Fanfic su artisti musicali > One Direction
Ricorda la storia  |      
Autore: Ms_MartyReid    08/07/2013    12 recensioni
- Zayn è, in assoluto, l’argomento preferito della mia memoria. E’ come un libro che ho letto così tante volte da impararne a memoria ogni rigo, ogni frase. E’ dappertutto e quei pochi angoli del cervello in cui non c’è sono quelli da cui l’ho cacciato via io con la forza, per avere un posto dove rifugiarmi.
Ma io mi ricordo tutto di lui.
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Zayn Malik
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
‘Mi ricordo.’

 
Non sono sicura se Abbie mi abbia appena rivolto la parola o meno, sono troppo concentrata a rotolarmi nella noia. Perciò aspetto che mi chiami di nuovo, tanto per essere sicura, e poi mi volto a guardarla.
«Dicono che la prof porterà i compiti» mi bisbiglia entusiasta, muovendo il pugno in un gesto di esultanza.
«Quindi tu dici che non ce la fa ad interrogare?» domando scettica.
Lei ci riflette qualche secondo, poi chiude il libro di letteratura da cui stava ripassando freneticamente appena mezzo minuto prima. «Naah!».
«Meglio» riesco a dirle un attimo prima che la Blake entri in classe.
Si alza un coro svogliato di «buongiorno» e qualcuno si nasconde come me dietro ai compagni per evitare di tirarsi su dalla sedia. Appoggio la testa al muro mentre la professoressa dice qualcosa che non ascolto. Credo stia parlando dell’insolito sole che ci fa sentire quasi in un paese normale con una primavera normale e non costantemente piovosa.
Sto giocherellando con la penna, smontandola e rimontandola, quando Abbie mi punzecchia con una gomitata e poi mi indica un fascio di spillette sulla cattedra.
«Ha detto che sono gli ultimi che abbiamo fatto» mi bisbiglia la mia compagna di banco.
«Cosa?!» replico allarmata, riuscendo a stento a controllare la voce.
La professoressa si alza e prende il plico di fogli, cominciando a consegnarli. Spero che il mio compito l’abbia perso o magari si sia scordata di correggerlo o lo abbia bruciato. Lei li distribuisce sempre dal voto più basso a quello più alto, metà classe ha già ricevuto il suo compito, tra cui Abbie e Niall, il casinista che mi sta seduto dietro. Io avrei già dovuto avere il mio, di norma.
Magari l’ha perso sul serio, ci spero davvero, ne sono quasi convinta quando consegna l’ultimo compito a Liam, che è il secchione più secchione del mondo e quindi ha avuto come sempre la sua A. Ma poi la prof si gira verso di me e io riconosco la mia scrittura disordinata sui fogli che stringe in mano e quando li poggia sul mio banco credo che abbia sbagliato, perché sul dorso c’è una brillante A+ che io non ho mai preso in inglese e credevo di non poter prendere mai.
Niall, da sopra la mia spalla, sbarra gli occhi. «Non ne avevo mai vista una così da vicino!» sussurra sconvolto, mentre Abbie cerca di leggere cosa ho scritto.
Arrossendo un po’, mi affretto ad infilare il compito sotto al banco, ma non sono fortunata.
«Mila!».
Alzo impaurita gli occhi verso la professoressa e lei mi sorride in modo dolce. Mi invita a leggere il compito alla classe, o una cosa del genere, ma io non registro bene le sue parole perché sono impegnata a cercare di inventarmi una via di fuga. Non ci riesco e quando la professoressa si rivolge alla classe la ascolto con le mani che sudano.
«Il compito era semplice, ho dato questa traccia cercando di aiutare chi ha i voti più bassi. Ma neanche ‘Mi ricordo.’ vi andava bene e molti hanno fatto i soliti errori che mi hanno portato a voti di poco diversi dalla norma. Era un compito che vi dava l’opportunità di aprirvi o scrivere qualcosa sulla letteratura, non so, c’erano tante possibilità. In pochi le hanno colte. Mila, poi, ha centrato in pieno il tema».
Sento gli occhi di tutti su di me e vorrei solo sprofondare quando la prof aggiunge: «Mila, vuoi leggere alla classe ciò che hai scritto? Ti va?».
Vorrei sparire nel nulla o almeno rispondere di no, e invece, per qualche istinto che al momento non so identificare, mi alzo e, col compito stretto al petto, mi avvicino alla prof che sta appoggiata alla cattedra. Le occhiate dei miei compagni di corso mi bruciano la pelle e io guardo il titolo del tema. Prendo un bel respiro, dico a voce alta e incerta «Mi ricordo» e poi prendo un altro respiro. E comincio a leggere.



 
Quella dei ricordi è una gran bella fregatura. Cioè, almeno per me. Per esempio: so di avere un occhio leggermente più piccolo dell’altro, ma al momento non saprei dire, dopo diciannove anni di convivenza con me stessa, se è quello destro o quello sinistro; e invece proprio ieri sulla stazione ho visto una ragazza leggere un libro e saprei descrivere alla perfezione il suo modo di mordersi le labbra o spostare il segnalibro.
E’ strano.
Non mi ricordo niente degli amici dell’asilo o delle elementari, a stento ricordo qualche faccia del mio vecchio college.
Non mi ricordo i titoli dei libri di scuola che infilo ogni mattina nello zaino, né il codice dell’antifurto di casa.
Non mi ricordo l’età di mia sorella, ogni volta che me lo chiedono devo farmi un attimo un calcolo.
Non mi ricordo come si cucina il mio piatto preferito, né la ricetta dei pancakes che preparo tre volte a settimana.
Eppure, mi ricordo il numero dei gradini del portico di Abbie e la marca preferita di jeans di Louis.
Mi ricordo il modo in cui mia mamma taglia la busta delle patatine fritte e pure l’anno della Rivoluzione francese.
Mi ricordo il testo di una canzone ascoltata solo due volte in radio e quello di una che non ascolto da anni.
Mi ricordo anche decine di numeri di telefono che non mi serviranno mai e di indirizzi che non so più neanche associare a dei volti.
E poi, soprattutto, mi ricordo di Zayn.



 

Sto per sentirmi male, lo stomaco brontola nonostante io non abbia fame e le gambe mi tremano. Stringo il foglio e i denti per un secondo. Voglio leggere, me lo sento. Ma forse non ce la faccio, mi brucia pronunciare il suo nome. La prof mi da un colpetto di spalla e io riprendo per non guardarla in faccia.
 


Zayn è, in assoluto, l’argomento preferito della mia memoria. E’ come un libro che ho letto così tante volte da impararne a memoria ogni rigo, ogni frase. E’ dappertutto e quei pochi angoli del cervello in cui non c’è sono quelli da cui l’ho cacciato via io con la forza, per avere un posto dove rifugiarmi.
Ma io mi ricordo tutto di lui. 
Mi ricordo il suo sorriso beffardo quando mi batteva ai videogames, mi ricordo il suo sorriso stupido quando mi prendeva in giro e mi ricordo anche il sorriso di cortesia che aveva stampato in faccia quando ci presentarono. Mi ricordo il sorriso che mi fece quando mi chiese di uscire la prima volta e mi ricordo il suo modo di stringersi la punta della lingua tra i denti quando gli risposi di sì. Mi ricordo pure il sorriso che aveva quando mi spogliava in silenzio, ed era il sorriso più dolce del mondo, mi ricordo il sorriso di sempre, quello rivolto agli amici, e mi ricordo il sorriso confuso che aveva quando gli dicevo qualcosa che non capiva ma, non volendo chiedere spiegazioni, fingeva di aver afferrato. 
Io, di Zayn, mi ricordo anche il sorriso romantico che aveva quando, a San Valentino, mi guardò scendere le scale per raggiungerlo sulla porta. Io questo sorriso di Zayn me lo ricordo più di tutti gli altri perché, dopo, non me ne ha potuti rivolgere più.

 


Sto male e la vista si sta appannando, ho quasi finito la prima spilletta e guardando la seconda mi chiedo se sono stata davvero io a scrivere tutte queste pagine. Mi appoggio alla cattedra dietro di me mentre cerco disperatamente di chiudere Zayn fuori dalla mia mente. Ovviamente fallisco miseramente. Cerco di nascondermi fra le righe che parlano di lui all’imperfetto.
 


Mi ricordo i suoi baci, poi. I miei preferiti erano quelli a stampo: mi ricordo le sue labbra morbide e calde appena socchiuse e premute delicatamente contro le mie. Ma mi ricordo anche i baci pieni di rabbia che mi dava se era arrabbiato col mondo e mi ricordo quelli affamati che coinvolgevano lingue, mani, gambe, petti, vestiti e scarpe. Mi ricordo un bacio triste di una volta in cui doveva partire per trascorrere il Natale da alcuni suoi parenti fuori Londra. Mi ricordo i baci sulla pelle scoperta sotto le lenzuola e sulle spalle bagnate di acqua salmastra mentre mi asciugavo al sole.
Certe volte questi ricordi mi esplodono in testa all’improvviso e mi sento le sue labbra premute sul collo senza preavviso, senza motivo, così, e allora mi ricordo pure del suo casco che vola via e si schianta, inutile, sul marciapiede. E scoppio a piangere e gli altri mi credono pazza. Forse sto impazzendo sul serio.

 


Mi asciugo gli occhi con le mani che tremano e poso la prima spilletta sulla cattedra. Adesso arriva la parte dolorosa, lo so. Cerco di respirare e continuo a leggere per inerzia.
 


Il casco che vola via... Quello non lo scorderò mai. E neanche il modo in cui il tempo si è dilatato all’infinito dallo schianto al momento in cui ho sentito appena le sirene dell’ambulanza.
A dirla tutta, non mi scorderò mai un sacco di cose. Come il fatto che la prima volta in cui abbiamo fatto l’amore io credevo fosse troppo presto e invece è successo e ne sono stata contenta, perché non è mai troppo presto per l’amore. Mi ricordo anche la seconda volta, a casa mia, e la terza, in un posto davvero troppo scomodo. E mi ricordo la quarta, in cui mi sono ritrovata per caso mentre cercavo di ripassare filosofia con lui, che è stata pure l’ultima.
Mi ricordo la sua paura per l’acqua e il suo modo di guardarmi dalla spiaggia mentre andavo a fare il bagno.
Mi ricordo il modo sconvolgente in cui non soffriva mai il freddo e la sua maglietta verde della Adidas.
Mi ricordo la sensazione dei suoi capelli neri fra le dita e la sua stupida aria da duro che non era sua per davvero.
Mi ricordo che il caffè lo prendeva amaro e la camomilla con tre cucchiai di zucchero e mi ricordo il suo modo di scrivere la ‘a’ facendola sembrare una ‘o’.
Mi ricordo la sua moto, nera e veloce, e la sua euforia quando finalmente poté comprarla coi risparmi di sempre.
Mi ricordo che non accelerava mai troppo e che metteva sempre il casco.
Mi ricordo le pubblicità progresso in TV in cui avvertivano i ragazzi di andar piano sulle macchine e di mettere bene il casco sui motorini per la propria sicurezza e mi ricordo il modo bizzarro in cui, per tutto il tempo in cui sono rimasta sdraiata sull’asfalto, mi sono chiesta dove Zayn avesse sbagliato.
Mi ricordo che, dopo, lo chiesi anche alla mia mamma, e lei scoppiò a piangere e mi disse che lui era nel giusto, che era stata la macchina sparata a tutta velocità ad uscire all’improvviso dalla stradina secondaria e a venirci addosso.
Mi ricordo che annuii e che un attimo dopo rividi tutta la scena come se ce l’avessi impressa nelle retine e mi ricordo che ad un certo punto mi sentii scuotere con tanta forza che mollai quelle immagini per guardare di nuovo mia mamma. Mi disse che stavo urlando, ma io questo non me lo ricordavo.
Ciò che mi ricordavo erano le urla di quella maledetta sera di San Valentino, quelle ce le avevo fissate in testa. Le urla di sorpresa durate meno di un secondo e ovattate dai caschi, le urla di terrore e poi, a terra, quelle di dolore. Mi ricordo proprio quel dolore acuto e straziante alla gamba e la sensazione di non avere più il piede destro. Mi ricordo che per un qualche strano motivo alzai un braccio e mi sfilai il casco. E mi ricordo che successe tutto nella strada di casa mia, per cui ad accorrermi furono persone che conoscevo, che mi avevano vista crescere tra una festa di quartiere e l'altra. Mi ricordo le loro urla e il loro parlare in agitazione, senza che io riuscissi a capire le parole. 
Mi ricordo di un urlo di dolore particolare. Non era di dolore fisico, era qualcos’altro. Era un ululato. Mi ricordo che dopo mi dissero che erano andati a chiamare a casa mia sorella mentre mia madre era fuori, e che lei aveva corso tanto veloce per arrivare da me che fu sconvolgente sapere che avesse ancora tutto quel fiato per gridare.
Mi ricordo che quando arrivò l’ambulanza nessuno mi sollevò da terra e io sentivo sempre più freddo. Mi ricordo solo che qualcuno venne da me, mi sollevò le palpebre, mi toccò la gamba e io cercai di aprire bocca senza successo, poi mi lasciarono lì. Però mi ricordo che quando sentii il rumore metallico di una barella riuscii ad aprire un po’ gli occhi.
Io mi ricordo di Zayn in quel momento, di come lo vidi coi miei occhi appannati e con la vista un po’ sdoppiata, e me lo sogno all’infinito la notte, con il volto irriconoscibile ricoperto di sangue e il braccio che cade scomposto dalla barella. Appena chiudo gli occhi vedo la sua maglia preferita stracciata e ricoperta da una macchia scura, i suoi capelli gocciolanti di liquido rosso e qualcosa di orribilmente simile ad un osso che spunta dalla sua caviglia.
Mi ricordo che cominciai a piangere nonostante mi mancassero le forze anche per respirare e mi ricordo che pensai che avrei voluto prendere a calci il tizio della pubblicità e la sua sicurezza del cazzo.
Mi ricordo che cominciai a dimenarmi di nuovo, facendomi così male che per un attimo vidi tutto nero e persi i sensi. Mi ricordo che quando ritornai in me qualcuno mi stava issando su un’ambulanza che non avevo sentito arrivare.
Mi ricordo che un infermiere parlava con me, voleva che lo stessi a sentire e non chiudessi di nuovo gli occhi, ma io avevo sonno e mi riaddormentai.
Mi ricordo che mi svegliai in un giorno di sole e mi ricordo il calore delle lacrime di mia mamma sul viso.
Mi ricordo che la prima cosa che vidi fu la mia gamba ingessata, poi le bende sul braccio e poi notai che respirare era assurdamente complicato. Mi ricordo che in un flash di lucidità chiesi di Zayn, mi ricordo mamma che scosse la testa per non dirmelo e mi ricordo il suo modo disperato di piangere. Mi ricordo che le implorai di dirmi la verità, che iniziai ad urlare senza avere fiato e mi ricordo di un’infermiera che entrò in stanza mentre mia mamma mi diceva che i funerali si sarebbero svolti quello stesso pomeriggio.
Mi ricordo confusamente le lacrime, le grida, i tubicini che saltavano via dalle mie braccia e un sacco di mani che cercavano di tenermi giù. Mi ricordo la sensazione sgradevole di un ago infilato nel braccio e poi non mi ricordo più niente.

 


Non ci vedo più per le lacrime, mi manca poco ma devo fermarmi per asciugarmi gli occhi. Non credevo proprio di aver scritto tanto e, soprattutto, senza neanche una cancellatura. Mi manca poco, davvero poco. Devo finire di leggere.
 


Non sono mai andata al cimitero e non so che foto abbiano usato sulla tomba. Voglio andarci, però. Appena ne avrò la forza, ci andrò e porterò una nostra foto. La metterò in una bella cornice e la poggerò accanto ai vasi dei fiori che io so sempre pieni. Gli dirò che sono ancora innamorata di lui, dopo un anno, dopo essere stata bocciata e dopo aver cambiato città, scuola e vita, per quanto possibile. Gli dirò che ho conosciuto una ragazza simpatica e che lei non ha paura dei miei scatti di rabbia. 
Gli dirò che sono stata brava, che ho risposto a tutte le domande dell’avvocato sull’incidente senza dare di matto e gli confesserò che l’ho fatto anche perché ho il terrore degli aghi. Gli dirò che lo so che gliel’avevo già detto una volta, ma gli dirò che non si sa mai. Gli dirò che sto pensando di togliere dalla busta in cui l’ho nascosto quel dipinto fatto insieme, quello con le nostre mani stampate con la vernice sulla tela, e poi gli dirò che se posso stare sulla sua tomba senza impazzire posso anche guardare le nostre mani ogni giorno senza dover pensare per forza al modo in cui le sue labbra formavano il mio nome e senza scoppiare quindi a piangere o cominciare a gridare.
Gli dirò che certe volte me lo sento vicino così tanto che penso di sentire il suo profumo e gli dirò che la tentazione di girarmi per vedere se c’è davvero è enorme. Gli dirò che io non mi giro mai. Gli dirò che se lo facessi so che non lo troverei e allora impazzirei sul serio. Gli dirò che mi manca e spero di potergli pure dire che sto cominciando a pensare un po’ di meno a lui e un po’ di più alla mia vita. Gli dirò che lui è stato il mio primo bacio, il mio primo amore e gli dirò che non lo scorderò mai. 
Perché, si sa, i ricordi sono una gran bella fregatura. Mi scordo di come è fatta la mia faccia, del giorno in cui cade il mio compleanno e di come sono disposte le lettere sulla tastiera del mio cellulare. 
Ma di lui, che non c’è più da un pezzo, non riesco a scordarmi nulla.

 


Ho finito. Ho finito e stringo gli occhi e vorrei solo rannicchiarmi in un angolo per cercare di sentire meno dolore al petto. Poso il compito sulla cattedra e mi fisso i piedi. Forse stanno applaudendo, questi ragazzi che mi hanno sempre guardata in attesa di una delle mie sfuriate improvvise. Non lo so, so solo che voglio cambiare corpo. Cambiare vita. Io non ce la faccio più a convivere con qualcuno che non c’è più, io voglio essere normale e con l’unica ansia dovuta all’imminente arrivo di un concerto o all’uscita di un nuovo album del mio cantante preferito. Mia mamma dice che ci vuole solo tempo e me lo dice pure mia sorella. Io ogni volta che me lo dicono mi sento stringere il cuore e voglio crederci. Se smetto di crederci io crollo.
Ci credo, me lo ripeto in testa e riesco ad alzare lo sguardo. Vedo solo Abbie e lei cerca di sorridermi, ma sta piangendo e le tremano troppo le labbra, quindi mi manda un bacio. Poi nel mio campo visivo entra Niall, e lui dev’essere quello che piange più di tutti, ha le guance rosse e l’azzurro dei suoi occhi è acquoso e quasi invisibile dietro i lacrimoni.
Anche la prof forse si è commossa e mi chiede se voglio andare in bagno. Mi precipito fuori dalla classe, ascolto il suo consiglio, e vomito tutta la colazione nel lavandino. Apro l’acqua, la faccio scorrere, mi sciacquo la bocca e all’improvviso entra Abbie. Mi abbraccia e io aspetto solo quello: scoppio in singhiozzi disperati che mi fanno sentire un’idiota, una senza palle, senza la capacità di andare avanti.
Lei continua a stringermi forte, fortissimo, mi accarezza i capelli e mi dice: «Io sto qua con te». E io continuo a piangere e a cercare di farmi forza quando lei bisbiglia: «Tu sei forte, Mila. Sei forte. Se una cosa del genere fosse capitata a me non avrei mai avuto la tua forza. Sei forte. E’ questo che l’ha fatto innamorare di te, io lo so. Tu sei forte».
«Io sono forte» le faccio eco, credendoci troppo poco.
Lei mi stringe ancora e dice: «Sì, tu sei forte. Ci vuole solo tempo».
E mi si stringe il cuore e voglio crederle. Ci vuole solo tempo e io sono giovane, ho tutta una vita davanti.
 
No?





































Un sabato sera sono andata al cinema e quando sono tornata ho visto che sulla mia strada c'era stato un incidente. Sono andata a vedere e c'era un sacco di gente, vetri rotti sulla strada, un casco in un angolo, una moto sdraiata su un fianco che perdeva carburante e una panda con un ragazzo scioccato che ci stava appoggiato sopra. Morale della favola: aveva preso in pieno due ragazzi sulla moto, due ragazzi della mia età,con la VITA INTERA davanti. Il ragazzo è morto e la ragazza si è salvata per miracolo. Sono rimasta sveglia fino all'una, fino a quando i pensieri erano così rumorosi che ho dovuto prendere il portatile e buttare giù questa OS. Perciò, mi scuso se vi ho depressi. Ma sono cose che succedono, purtroppo. Quindi boh, ragà, ma vivetevi la vita minuto per minuto che in mezzo secondo ci sfuma tra le dita, e spesso non è neanche colpa nostra.

dopo aver postato questo aborto della mia mente... ciao gente c:

(e, oddio, grazie mille se siete arrivati qui in fondo. le recensioni non mi dispiacciono c': - mi farei bastare anche un commentinininino su twitter, sono @Ms_MartyReid c: )
  
Leggi le 12 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Fanfic su artisti musicali > One Direction / Vai alla pagina dell'autore: Ms_MartyReid