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Autore: Fede_Wanderer    15/07/2013    4 recensioni
La vita sulla Terra era un sogno.
Helo, Athena, Hera e la loro quotidianità.
Genere: Introspettivo, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Hera Agathon, Numero Otto
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Earth

La vita sulla Terra era un sogno.
Ogni mattina, Helo portava Hera a conoscere qualcosa di nuovo: la lasciava correre tra i fiori rossi, le faceva toccare l'acqua limpida con la mano, le indicava le montagne distanti, la faceva sdraiare nell'erba e rideva mentre lei fissava le nuvole con occhi sgranati, le spiegava come avvicinarsi agli animali selvaggi senza disturbarli e le lasciava assaporare l'aria di un pianeta vero.
Si trattava di un'esperienza revitalizzante, anche per lui: era sempre stato fiducioso nel futuro, ma talvolta, come tutti, aveva davvero creduto che i muri del Galactica sarebbero stati la sua unica casa per sempre. Così, ogni respiro che gli era concesso sulla Terra gli appariva come un dono.
Dopo qualche ora, come in un rituale, puntualmente prendeva Hera in braccio e la riportava a casa; lì, la bambina mangiava coi genitori e tra un boccone e l'altro raccontava entusiasta ogni sua piccola esperienza alla madre: le parole le uscivano di bocca accavallandosi tra loro e quando non sapeva trovare i vocaboli giusti, Hera gesticolava o disegnava, impiastricciandosi le mani col cibo e ridendo.
Athena era raggiante. Helo faticava a credere che ci fosse stato un tempo in cui lei non sorrideva: eppure i giorni in cui vivevano di stenti su Caprica, i tempi passati in prigione, gli sguardi ricchi d'astio e diffidenza della gente sul Galactica, i giorni in cui avevano dovuto combattere, sacrificarsi persino per poter stringere Hera tra le braccia... tutto ciò era stato reale, una volta; ora pareva solo un ricordo offuscato.
Quando Hera esauriva le parole per i suoi racconti quotidiani, Athena la prendeva in braccio, la cullava dolcemente e sussurrandole una ninna nanna la conduceva sul suo lettino, dove la faceva addormentare; a volte ci metteva un attimo, ma c'erano giornate in cui Hera le domandava con esigenza una canzone dopo l'altra, le teneva la mano per ore fino a quando non prendeva sonno e per nessun motivo lasciava che Athena si allontanasse anche solo un minuto da lei.
In quei momenti, Helo percepiva la solitudine. Non che non si sentisse a suo agio: aveva con sè sua moglie e sua figlia e tanto gli bastava per essere felice. Tuttavia, era consapevole che, in quell'angolo di mondo, erano soli. I loro vicini erano ex abitanti delle navi civili della flotta - persone cordiali, con cui tuttavia non condividevano nessun ricordo, nessuna esperienza; persone che, con ogni buona probabilità, un giorno sarebbero state loro ottime amiche, ma che non potevano colmare il vuoto di chi non c'era più.
L'ammiraglio Adama se ne era andato dall'altra parte del pianeta a vivere nella sua capanna ed Helo non poteva che domandarsi se stesse bene, se avesse bisogno del suo CAG ancora una volta; Apollo era in esplorazione chissà dove e forse, solo forse, prima o poi sarebbe passato a salutarli; Galen Tyrol aveva scelto una vita da eremita; e Kara...
Helo aveva conservato le sue cose, aveva appeso il suo disegno al muro e aveva accettato, per la seconda volta nel giro di un anno, la sua morte. A volte, però, si aspettava ancora di vederla spuntare da una collina, con la pistola in mano ed un ghigno strafottente; avrebbe voluto girarsi e trovarsela davanti, ringraziarla per averli condotti sulla Terra, giocare a carte con lei all'alba, ridere insieme dei tempi in cui lei gli aveva dato dell'idiota per essersi innamorato di una cylon ("senti chi parla", le avrebbe risposto), persino scrollarla per le spalle e dirgliene quattro per tutte le sue cazzate, come aveva fatto sulla Demetrius, mesi prima.
Maledetta, testarda, impertinente Starbuck. In fin dei conti, gli sarebbe mancata per sempre.
Anche nelle giornate peggiori, comunque, Helo riusciva a scacciare la malinconia, in un modo o nell'altro: nelle ore pomeridiane lavorava nei campi o sistemava la casa, dandosi il cambio con la moglie a giornate alterne, e così, concentrato sul lavoro da eseguire come ogni buon soldato, lasciava da parte ogni altro pensiero.
Il suo momento preferito della giornata, però, era la sera, dopo cena, quando il sole scompariva del tutto e nel cielo si mostravano le stelle: si rendeva conto di quanto fossero distanti e meravigliosamente irraggiungibili e, pur provando ancora una vaga nostalgia verso i Raptor e i Viper e il viavai di piloti e meccanici e i salti nelle galassie, solo in quell'istante, nell'avvertire la terra così stabile sotto i suoi piedi si sentiva, finalmente, a casa.
Sì, la vita sulla Terra era davvero un sogno.
   
 
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