.
E la più grande avventura che una bambina potesse sognare.
Wendy sospirò di nuovo, sentendo gli occhi riempirsi di lacrime.
Aveva ripensato spesso a Peter Pan, in quegli anni – quanti ne erano trascorsi? Settanta? Ottanta?. Sì, aveva pensato spesso a lui, non aveva mai smesso di farlo da quella sera in cui lei e i suoi fratelli erano ritornati a casa, e lui le aveva detto addio per sempre.
Wendy aveva trascorso per mesi ogni sera seduta accanto alla finestra, guardando il cielo, nella speranza di rivedere quell’ombra oppure la scia dorata di Campanellino, sperando con tutto il suo cuore che Peter tornasse da lei, che la portasse via con sé.
Ma non era mai successo, e alla fine lei aveva smesso di attenderlo.
E aveva iniziato, forse per la prima volta, a fare i conti con la peggiore nemica dei sogni e dei bambini.
La realtà.
 
La prima ad andarsene era stata Nana.
Cara, dolce Nana.
Era accaduto poco dopo il loro ritorno a casa, poco dopo la scomparsa di Peter. Il signor Darling chiamò il veterinario, tentò di tranquillizzare i suoi figli che piangevano e accarezzavano la loro tata di sempre, fece tutto il possibile affinché Nana si riprendesse, ma non servì a nulla. Nessuno riuscì mai a comprendere cosa avesse esattamente, quale malattia l’avesse colpita, ma una volta sua madre le raccontò che, durante tutto il tempo in cui lei, John e Michael erano stati via, Nana aveva trascorso ogni notte in cortile, in attesa del loro ritorno.
Per lei, che era sempre stata abituata a vivere in casa, protetta e al calduccio, l’aria notturna era stata più nociva di qualunque veleno.
Se ne andò così, semplicemente, distesa sul tappeto del salotto accanto al caminetto, con loro tre che piangevano e l’accarezzavano e la mamma che singhiozzava seduta su di una poltroncina lì a fianco.
L’avevano sepolta in giardino, insieme a quella buffa cuffietta da bambinaia che Nana aveva sempre indossato con serio e convinto orgoglio.
Di prendere un altro cane non se n’era neanche parlato, e i signori Darling non l’avevano neppure proposto. Sapevano che nessun altro animale avrebbe potuto prendere il posto di Nana nel cuore dei loro tre figli. Ma ai ragazzi occorreva comunque una brava bambinaia, aveva dichiarato una sera il signor Darling, non smentendo il suo senso pratico.
E così ne aveva assunta una nuova, umana stavolta, ma mille volte peggio di una cagna.
Tata Wescott, questo era il suo nome, era una zitella di quarant’anni alta e robusta, con modo di fare bruschi, severi e autoritari, convinta che i bambini andassero cresciuti con il pugno di ferro. Wendy non aveva sofferto più di tanto la sua presenza – all’epoca aveva appena compiuto quattordici anni, si supponeva non avesse più bisogno di una bambinaia – ma l’opera di tata Wescott ebbe degli effetti terribili sui suoi fratelli.
La donna non permise più a Wendy di raccontar loro le sue favole, etichettandole come sciocche e inutili frottole buone solo a intrattenere dei poppanti. A dire il vero, lei aveva quasi smesso di farlo, dopo la partenza di Peter, ma i suoi fratelli parvero essere tremendamente scioccati quando venne loro tolto anche il piacere di qualche filastrocca o ninna nanna, sostituiti con gli ordini perentori di tata Wescott.
John fu il primo a cedere. O meglio, fu il primo a indossare la corazza. Suo fratello prese a ubbidire agli ordini della bambinaia e dei genitori senza più fiatare, senza avanzare anche la più debole protesta, annuendo silenziosamente e con espressione indecifrabile. Era sempre stato un ragazzino serio e composto, ma ora non pareva neppure più lui. John divenne apatico, scontroso, prese a chiudersi in camera sua dove non faceva altro che leggere e rileggere libri di matematica e fisica, assimilando tutti quei numeri freddi e senz’anima, e questi, a poco a poco, andarono a sostituire i sogni infantili.
Michael, invece, reagì in modo completamente diverso. Se John accettava qualunque cosa senza opporsi, lui cercava ogni occasione per ribellarsi. Faceva i capricci quando era il momento di indossare il pigiama e andare a letto, allagava la stanza quando faceva il bagno, gridava e strepitava di fronte a un piatto di verdure. Tata Wescott tentò più volte di rimetterlo in riga con una sculacciata, e spesso anche il padre si vedeva costretto a punirlo, colpendogli le mani con il bastone da passeggio.
Questo, tuttavia, non sortì alcun effetto, se non quello di accentuare le ribellioni del più piccolo dei fratelli Darling, e attizzare nel suo animo un focolare di rabbia e rancore verso i genitori che conservò per anni.
Quanto a lei, non poté fare altro se non assistere impotente a quella realtà, quella realtà brutale che stava distruggendo i suoi fratelli, la sua vita e, soprattutto, i suoi sogni.
 
La scuola finì presto, forse fin troppo per i suoi gusti. Lì, almeno, anche se le lezioni l’annoiavano e non era brava in compiti come il cucito o l’esercizio della bella calligrafia, aveva qualcosa da fare, la sua giornata era occupata e lei riusciva a non pensare a ciò che sarebbe potuto essere se solo avesse compiuto un’altra scelta.
A diciannove anni si diplomò a pieni voti, tanto che sua madre organizzò una festicciola in casa loro per celebrare l’evento. Di università, però, i suoi genitori non ne avevano neanche voluto sentir parlare.
A nulla erano servite le sue proteste sul fatto che i tempi stavano cambiando, che adesso anche le donne avevano diritto a un’istruzione pari a quella maschile, che molte ragazze della sua classe avrebbero intrapreso un percorso che le avrebbe condotte a diventare un medico, un avvocato, un banchiere…
Suo padre l’aveva freddata.
- Con il progressismo non si combina nulla, nella vita - aveva dichiarato suo padre.- Preferisco piuttosto pagarti delle lezioni di danza, di canto, di cucito…
- Quelle sono cose inutili, papà!- aveva urlato lei, sull’orlo delle lacrime.- Se andassi all’università, invece…
- A che serve l’università, se non a trovare un buon marito?- l’aveva interrotta il signor Darling, sfogliando distrattamente il giornale.- A quello penseremo noi.
 
Forse era stata quella frase a instillare in lei quel senso di ribellione. Forse il rifiuto a concederle ciò che avrebbe desiderato di più, dopo naturalmente al tornare bambina. Forse quella prepotenza in suo padre volta a imporle il suo volere, a scegliere per lei quella che sarebbe dovuta essere la sua vita.
Ancora una volta, Peter aveva avuto ragione. Lui se n’era andato di casa quando i suoi genitori avevano tentato di fare lo stesso con lui, e si era salvato. Si era costruito il suo angolo di libertà, quella libertà di cui potevi godere solo quando eri bambino. Quella libertà che lei aveva così stupidamente rifiutato, e che ora non avrebbe più potuto riavere indietro.
Ma non avrebbe ceduto. Anche lei, a modo suo, si sarebbe ribellata.
Da quella sera, sua madre prese a portarla con sé a tutte le feste, a tutti i balli a cui i signori Darling venivano invitati. Wendy fece il suo debutto in società fra mille sfarzi. A casa sua si tenevano spesso ricevimenti, conversazioni private, quasi non passava giorno senza che la signora Darling ricevesse questi o quegl’altri amici.
Wendy comprese immediatamente che tutto ciò era finalizzato solo e soltanto a trovarle un marito.
Non furono pochi i giovanotti che chiesero la sua mano, tutti inginocchiandosi scontatamente in giardino dopo una tediosa passeggiata al chiaro di luna. Erano tutti uomini poco più vecchi di lei, appartenenti rigorosamente alla media o ricca borghesia, figli di banchieri e magistrati, che magari avevano un futuro radioso a Oxford o a Cambridge e che una volta laureatisi avrebbero preso il posto del padre alla dirigenza di qualche prestigiosa ditta.
Il tipo di giovani che le parlava solo con frasi fatte, che blaterava solo di giacche di sartoria e corse di cavalli; il tipo di giovani che sua madre le indicava come gentiluomini colti e beneducati e con cui suo padre non mancava mai di complimentarsi per questo o quell’altro successo in qualsivoglia campo, sospirando nella speranza che magari stavolta fosse quello giusto!
Il tipo di giovani che sgranava gli occhi le poche volte in cui lei si azzardava a parlar loro di fate e pirati, che liquidava le sue storie come sciocchezze, che vedeva in lei solo una brava moglie tutta dedita alla casa e alla famiglia, che erano così banalmente e disgustosamente adulti, che non erano in grado di pensare che forse c’era qualcos’altro al di là del loro mondo. Il tipo di giovani che le ricordava tristemente i suoi fratelli che, crescendo, si erano infine dimenticati dell’Isola Che Non C’è.
Il tipo di giovani che lei, puntualmente, rifiutava.
E così, con grande delusione e preoccupazione di sua madre, nonché enorme scorno del signor Darling, Wendy era giunta a compiere venticinque anni senza avere all’anulare sinistro alcun anello di fidanzamento, mentre tutti i suoi potenziali partiti andavano diminuendo e dileguandosi a poco a poco.
Dunque, mentre John aveva preso, dietro mille lettere di suppliche e raccomandazioni, un rispettabile posto nella banca in cui lavorava suo padre, e si era fidanzato con la figlia di un collega, e Michael faceva la vita da studente scapestrato a Oxford, a Londra iniziavano già a girare le chiacchiere che vedevano la signorina Darling come una potenziale – e quasi certa – futura zitella.
A Wendy questo non importava; ma alla signora e soprattutto al signor Darling invece importava, eccome.
E così, un giorno, proprio come quella volta in cui lei e i Bimbi Sperduti erano stati catturati da Capitan Uncino, Wendy cadde di nuovo in un’altra trappola.
 
Il fatto che lei fosse cascata nel tranello era in gran parte colpa sua, ma di certo quella di farle conoscere Harold King era stata una mossa abilmente architettata da suo padre. Col senno di poi, Wendy si rese conto che non sarebbe stato dal signor Darling, un uomo così sempre preciso e puntiglioso, dimenticarsi il pranzo a casa, né la signora Darling, molto attenta al marito e al buon funzionamento della casa e della giornata in generale, avrebbe mancato di notarlo e ricordarglielo, o comunque sua madre avrebbe mandato una cameriera, e non lei, a portarglielo in banca.
- Ma devo uscire solo per dieci minuti!- aveva sbuffato Wendy, mentre la cameriera tentava di farle indossare l’abito della festa.- Non capisco che bisogno c’è di agghindarsi in questo modo…
- Sei una signorina, cara - aveva replicato sua madre, dolcemente come sempre, ma a lei non era sfuggito il fatto che le brillassero gli occhi, mentre la guardava infagottata in quell’abito di pizzo bianco e rosa.
E così, con la scusa di portare il pranzo a suo padre, aveva conosciuto Harold King, figlio del banchiere capo del signor Darling.
 
Le sarebbe stato facile rifiutare anche lui, ma quando, esattamente sei mesi dopo, Harold si era inginocchiato di fronte a lei e le aveva presentato un anello di fidanzamento con un brillante che avrebbe fatto sbiadire la polvere fatata di Campanellino, chiedendole di divenire sua moglie, lei aveva risposto con un entusiasta.
Non sapeva cosa esattamente ci fosse in Harold tale da averla spinta ad accettare la sua proposta, invece di respingerlo malamente come aveva fatto con tutti gli altri suoi pretendenti. Forse era stato quel suo presentarsi in maniera diversa da tutti gli altri, quel suo parlare e ridere insieme a lei di fate e voli nel cielo notturno, quella sua curiosità nell’udire della seconda stella a destra, e poi dritto fino al mattino. Quel suo essere così dolce e spensierato, così tanto da ricordarle lui.
Peter Pan. Il bambino che così tanti anni prima l’aveva guidata nel suo mondo, verso avventure mai sognate.
Wendy si era chiesta spesso se quella che provava per Peter fosse solo semplice affettuosa amicizia, oppure qualcosa che si avvicinava al primo amore. Non lo sapeva, e comunque ormai era tardi per domandarselo. Lui sarebbe rimasto per sempre bambino, e non l’avrebbe rivisto mai più. Lei, invece, era cresciuta, e come le rimproverava spesso suo padre, doveva mettere la testa a posto.
Harold era buono e gentile, e la capiva.
Fu per questo che lo sposò, più che per vero amore. Era passato così tanto tempo da quando qualcuno l’aveva veramente compresa, e ora lui lo stava facendo.
O almeno, così credeva.
Non passò molto tempo dal matrimonio, che Harold si mostrò per quello che era. Un uomo freddo e severo come il signor Darling. Era sempre molto gentile con lei, dolce, comprensivo…ma non mancava mai di ammonirla per quelle che riteneva sue mancanze.
Wendy provò solo un paio di volte a parlargli nuovamente dell’Isola Che Non C’è, di Capitan Uncino, di Giglio Tigrato, di Campanellino…ma smise quasi subito, accorgendosi che il marito la canzonava, più o meno bonariamente, per quelle sue favole infantili. Aveva presto compreso che, all’epoca del fidanzamento, Harold s’interessava a ciò che lei diceva e fingeva di credere alle sue storie solo per compiacerla, ma ora che erano sposati non c’era più bisogno di simili sotterfugi. E Wendy prese a ingoiare un boccone amaro dopo l’altro, sopportando le occhiate e le parole cariche di superiorità di suo marito, conscia di essere stata vittima di un altro, e a pari merito insidioso, Capitan Uncino.
 
Si trovò immediatamente male nella casa che Harold aveva scelto per loro, troppo grande e fredda, e colma di oggetti e domestici a lei sconosciuti. Ma non durò molto. Neanche un paio di mesi dopo il matrimonio, infatti, Wendy si vide costretta a tornare nella sua casa d’infanzia a Londra…anche se avrebbe sopportato mille volte quella specie di prigione impostale da Harold, piuttosto che fare ritorno alla sua antica dimora per una tale tragedia.
Poco dopo il matrimonio, infatti, suo padre era morto. Appena un mese prima anche John si era sposato e, per quanto avesse sempre ostentato quell’atteggiamento freddo e severo, il signor Darling aveva parecchio sofferto per la separazione dai suoi figli maggiori a così poca distanza di tempo. Ad aumentare il suo dispiacere vi era anche Michael, che scriveva a casa solo per chiedere denaro che puntualmente sperperava.
Una sera, tornando a casa dal lavoro stanco e anche un po’ alticcio a causa di una bevuta con i colleghi d’ufficio, il signor Darling era caduto dalle scale, morendo sul colpo.
Sua moglie reagì molto male alla perdita, sprofondando nel dolore che divenne ben presto depressione. La signora Darling ora dormiva a malapena, piangeva di continuo, mangiava come un uccellino e col tempo si lasciò sempre più andare. Occorreva dunque qualcuno che si prendesse cura di lei, e siccome la moglie di John non ne voleva sapere di condividere il tetto con la suocera, fu Wendy a farsi carico di questa responsabilità. Harold protestò non poco, proponendole di ricoverare sua madre in un ospizio, ma lei gli si oppose con tanta ferocia che alla fine dovette cedere.
Si stabilirono entrambi nella vecchia casa, e subito Wendy sigillò la sua vecchia camera da letto, in cui tutto era rimasto intatto, i giocattoli, le lenzuola, ogni cosa era rimasta come quella notte.
I rapporti fra lei e Harold si fecero sempre più tesi; suo marito trascorreva la maggior parte della giornata al lavoro, in banca, di cui aveva ereditato la dirigenza dal padre, mentre lei divideva le sue giornate fra la casa, la cura della madre e il figlio che aveva cominciato a crescere dentro di lei.
 
Wendy fu felice della nascita di Jane, anche se questo incrinò completamente i rapporti con suo marito. Sua figlia nacque prematura, e il parto fu talmente difficile che il medico le sconsigliò caldamente di avere altri bambini. Harold si mostrò profondamente deluso sia dalla nascita di una femmina sia dall’impossibilità di poter avere un altro erede.
Ormai lui e Wendy vivevano vite separate, e la sua unica consolazione era la piccola Jane. Wendy crebbe sua figlia come una principessina, dandole tutto ciò che una bambina potesse desiderare, anche se Jane non mostrò mai molto entusiasmo per le favole che la madre tentava di raccontarle.
- Mamma, per favore! Peter Pan? Polvere di fata? Andiamo! Mi hai preso per una sciocca? Sono solo favolette per bambini!
Wendy, allora, iniziò a pensare che forse quella notte aveva davvero sognato, ma non credette mai veramente ai propri pensieri.
L’Isola Che Non C’è esisteva, e lei lo sapeva.
 
Le tragedie si susseguirono, una dietro l’altra, falciando vittime come neppure la Morte stessa avrebbe fatto.
Prima ci fu la crisi del ’29. Wendy aveva sentito che molte banche stavano dichiarando fallimento, ma aveva sperato con tutto il cuore che non accadesse anche a quella di suo marito. Speranze vane.
Harold dichiarò fallimento appena prima dell’elezione del presidente Roosevelt. La sera stessa, si sparò un colpo a una tempia. Fu Wendy a trovare il suo corpo, immerso in un bagno di sangue nello studio della casa di Londra; non pianse, ma si sentì comunque dispiaciuta per lui.
L’aveva amata, in fondo.
Suo fratello Michael fece la sua ricomparsa proprio il giorno del funerale di Harold. Né Wendy né nessun altro della famiglia lo vedevano dal giorno delle sue nozze; si ripresentò in casa come se nulla fosse, scarmigliato e con i capelli sporchi, senza aver concluso nulla nella sua vita.
La madre si mostrò debolmente felice di rivederlo, ma Michael non tardò a deluderla. Una mattina poco dopo il suo arrivo, infatti, Wendy scoprì che tutti i gioielli di famiglia erano spariti. E con essi, anche suo fratello.
Qualche tempo dopo vennero a sapere che Michael era scappato in Europa con la figlia di un ferroviere. Nessuno di loro lo rivide né lo sentì più.
Questo fu il colpo di grazia per sua madre, e le sue condizioni peggiorarono irreversibilmente, finché la signora Darling si spense.
Suo fratello John le consigliò di non rimanere più in quella casa, ma Wendy non ne volle sapere. Belli o brutti che fossero, reali o fantastici, in quella casa aveva lasciato tutti i suoi ricordi. Si mise così di buona lena, sistemando tutto quanto al meglio, ma facendo in modo che poco o nulla venisse mutato.
La stanza dei bambini rimase sempre sigillata.
 
La guerra scoppiò che Jane aveva tredici anni. La stessa età che aveva lei quando Peter Pan era venuto a bussare alla sua finestra. Ora, contro le finestre risuonavano solo i rumori dei fucili e gli scoppi delle bombe.
John venne chiamato al fronte; prima di partire, le affidò sua moglie e suo figlio Bailey, di poco più giovane di Jane. Tutti e quattro vissero insieme nell’antica casa Darling, facendosi forza a vicenda, rispettando il coprifuoco, contando le candele e le coperte, e rifugiandosi nel seminterrato quando suonava l’allarme.
Tutte le sere, Wendy pregava Dio che la guerra risparmiasse suo fratello, che non le sottraesse anche l’ultima persona che era rimasta a ricordarle la sua infanzia. Almeno quella volta, Dio parve ascoltarla, e John tornò salvo dalla guerra. Ma una pallottola lo aveva colpito a una gamba, e da quel giorno il secondogenito Darling fu costretto a camminare appoggiandosi a un bastone.
 
Gli anni che seguirono il 1945 furono duri, ma anche più felici. Wendy dovette tirarsi su le maniche per mandare avanti la sua famiglia. Dopo la morte di Harold, era riuscita a tirare avanti grazie ai fondi destinati alle vedove e agli orfani secondo la nuova legislazione di Roosevelt, ma ora Londra era interamente da ricostruire, e ognuno pensava per sé.
Wendy trovò lavoro come sarta in una piccola bottega poco lontana da casa. Iniziava il mattino alle sette, e terminava la sera tardi, alle nove, a volte anche alle dieci. Jane aiutava la moglie di John a preparare la cena, rassettare la casa, prendersi cura di Bailey e di Mark, il suo fratellino appena nato.
Era una vita dura, ma presto fu ripagata. Quando divenne abbastanza brava ed ebbe messo da parte abbastanza soldi, Wendy aprì un negozio di sartoria per conto suo; forse non era al livello dei grandi atelier di moda in centro, ma se non altro le diede abbastanza da vivere dignitosamente, e con gli anni divenne anche piuttosto famoso.
E, per la prima volta da tantissimo tempo, Wendy riprese a credere nelle favole.
 
Gli anni passarono.
Ben presto, la vedova King divenne una signora distinta e attempata. I suoi capelli s’ingrigirono, la bellezza giovanile sfiorì. Ma a Wendy non importava.
Jane si sposò con Alexander Brown, un giovane impiegato in una fabbrica, e poco tempo dopo anche Bailey e Mark lasciarono il nido. Suo nipote Bailey fu il primo a dare ai suoi genitori la gioia di divenire nonni, quando lui e sua moglie ebbero il loro primo bambino, Daniel.
Anche Jane ben presto diede alla luce una bambina, Rose.
Jane e suo marito lavoravano tutto il giorno, e così spesso la bambina restava con lei. Wendy la metteva sempre a letto, la sera…e, per la prima volta dopo tantissimi anni, riprese a raccontare le sue storie.
Rose era avida di conoscenza. Voleva sapere tutto dell’Isola Che Non C’è, com’era fatta Campanellino, quanti erano i Bimbi Sperduti, come avevano fatto lei e Peter a liberarsi di Capitan Uncino.
- Nonna, queste storie sono meravigliose! Dovresti scrivere un libro!
- Oh, una vecchia signora come me non può diventare una scrittrice!
- Allora lo farò io. Un giorno, quando sarò grande, diventerò scrittrice e scriverò di Peter Pan!
E, cosa forse più importante, Rose credeva.
- Nonna, ma l’Isola Che Non C’è esiste davvero?
- Certo, tesoro.
- Allora mi ci porti, un giorno di questi?
Wendy avrebbe voluto portare Rose laggiù. Oh, se l’avrebbe voluto! A volte, aveva anche pensato di riaprire la stanza dei bambini e provare a far dormire sua nipote nel suo vecchio letto. Chissà, magari, vedendo che c’era un nuovo bambino, Peter Pan sarebbe tornato…ma subito si rimproverava mentalmente. No! No, Peter Pan non sarebbe tornato. E se anche l’avesse fatto e avesse deciso di prendere Rose, lei non gliel’avrebbe permesso.
Aveva già illuso lei, non avrebbe lasciato che facesse del male anche a sua nipote.
E si ripeteva sempre questo, ogni volta che si scopriva a spiare dalla finestra quella seconda stella a destra…
 
E ora, eccola lì.
Stava per morire. Beh, dopotutto, bella o brutta che fosse stata, la sua vita l’aveva vissuta.
John era morto due anni prima, seguendo sua moglie dopo pochi mesi; Bailey e Mark vivevano a Canterbury con le loro famiglie; da anni non sapeva più niente di Michael, forse era vivo o forse no; Jane e suo marito non erano lì. Con lei c’era solo Rose. Suo nipote Daniel aveva promesso di raggiungerle il prima possibile, ma sarebbe stato lì solo in mattinata.
E Wendy sapeva che quella sarebbe stata l’ultima notte che avrebbe trascorso sulla terra. Su quella terra.
Un luccichio alla finestra. In un attimo, l’intera stanza venne avvolta da polvere di fata.
Wendy sorrise.
Peter! Sei venuto a prendermi? Grazie…
Chiuse gli occhi, felice.
Quando li riaprì, fluttuava in aria. Si sentiva stranamente leggera, come quella notte in cui Campanellino aveva sparso la sua polvere di fata. Wendy si accorse di indossare ancora la stessa camicia da notte, mentre i suoi lunghi capelli castani le incorniciavano il volto ancora bambino.
Di fronte a lei, poco più in basso, una signora anziana dormiva nel suo letto.
Wendy pensò che probabilmente stava sognando, perché sorrideva.
Strinse forte la mano di Peter, mentre lui la guidava verso la finestra.
Campanellino sparse la sua scia di polvere di fata.
Portami a casa, Peter…

 
Rose si perse nell’abbraccio di suo cugino Daniel, lasciando cadere sulla bara di sua nonna un’ultima rosa bianca – il suo fiore preferito –, prima che quegli uomini la ricoprissero con la terra.
Addio, nonna Wendy. Ti voglio bene.
- Io stanotte resto con te - dichiarò categorico Daniel quando fecero il suo ingresso nella vecchia casa Darling.
- No, non serve.
- E invece rimango. Entrambi volevamo bene alla nonna, abbiamo bisogno l’uno dell’altra.
- Grazie, Daniel…- sorrise Rose, iniziando a salire le scale.
Nonna Wendy si era spenta due giorni prima. Rose e Daniel l’avevano trovata la mattina, distesa immobile nel suo letto. Sorrideva. Rose tentava di consolarsi pensando che, se non altro, aveva lasciato quel mondo serenamente.
Rose aprì piano la porta della stanza dei bambini. Sua nonna l’aveva tenuta chiusa a chiave per più di cinquant’anni, non permettendo a nessuno di entrare. E poi, negli ultimi istanti della sua vita, aveva voluto tornarci.
Perché?
Rose entrò, piano. Come sempre, rimase incantata da quella stanzetta che pareva un piccolo angolo di un quadro dipinto, ricolmo di giocattoli d’altri tempi, una cameretta che trasudava profumo di buono, di felicità e di affetto, un profumo che solo i bambini, nella loro ingenuità e spensieratezza, potevano sentire.
La finestra era rimasta aperta dalla notte in cui nonna Wendy era morta. Rose si avvicinò per chiuderla, ma si bloccò non appena urtò qualcosa con la punta dello stivaletto. Abbassò lo sguardo, scoprendo un quadernetto foderato di azzurro e una penna.
Rose si chinò a raccoglierlo, sfogliandolo con attenzione. Era un diario. Un diario scritto in bella calligrafia, in cui venivano riportate minuziosamente le date.
Rose iniziò a leggere, incuriosita. Si trattava senza dubbio del diario di nonna Wendy, che aveva scritto quando era ancora una ragazzina. Non c’era riga o pagina in cui non fossero descritti luoghi fantastici, avventure meravigliose, polvere di fata e bambini che volavano nel cielo stellato.
Rose continuò a leggere, ricordando poco a poco le favole che la nonna le raccontava da piccola, prima di andare a letto, riscoprendo il piacere di udirle e la libertà di fantasticare.
Si rese conto che era già passata un’ora quando Daniel entrò nella stanza senza bussare.
- Stavo iniziando a preoccuparmi…- mormorò il ragazzo.- Che fine avevi fatto?
Rose gli rivolse un sorriso di scuse.
- Scusami. Scusami, io…stavo leggendo - gli mostrò il diario.
Daniel si sedette accanto a lei, incuriosito.
- Che cos’è?
Rose fece per rispondere, ma quando abbassò lo sguardo si accorse di trovarsi di fronte a una pagina bianca. Sfogliò il diario. Nulla di quanto aveva letto aveva lasciato tracce. L’inchiostro e le parole erano scomparsi. Fra le sue mani c’era solo un quadernetto bianco.
Che avesse sognato?
- Non c’è scritto niente - osservò Daniel, guardandola preoccupato.
Improvvisamente, Rose capì.
Quand’era piccola, aveva promesso a sua nonna che un giorno avrebbe scritto le sue avventure con Peter Pan.
Non l’aveva mai fatto.
E ora, aveva fra le mani quel quaderno completamente bianco, e una penna. Comprese tutto: qualcuno, sua nonna o chissà chi altro, le aveva fatto un regalo. Le stava dicendo qualcosa.
Si voltò verso il ragazzo, sorridendogli.
- Ancora per poco…
Rose guardò fuori dalla finestra: le stelle brillavano in cielo.
E trascrisse quelle parole che per nonna Wendy erano sempre stata una formula magica.
Seconda stella a destra, e poi dritto fino al mattino.

FINE

  
Leggi le 6 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Libri > Peter Pan / Vai alla pagina dell'autore: Beauty