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Autore: hirondelle_    15/07/2013    2 recensioni
[Questa fan fiction partecipa al contest “différent” di doresu no shoujo e _Aurara]
Ipotetico futuro: la popolazione LGBT è riuscita ad essere riconosciuta a pari diritti con gli eterosessuali... Ma dopo una catastrofica guerra nucleare e una rovinosa dittatura, la comunità sarà costretta a fare i conti con una società omofoba decisa a tutto pur di eliminarla.
Genere: Angst, Drammatico, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai, Crack Pairing | Personaggi: Afuro Terumi/Byron Love, Hayden Frost/Atsuya Fubuki
Note: AU | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate
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Autore/Autori: macareux
Titolo della storia: Sixteen
Rating: Arancione (?)
Prompt (nel caso inseriate canzoni o banner): //
Personaggi: Afuro (Aphrodi) Terumi, Atsuya Fubuki, Seidou Dan, Hoda Mistuhiro
Pairing: Pairing assegnata: AtsuAfu; Pairing aggiunta: Seidou/Hoda
Numero di parole: 4.671 :3 Ho dovuto tagliare qualcosa (?)
Disclaimer:
I personaggi presenti in questa fanfiction non mi appartengono ma sono proprietà del rispettivo Autore. Questa fanfiction è stata scritta senza alcuno scopo di lucro. Gli avvenimenti descritti in questa fanfiction non sono mai esistiti, ogni avvenimento a fatti o persone reali è puramente casuale.
Eventuali note: Uhm. Questa one-shot sprizza angst da tutti i pori. Forse è la cosa più drammatica che io abbia mai scritto dopo la morte di Ryuuji---
Ho scritto la maggior parte dei chiarimenti nell'introduzione, se non avete avuto sbatti di leggere tornate indietro perché non ho voglia di scriverli anche qui :3
Spero di arrivare almeno quinta in classifica con questa fic, mi sono impegnata tantissimo ^^ Del resto non è stato molto semplice ideare una trama fattibile, e devo dire che questa fic non ha neanche una trama---
Ammetto che sarebbe stato carino fare una specie di sequel, ma direi che non è necessario. Per qualsiasi domanda riguardo alla fic sono a vostra più completa disposizione amori miei, ammetto che è una cosa molto confusionaria e forse il finale non è dei migliori ^^
Ringrazio Rie e Rara per avermi lasciato partecipare e auguro a tutti i concorrenti un buon posto in classifica ♥
Au revoir ♥
 
 
 
 
Afuro poteva sentirlo: odore di sangue. Impregnava le stanze buie con il suo odore acre e ferroso, scivolava dolciastro in brevi e affannosi respiri. Il pavimento macchiato di rosso riluceva appena alla luce della lampada posta nell'atrio, un'immagine tetra nell'orrore di quella notte di pianto e dolore.
Rimase sulla soglia ancora un po', la spesa tra le braccia candide e la chiave del bunker tra le dita. - Atsuya? - chiamò piano, puntando gli occhi sul vuoto del buio. Nel non ricevere risposta si sentì pervadere da una strana angoscia, un vasto senso di solitudine e disperazione che ultimamente sentiva più spesso di quanto avrebbe mai immaginato.
Percorse lentamente tutta la lunghezza del corridoio, si tolse la maschera antigas e scosse appena i capelli biondi. Il fermaglio che in genere usava di solito per raccoglierli s'infranse come un avvertimento, cadendo a terra con un lieve rumore che rimbombò per le pareti del bunker come a sottolineare il vuoto e la solitudine apparenti del luogo.  I suoi lunghi capelli si sciolsero lungo le spalle, e Afuro rabbrividì appena inarcando la schiena, come toccato da una fredda lama affilata.
Seguì le tracce di sangue, fino ad arrivare nella camera del loro bambino. Era tutto immobile, tutto perfettamente calmo e tranquillo: Atsuya dormiva placidamente con Seidou accoccolato tra le sue braccia, nel frattempo il vecchio e scassato carillon emanava ancora una dolce melodia che sapeva di antico e perduto. Dovevano essersi addormentati entrambi da poco.
Terumi raccolse lentamente la maschera antigas da terra, rimirandola silenziosamente: macchiata di sangue, come al solito.  Sospirò e si avvicinò ai due, prese il bambino delicatamente e lo pose nella culla, ben attento a non svegliarlo. Il piccolo agitò appena le braccine, in un buffo tentativo di svegliarsi.
- Quando imparerai? - mormorò rivolgendo lo sguardo al suo compagno: lo sapeva, era sveglio. Lo era sempre stato.
- Mai. - rispose lui, ringhiando sommessamente. Si massaggiò la gamba sanguinante, come se con quel gesto la ferita sarebbe potuta svanire. Afuro alzò le spalle e prese la cassetta del pronto soccorso dalla scrivania, aperta per ogni evenienza.
Nella penombra si avvicinò all'uomo e iniziò in tutta tranquillità a medicarlo, fregandosene dei suoi ringhi e delle sue reazioni sconsiderate. - Zitto, il bambino dorme.
- Lo so.
- Idiota.
- Scema.
Seguirono attimi di silenzio interminabili: Afuro smise di fasciargli il ginocchio e ci appoggiò la fronte, esausto dal mondo. Poteva sentire la mano di Atsuya carezzargli dolcemente i capelli, piano, come a dire che andava tutto per il meglio.  - Lo faccio per noi…  per i nostri diritti. - sussurrò il rosso.
- Lo so. - rispose l'altro, e fu tutto ciò che disse quella sera. Appoggiò una mano sulla sua, solo per sentire sotto il suo tocco l'anello che li aveva uniti un giorno che sembrava lontano, perso per sempre. Poteva sentirne la consistenza dura e metallica, liscia al tatto, come una pietra preziosa levigata dal tempo.
Alzò gli occhi su di lui, e per la prima volta dopo giorni sorrise tra le lacrime.
 

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Felice, spensierato, drogato di lui.
Afuro sorrise nel bacio, facendo combaciare i loro bacini e facendo dondolare appena le gambe. Sarebbe rimasto per ore abbracciato a lui, sospeso a pochi centimetri da terra, ma dubitava che Atsuya riuscisse a sostenere il suo peso per tanto tempo. Difatti non passarono neanche cinque minuti, il rosso lo pose su una panchina poco lontana senza però staccare le mani dai suoi fianchi. - Ti amo.
Terumi gli sorrise e si chinò per far incontrare ancora le loro labbra, appoggiando le mani sulle sue.
Felice, spensierato, drogato.  Terumi Afuro, in quel momento, non avrebbe saputo descriversi al meglio. Forse era ancora un po' sbronzo dopo il pranzo, forse non aveva digerito bene la torta nuziale, fatto sta che in quel momento non avrebbe potuto pensare ad altro se non a lui, a ciò che era successo solo poche ore prima, al suo sorriso, ai suoi baci…
- Piccioncini, aspettate ad arrivare in camera da letto per fare certe cose! È il momento del brindisi!
Atsuya si girò vero il gemello ringhiando, ma Shirou non vi diede peso e scoppiò in una risata liberatoria. Si nascose dietro il marito, per ogni evenienza, senza tuttavia smettere di ridere: forse anche lui aveva alzato un po' il gomito. Pure lui si era sposato solo qualche giorno prima, quando i loro sogni erano potuti finalmente diventare legalmente reali.
- Non badarlo e baciami. - sussurrò Afuro trattenendo lo sposo e fiondandosi ancora sulle sue labbra. Dolci come il miele, pensò solamente stringendolo a sé. Era bello perdersi in quel mondo proibito, accessibile d'ora in avanti solo a lui.  Lo avrebbe baciato all'infinito, solo per smettere e sussurrargli a fior di labbra un velato "Ti amo", e poi ripeterlo, più volte, come una cantilena.
Un urlo di terrore lo fece voltare di scatto verso la valle: un paracadute scendeva lentamente sulla città, e forse non abbastanza lentamente per essere fermato. Il boato che proruppe al suo contatto col suolo gli fece chiudere gli occhi.

 
- Cazzo.
Terumi si passò il dito sulle labbra, succhiando via il sangue: si era tagliato per la seconda volta quella mattina. Decisamente non era nato per la cucina, eppure riusciva sempre a preparare qualcosa di buono in qualunque situazione si trovasse…
- Dovresti stare attento. - lo ammonì Seidou entrando nella stanza. Si sedette su una delle sedie scricchiolanti e si sistemo pigramente i capelli rossi, socchiudendo appena gli occhi. La cucina era illuminata come sempre dalle fioche luci a neon, ma la penombra e il senso di prigionia rimaneva permanente non solo in quel luogo sinistro, ma anche in tutte le altre stanze del bunker. Ormai c'erano tutti abituati, eppure entrare in quegli ambienti gli dava sempre un vago senso ci claustrofobia. Preferiva di gran lunga i lussuosi appartamenti di Hoda, su uno di quei grattacieli di vetro nel distretto dei ricchi…
 - Prepara la tavola piuttosto! - esclamò ad un certo punto il biondo non vedendolo fare niente, con l'unico risultato di tagliarsi di nuovo. Soffocò un mugugno di dolore e riprese a tagliuzzare le zucchine.
- Ma è una cosa da donne! - ribatté sbuffando il ragazzo, e Terumi gli rivolse un'occhiataccia: - Ti sembro una donna, io? Insomma Seidou, hai quindici anni, non tre!
- Ne ho quasi sedici! - ribatté il giovane aprendo una credenza e prendendo la tovaglia. - E comunque sì, sembri una donna.
A una provocazione del genere, Seidou era sicuro che Terumi avrebbe risposto nel migliore dei modi: avrebbe agitato il coltello in aria minacciandolo di farlo rimanere a bocca asciutta fino a sera, magari senza riuscire a trattenere un sorriso. Quella volta invece Afuro rimase in silenzio, continuando ad affettare le verdure con mano sempre più cadenzata.
- Papà? - chiese preoccupato, non notando alcun tipo di reazione. - Che ti succede?
Terumi si voltò verso di lui, gli occhi rossi e grandi un po' vacui: - Come, hai detto qualcosa? Devo essere diventato sordo. La vecchiaia, suppongo…
Seidou scoppiò a ridere, iniziando a preparare le stoviglie sul tavolo: due piatti, bicchieri, forchette. Era raro che a pranzo fossero tutti assieme, infatti da quando Atsuya lavorava nella Fabbrica non riuscivano ad avere contatto con lui se non alla sera. - Sì, stai proprio invecchiando! - esclamò sedendosi -anzi, stravaccandosi- sulla sedia.
- Please, nei miei quarant'anni d'età non puoi certo dire che io non abbia un certo charme. - replicò Afuro portando il pranzo in tavola. Seidou gli sorrise, osservandolo attentamente: in effetti, nonostante l'età avanzata, Terumi somigliava terribilmente a un trentenne: fianchi magri, viso delicato, capelli ancora biondi sempre raccolti in una crocchia curata  -anche se ormai da un po' di tempo sospettava che se li tingesse per mantenerli così perfetti.
Iniziarono a mangiare, a scandire il tempo c'era solamente il ticchettio dell'orologio a muro.
 

 
Il bambino appoggiò la cartella alla parete, prima di entrare in cucina e trovare i suoi genitori che parlavano tranquillamente davanti alla solita tazza di caffè. Si sedette su una delle sedie e iniziò a mangiare il pranzo già pronto, abbuffandosi e sporcandosi tutto con la zuppa di verdure. Terumi gli sorrise, chinandosi per pulirgli teneramente la bocca con un tovagliolo. - E allora campione, com'è andata a scuola?
Il bambino li guardò negli occhi, sorridendo mostrando la fila di denti che s'interrompeva esattamente a metà e l'enorme finestrella dovuta alla caduta dei denti da latte. - Oggi la maestra ci ha insegnato una cosa buffa!
- Ah sì? - sorrise Atsuya, prendendolo e facendolo sedere sulle sue gambe. Il bambino sembrò apprezzare, infatti si mise  a torturare i suoi capelli rossi ridendo.  - Che genere di cosa?
- Ha detto che vi devo chiamare Genitore uno e Genitore due. - spiegò il piccolo additandoli. - Ho deciso che papà Atsuya sarà Genitore uno, e papà Terumi Genitore due… Ho chiesto alla maestra se posso accorciarli in G-uno e G-due e lei mi ha detto di sì.
Afuro sbarrò gli occhi sul suo bambino per numerosi secondi, prima di scoppiare a ridere: - Hai sentito Atsuya? Questi stanno proprio male!
Seidou non capì bene la reazione del padre, anzi, del G-due.  Sapeva solo che si sentiva abbastanza ridicolo, per questo motivo mise un tenero broncio che  convinse Terumi  a smettere e limitarsi a un sorriso un po' stupido. Però tutto gli fu più chiaro quando egli si chinò alla sua altezza, gli prese entrambe le ginocchia e gli scoccò un bacio sulla fronte: - Non ascoltare la maestra: tu ci puoi chiamare come desideri. È più comodo papà, no?
- Sì… - ammise il piccolo arrossendo e sorridendo infantilmente.  
Afuro ricambiò il sorriso e gli porse una guancia per chiedergli un bacio, una richiesta al quale il figlio non seppe resistere.
- Ehi, e io chi sono? - protestò allegramente Atsuya chinandosi su di lui e iniziando a fargli il solletico alla pancia. Il piccolo Seidou si mise a ridere, e alzando il viso rosso sul suo G-uno poté vederlo sorridere scherzosamente.

 
- Oggi vado da Hoda: dobbiamo fare una ricerca.
Terumi alzò gli occhi su di lui, lasciando i piatti sul lavello, e aggrottò le sopracciglia come segno intellegibile del suo disappunto: - Ti ho detto che non devi frequentare tipi del genere…
- Lo conosco dall'asilo, è il mio migliore amico! - protestò infuriato il rosso scattando in piedi: odiava quando suo padre protestava a quel modo, non riusciva a capirne la ragione.
Terumi distolse lo sguardo da lui senza una parola, riprendendo a lavare i piatti con più foga del dovuto. Seidou continuò a guardarlo storto, senza capire davvero dove volesse andare a parare l'adulto: non era la prima volta che assisteva a una scenata del genere, eppure da bambini tutto sembrava normale, la loro amicizia non poteva essere compromessa da nessuno… o almeno così aveva creduto fino a pochi anni prima.
- Papà… sono grande. Fra qualche giorno diventerò un uomo… E so badare a me stesso. Se sei preoccupato non ne hai il motivo…
- Non sono preoccupato. - sbottò Terumi voltandosi di scatto verso di lui, furente. - Non voglio che tu lo incontri così spesso, tutto qui.
Il rosso lo fissò per attimi interminabili, senza sapere cosa dire: era forse la prima vaga risposta che gli veniva rivolta dopo anni di mutismo, e bisognava ammettere che non fosse una vera e propria risposta… - Sei geloso?
- Geloso, io? Ma figurati.
- Hai paura che tra di noi ci sia dell'altro? Ne sei davvero convinto?
Il biondo si voltò ancora verso di lui, ma stavolta non c'era traccia di ira nel suo viso inespressivo. Sembrava perso in ricordi lontani, e forse un po' tristi, perché d'un tratto iniziò a tremare. - Ti prego… stai attento. Stai attento con lui, non… non innamorarti.
Il figlio lo guardò strabuzzando gli occhi, non sapendo se ridergli in faccia o rimanere zitto a fissarlo. Capiva bene lo stato d'animo di Afuro, eppure c'era ancora qualcosa che gli sfuggiva, non percepiva chiaramente: non c'era solo gelosia, non era solo un bisogno paterno di proteggere il proprio figlio… era proprio paura, terrore nel sapere qualcosa di troppo grande per essere raccontato.
Rimase in silenzio a guardare la sua figura immobile e fragile, appoggiata al lavandino come  a volersi sostenere per non crollare improvvisamente a terra: non sembrava più così giovane.
Imboccò la porta della cucina con la consapevolezza di allontanarsi sempre di più da quello che ormai era diventato più di un genitore. Si stava allontanando da tutto ciò che sentiva suo, da tutto ciò in cui credeva… e c'era solo l'amara consapevolezza che sarebbe stato difficile riavvicinarsi di nuovo, ora che sarebbe diventato finalmente adulto.
- Ehi. - lo richiamò debolmente il biondo, e Seidou si voltò appena: - Che c'è?
Tra le sue mani piombò un oggetto duro e metallico, pesante e massiccio, un oggetto che conosceva bene ma che fino a quel momento non aveva nemmeno considerato…
- La maschera antigas, idiota. Stai attento ad attraversare il distretto.
Seidou alzò gli occhi su suo padre, girato di schiena, e non poté non sorridere dolcemente: - Grazie papà. Ti voglio tanto bene.
Non aspettò una risposta: si mise la maschera, uscì in strada e s'incamminò tranquillamente attraversando il distretto deserto. Era raro infatti che qualcuno passasse a quell'ora: era risaputo che i Genitori due, scelti dai loro stessi figli, dovessero passare l'intero giorno a fare le faccende di casa senza poter uscire prima di sera; per quanto riguardava i Genitori uno, passavano quattordici ore del loro tempo giornaliero a lavorare e racimolare i soldi necessari al sostentamento della famiglia.
Seidou non sapeva che pensare di quella che era stata considerata addirittura una legge costituzionale, ma doveva ammettere che alle volte si sentiva in colpa per aver scelto una sorte così ingiusta a quelli che erano, in fondo, le persone che lo avevano amato e cresciuto.
Entrò in città con passo pesante, ma solo quando fu veramente sicuro di permettersi di togliere la maschera dal viso decise di metterla nella borsa a tracolla con i compiti. Già, compiti.
La Città era l'unico luogo nell'arco di venti miglia ad essere totalmente ripulito da scorie radioattive e fughe di gas, per questo motivo veniva chiamata anche la Bolla. Seidou riprese a camminare pensando che, a ben pensarci, la Città era un posto totalmente diverso dall'agglomerato di bunker dove viveva.
Sorrise addentrandosi in quel bosco di grattacieli, arrossendo a dolci e impuri pensieri.
Hoda.
 

Il bambino chiuse gli occhi infastidito, sbuffando per l'ennesima volta al contatto della spazzola coi capelli: - Fai male papà!
- Sei pieno di nodi! - replicò un po' spazientito il biondo. - Ma che hai fatto per ridurti così? - chiese poi, alludendo ai numerosi graffi e ai vestiti macchiati di fango.
- Ho fatto a botte con Hoda. Mi prendeva in giro per i miei capelli.
- Ma che bravo. - sospirò ironico l'adulto continuando a pettinare i suoi lunghi capelli rossi, ancora umidi dopo un buon bagno. - Vuoi tagliarli?
- No. - scosse la testa il piccolo, con l'unico risultato di aggrovigliarli di nuovo. Afuro alzò gli occhi al cielo e poi riprese a pettinarli, sempre con la stessa delicatezza di sempre.
- Mi piace quando mi pettini. E poi anche a te piace, no?
Terumi lo guardò stupito, poi scoppiò a ridere, chinandosi per baciargli una guancia. - Sei davvero dolce…
 

- Che dolce che sei… - mormorò sovrappensiero il ragazzo, coccolandosi nell'abbraccio nudo e caldo dell'altro. Sentiva il pettine di Hoda scivolare lungo la lunghezza dei suoi capelli rossi, eliminando al suo passaggio tutti i nodi possibili con delicatezza infinita.
Entrambi avevano sempre amato restare lì, a scambiarsi coccole e baci dopo un intenso pomeriggio passato ad amarsi follemente e senza pudore. Seidou in particolare preferiva il momento del tramonto, specialmente in inverno: il cielo si colorava di rosa e la luce dell'ultimo sole irrompeva nella stanza attraverso le immense e regali finestre della camera da letto. Amava le finestre, soprattutto quelle grandi… ma forse tutto questo era dovuto al fatto che nell'angusto bunker dove aveva passato tutta la sua vita le finestre erano pressoché inesistenti.
- Quindi i tuoi sospettano qualcosa, dici? - sussurrò al suo orecchio Mitsuhiro senza trattenersi dal baciarlo. Seidou piegò appena il collo per accogliere le sue labbra, senza malizia. - No… - rispose un po' tetro, incupendosi improvvisamente. - Solo che… è tutto così strano. Mi sembra di vivere in un'illusione.
- Anche io sono un'illusione allora? - sorrise lui, e il ragazzo voltò appena il viso per fargli una linguaccia. Hoda ne approfittò per prenderlo di peso e portarlo sotto di lui, godendosi il rossore che avevano preso le sue guance. - Anche quello che ti farò se non la smetterai di provocarmi in questo modo sarà  un'illusione?
Seidou gli posò una mano sulla guancia e avvicinò le loro labbra con un sorriso: - L'illusione più bella della mia vita…
E avrebbero anche coronato la loro illusione per altre due ore buone, se solo la signora Mitsuhiro non fosse entrata in casa proprio in quel momento annunciando il suo ritorno dopo un giro di acquisti.
- Oh, è arrivata G-due. Forse sarebbe meglio vestirsi.
- Ti ho detto mille volte di non chiamarla così! - esclamò Seidou corrugando la fronte e iniziando a infilarsi i boxer. Per tutta risposta Hoda lo guardò in modo abbastanza buffo e scosse la testa: - Ho diciotto anni ormai, non credo che ci sia bisogno di spiegazioni.
Il rosso sbuffò contrariato infilandosi la maglia, poi rise: - Ah, fra due giorni compirò sedici anni! Vedremo chi sarà a comandare!
- Non scaldarti troppo, micio! - replicò Hoda iniziando finalmente a infilarsi i vestiti.
Hoda era sempre stato un tipo abbastanza particolare, specialmente lunatico. A vedere la sua espressione perennemente scocciata e annoiata, nessuno avrebbe mai pensato che a letto fosse un vero maestro della perversione. Era forse uno dei lati che Seidou amava di più in lui, o forse no. Almeno così pensò per l'ennesima volta sedendosi dolorosamente sulla sedia dove i compiti, completamente bianchi, aspettavano silenziosamente da un bel po'.
La madre di Hoda bussò alla porta nell'esatto momento in cui anche il suo ragazzo lo raggiunse, fingendo di segnare qualcosa sul suo notebook.
Era sempre più difficile nascondersi agli occhi degli adulti, ma ormai sarebbe stata una questione di pochi giorni: sarebbe andato a vivere con Hoda. La sola idea lo elettrizzava a tal punto che gli riusciva difficile contenersi ogni volta pensava a loro. Credere nei progetti che aveva ideato con lui era come sognare un sogno dolcissimo, mangiare un frutto desiderabile e proibito. Alle volte invece pensava che sognare una vita completa insieme a lui fosse appunto… un'illusione.
Sorrise alla madre di Hoda, arrossì impercettibilmente quando il figlio le chiese se poteva restare a dormire per la notte.
Di certo non avrebbe potuto rifiutare…
 

 

Atsuya quella mattina  entrò nell'edificio accompagnato dalle stesse e logoranti urla di sempre. Aveva sempre i brividi nell'ascoltare quei pianti disperati, richiami che si perdevano nel vuoto… era difficile ignorare tutta quella tristezza persino dopo anni di lavoro.
Aprì il suo armadietto con vecchi e concisi gesti automatici, si privò bruscamente della camicia riponendola accuratamente all'interno, prima di legarsi i capelli con un vecchio elastico consumato.
Passi piccoli, la porta scorrevole che scivolava pigra: senza voltarsi, Atsuya seppe che era appena entrato Shirou Fubuki. - Ciao. - disse atono senza guardarlo, ma a differenza degli altri giorni il gemello non rispose. Nel silenzio si voltò verso di lui, guardandolo con tanta intensità che quello arrossì abbassando lo sguardo: tipico di lui, pensò tristemente.
- Ciao. - disse finalmente il grigio guardandolo di sottecchi, un sorriso dolce e triste sulle labbra. - Volevo… guardarti negli occhi almeno una volta per salutarti. Sai… oggi è il mio ultimo giorno qui…
Atsuya si pietrificò a quelle parole: sapeva bene che "qui" voleva dire troppe cose. Sbarrò gli occhi sulla sua figura alta e smunta, senza sapere che cosa dire, mentre le urla continuavano imperterrite a divorargli la mente.
- Sì… - riprese Shirou, piano. - Domani è il sedicesimo compleanno di nostro figlio. Non volevamo mancare per niente al mondo… mio marito ha già preparato il pranzo, forse per quell'ora non ci saremo più…
Atsuya si avvicinò velocemente per stringerlo a sé in un muto abbraccio. Quanti anni erano passati da quando avevano avuto un contatto del genere, quanti da quando avevano smesso di essere fratelli? Troppi si disse, decisamente troppi.  Sentì il suo petto bagnarsi di calde lacrime, e tutto ciò che riuscì a fare fu accarezzargli piano i capelli, mormorandogli che quell'incubo sarebbe finito presto.
- Non voglio morire. - sussurrò piano il grigio trattenendo i singhiozzi. - Non voglio morire.
La campana che segnava l'inizio dei lavori fu una secchiata d'acqua gelida.

 
Atsuya arpionò gli ultimi corpi della giornata con tanta foga da insanguinare completamente il fiume. Con un urlo li sbatté nel mucchio di cadaveri che sarebbero stati destinati alla fornace, gridando di disperazione: erano uniti, le due donne si erano abbracciate con talmente tanta forza che il calore aveva finito per fonderle in un unico, ripugnante essere.
Buttò l'arpione in acqua facendo alzare degli schizzi, urlò ancora e si abbatté al suolo come un gigante ferito: non aveva mai pensato di finire in questo modo penoso, eppure l'esigenza lo richiedeva. Affondò le mani tra i suoi capelli, gridando e piangendo, ignorando le mani dei compagni che tentavano di alzarlo e confortarlo: inutile, mediocre e pietoso.
Era finita. Era finita spaventosamente.
Ripensò in un solo attimo a tutte quelle volte che si era ribellato, a tutto il sangue che aveva versato, a tutte le sue urla perse al vento. Sforzi vani di cambiare le cose, risultati disastrosi per la sua famiglia: tutto sembrava non avere senso, eppure la legge lo aveva imposto da sempre.
Si rialzò con le poche forze rimanenti mentre le Fabbrica si svuotava, attraverso le finestre incrostate di carbone filtrava la poca luce di un giorno morente, mentre la pioggia continuava a battere sui vetri.
Alzò lo sguardo sull'entrata e sussultò leggermente nel vedere una figura pallida e magra osservarlo pacatamente sulla soglia, i vestiti bagnati di pioggia e l'ombrello stretto in una mano. - Sono venuto a prenderti. - sorrise dolcemente Afuro tendendogli una mano. - Torniamo a casa insieme?
Atsuya socchiuse gli occhi, poi prese la mano del marito e si avviò con lui all'esterno, sotto la pioggia battente, respirando piano.
- Hai pianto. - sussurrò solo Afuro con il solito sorriso asciugandogli le lacrime che non volevano saperne di fermarsi. Il biondo aprì l'ombrello e insieme s'incamminarono verso il distretto, mano nella mano.
- Perché, tu no? - mormorò il rosso alzando gli occhi sul cielo scuro, coperto dal grigiore delle nuvole. Terumi fece spallucce e sciolse la sua stretta solo per aggiustarsi meticolosamente una ciocca di capelli dietro l'orecchio. Con un gesto rapido Atsuya approfittò della distrazione e gli tolse il fermaglio sciogliendo i lunghi capelli lungo la sua schiena. Terumi arrossì e lo guardò di sottecchi, cercando di riprendersi il fermaglio senza successo. - Ridammelo!
- Per una volta puoi anche tenerli così, no?
Afuro abbassò lo sguardo sorridendo pigramente, poi gli scoccò un bacio sulla guancia e riprese a camminare stringendo la sua mano. - Ho preparato la cena, Seidou si ferma a dormire fuori…
- Da Hoda? - indovinò il marito corrugando la fronte. - Non mi piace quel tipo.
Terumi si fermò a pochi passi dal limite della Bolla e prese a trafficare nella borsa, sfilando le maschere antigas: - Non piace molto neanche a me… ma se davvero ama il nostro bambino va bene.
- Li uccideranno. - obiettò Atsuya corrugando la fronte. - L'hai avvertito di stargli lontano?
Terumi sorrise tristemente, gli porse la maschera e alzò le spalle: - Sì. Però non ce l'ho fatta a trattenerlo… somigliava troppo a me quando dovevo uscire con te, lo sai? E l'ho lasciato andare.
Atsuya sbarrò gli occhi non sapendo se disgustarsi, imbarazzarsi, arrabbiarsi o rassegnarsi per il gesto del marito: - Dici che scopano?!
 - Per me Seidou è un libro aperto. - annuì semplicemente Terumi infilando la maschera. - Forse lui se lo dimentica troppe volte.
Tornarono a casa nel più assoluto silenzio. Afuro prese le chiavi del bunker e le infilò nella toppa, girandole con gesti calmi. Entrarono senza far rumore, come per non svegliare un sogno antico e perso da sempre. Ad Atsuya sarebbe tanto piaciuto mormorare qualcosa come "Il bambino dorme", ma non sarebbe stato carino e non ne aveva la forza. - Cos'hai preparato?
- Qualcosa di semplice… degli Onigiri. - mormorò piano Afuro togliendosi la maschera e sparendo in cucina.
- Capisco.
- Insomma, sarà un viaggio intenso.
- Hai ragione.
- Potremmo stare male durante il tragitto.
Atsuya si sedette sulla sedia e prese a fissare in silenzio la cucina: sembrava che Afuro avesse messo tutto in ordine, come per una vera partenza. Sul tavolo, accanto ai loro piatti, stava già la lettera di addio per Seidou.
L'uomo sussultò quando sentì Afuro scoppiare in singhiozzi: era in piedi davanti al lavello, tremava in preda al panico, tentava di sorreggersi con le poche forze che gli erano rimaste: - No… - lo sentì sussurrare. - Non riesco a vederlo come un viaggio: cosa c'è dopo, dove andremo, staremo ancora insieme, Seidou se la caverà? Non riesco a farmene una ragione…
Fubuki si sentì pervadere da un terribile senso di angoscia: si alzò e andò verso di lui, lo abbracciò da dietro cingendogli entrambi i fianchi: si sporse oltre la sua spalla, baciandogli delicatamente le lacrime che scendevano lentamente. - Seidou è un ragazzo forte, fra poco sarà un uomo: non devi temere per lui. Per questo ce ne andremo: perché è diventato grande e non ha più bisogno di noi… Il nostro compito è finito ora.
- Quelli ci ammazzano perché non siamo come loro!! - sputò fuori Terumi senza controllo, tremando in preda alle convulsioni. - Ci ammazzano perché ci amiamo! Come può l'amore essere un reato punibile con la morte?!
- Shh- soffiò Atsuya prima di baciarlo. Afuro si rilassò tra le sue braccia, ricambiando dolcemente.
Si staccarono quasi controvoglia, e Terumi appoggiò la fronte sul suo petto. - Finché morte non ci separi, ricordi? Non credo di essere pronto. - mormorò prendendogli una mano e passando il pollice sulla superficie liscia della Fede. Quel contatto faceva riaffiorare solo pensieri cupi, segni di anni passati a sperare nel cambiamento, e poi di altrettanti nella cupa consapevolezza che il si trattava solo solo una mera illusione.
- Moriremo insieme. - sussurrò in risposta Atsuya. - A me piace l'idea: insieme fino alla fine. Come un dolce sogno.
Terumi non rispose: alzò lo sguardo su di lui e lo baciò a lungo, lentamente, assaporando le sue labbra: - Amami. Si sta facendo troppo tardi.
 
La Morte li svegliò in un'alba di sangue. Terumi aprì piano gli occhi, sospirando piano al suono del campanello. - Sono già qui.
Atsuya mugugnò qualcosa, ancora assonnato, per buttare l'occhio sulla sveglia accanto al matrimoniale: le cinque di mattina. Sbadigliò ancora abbracciato al marito, attorcigliando pigramente le lenzuola fra le dita. - Vestiamoci, o questi ci sfondano la porta.
Una risata tetra, ancora sbadigli: quella notte non erano riusciti a dormire, tra gli spasmi e i singhiozzi a malapena trattenuti. Atsuya poté sentire la voce di Terumi provenire dal bagno: - Oh, ma guarda che occhiaie! Decisamente non morirò in modo dignitoso.
Fubuki sorrise e si abbandonò tra le lenzuola, chiuse gli occhi e si lasciò cullare ancora una volta dalle lenzuola bianche. Poteva sentire ancora il loro profumo, quello del balsamo di Terumi e l'odore di fuliggine di lui, poteva sentire ancora i loro singhiozzi impressi tra le coperte come scolpiti nel marmo, poteva percepire ancora i cuscini imbrattati di lacrime nel vano tentativo di liberarsi da quella pazza, folle prigionia.

- Buon compleanno, Seidou.

 
   
 
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