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Autore: Giamo    13/07/2013    0 recensioni
Un giovane ragazzo torna a vivere dopo anni nella casa di famiglia, dove avvennero dei terribili omicidi. Il protagonista dovrà lottare con il suo passato e contro le sue paure per poter continuare a vivere.
Genere: Thriller | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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IL CANE DEI VICINI

Jake era appena tornato nel Maine, dove era cresciuto. Aveva vissuto nell’Ohio, dai suoi zii, per motivi di famiglia, per quasi 10 anni. Ma ora poteva tornare a Portland, la sua città natale, all’età di 21 anni. Era andato ad abitare nella vecchia casa di famiglia, una vecchia casa patronale, molto grande. Davanti aveva un parchetto, non enorme, perché nell’87 la sua famiglia vendette parte del terreno per la costruzione di nuove strade. In origine la casa era dipinta di rosso, ma le intemperie, il tempo e la scarsa manutenzione trasformarono e sbiadirono il colore. Gli interni erano prettamente in legno, su tutti e tre i piani dell’edificio. Nulla era cambiato in questi 10 anni, gli alberi di noce ai lati della strada, le case, la chiesa del quartiere, niente. Neanche la casa dei vicini. Neanche il cane dei vicini, ovvero la causa dei motivi familiari che spinsero Jake dagli zii. Ebbene, quel cane, un alano nero, alto 83 cm al garrese, uccise la madre e il padre dieci anni prima, ma nessuno ci credette poiché i corpi che lui trovò non erano riconoscibili: la polizia disse che i suoi genitori erano scomparsi e che gli alani non si cibano di carne umana. Jake peròsapeva, aveva visto il cane saltare alla gola della madre prima, a quella del padre poi; vi si lanciò ringhiando e li lasciò a terra con la gola zampillante. Jake aveva veduto  tutto mentre era all’altalena nel giardino e scappò subito in casa, chiudendosi a chiave. Chiamò quindi il 911
-911, chi parla? Come possiamo aiutarla?-
-S..sono Jake Ross, p..per favore..aiuto, un cane sta uccidendo i miei genitori!-piagnucolò jake.
-Dove si trova?-
-Portland, Craven Road n7-
-Stia tranquillo, manderemo subito una pattuglia.-
L’alano non perse tempo a cercare di entrare in casa, piuttosto s’accanì sui coniugi cadaveri, sbrindellando la loro carne e staccandola dalle ossa con ferocia. Quando fu soddisfatto, uno o due minuti dopo, si cominciava a sentire la sirena della volante che però era ancora troppo lontana, e la bestia era troppo veloce. Troppo lesta fu l’animale a nascondere i corpi, via nel suo giardino. In seguito, pochi giorni dopo, una sera, Jake trovò le ossa dei due genitori nel giardino, davanti la scalinata, mentre era in casa con i suoi zii.

Jake rimise piede in quella casa dopo due lustri, tutto era come era stato lasciato, nella sua mente c’erano ancora i pezzi di carne e le macchie di sangue sul prato, una volta ben curato. Le vecchie palme avevano bisogno di essere curare, ne era rimasto solo un macabro scheletro, una colonna lignea che s’ispirava ad un menhir alto 20 metri. Il vialetto che portava alla larga scalinata, che si apriva a ventaglio dalla bella porta di noce, era in balia delle erbacce avide e mangiatrici. La casa era in degrado, l’orto al fianco opposto delle palme era morto, come i vecchi padroni di quella proprietà.

Jake era rimasto in casa a sistemare e pulire come meglio poteva l’edificio che, nonostante non fosse stato abitato per anni, non era danneggiato gravemente. In qualche modo era riuscito a sconfiggere i demoni che quel posto evocava, anche grazie all’aiuto di uno psicologo. Apparentemente non aveva più paura, s’era abituato ai ricordi, li aveva tutti sepolti, come i genitori. Ma la fobia del cane gli era rimasta, quel grosso, vecchio cane. Qualche volta lui stesso aveva dubitato dei fatti a cui aveva assistito, per via delle persone che non credevano ai suoi racconti. Come potevano non credergli? Gli dicevano che era stato suggestionato dalla fantasia. In ogni caso ormai apparteneva tutto al passato, già, quel passato che si spera di non dover affrontare mai.

Questo fu un frangente della sua vita pieno di ricordi e di flashback: il castagno gli ricordava le numerose arrampicate col padre, l’orto i lavoretti che tanto si divertiva a fare con la madre e così via, ogni singola cosa costituiva per lui un memo di una vita conclusa, morta e sepolta. Questo non era concepito da lui come una cosa negativa, o almeno, non ancora.
Era ormai un mese che era tornato e tutto aveva goduto di una nuova nascita: le palme erano state ripiantate, l’orto dava nuove messi, la casa era a posto, anche il seminterrato, anche il cancello, quel bellissimo cancello alto 4 metri e largo 5, quel colossale cancello nero di ferro battuto che, come un proemio, anticipava ed esprimeva tutta la bellezza che quella proprietà possedeva. Quel cancello nero, come quello di Mordor. Era decorato fino nei piccoli dettagli e presentava due falangi macedoni, l’una contro l’altra, ferme con le lance al cielo. Fu proprio quel cancello a proteggerlo un pomeriggio, quando, mentre usciva per gettare la spazzatura, vide due grandi orecchie spuntare da dietro uno dei soldati, due grandi zampe sotto al cancello. Era lui. L’alano. Lo scrutava e lo studiava, s’era spinto fino al cancello. Jake fu percorso da un brivido inibitore e s’immobilizzò: i due si guardarono negli occhi intensamente, fendevano l’aere con sguardi di sfida, poi il cane digrignò i denti e iniziò a ringhiare. Allora Jake si torse in un movimento fulmineo per correre in casa e chiudersi dentro, si fece cadere le buste di mano.

Quando arrivò in casa aveva il fiato corto e palpitava, rimase affacciato alla porta a vetri dell’entrata. Il cane abbaiò due, tre volte e poi se ne andò a passi lenti. Aveva un padrone quel cane? Dove erano i vicini? Jake non li aveva mai visti da quando era tornato. A pensarci bene neanche prima, erano perfetti sconosciuti, nel senso che non sapeva neanche se fossero mai esistiti. Cercò il numero sull’indice telefonico, senza trovarlo. Strano. Rimase tutto il giorno dentro casa per la paura.

La mattina uscì di casa intimorito, come gli orsi dopo il letargo: guardingo. Gli tornò alla mente il giorno dopo la strage. Era in casa con gli zii ma si sentiva comunque solo, solo come un cane, in casa sua. Non uscì nessuna parola da nessuna bocca per giorni, poi andarono via. Ora Jake era perseguitato dal ricordo del giorno dopo, delle sensazioni e delle emozioni. Nulla poteva torturarlo maggiormente. Voleva quel cane lontano da sé, per questo stava cominciando a pensare ad una possibile riapertura del caso. Era da un po’ di tempo che ci pensava, in città comunque la vicenda era ancora ben sentita e ben ricordata, non dimenticarono né cosa Jake sosteneva, né come i poliziotti reagirono insabbiando il caso. Il capitano della polizia era cambiato, avrebbe potuto ascoltarlo.

Decise di provare.
 
 
 
 
 
 
 
 

   
 
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