Un
grazie speciale a
Thelma, che mi ha fatto da correttrice di bozze!
RUNAWAY
Non
potevo restare
lì, dovevo andarmene. Era trascorsa una settimana dalla
tempesta e più il tempo
passava, più mi rendevo conto che non potevo più
vivere a casa mia, a Seattle.
Il mio tradimento era diventato di dominio pubblico e
all’improvviso ero un’emarginata.
Solo Karev mi era rimasto accanto.
«Tutti
facciamo cose orribili, a volte» mi ha
detto un giorno. Ma io non resistevo più, non riuscivo
più a guardarla in
faccia, anzi a guardarle, Callie e Sofia. Così un giorno
sono partita. Ho fatto
le valigie al ritorno dall’ospedale: ci ho messo dentro i
miei vestiti, l’altra
mia protesi, le mie inutili scarpe con le rotelle, una vecchia foto di
noi tre
quando eravamo ancora una famiglia normale. Ho preso la mia auto e sono
andata
in aeroporto. Una volta lì ho preso il biglietto
più economico che ho trovato;
non ho guardato la destinazione non era importante. Dovevo solo
allontanarmi da
lì, il più in fretta possibile. Mi sono seduta ad
aspettare finchè non hanno
chiamato il mio volo: Springfield, in Illinois. Mi andava bene era
abbastanza
lontano da Seattle.
Quando
sono atterrata a Springfield era già
piuttosto tardi perciò avevo preso subito una camera
nell’albergo più vicino
senza avere la più pallida idea di cosa avrei fatto della
mia vita. Sono
entrata nella stanza e mi sono lasciata cadere sul letto guardandomi
intorno.
Erano anni che non prenotavo una camera singola. Ho tirato fuori dalla
valigia
la fotografia e in quel momento mi è squillato il cellulare.
«Pronto?» ho
risposto, senza essermi preoccupata di chi stesse chiamando.
«Dove
diavolo sei?» ha urlato una voce arrabbiata.
“È tornata a casa” ho pensato.
«Ciao
Callie» le ho detto stancamente. Non avevo la forza di
litigare.
« “Ciao
Callie”? Sul serio?» ha replicato lei con una
risata amara. «Ti spiego com’è
andata? Torno a casa distrutta, con la bambina che piange
perchè non ti ha
vista in tutto il giorno, entro e tu non ci sei. Nè tu
nè la tua roba, nessun
messaggio, niente di niente e tutto quello che sai dirmi è
“Ciao Callie”?
Adesso dove sei?»
«A
Springfield, in Illinois» ho detto con lo stesso tono stanco.
Lei ha ripreso ad
urlare, ma io ho smesso di ascoltarla. Ho allontanato il telefono
dall’orecchio, ho chiuso la comunicazione e l’ho
lasciato cadere sul pavimento.
Mi sono rannicchiata sul letto e ho cominciato a piangere. Ero sola,
praticamente senza sapere dove, senza un lavoro, senza niente.
Ad un
certo punto devo essermi addormentata perchè quando ho
riaperto gli occhi era
mattina. Mi sono alzata e mi sono guardata intorno. La valigia era sul
pavimento ancora chiusa, esattamente dove l’avevo lasciata la
sera prima.
Sapevo di doverla disfare, ma se l’avessi fatto, quello
avrebbe reso tutto
molto più reale. Con un sospiro l’ho aperta e ho
cominciato a mettere i vestiti
nell’armadio. Non avevo idea di quanto sarei rimasta in quel
posto, ma finchè
non mi fosse venuta un’idea migliore, mi andava benissimo.
Alla fine ho
appoggiato la foto sul comodino e mi sono accorta di avere fame. Avrei
voluto
restare sola, ma poi ho pensato che qui non mi conosceva nessuno e non
dovevo
per forza essere la donna che aveva tradito la moglie e che la
incolpava di un
errore che in realtà non aveva commesso. Potevo essere solo
Arizona, come
all’inizio.
Sarei
rimasta in quel posto per un po’ e poi avrei deciso cosa fare
della mia vita.
Ho preso questa decisione mentre il cuore mi batteva al ritmo dei nomi
delle
due donne della mia vita, che continuavano a venirmi in mente, anche se
io non
volevo. “Callie-Sofia. Callie-Sofia.