Storie originali > Romantico
Segui la storia  |       
Autore: MedOrMad    17/07/2013    12 recensioni
Med ha 24 anni e non ne fa una giusta. Porta avanti una relazione di sesso con un soggetto di discutibile fascino, è 2 anni fuori corso ad una facoltà che non ha intenzione di terminare, è sovrappeso ed è pure stronza. O forse è solo socialmente inadeguata.
Ma più di tutto è persa: nella collana di errori che l’hanno portata a questo punto, ha dimenticato chi voleva essere.
Con Med ci sono Bet e Jules, le persone che di lei sanno tutto. Un trio improbabile, con l’eleganza oratoria di un gruppo di scaricatori di porto, che passa la metà del tempo a prendersi in giro e parlare di sesso. L’altra metà del tempo, però, si completano a vicenda.
All’apice della stronzaggine di Med, arriva lui: un po’ arrogante, impiccione e con un’ossessione - a quanto pare - per il grosso culo di lei.
Una storia di affetti, ridicoli avvenimenti, sesso e parolacce: perché a 24 anni la vita è anche quello.
E anche le ciccione, stronze e infelici fanno sesso. A volte.
Dal Testo:
“Che...che...che cosa vuol dire?” balbetto inebetita.
“Vuol dire che da oggi io e te avremo tantissimo tempo per fare l’amore in ogni stanza della casa.” mi risponde lui, facendomi l’occhiolino.
Questo mi manda ancor più fuori di testa.
“Tu sei tutto scemo! Io starò con la Amish che non si lava, non con uno la cui priorità è il proprio pisello!”
Lui mi fissa smarrito e, suppongo, anche un po' divertito.
Genere: Commedia, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Capitolo 14


Licenza Creative Commons
Quest' opera è distribuita con licenza Creative Commons Attribuzione - Non commerciale - Non opere derivate 3.0 Italia

Previusly on TuttoTondo:


Con qualche disavventura si scopre che Jules non ha messo in cantiere un piccolo bebé, ma le ansie per Med non sono destinate a svanire. Arrivato il giorno del pranzo a casa sei suoi, messa alle strette, confessa di non voler concludere l'università. La cosa provoca una comprensibile stupore e rabbia nei suoi, in particolare nel padre. Deluso si mostra meno compresivo della madre, incitandola a decidere cosa vuole per il proprio futuro e interrompendo il dialogo; fortunatamente Med può contare sul sostegno del fratello Michele.

Al ritorno dal pranzo, la nostra pasticciona, trova Alex che la attende impastando una focaccia; poche parole sull'incontro con la famiglia e l'aria si scalda, portando i due coinquilini - finalmente - a consumare sul bancone della loro cucina. E lì li abbiamo lasciati:

"E invece Alex non accenna a muoversi: resta disteso contro la mia pelle, respirando il mio odore e dicendomi piano:
“Sai di buono.”
“So di te, cretino.”

Sollevo il suo viso, guardandolo dritto negli occhi, confesso:
“Dio, se ne valevi la pena.”
E il sorriso che si anima sulle sue labbra è qualcosa che non avevo mai conosciuto."




Capitolo 13


Fragole e Vongole



Post-coito: dicesi post coito l'imbarazzante momento successivo al rapporto in cui non si sa bene cosa fare o dire. Non c'è una modalità standard da mettere in atto. Dipende dal partner e dalle circostanze.

Ecco, le mie circostanze non sono delle migliori: sono nuda sul bancone della mia cucina con il mio coinquilino in procinto di abbandonare le mie rotondità e io non ho idea di cosa fare. Salto giù dal ripiano e corro verso la mia camera sperando che non si accorga della vibrazione budinosa del mio corpo? O mi fingo una languida donna sensuale e mi muovo con gesti lenti, distraendolo con la mia arte oratoria? O, ancora, mi copro con tutti i canovacci della cucina prima che lui sia riuscito a dire focaccia?
Inutile annunciarvi che io opto per la prima ipotesi, lasciando un Alex che si rimette le mutande attonito alle mie spalle.
Pochi minuti dopo compare sulla soglia di camera mia in boxer e maglietta, dandomi della pazza nevrotica e avvicinandosi placido al letto.

Post-post-coito: dipendentemente dalla situazione, le persone tendono a condividere il tempo successivo all'atto o meno, dedicandosi a diverse attività. C'è chi fuma e chi mangia. C'è chi si fa le coccole. C'è chi discute la propria performance. E c'è chi dorme insieme.
Poi c'è chi se ne va e chi si trova da solo.

Io sono spesso rientrata nell'ultima categoria.
Alex non lo so, ma da come si è seduto sul mio letto sospetto rientri nei gruppi chiacchierata o dormiamo insieme. Fatto che potrebbe rivelarsi problematico, perché io non condivido il mio spazio. Il mio letto è... Beh, mio.
"Che succede?" Chiede divertito mentre traffico col copriletto per assicurarmi che non mostri troppo del mio corpo. È ridicolo, me ne rendo conto.
"Nulla..."
"Hai intenzione di diventare tutta strana, ora?"
"Sono già strana."

Poi un insopportabile silenzio ci avvolge.
Ecco, questa era una cosa che non avevo preventivato e che mi spaventa un po’: non avevo calcolato che tra me e Alex potesse crearsi un pesante disagio post sesso. Il che è stupido, dato che lui stesso aveva avanzato il timore che farlo avrebbe complicato tutto, ma ora che siamo uno di fronte all’altra non so bene cosa dobbiamo fare.
“Med, è inutile che ti copri... Ho già visto tutto.”
“Beh, ma prima non avevi tempo di analizzare nel dettaglio col tuo occhio bionico.”
“Ti assicuro che ho osservato tutto quello che volevo” ridacchia piegandosi verso di me per darmi un bacio e, involontariamente, mi irrigidisco.

Ora cosa devo fare? No, davvero, cosa devo fare con lui? Abbracciarlo? Offrirgli di dormire con me? Parlargli della qualità della sua prestazione? Cosa?
Io non sono pratica; non sono brava nel prima o nel dopo, forse sono mediocre anche nel mezzo e non ho esperienza della parte più umana delle relazioni con un maschio. Rischio costantemente di fare qualche cazzata.
Al contrario lui non sembra per nulla attraversato dai miei stessi dubbi amletici: anzi, pare a suo agio forse anche più di prima. Fatto assurdo, considerato che l’ho visto nudo come un verme e ha pure rischiato di fare cilecca.
Si alza dal letto tirando le coperte fino a coprirmi il viso; poi, ridendo, si sposta in salotto mentre mi chiede:
“Che mangiamo? Ordiniamo giapponese?”
“Mi fa cagare il giapponese.” bofonchio cercando di liberarmi dalle mie malefiche lenzuola.

“Sempre delicata, eh... Cinese?”
“Schifo uguale.”
A questo punto sono seduta sul materasso, le braccia incrociate sul petto a stringere il copriletto per proteggere il mio torso ancora nudo e lo osservo starsene lì in piedi in mezzo al soggiorno in boxer e maglietta, mentre si gratta la testa dubbioso.
“Scintilla, sei una rompiballe.”

Sparisce per qualche minuto dal mio campo visivo e io ne approfitto per cercare di raggiungere il pigiama ma, prima che io faccia in tempo ad alzarmi, lui ricompare sulla soglia di camera mia con un pacco di Cipster in mano e, con fare rilassato, si siede ai piedi del letto. La cosa - ovviamente - mi pone in una situazione problematica: per raggiungere le patatine sarei costretta ad abbandonare le lenzuola, ma abbuffarmi accanto al mio coinquilino in stato di nudità non è esattamente una situazione ideale. Il dilemma si fa più reale quando lui si sdraia sul letto, allontanando sempre di più la confezione da me per poi chiedere:
“Ne vuoi? Avanti Sofia, vieni a prenderle.”

Certo che ne voglio, ma se mi piego in avanti per arrivare a lui, il mio culo troneggerà su di noi... nudo. Non è un bello spettacolo, contrariamente a ciò che Alex sembra pensare.
“Non ho fame, grazie.”

Cazzata. Enorme cazzata. Quando ci sono le patatine di mezzo io non dico mai di no, ma non vedo come potrei raggiungere il cassetto della biancheria senza esporre le mie pudicizie;  Alex è assolutamente consapevole della cosa.
“Sì, invece.”
“No.”
“Med, tutto ciò è ridicolo. Abbiamo appena fatto sesso, so benissimo cosa nascondi lì sotto, quindi smetti di fare la ritrosa e fammi dare un’occhiatina più attenta.”
“Tu ti sei rivestito. Perché io devo restare nel mio outfit naturale?”
“Per il mio piacere personale.”
“E il mio di piacere?” lo provoco, cercando di spostare l’attenzione altrove.
Lui sorride prima di abbandonare le Cipster a terra: posa le mani sull’elastico dei suoi boxer e li fa scivolare verso il basso di qualche centimetro, tenendo gli occhi fissi su di me.
“Cosa fai?”
“Pareggio la situazione.”
“Spogliandoti?”
“Non devo?”

La sua provocazione è arguta: se dico di sì, sarò costretta a restare senza vestiti. Se mi oppongo al suo strip tease, non potrò godermi i suoi muscoletti e mi dovrò comunque alzare dal letto per trovare dei vestiti. Praticamente sono fregata.

“No, cioè... devi... Oddio, ecco... puoi.”
Se fossi in lui ora mi stringerei la mano per la figura pietosa che sto facendo; quindi, schiarendomi la voce, cerco di assumere un'aria indifferente e autorevole.
“Non lo so... però potresti levarti dalle palle due minuti, così io posso rivestirmi senza sentirmi in vetrina.” protesto indicando la porta speranzosa, ma lui sembra avere un’altra idea.
I suoi occhi sorridono e, lentamente, si inginocchia sul letto.
Senza spostare lo sguardo da me, afferra il bordo della sua maglia, sollevandolo verso l’alto piano e scoprendo millimetro per millimetro prima il suo ventre, poi il torso. Io mi ritrovo a scrutarlo con le fauci spalancate, un po’ per lo stupore, un po’ per il languore che le sue azioni sembrano risvegliare in me.
Assaggerei volentieri un altro po’ di Alex al posto delle patatine.

Mentre rifletto sulla cosa, lui si sbarazza della t-shirt e gattona verso di me a petto nudo: si muove piano sul copriletto, sicuro e divertito da se stesso. Pochi secondi dopo il suo naso sfiora il mio costringendomi ad indietreggiare e abbandonarmi un po’ al materasso. Una delle sue mani raggiunge le mie, invitandomi a spostarle sui suoi fianchi: inutile dire che io non mi oppongo, restando in balia dei suoi gesti quando mi costringe a sdraiarmi.

Le sue dita, poi, si impossessano delle lenzuola e, con gli occhi ancora incollati ai miei, le fa scivolare fino al mio basso ventre. Deglutisco a fatica per un secondo, cercando di ricordarmi come si fa a respirare, un po’ a disagio ma terribilmente curiosa di scoprire cosa abbia in mente.

Il suo sorriso svanisce per qualche attimo e, lentamente, le sue labbra si spostano in prossimità del mio ombelico, per poi incontrare la mia pelle: lascio che gli occhi si chiudano e mi concentro solo sulla sua lingua che scivola contro di me, alternandosi a baci impercettibili e lievi morsi.
“Che stai facendo?” chiedo piuttosto sicura di sapere la risposta alla domanda, ma il suo silenzio non mi offre informazioni. Sento che intrufola le mani sotto di me, stringendo le dita attorno ai miei fianchi prima di lasciarle correre fino alla parte bassa della mia schiena. Facendo pressione mi invita a sollevarmi un po’ verso di lui, sposta la bocca lungo la mia carne e risale verso il mio seno. Lì le sue labbra indugiano, premendosi ripetutamente contro la mia epidermide e succhiando con delicatezza: accarezzandogli i capelli, lascio scorrere le unghie lungo le sue spalle, ogni imbarazzo ormai lontano dalla mia mente e tutta la mia attenzione catalizzata da quello che la sua bocca mi sta facendo.

Ma Alex non finisce mai di stupirmi e, proprio quando penso di sapere tutto questo a cosa stia conducendo, le sue braccia mi sollevano con forza dal letto, mentre il suo viso trova il mio e preme qualche bacio sulle mie labbra.

“Su le braccia.” ordina in un sussurro contro la mia bocca e enfatizzando le parole con i gesti: tira i miei polsi verso l’alto, abbandonando le mie labbra e afferrando la sua maglia, dimenticata pochi minuti prima accanto a noi.
Io me ne sto lì imbambolata, con le braccia tese e il busto scoperto, osservando confusa quando sbatte un paio di volte l’indumento e, sorridendomi, intrufola i miei pugni nelle maniche della t-shirt; scorre le dita sulla mia pelle lentamente, fa cadere un bacio sulla mia bocca e, quando sono distratta, lascia scorrere il collo della maglia oltre la mia testa, infilandomela.

“Ma che stai…”
Shhhh... let me play.” sibila Alex mentre le sue mani guidano il cotone oltre le mie spalle, per poi portare nuovamente il viso sul mio corpo; scende con una lentezza dolorosa dalla mia clavicola fino al mio seno, leccando la mia pelle mentre trascina con sé la maglia lungo il mio corpo, in una discesa di baci spezzati da momenti in cui scopre i punti sensibili che lo invitano a succhiare delicatamente la mia carne. Prima sullo sterno. Poi sul lato di un seno. Poi ancora oltre, più in basso, dove si incontrano le coste. E più giù, sulla vita, proprio dove ho sempre pensato di soffrire il solletico; lì sento pizzicare lo stomaco dall’interno e trattengo il respiro.

Strofina il naso sulla mia pelle, accarezza impercettibilmente il mio ombelico con la lingua, per abbandonarlo un secondo più tardi in favore della parte più bassa del mio ventre.
Lungo tutta la discesa le sue dita non abbandonano mai il tessuto della maglia, che guida fino alla fine del mio busto e l’unica cosa con cui studia il mio corpo, è la sua bocca: poi, con un bacio più rumoroso, la sistema con cura e si rotola accanto a me, cercando i miei occhi.
“Dove tieni le mutande?”
“Io dormo senza...” sussurro senza pensare e lui mi guarda come se avesse vinto al SuperEnalotto.

Forse non lo dovevo dire: forse dovevo atteggiarmi a gatta morta e dirgli che quelle di pizzo le tenevo accanto ai preservativi.
Il problema è che io non possiedo né mutande di pizzo – che personalmente ritengo dannose per la salute, con tutte quelle decorazioni che riescono ad infilarsi in posti impensati e a grattare ogni strato epidermico presente, passato e futuro -, né preservativi: se Alex non avesse sfoderato il suo, avremmo dovuto sospendere la sessione. Di nuovo. Il che sarebbe stato inaccettabile.

Devo farmi un post-it: comprare un autotreno di preservativi. Entro domani.

“Dormi davvero senza mutande?” mi chiede squadrandomi con occhi adoranti e io non posso non ridere: ai maschi basta poco per andare in estasi.
“È un problema?”
“Solo se stai mentendo...” sghignazza prendendo un cuscino e cercando di scagliarmelo in faccia.
“E con questa mossa ti sei perso qualunque possibilità di scoprire se è vero.”

Basta questo per trasformare la sua espressione divertita in una più simile a quella legata ad un lutto e, di fronte al suo sguardo deluso, non posso che dire:
“Però puoi ancora scoprire se porto i pantaloni del pigiama...”
“Pigiama... quello che indossi tu ha più l'aspetto di un sudario.”
“Testa di cazzo!”
“Solo tu mi sai sedurre con un insulto!” sghignazza afferrando i miei polsi e bloccandoli contro il materasso. “Ora guidami verso i tuoi elegantissimi pj... Devo ancora scoprire metà di te, coprendoti.” il suo è un ordine appena sussurrato contro la mia carotide e, con la mia ormai nota  forza di volontà, mi trovo a dichiarare con voce impotente:
“Nel primo cassetto dell'armadio...”

Le sue labbra seguono tutto il mio corpo, dalla spalla destra, baciando la pelle anche se coperta dal cotone della sua maglia, fino alla coscia ancora scoperta; quando giunge a contatto con la carne nuda, però, il suo tocco si fa più rapido e meno accurato, con mio enorme disappunto.
“Torno subito, Scintilla. Non tirare fuori delle mutande dalla manica e, soprattutto, non te le infilare!”

Quanto è cretino. È un vero imbecille, e io lo rivoglio qui. Ora.
Mi dà le spalle, piegandosi verso uno dei cassetti del mio guardaroba e chiedendo istruzioni su dove cercare, spazientito quando io decido di non rispondere; opto, invece, per godermi ogni muscolo delle sue spalle che si contrae e si distende. E la cosa mi rende schifosamente felice.
L tutta quella roba lì non ce l'aveva: era secco come una prugna e esile come non sarò mai io nei miei sogni più remoti. Ma Alex... Ah, Alex ha una graziosa schiena asciutta ma gradevolmente
consistente: niente di troppo muscoloso. Anzi, a guardarlo credo che non abbia mai sollevato un peso in vita sua, ma le sue spalle hanno tutta l'aria di essere solide. Lo erano pure al tatto, a dirvela tutta.

Mentre io mi abbandono alla piacevolezza della sua figura, lui si volta con aria trionfante e sventola un paio dei miei pantaloni a quadrettoni.
“Se non avessimo già consumato, questi invaliderebbero ogni mio desiderio di scoprire la tua zona sud.”
“Che tanto è già scoperta, quindi i tuoi pareri inutili sul mio guardaroba perdono di importanza. Ora lanciameli che inizio a sentirmi a disagio con tutto di fuori.”

Lui, però, ignora la mia richiesta e, senza tanti fronzoli, raggiunge rapidamente i piedi del letto; con gli occhi fissi sul mio viso, si porta i pantaloni alla bocca.

This is my game, I'm still not done playing.” e stringe l'elastico della vita tra i denti.

Il suo gioco. E lui non ha finito di giocare.
Beh, chi sono io per interrompere un così essenziale momento ludico? Nessuno, non sono proprio nessuno. Se vuole smontarmi e rimontarmi come un puzzle, potrei anche lasciarglielo fare.
Le sue mani si avvolgono attorno alle mie caviglie, tirandomi con forza verso di lui: io penso solo che la mia zona sud – come l'ha chiamata lui – è completamente esposta e che, dalla sua posizione, c'è ben poco da coprire.
Poi, per grazia divina, lui si siede sul materasso accanto a me, mentre le sue dita disegnano la mia pelle: dal collo del piede, correndo lungo il polpaccio, passando oltre le ginocchia, fino alla coscia, dove l'epidermide è più sensibile e la carne più morbida.
Sale lentamente di qualche centimetro prima di fermarsi e ripercorrere la strada al contrario: con un movimento deciso infila i miei piedi nei fori del pigiama, accompagnando i pantaloni fino a dove si era fermato poco prima.
Stavolta, però, ad anticipare le sue mani sono le labbra che con sicurezza fanno cadere baci lunghi e attenti: prima su una caviglia, poi sull'altra. Mi invita a poggiare i talloni contro di lui, piegando le gambe così da permettergli di raggiungere il retro delle mia ginocchia e, anche lì, indugiare con la bocca contro di me, con la lingua che sfiora per un attimo la mia pelle.

Non vorrò mai più vestirmi da sola, credo.

La sua risalita lenta è una vera e propria agonia: agonia con cui potrei tranquillamente convivere per molti anni a venire. Convivere con lei sarebbe più facile che convivere con Alex.

Sale ancora, solleticandomi la carne con le dita, ridendo quando un sospiro ridicolo mi sfugge, ma senza fermarsi; i baci si fanno più ravvicinati e sento il cotone dei pantaloni sfiorarmi quasi i fianchi, mentre la sua voce mi sussurra:

“Ho bisogno di una mano, qui.”
Quindi alzo di poco il bacino e, dopo un ultimo tocco di labbra sull'interno coscia, Alex assicura il pigiama sul mio corpo lasciando andare l'elastico con un po' troppo entusiasmo, sollevandosi fino a trovare la mia bocca per un bacio veloce e forzato.

A questo punto sarei propensa a levarmi tutto di nuovo. Bel gioco. Lo dobbiamo fare più spesso.

Sorridendo contro di lui, porto le mani tra i suoi capelli cercando di spingerlo un po' più vicino:
“Che bei giochi conosci, Aleman. La prossima volta lo faccio io...” e lui emette un suono gutturale che credo sia di approvazione.
“Non ho ragioni per cui oppormi. Però ora ho fame.”

Ammettiamolo: una frase del genere sembra richiedere assolutamente una risposta del tipo“Di me?”, ma se dovessi davvero pronunciarla la mia immagine ne uscirebbe ancora più danneggiata.
Accompagnandolo giù dal mio corpo fino al materasso, quindi, decido che – vista le delizia che mi ha appena dedicato – posso anche cedere sul cibo e farmi portare un riso alla Cantonese. O qualcosa di commestibile.

Nelle ore che seguono, dunque, mi trovo seduta sul pavimento del nostro salotto; la schiena appoggiata al vetro spalancato della porta-finestra del nostro soggiorno e Alex accovacciato di fronte a me.
Uno dei suoi piedi è poggiato sulle mie ginocchia, mentre tiene l'altra gamba piegata e trangugia una cosa che odora di schifo: cioè, per chi ama il cinese sarà una leccornia, ma io fatico a non insultare il mio riso alla cantonese. Che poi è riso bollito con piselli, semi di soia e qualche altro mistero.

Appoggio la testa contro il vetro dietro di me, godendo di una fresca brezza che soffia da fuori e ascoltando Alex mentre mi spiega come funziona una brigata di cucina: non so come siamo arrivati a parlare di questo, e sono cose che più o meno già so – visto il lavoro di mia madre – ma  lo sento parlare con così tanta passione ed entusiasmo che non posso interromperlo.
Spesso allontana gli occhi da me per osservare il contenuto del suo piatto, sorseggiando una Coca-Cola – cosa diavolo ci azzeccherà una Coca-Cola col cinese? - e mi rendo conto di non averlo visto mai così sciolto.
Di non essermi mai sentita così rilassata con lui neppure io.

Niente frecciatine, niente rabbia, niente tensione sessuale, niente provocazioni: solo la piacevole sensazione di sentirsi a proprio agio comunque, senza costruzioni e senza elucubrazioni mentali.
Forse è proprio l'aver smesso di pensare, di proteggersi: la stanchezza, o la sua voce, hanno alleggerito tutto e, mentre parla, sorrido piano e sento le palpebre farsi più pesanti.

Non so quanto stiamo seduti lì, a parlare di cucina e di cibo e a rinfrescarci con la poca aria che giunge fino al nostro appartamento: non mi importa molto dello scorrere dei minuti.
Non mi sembra più neppure la stessa giornata: i ricordi dei miei genitori e delle mie confessioni sono lontani anni luce da me.

“Mi porti in braccio a letto?” chiede ad un tratto lui sbadigliando e i miei occhi cercano l'orologio appeso alla parete, per scoprire che si è ormai fatta notte.
“No, sei un ciccione. Pesi troppo. Se vuoi possiamo strisciare come vermi verso le camere.” sorrido muovendomi verso di lui, stiracchiandomi e enfatizzando il più possibile il plurale camere.
E lui coglie al volo.

“Non vuoi che dormiamo insieme, vero?” sussurra quando le mie labbra sfiorano le sue; per un momento temo che la cosa possa essere un problema, eppure annuisco lo stesso.

No, non voglio che dormiamo insieme; non voglio condividere il mio letto con qualcuno: non ho mai condiviso il mio letto con un ragazzo con cui sono stata a letto.
Certo, a dirla tutta non era esattamente una scelta mia, ma non riesco a dirgli di sì.
“Non sarebbe la prima volta, lo sai vero?”
“Non abbiamo mai dormito tutta la notte insieme: tu te ne sei andato dopo un po' che mi ero addornemtata, no?"
"Yup... scalciavi come un toro."
"E non eravamo nel mio letto, ero nel tuo. Io, da persona altruista, avevo ceduto il mio a Bet e J.”
“Se è un problema il mio è ancora disponibile...” suggerisce sollevandosi da terra e porgendomi una mano.
“Tu vuoi che dormiamo insieme?”
“Onestamente, Scintilla? Non lo so.” risponde mentre una delle sue mani si intreccia con la mia e  trascinandomi attraverso il soggiorno, fino alla porta della mia stanza.

Mi appoggio contro lo stipite, cercando di non sentirmi in colpa per avergli rifiutato l'ingresso al mio letto e provando sollievo quando si china a baciarmi un'ultima volta, sussurrando:

“Direi che possiamo tenere questa prima volta per altre occasioni...”
“Non è che non ti voglio qui... è che mi fa strano.”
“A dirla tutta, credo sia un bene: viviamo insieme, qui è difficile muoversi a tappe... Una cosa alla volta, giusto?”
“Giusto...” bisbiglio tirando il suo viso al mio e premendo le nostre labbra tra loro.

Poi si allontana, mi tira un piccolo sculaccione e mi invita ad andarmene a letto; quando esce dalla mia stanza e chiude la porta dietro di sé, l'ultima cosa che gli sento dire è:

“Sognerò di te e di quelle mutande latitanti...”

Il week-end si avvicina ed io, Bet e Jules ce ne stiamo sdraiate al parco: io nascosta sotto l’ombra di un albero, mentre tengo un libro appoggiato sulle ginocchia, gli occhiali da sole che mi riparano da una luce fastidiosa, e gli occhi chiusi. Le mie amiche, a pochi passi da me, hanno le magliette arrotolate fino sotto il seno e cercano di catturare con la loro pelle qualche raggio di sole di città.
Jules sfoglia un mensile distrattamente mentre Bet, accanto a lei, riassume le mie ultime rivelazioni.

“Quindi hai confessato tutto alla famiglia e consumato con Alex in un solo giorno.”
“Med, la mia stima nei tuoi confronti aumenta di ora in ora da quando ti sei liberata di L. Quindi che pensi di fare con i tuoi?” annuncia Jules senza spostare gli occhi da un trafiletto del suo giornale, ma la nostra amica bionda la interrompe prontamente:
“Aspetta, di quella roba ne riparliamo: io prima voglio sapere di Alex.”
“Che c’è da sapere? Abbiamo fatto sesso, mica progettato l'idraulica di una casa fatta di Lego!”
Le ragazze di fronte a me scuotono contemporaneamente il capo, riportando la conversazione su ciò che le interessa.
“Come ce l’ha?”
La domanda di Bet giunge poco chiara alle mie orecchie e, per un secondo, spero che la mia amica non stia affrontando in un giardino pubblico l’argomento pacchetto di Alex.
“In che senso?”
“Hai capito benissimo, non fare la finta tonta.” ribatte Jules, prima di levarsi gli occhiali da sole e portare lo sguardo su di me.
“Normale...” rispondo aggrottando la fronte e cercando di immaginarmi di nuovo l'oggetto in questione, salvo rendermi conto che le immagini sono poco nitide nella mia mente e arrossire quando realizzo cosa sto cercando di ricordare.

“Normale... normale vuol dire piccolo.” puntualizza Bet con un’espressione triste “Che delusione; non aveva la faccia da piccolo.”
Jules annuisce, battendo un cinque con la bionda al suo fianco per mostrarle sostegno e approvazione.
"Non ce l'ha piccolo! È normale! Non è un Nautilus, ma è dignitoso." protesto accorrendo in difesa di Alex, lievemente imbarazzata per la piega che la conversazione minaccia di prendere.
Le mie parole, però, non sembrano soddisfare a pieno Jules che, con aria sempre più curiosa, insiste:
“Comunque normale non vuol dire nulla: cerca di essere più dettagliata!”
“Non sono stata ad analizzarlo centimetro per centimetro!”
“Perché no?”
“Perché ero troppo occupata ad assicurarmi che questa volta...”
“... entrasse nel tuo garage?” conclude lei di fronte al mio indeciso silenzio, sorridendo maliziosa e inarcando un sopracciglio.
“Esattamente!”

Bet si mette a sedere e si scambia uno sguardo complice con Jules che si limita ad ammiccare:
“Dai, descrivicelo! Voglio dire: è elegante?…”
All'aggettivo mi trovo ad assumere un'espressione confusa: elegante in che senso? Nei modi o nell'aspetto? Perché mi sembra di ricordare i modi fossero abbastanza educati.

Non posso credere che ci stiamo addentrando in questa conversazione mentre siamo in un parco con gente che passeggia e padroni che fanno fare i loro bisogni ai cani.

Ma le mie amiche non sono intimidite dall'ambiente che ci circonda e proseguono sempre più entusiaste, abbandonandosi ad una serie incomprensibile di attributi che potrebbero essere associati a qualunque cosa, tranne a quello di cui stiamo parlando. Io resto ad ascoltarle basita, un po’ dalle parole che dicono e un po’ da quanto lungo stia diventando l’elenco: insomma, non pensavo certo che - con le sue due funzioni - potesse essere descritto in modo così entusiastico. Soprattutto, però, mi inquieta la possibilità che le mie amiche abbiano conosciuto tutti qugli uomini in senso biblico, ma Jules mi rassicura affermando che il variopinto elenco è da ricondursi ad anni di confronti con le amiche.

Credo che non riuscirò mai più ad approcciare il sesso nello stesso modo: ogni volta che ho conversazioni tipo questa, mi chiedo se noi tre siamo un caso anomalo o se tutte le donne parlano in modo così esplicito. Onestamente ho sempre ritenuto menzognera l'idea che solo i maschi avessero scambi pochi raffinati nei racconti dei loro incontri sessuali.
"Sentite: ha un pisello normale. A forma di pisello e con tutte le proprietà di un pisello. Punto."
"Almeno è oligominerale?" scherza Bet, divertendosi in modo fastidioso per la sua battuta troppo cretina e ricevendo un lieve spintone da Jules.

Mentre loro si abbandonano a qualche insulto acido, io mi trovo a riflettere su una cosa: la mia durata.
Non che non abbia apprezzato la cosa ma, a dirla tutta, credo ci sia stato un problemino conseguente alla velocità con cui sono giunta alla meta.
Quale occasione migliore per confrontarmi con le mie amiche?
Quindi, gattonando verso di loro, chiedo a voce bassa:
"Voi ce l'avete il periodo refrattario?"
So che è un evento che non concerne le donne, ma non saprei come spiegarlo diversamente.

Alla mia domanda Bet e Jules si voltano confuse e restano in silenzio con uno sguardo interrogativo dipinto sul viso.
"Capite di cosa parlo?"
"No." ribatte Bet secca, agitando la testa; ma Jules continua a non parlare, in attesa che io spieghi meglio il mio dilemma .
"Una volta che avete raggiunto l'orgasmo… Voi siete fresche e attive come prima? Non… beh, ecco… non avete una specie di blocco?"
"Di blocco…" ripete la mia amica riccia incrociando le braccia.
"Sì. Come se aveste bisogno di un pit stop…"
"Come un calo del desiderio?" prova a suggerire Bet indecisa, probabilmente disorientata dalle mie parole: lei, chiaramente, non ha mai sperimentato nulla di simile. Jules, diversamente, con il suo silenzio, sembra avere un'idea di quello che sto dicendo.
"Sì. Come se, fatto quello che dovevate fare, non aveste più tutta questa voglia di proseguire. Insomma… Come se riprendere fosse fastidioso… stancante."
"Ti si affatica la pisella?!"

La pisella. Non lo posso sentire.

"Non la chiamare pisella! Comunque sì, più o meno."
"No, a me non capita mai. Io sono sempre in attesa del bis…" riflette la bionda di fronte a me, picchiettandosi l'indice sul mento e alimentando il mio timore di avere qualche disfunzione.

Errata corrige: forse il sesso non mi piace come penso.

"A me capita." dichiara Jules orgogliosa e un sorriso si dispiega sulle sue labbra. "Che problema c'è? Io a volte mi distraggo: è normale, la mia parte l'ho fatta."
Le sue parole mi fanno tirare un breve respiro di sollievo ma, allo stesso tempo, mi conducono alla domanda successiva:
"E che cosa fai?"
Bet ha un'aria allibita e, in silenzio, sposta lo sguardo da me a Jules.
"Niente. Cosa devo fare? Aspetto che anche lui faccia quello che deve."
"E lui non se ne accorge?"
"Ovviamente: più di una volta sono stata invitata a mettere le mani da qualche parte per mostrare un minimo di coinvolgimento."

Il sangue mi si gela nelle vene. Quindi, assodato che la mia frinfi non ha malfunzionamenti, Alex potrebbe essersene accorto.
"Med, dove sta il problema?"
"E se Alex l'ha sentito? Oddio, magari sono stata una scopata di merda!"
"Perché sei venuta per prima? Tesoro, ne dubito. Credo che la cosa lo abbia solo gratificato."
Ma le parole di Bet non mi fanno sentire affatto meglio: nessuno può apprezzare una vagina non collaborativa e non ricordo proprio quanto la mia lo sia stata con Alex.
Di fronte alla mia espressione perplessa, la mia amica bionda prosegue con le sue argomentazioni:
“Med, mica ti si liofilizza appena raggiungi l’orgasmo! Ti fai troppi problemi...”
“Che ne sai? Magari sono davvero stata mediocre e la mia flash vagina ha compromesso la mia prestazione!”
“La difficile vita di una Flash pisella...”
Mentre io e Bet contempliamo i pro e i possibili contro dell’orgasmo veloce, Jules recupera il suo giornale e scorre velocemente le pagine, alla ricerca di qualcosa; poi, avvicinando la rivista al viso, annuncia:
“Se hai timore di essere mediocre, potresti provare questo. Senti qui...” e comincia a leggere:
Seduci i capezzoli: Se hai confidenza con i principi del Qi e del Prana...”
“Del che?!” chiede Bet, ma la domanda resta ignorata, mentre Jules prosegue.
“... sappi che labbra, capezzoli e genitali sono collegati da un circuito energetico. Con lui, fai una prova: durante il coito, ferma il bacino. Poi comincia a toccare i capezzoli del partner. piano, con un pizzico, quindi tirandoli...”

“Jules, per l'amor del cielo, smetti di leggere! Non voglio sapere come prosegue! Che giornale è?!” sono sempre più inorridita e la sola idea di sedurre i capezzoli crea in me la disturbante immagine di due capezzoli come individui. Come due gemelli, nello specifico, che camminano l'uno accanto all'altro in attesa che qualche donna li corteggi. Uno dei due fuma anche una sigaretta e sfoggia un piercing ad anellino che lo avvolge tutto.
Terribile.
“È Glamour!”
“Ma perché leggi Glamour? Sei psicologa, non si leggono quelle porcherie!” la apostrofa Bet, anche se potrei scommettere una mano che, durante la lettura, ha preso appunti nella sua testa per verificare se i capezzoli di J sono seducibili.
“Sono anche femmina!”
“Va bene, ma non vedo come quella roba risolva il mio problematico dubbio sul periodo refrattario.”
“Non lo fa. Cercavo di cambiare argomento perché stavi drammatizzando troppo.”

Drammatizzando troppo: non è mai troppo quando c'è di mezzo la possibilità che le tue prestazioni sessuali siano scadenti. E io ho fatto un solo tentativo con Alex: se ho fatto flop, c'è il rischio che non mi conceda il bis. Alla fine mi ha rivestita quando mi aveva lì tutta nuda: è stato possibilmente più eccitante di quando mi ha spogliata, ma potrebbe anche essere un cattivo segnale.

“Mi ha rivestita, dopo.” confesso alle mie amiche che si limitano ad attendere che io elabori il concetto.
“Ero a letto nuda e lui si è levato la maglia e me l'ha infilata. Poi mi ha messo i pantaloni.”
“Detto così suona malissimo...”
“No, Bet. Mentre lo faceva mi sbaciucchiava in ogni dove.”
Jules fa un sospiro incantato e deglutisce pesantemente.
“Come è stato?”
“Quando ha finito, dentro di me urlavo perché mi strappasse tutto di dosso.”
“Che cazzo di culo che hai!"
“Med, sei decisamente stata una buona scopata: non ti avrebbe leccata come un Calippo dopo se non fossi stata di suo gradimento.”

Immagino che non abbiano tutti i torti. O, quantomeno, me lo auguro.

Più tardi, quando le conversazioni sul sesso hanno lasciato spazio al bisogno di schiacciare un pisolino al sole, mi ritrovo a pancia in giù e osservo la gente attorno a noi. È pieno di persone: in città basta un raggio di sole per mandare tutti in estasi e sentirsi in vacanza anche solo per un pomeriggio. Poi, se quel raggio di sole è accompagnato da un'afa killer, fa niente. C'è il sole, e tanto basta.

Sdraiata all'ombra, osservando quello che accade attorno a me, come il mondo continua a muoversi, come la gente porta avanti la vita che ha costruito, la consapevolezza che mi sono accompagnata al capolinea da sola si fa intensa: confessando la verità ho eliminato ogni possibilità di tergiversare.

Ora devo capire cosa devo fare: ammettere che lasciavo l’università era la parte più dolorosa, ma non certo la più difficile. Adesso il mondo mi chiede il conto e non credo mi sia concesso di sbagliare di nuovo: gli anni sono volati e io devo ricominciare da zero. Ma non ho idea di quale sia il mio zero e verso quale porto mi debba rivolgere: mi va ancora di studiare? Onestamente no, non molto.
Ma cosa sa fare, Med? Cosa voleva davvero Sofia quando era piccola? Quali delle mie passioni potrebbero condurre a un lavoro?

“Pensavo una cosa.” dichiara ad un tratto Bet, trascinandomi fuori dalla attenta analisi delle mie attitudini. Poi si blocca e strilla:
“Jules, ma che schifo! Mi hai sbavato sulla spalla!”
La mia amica bionda, sdraiata accanto a Jules, ha allontanato la riccia con uno spintone, laciandola stesa sull’erba calda con un’espressione disorientata. I suoi capelli scuri sono sparsi ovunque sul suo viso, le labbra divaricate, mentre cerca di ricordare dove si trova e cosa è successo.

Bet, a questo punto seduta accanto lei, continua ad emettere suoni di dissenso mentre cerca disperatamente nella borsa qualcosa con cui pulirsi la spalla.

“Sei una schifosa. Sbavi, Jules. Sbavi mentre dormi!”
“Capirai, per un po' di saliva! È bauscia santa.” ribatte Jules sorridendo e asciugandosi il viso. “Ora, senza fare l’isterica, ci dici a cosa stavi pensando?”
Bet piagnucola ancora qualche secondo con il viso contratto in un broncio per poi spiegare:
“Che abbiamo bisogno di una vacanza.”
“Giugno è un po’ presto per le vacanze estive, non credi?”
“Beh, ma fa un caldo fotonico in città. E noi siamo sotto stress... Andiamo in montagna da me qualche giorno!”

In montagna qualche giorno: il mio primo pensiero è che se dovessi dire ai miei che me ne vado in montagna qualche giorno, potrebbero decidere di chiudermi in un armadio per evitare di prendermi a sberle, dopo le mie ultime confessioni.
“Io ci sto.” canticchia serena Jules, conquistando un abbraccio di Bet e uno sguardo indeciso dalla sottoscritta.

Non è che io non voglia andare: anzi, ad essere onesta quando arriva il caldo la città diventa invivibile e l'idea di qualche giorno al fresco mi alletta quanto un brownie.
Le mie migliori amiche mi ammoniscono con lo sguardo quando, senza riflettere, protesto:
“Bet, sta per iniziare la sessione d'esame...”
“Già. Sessione d'esame che non ti riguarda più, visto che tu lasci l'università.”

Oh.

Sentirglielo dire risveglia in me un moto di vergogna, però: quello che sento non è associabile al sollievo, ma solo ad un vago senso di fallimento.
“A maggior ragione. Come lo dico ai miei che la loro figlia fancazzista, mentre tutti si spaccano il culo per studiare, si sente pure in diritto di farsi una vacanza?”

Non credo che la mia protesta sia irragionevole, eppure poi Bet dice qualcosa che mi fa vacillare:
“Stacca la spina, Med. Usa questi giorni per pensare: andare via da qui potrebbe aiutarti a riflettere su quello che vuoi e devi fare. Vivi il viaggio come un momento per allontanarti da questa te e dalle pressioni.”

D'accordo, mi rendo conto che le parole di Bet siano pura manipolazione per costringermi a dire di sì, eppure – in qualche misura – potrebbe aver ragione: forse ho davvero bisogno di allontanarmi da tutto questo per vedere le cose con più razionalità e concentrazione.
Dicono che per ritrovarsi bisogna perdersi: io – metaforicamente – quello l'ho già fatto. Forse ho bisogno di perdermi anche geograficamente parlando?
Oppure non succederà nulla e i miei avranno una ragione in più per mandarmi a cagare: tanto che differenza fa? Mi disprezzano già; nella peggiore delle ipotesi mi sarò rinfrescata un po'.
Non so come, quindi, mi trovo ad acconsentire alla loro proposta e, pochi minuti dopo, Bet ha assegnato ad ognuna di noi il compito di contattare uno dei ragazzi per chiedergli di unirsi a noi.
Compito che io rimbalzerò su Jules non appena Bet si sarà voltata.

Ma questo non è necessario che lei lo sappia.

Poi, secondo una dinamica fisica che non mi è chiara, mentre Jules esulta per la prospettiva della montagna gettandosi a terra come un tricheco, Bet si lascia cadere all’indietro soddisfatta e rilassata, affondando nell’erba con un sospiro.

E si zittisce.

Io aggrotto la fronte, confusa dal suo silenzio e Jules inclina la testa, altrettanto sorpresa dall’improvviso blocco di Bet.
Tutto resta immobile per una decina di secondi, finché io non chiedo:
“Bet?”
Ma lei non risponde.
Che è successo? È svenuta per la mancanza di aria? Le è venuta una sincope?
“Bet? Sei viva?” chiede Jules con più insistenza cercando prima il mio sguardo, poi tornando a fissare la bionda accanto a lei: Bet resta silenziosa per qualche istante e poi sussurra.
“Sono caduta con la testa su una cacca.”
Io spalanco gli occhi e ci metto qualche attimo per registrare le sue parole, e lo stesso vale per Jules che, stupita, domanda:
“Che cosa?”
“Ho la testa su una cacca.” strilla all’improvviso Bet, senza muoversi, come se fosse paralizzata.
 
La scena è tragicomica: è paralizzata dal collo in su, sventola gli arti come se questo potesse aiutare, e urla in preda  al panico.
Nei secondi che passano io e Jules ci rimbalziamo l'onere di accorrere in soccorso della nostra amica e, per distrarmi dalle mie argomentazioni – con le quali sostengo che Jules abbia qualche tipo di dovere etico di aiutare i bisognosi, a causa della professione che ha scelto – lei cerca di infilarmi un dito nel naso.

La maturità la fà da padrone, insomma.
“Jules stai ferma che dobbiamo tirare fuori Bet dalla merda!” protesto evitando il suo indice, pericolosamente vicino alla mia narice destra, e un grugnito di dissenso si solleva dal petto della mia amica bionda.
“Mi dispiace, non ho saputo resistere!”
“Si può sapere perché non ti alzi?”
“Jules, non posso... ho la testa piena di cacca.”
“Eh già, sei proprio nella merda fino al collo. Anzi, fino a sopra la testa.”
“Med, la fai finita con queste battute del cazzo?” brontola Bet ai miei piedi, ma non sembra avere alcuna intenzione di muoversi: le braccia divaricate sull’erba, le gambe piegate e la testa rigida.

“Ti dovrai muovere di lì prima o poi!” le faccio notare abbassandomi per aiutarla ad alzarsi.
“Non esiste! Io non vado in giro con una macchia di escremento sui miei capelli! Tutti mi vedranno!”
“E odoreranno, aggiungerei. Credo fosse fresca, perché sento la puzza da qui.” esclama Jules sorridendole.

“Perché non poteva succedere a Med?”
“Ehi! Che c’entro io?”
“Beh, in primis sei sfigata, quindi non ti si sarebbe cacato nessuno.” spiega lei e io la fisso indignata.
“Io lascerei stare il cacare, se fossi in te.” ridacchia Jules, guadagnandosi uno sguardo omicida dalla nostra amica a terra.
“E poi sei castana. E la cacca è marrone. Non si sarebbero accorti di nulla.” conclude sospirando.

“Davvero gentile da parte tua dire queste cose. Ma ora falla finita e alza il tuo regal sedere. Dobbiamo portarti a casa. Ha ragione Jules, si sente la puzza da qui.” ribatto prendendole una mano, mentre Jules, alla sua sinistra, fa la stessa cosa ed entrambe tiriamo con forza. Bet lotta per restare a terra, ma ogni suo tentativo si rivela vano quando, dopo qualche strattone, riusciamo a sollevarla senza troppo sforzo.

“Vacche!” sibila lei guardandosi attorno per accertarsi che nessuno la stia guardando e comincia a trotterellare imbarazzata verso il parcheggio.
“Metti la testa fuori dal finestrino, altrimenti poi anche la Circe puzza!” Jules ride fragorosamente e scuote la testa, mentre ci dirigiamo verso la macchina il più velocemente possibile.


stop

Signori e Signore, le uscite di emregenza sono posizionate qui, lì, là, quà e lontano da vostro pc; ipotizziamo che le vostre diottrie siano in procinto di calare e che il vostro corpo sia debilitato e necessiti di un po' di nutrimento. Per prepararvi al seguito, la direzione suggerisce delle fragole... anche se sono fuori stagione.
Pausa pipì, sigaretta per le tabagiste e cioccolata per tutte: quella la regala la direzione.

Se avete eseguito tutte le indicazioni, potete proseguire con la nostra benedizione; diversamente siete invitate a tornare al pulsante Stop.

Buona continuazione.

start



Quando torno a casa, appena metto piede nell’appartamento, vengo avvolta da un calore insopportabile. L’afa e il caldo di città sono insostenibili: casa mia, con le finestre chiuse e il sole che batte quasi tutto il giorno sulla facciata principale, sembra un forno.
Lascio cadere la borsa vicino all'ingresso e mi affretto ad aprire ogni vetro, nella speranza di fare entrare qualche flebile alito di vento e far girare un po' l’aria.

Marcio dritta nella mia stanza per liberarmi dai vestiti umidi di sudore e che odorano di erba: li lascio cadere incurante a terra e mi affretto a sostituirli col primo abito estivo che individuo nell'armadio. È qualcosa di impresentabile: indubbiamente fresco e svolazzante, di quei tessuti leggerissimi che paiono impalpabili, ma ormai la stoffa è lisa e, lisciandomelo addosso, constato che la fantasia pop che lo decora è davvero anni '90. Ma è comodo e sufficientemente morbido per farmi aria con la gonna mentre mi aggiro per casa scalza, in cerca di refrigerio.

Avviandomi verso la cucina, sento il telefono squillare e sono costretta a fare una deviazione per afferrare il cordless abbandonato sul tavolo del salotto: leggendo il numero di Bet, scelgo di lasciarla attende un po' mentre estraggo una ciotola di fragole dal frigorifero.
Mi arrampico maldestramente sul bancone, sedendomi a gambe larghe e appoggiando la frutta alla mia destra e mi decido a premere il tasto verde per avviare la conversazione.

“Che vuoi?”
“Come sapevi che ero io?” chiede lei stupita; una punta di fastidio colora la sua voce.
“Ho un telefono molto avanti che mi dice chi mi chiama.” ribatto fiera.
“Almeno il telefono ce l'hai avanti...”
“Bet, sono accaldata e ho fame. Dimmi che vuoi, così mi posso liberare di te.”

“Roby e Leo hanno detto che vengono con noi... però non possono prima di domenica.”
“E quando vorremmo partire?”
“Noi partiremmo sabato. Io l’ho chiesto anche a J, che sabato ha un gruppo di studio per un progetto di non so che esame. È perfetto!” cinguetta lei contenta e io aggrotto la fronte confusa.
“Che vuol dire perfetto? Hanno praticamente detto tutti no!”
“Vedi? É per questo che io sono la mente e tu....il nulla.”
“Se fossi qui ti affonderei la faccia in una cacca... Oh, aspetta! Quello l'hai già fatto da sola” ridacchio felice eppure la mia battuta va a vuoto perché lei ignora la frecciatina e si concentra sulla ragione del suo entusiasmo. Più o meno.
“È tutto okay perché, visto che nessuno dei tre può muoversi prima di domenica, io ho appena ideato un piano C!”

“Ma non dovrebbe esserci un piano B, prima?” chiedo ridendo.
“Sì, ma fa cagare, quindi passiamo subito al C.”
“Okay, credi che lo condividerai con me questo geniale piano C?” domando insistente addentando una fragola e lasciando che il succo scorra lentamente sulla mie papille: un dolciastro senso di freschezza si diffonde tra i miei denti, alleggerendo lievemente la calura che ancora sento premere sul mio viso.
Non sono una fruttofila, preferisco la roba che ingrassa, ma le fragole sanno sedurmi in modo inspiegabile: mi abbandono al gusto intenso dell'ennesima fragola, sospirando per un semino che sembra incastrarsi tra i miei denti e provando una ridicola soddisfazione quando riesco a schiacciarlo tra gli incisivi; nel frattempo Bet mi spiega che il suo piano geniale prevede che noi tre partiremo un giorno prima, mentre i ragazzi ci raggiungeranno di domenica.
Il che, stranamente, ha senso.

“Ah, sai che non sei stupida? Allora non è vero che le bionde sono tutte cretine.” ridacchio deglutendo a fatica, prima di addentare con foga un'altra fragola e rendermi conto che ne sto trangugiando come una balena filtra il krill. Ma è frutta, quindi non vi è traccia alcuna di senso di colpa in me.
“Perché non lo chiedi anche ad Alex?” domanda Bet eccitata e io rischio di strozzarmi con i semini che, fino a poco fa, mi davano tanta soddisfazione.
“Perché dovrei?”
“Perché sì. Dai, sarà divertente!”
“B, non sono sicura che sia una buona idea.”

Giusto per non sfatare il mito del parli del diavolo e spuntano le corna, in quel momento la porta di casa cigola, annunciando l'arrivo del mio coinquilino. Coinquilino che io non vedo da ieri sera, aggiungerei. E che, col suo faccino tutto accaldato, mi ricorda perché abbandonarmi alla lussuria sia stata un'ottima idea.
Appena mi individua, appollaiata come un tacchino sul bancone della cucina, i suoi occhi si spostano sul ripiano, prima di incrociare i miei e di ammiccare malizioso.
La sua evidente allusione a ciò che abbiamo fatto qui sopra, mi fa chiudere lo stomaco per una frazione di secondo, mentre il suo sguardo va a posarsi sulla gonna che mi accarezza leggera le cosce. Senza spostare gli occhi da lì, sbatte la porta di casa con un calcio, lancia la giacca per terra e comincia a marciare verso di me con aria decisa; poi raggiungendomi si china per darmi un bacio veloce sulle labbra.

“Quanto rompi! Non capisco perché devi sempre polemizzare su tutto!” si lamenta nel frattempo Bet, riportandomi alla nostra conversazione: scanso appena il viso da quello di Alex, lanciandomi un pezzetto di frutta tra le labbra.
“Perché le tue proposte sono troppo spesso idiote.”

Mentre parlo Alex resta immobile di fronte a me: gli occhi sono ancora fissi sulle mie cosce e i pugni stretti attorno alla mia gonna.
Alzo la testa e gli rivolgo uno sguardo interrogativo.

Quando l'ha afferrata?

Sul suo viso prende vita un'espressione indecifrabile che ricorda quella di un bambino in procinto di fare qualche dispetto; gli zigomi si sollevano quando la sua bocca si increspa appena e i suoi occhi riflettono qualche pensiero curioso che non so interpretare.
Sento Bet spiegare i motivi per cui dovrei assolutamente invitare anche Alex, ma la sua voce sembra d'un tratto lontana quando le labbra del mio coinquilino si avvicinano alle mie, rubandomi la fragola dalla bocca.

Di fronte al mio stupore lui sorride in modo quasi arrogante; lo sguardo fisso nel mio mentre mastica lentamente il frutto e gioca con pigrizia con la stoffa del mio abito.
Ricordo a malapena che sono al telefono con Bet: in realtà sono divorata dalla curiosità di sapere cosa stia architettando la testolina del mio coinquilino.

Quando lo vedo chinarsi nuovamente verso di me, le sue mani premono impercettibilmente il tessuto della gonna contro la mia carne mentre il suo respiro precede la sua bocca contro la mia: non c'è delicatezza, non ci sono sospiri. Fa scivolare il pollice sotto il bordo della gonna e, lasciando scorrere l'unghia contro la pelle della mia coscia, ordina sulle mie labbra:

Join me, will ya?”

Join you? Unirmi a te? C'è bisogno di chiederlo? Limonami come se fossi una bambola gonfiabile. Guarda, puoi anche picchiarmi: non sono un'estimatrice di quella roba, ma se me lo chiedi così, mi faccio pure incatenare alla marmitta della Circe.

“Med, ho bisogno della tua abilità culinaria” sento Bet divagare e, da pessima amica, penso che potrei brutalmente interrompere la telefonata; ma la lingua di Alex scorre insistente contro il mio labbro inferiore e parlare smette di essere una priorità.

Pomiciare, invece, assume un ruolo cruciale. Pomiciare. Solo pomiciare con Alex.

Bet blatera frasi che neppure capto, concentrata solo sull'improvviso disappunto causato dall'inattesa distanza della bocca di Alex che rompe il bacio, ridacchiando.

La stessa espressione furba presente nei suoi occhi provoca in me un piacevole pizzicore all'altezza dell'ombelico: non sapere cosa progetta, non riuscire ad anticipare le sue azioni, la sua costante imprevedibilità, attivano una stranissima voglia di capire lui e i suoi pensieri.

È in piedi di fronte a me, si è fatto strada in mezzo alle mie gambe e le sue mani si appoggiano sulle mie ginocchia, trascinando la gonna verso l'alto mentre le sue labbra si muovono impercettibilmente contro la mia spalla.
Cerco in ogni modo di trattenere il respiro e al contempo di sussurrare con voce ferma risposte coerenti alle domande di Bet, nella speranza di non farle capire che in realtà il mio cervello in questo momento è annebbiato da quello che le mani e la bocca di Alex stanno facendo al mio corpo.

Poi, senza preavviso, lui si allontana; con un po' di delusione mi convinco che il nostro incontro sia giunto al capolinea e, schiarendomi la voce, torno alla conversazione con Bet aspettando che Alex si allontani del tutto.

Fortunatamente pochi secondi dopo scopro che mi sbagliavo e mi trovo a benedire il ripiano della cucina di casa mia.
Alex spinge con decisione contro le mie spalle, costringendomi a inarcare la schiena all’indietro e a cercare di sostenere il mio peso mentre lui mi solleva velocemente il vestito fino alla vita.

Raccogliendo una fragola, incrocia brevemente il mio sguardo, appoggiando il frutto nel mio ombelico, il sorriso ora enorme e il viso completamente rilassato.
La mia prospettiva sul potere seduttivo delle fragole diviene più consistente quando lui si premura di lasciare baci leggeri e umidi sulla strada che va dal mio collo fino alla pancia; un rapido movimento e recupera la fragola con la lingua, affondando per un attimo la punta al centro dell'ombelico e accarezzandone il contorno con i denti. Le mie dita scorrono sul suo collo, come un ringraziamento silenzioso a cui lui risponde massaggiando più intensamente la mia pelle.

“Che stai facendo?” mi chiede a quel punto Bet, possibilmente insospettita dal mio respiro che si sta facendo più profondo e rumoroso.

“Una cosa che non bisognerebbe fare.” rispondo con la voce che mi si strozza in gola, mentre sento la pelle d’oca formarsi sulla pancia, grazie a qualunque magia Alex stia facendo contro il mio ventre.
“Sarebbe?” chiede la mia amica curiosa e la sua voce echeggia dal ricevitore che lascio cadere per un secondo sul torace.

Alex mi sorride di nuovo e, tenendo la fragola tra le dita, la fa scorrere dalla fossetta dove si incontrano le mie clavicole, fino al torace, il suo viso a un respiro da me, sussurrando:
“Sì, sarebbe?” prima di chinarsi e, finalmente, mordere il frutto.

Dio benedica le fragole. E i coltivatori di fragole. E il loro potere di seduzione innato. E pure i semini.

“Giocando col cibo.”
Osservo Alex risalire verso il mio volto e lasciar cadere metà della fragola tra le mie labbra separate: la premo con la lingua contro il palato, ansiosa di sentire ancora il suo sapore quasi stucchevole espandersi nella mia bocca. Quando il succo si scioglie, ha un sapore più intenso, meno fresco. Più pungente.
Forse sa un po' di Alex, o forse i miei sensi sono diventati più attivi e capisco che non morderò più una fragola allo stesso modo.

Bet sembra soddisfatta della mia risposta, perché ricomincia a chiacchierare:
“Che faccio con le vongole?”
“In che senso?” domando distratta dalla lingua di Alex che è tornata ad assaggiare la mia pelle.
“Sono chiuse. E poi avranno la sabbia:” spiega lei dubbiosa.
“Oh, vuoi sapere come pulire le vongole?” chiedo con voce vuota, completamente disinteressata e più che altro intrigata dall'idea di rovesciare le fragole rimaste e spalmarci sopra Alex.

Sono una persona malata.

Lui sorride sulla mia pelle, sposta le labbra vicino al mio orecchio e sussurra:
“Dille di metterle in acqua e sale per una notte.” Poi mi morde il lobo delicatamente.
“Oh Gesù!”

“Che c’entra Gesù! Non mi sembra di aver chiesto chissà che cosa!” si lagna la mia amica, sempre più coinvolta dal suo progetto culinario. Progetto al quale io non sono per nulla interessata, essendo sulla buona strada per pianificarne uno mio che vede Alex e le fragole come ingredienti principali.

Sono gravemente disturbata. Cibo e sesso. Ora penserò per sempre al cibo con ancora più entusiasmo. Non sarò mai magra.

Ripetendo distrattamente a Bet le parole di Alex, provo ad allontanarlo, nella speranza di non perdere del tutto il controllo sui miei pensieri: sfortunatamente, però, l'unico scopo nella vita di Alex sembra quello di eccitarmi e farmi fare una figura di merda.
Sento i suoi polpastrelli accarezzarmi l'interno coscia con la stessa intensità con cui le sue labbra scorrono contro la mia spalla. Premono. Sfiorano. Succhiano. Salgono lungo il collo, seguendo la corsa del mio sangue che pulsa nella giugulare: e lui traccia anche quella con la lingua.

“Riattacca.”
“E una volta che le ho fatte aprire che faccio?”

Eh, ma che cazzo! Non sono multitasking! Una richiesta alla volta.

“Le cucini.” rispondo semplicemente io, bloccando Alex nel suo tentativo di ripartire all’attacco e ammonendolo con lo sguardo.
“E come? Aspetta, perché si muovono?” chiede la mia amica inorridita.
“Come si muovono?” dico io confusa, abbassando la guardia per un attimo.
Il ragazzo di fronte a me, che sfoggia orgoglioso un'espressione famelica, ne approfitta per afferrarmi il polso e iniziare a mordicchiarmi le dita. Poi, tra le risate, mormora:
“Si muovono perché sono vive.”

“Come sono vive?!”
Bet, sentendo le mie parole, va nel panico:
“Che cosa? Sono vive? Oddio, che schifo! Quindi devo ucciderle?”
“Sì, devi ucciderle. Che cosa macabra.”
Il nostro disgusto non pare colpire Alex più di tanto che, imperterrito, si accanisce per l'ennesima volta sulla mia spalla: la mordicchia, la bacia ancora, soffia divertito sulla mia pelle e sta a contemplare un attimo la pelle d'oca che si forma.

Se non fosse per la constatazione che le povere vongole vengono cucinate vive, probabilmente mi lascerei scappare qualche suono lussurioso, ma la voce inorridita di Bet mi distrae e la sua isteria mi fa sorridere:

“Ti rendi conto che sto per fare una strage? Oh Gesù, magari faccio fuori un’intera famiglia di vongole. E le brucio vive. Oddio, sono l’Hitler delle...che specie sono?”
“Bivalvi, credo.”
“Che nome del cazzo! Comunque, ti rendi conto? Vuoi che diventi l’Adolf dei bivalvoli?”

Mentre la mia amica si dispera, Alex mi tira verso di sé con prepotenza, lasciando scomparire le mani sotto il mio vestito fino a raggiungere la mia vita e avvicina l'orecchio alla cornetta per ascoltare la conversazione; il mio sguardo di rimprovero per essere il solito impiccione non ha alcun effetto, se non quello di farlo sghignazzare ancora un po'.
“Bivalvi, non bivalvoli. E poi non è che puoi farci molto. Vuoi tenerle per sempre nel lavandino?”
“Potrei metterle in un acquario e fare una specie di parco dei divertimenti per le vongole!”

Il respiro di Alex conto di me mi fa venire i brividi e la sua risata alle parole di Bet mi solletica la pelle, mentre sorride strofina ripetutamente le labbra sulla mia clavicola: a quanto pare non è per nulla intenzionato a fermarsi.

“B, ma che cavolo stai dicendo?” ma la mia voce trema quando avverto i polpastrelli di Alex scivolare dalla mia vita verso il basso, accarezzarmi impercettibilmente la pancia per poi scorrere un po' più in giù.
Per un attimo accantono Bet; allontano la fronte dalla spalla di Alex e stringo il suo mento tra le dita, costringendolo a incontrare i miei occhi prima di borbottare sotto voce:
“Sei un porcello!”

Lui trattiene una risata e muove in modo suggestivo le sopracciglia in modo così ridicolo che, nel tentativo di sopprimere una risata, emetto qualcosa di molto simile ad un grugnito.

Lui sorride scuotendo piano la testa ma premendo i palmi contro le spalline del mio vestito, le fa scivolare lungo le mie braccia: Bet sembra aver dimenticato il problema della morte di gruppo delle vongole, perché credo stia facendo da sola la lista degli ingredienti con un entusiasmo molto simile a quello che pervade me quando Alex raccoglie l'ultima fragola e la posa con cura sul mio torace.
“Che stai facendo?” mormoro cercando di non farmi sentire e di nascondere il tremore della mia voce.
“Chi sta fecendo cosa?” chiede Bet confusa.
“Mmm... niente, B.”
Ma Alex si china ancora su di me e morde la fragola, premendola sulla mia pelle con la lingua,  un patetico gemito sfugge alle mie labbra:
“Riattacca, Scintilla.” mormora premendo il mio corpo contro il suo.

Ok, la situazione mi sta sfuggendo di mano.

“Chi è quello?” sento la voce di Bet lontana, chiedere curiosa.
“Quello chi?” le vibrazioni della mia voce sono evidenti nel momento in cui Alex solleva il più possibile il mio vestito.
“Quello che ti ha detto di mettere giù il telefono.”

E io taccio.

“Oh mio Dio! Stai facendo le cose sporche con Alex mentre parli al telefono con me? Med, sei una deviata!” urla lei e Alex sospira una risata silenziosa contro la mia pelle.
“Ma che dici! Non farei mai una cosa simile!” mugolo senza speranza sentendo le mani ruvide di Alex sollevare il mio vestito oltre la vita.

Oh. Cacchio.

“Invece sì! Ecco perché ansimi. Sei una porca senza vergogna!” ribatte Bet a metà tra il divertito e l’indignato.
“Direi che questo abitino ha bisogno di una lavata.” suggerisce silenzioso il mio coinquilino, tirando più su il tessuto che mi copre.
“Med, ma che razza di perversione è scopare con la tua migliore amica al telefono?” chiede Bet severa.
“Non sto scopando.”
“Non ancora.” mormora Alex sollevandomi le braccia piano per levarmi l'abito, lasciandomi tristemente in biancheria intima. Dell'orrida biancheria intima, aggiungerei.

“Amica, siete due sgualdrine, tu e Alex.”
“Scintilla...”
“B, ti devo lasciare. Potrei dover fare la lavatrice.”
“Cazzo, sei una porno star!”
E la risata di Bet è l'ultima cosa che sento prima che riattacchi.

Finalmente contenta di poter ricambiare le attenzioni di Alex, allontano le sue labbra dalla mia carne, mormorando:
“Troppi vestiti. Io sono nuda e tu completamente coperto.”
Lui sorride e lascia che io afferri il collo della sua maglia e faccia scontrate la sua bocca contro la mia, tracciando l’incontro delle sue labbra con la punta della lingua; non so bene perché, ma d'improvviso sento di volere il pieno controllo.
Le mie mani graffiano i lati del suo torace, scendendo fino ai fianchi e sento le sue labbra tremare sulle mie. Prendo tra le dita di una mano il lembo della sua maglietta, mentre con l’altra gli slaccio i pantaloni, e in un secondo, lo libero dall’indumento superiore, per concentrare entrambe le mani sui bottoni dei suoi jeans.

Poi lo osservo. Lo studio con attenzione e con immensa soddisfazione, consapevole di essere la causa del suo stato accaldato.

Le sue labbra sono rosse e un po' gonfie a causa dell’irruenza dei nostri baci; gli occhi sono scuri e le guance lievemente arrossate. Le sue spalle si sollevano in modo irregolare e affannato seguendo i suoi respiri veloci.
Lascio andare i lembi dei suoi pantaloni, mentre le sue mani restano appoggiate al mio collo;
“Ci spostiamo di là?”
“Camera da letto?”
“No...”
“Che avevi in mente allora?”
“Mi ispirava di più l’idea della doccia.” ridacchia malizioso, accarezzandomi la schiena.
Sorrido sulla pelle della sua spalla, mentre faccio ruotare il viso contro di lui e inalo il suo odore.
Lui non risponde ma allenta la presa e intreccia le mie dita con le sue, e mi accompagna verso la porta del bagno. Solo nel momento in cui lo vedo allungare la mano dentro da doccia e far scorrere l’acqua, mi rendo conto di quanto esposta io sia.
Alex si volta e mi individua proprio mentre studio un modo per schermare le mie pudicizie: è oggettivamente una mossa poco ragionata, ma mi sento una cretina a starmene qui con la mercanzia all'aria.

“Non farlo.” mi dice sorridendo.
“Che cosa?”
“Non coprirti. Perché ti copri sempre? Pensavo avessimo risolto con la storia dell'insicurezza.”
“Oh, abbiamo sicuramente fatto un passo avanti, ma mi ci vorrà un po' per abituarmi a scodinzolare per casa a culotto nudo.” scherzo e lui ride avvicinandosi a lunghi passi, sfoggiando il suo inconfondibile sorriso.
Le sue dita mi avvolgono i polsi, costringendomi ad allargare le braccia per dargli accesso alla visuale del mio corpo: ogni mio tentativo di non arrossire o di mostrarmi indifferente alla sua analisi va a farsi benedire quando i suoi occhi corrono su di me e lo vedo leccarsi le labbra impercettibilmente
Quando sospira, tutto l'autocontrollo che avevo cercato di sfoggiare viene annientato da un'incontenibile voglia di marchiarlo come mio. Devo ricordarmi di farlo prima o poi: prima o poi, adesso non posso. Adesso, se non proseguiamo, credo che potrei andare in autocombustione.

“Alex, piantala di fissarmi. Sembri un maniaco.”
“Non ne hai idea.” ride lui e mi spinge nella doccia.
L'acqua che scorre tra di noi e su di noi annulla ogni rumore e ogni immagine al di fuori di Alex.

In poco tempo diventa troppo calda per essere piacevole e il vapore che si solleva avvolge il mio corpo in modo opprimente: eppure lo scroscio costante e intenso sembra delimitare tutto a me e lui. Solo i miei baci, le sue mani sul mio corpo e noi, accarezzati dall'acqua che lava via l'idea di ogni altra cosa. Di ogni altro problema. Di ogni altro ricordo.
Sotto questa nebbia calda e dentro questa cabina, non penso a niente: solo che io sono qui con lui. Pervasa da un forte impulso di sentirlo e vederlo mio, lo spingo con un po' troppa forza contro il muro della doccia e, stringendo le sue spalle tra le dita, non riesco a trattenermi dal succhiare la sua pelle fino a che non lascio un segno.

Lì, in quello spazio, scopro ancora Alex: sono più intraprendente di ieri, più prepotente e immensamente più compiaciuta quando lui, per tutto il tempo della nostra doccia, mi segue senza proteste, quasi respirando secondo le mie istruzioni.
E per il tempo in cui il vapore scalda la nostra doccia, per la prima volta da quando ho una vita sessuale, si fa come dico io.

Più tardi, disteso nel mio letto, dorme. Noi abbiamo appena fatto del bellissimo sesso sotto la doccia, saranno passati al massimo venti minuti, e lui dorme. Se ne sta appallottolato dietro di me, praticamente avvolgendomi e seguendo il mio corpo sdraiato in posizione fetale, con il petto premuto contro la mia schiena, un braccio sotto il mio cuscino e l’altro che giace morbido sull’incavo della mia vita. Le sue dita che mi sfiorano la pelle mi solleticano, ma stranamente ora non mi imbarazza più la consapevolezza che lui possa sentire o vedere le mie imperfezioni.
I nostri capelli ancora bagnati hanno inzuppato i cuscini e la mia pelle protesta per il fastidio, ma sento il suo respiro regolare soffiarmi sul retro della nuca e questo fa venire voglia di dormire anche a me. Ma non mi capita spesso di avere tra le mani un Alex inconscio e incapace di rispondere. E allora rotolo piano su me stessa, facendo attenzione a non svegliarlo e a non spostare le sue mani da me, fino a che non mi ritrovo faccia a faccia con lui. E lo osservo.

Studio ogni linea del suo volto, memorizzo ogni neo o piccolo segno sulla sua pelle – soprattutto quello che ho lasciato io, provando un moto di orgoglio verso me stessa - e cerco di immaginare la sua storia. La sua vita.

Ha un’espressione tranquilla e pacifica ed è come se riuscissi a succhiare la sua serenità. Solo ora mi accorgo di una minuscola cicatrice che ha sotto il labbro inferiore e cerco di immaginare come se la possa essere procurata.

Questo ragazzo è ancora così pieno di segreti per me. Ho come l’impressione che in poco tempo lui sia riuscito a disegnare un quadro dettagliato di me e del mio passato, unendo i piccoli punti che ha potuto segnare mano a mano che raccoglieva informazioni sulla mia vita. Eppure, io di lui continuo a sapere troppo poco.

È un cuoco. Un cuoco come mia madre, aggiungerei.
So quello che è quando è con me. Conosco la sua persona, ma non conosco la storia di questa persona.
So come prende il caffè, che cosa mangia a colazione e le posizioni in cui dorme. Mi accorgo quando è a disagio o pensieroso perché si passa la mano tra i capelli a ripetizione e si mordicchia l’unghia del pollice sinistro. So quando è nervoso perché non riesce a controllare il tic della gamba.
Conosco il colore dei suoi occhi quando si sveglia o è eccitato per qualcosa, perché sembrano più scuri.
So che è intelligente e acuto. Protettivo e allo stesso tempo facile all’ira.
Ma di chi era Alex prima di mettere piede nel mio condominio, so poco o niente.
 
E mentre osservo il suo viso rilassato, mi domando se sia davvero importante conoscere il suo passato. E forse la verità è che non lo è. Non è quello che è stato che conta davvero; è chi mi trovo davanti oggi che è rilevante. Forse vorrei sapere la sua storia per pura curiosità, o per equità. Perché vorrei sapere tutto di lui. Magari perché la mia cotta per lui si sta facendo sempre più grande e consistente; il che potrebbe causarmi diversi problemi.
Noi donne siamo una specie meravigliosa: masochismo e autoflagellazione sembrano essere il nostro passatempo preferito quando si tratta di ragazzi. Soprattutto se sono ragazzi che amiamo o abbiamo amato. E che abbiamo perso. E che non abbiamo capito.
Non si può pretendere di decifrare la mente di un uomo con il cuore di una donna.
Come spesso si dice, quando si tratta di ragazzi, la risposta è sempre la cosa più semplice che ti salta in mente.

Ma le femmine sono esseri incomprensibili e, forse, di base provano un malato piacere nel mal d’amore: però facciamo tutto con molto sentimento, eh! Li detestiamo e amiamo allo stesso tempo con una passione quasi incomprensibile.

I miei pensieri vengono interrotti dal suo corpo che si muove piano mentre inspira a pieni polmoni e i suoi occhi si aprono, incontrando il mio sorriso: il suo odore attorno a me e il tepore del corpo rendono ogni cosa così reale che, a dispetto delle sensazioni del mio corpo, mi concentro su come le cose siano cambiate in poche ore.

Quando ieri sono entrata nel mio appartamento avevo il cuore pesante e la coscienza sporca e nella mia mente viveva solo il pensiero del mio futuro e dei miei errori.
Ora i miei sensi sono tutti su Alex e su come mi sento quando lui scandisce i miei minuti: non importa se ciò che risveglia in me sia irritazione, passione, eccitazione o divertimento. Quello che conta è che con Alex io sento, vivo tutto ad un livello più alto. Reagisco.
Mentre penso a quanto le cose siano cambiate, vedo le sue palpebre sollevarsi con pigrizia e i suoi occhi stanchi incrociare i miei.
“Ciao.”
“Ciao... Ti ho svegliato?”
“Non credo... Hai fatto qualcosa per svegliarmi?” accusa ammiccando, ottenendo una risatina e un sicuro no in risposta. “Allora mi sono svegliato da solo.”

Restiamo in silenzio pochi secondi, lui sbattendo velocemente le palpebre e strofinandosi gli occhi; io affascinata da quanto più piccolo sembri ogni volta che si addormenta. Poi lo vedo diventare brevemente pensieroso, un dubbio evidente sul suo viso:
“È un problema se mi sono addormentato qui?”

Stranamente non lo è.
Questa volta non ho neppure pensato al fatto che lo stavo facendo entrare nel mio letto: non ho provato disagio all'idea di condividere con lui il mio spazio. L'ho fatto. Ho lasciato che lo facesse; che si sdraiasse accanto a me e che diventasse parte di quello spazio.
Non c'è stata esitazione perché non è proprio sopraggiunto alcun pensiero a riguardo: è successo spontaneamente e in sordina. Invece di provare fastidio come credevo, ho provato tranquillità.
Lui era lì, perché era l'evoluzione naturale di noi e di quello che avevamo vissuto: e, stavolta, io volevo che fosse proprio lì.
Muovo piano la testa per fargli sapere che, no, non è stato un problema; lui in risposta mi fa l'occhiolino e spinge il lenzuolo lontano dal suo corpo.

“A che pensi?” domanda accarezzandosi con pigrizia la pancia ancora nuda e esaminando il mio viso; la sua naturalezza arriva dritta al mio stomaco e, incontrando il suo sguardo, penso che il suo fascino risieda proprio in questa sua semplicità. Alex non è comune in modo spiazzante: è ciò che non vedi nella perfezione e, proprio per questo, è reale. Non è qualcosa che sogni, è qualcuno che puoi avere, con tutti i suoi odiosi difetti e le sue contraddizioni.
“Alex, chi è Andie?”

Non so perché gli faccio proprio questa domanda e non è esattamente ciò a cui stavo pensando, ma le parole prendono forma da sole, dando voce a uno dei misteri che ancora velano il mio coinquilino.
La sua reazione è di stupore, confuso probabilmente dal fatto stesso che io abbia nominato quel nome.
“Ne hai parlato con tuo fratello l’altra sera.”
Per un momento temo che eviterà per l’ennesima volta di parlare di sé, ma il suo viso si distende e i suoi occhi sembrano addolcirsi all’improvviso; in risposta sento lo stomaco contrarsi e una punta di gelosia annebbia i miei pensieri fino a che la sua risposta non giunge leggera e delicata.
“Mio nipote.”
Sentendogli svelare l’identità di chi si cela dietro ad Andie, mi sento vagamente idiota, ma non meno desiderosa di saperne di più; eppure lui non aggiunge altro, il che - chiaramente - mi obbliga a giocare sporco.

Do ut des...” bisbiglio nascondendo una mano sotto al cuscino e pregando che per una volta si attenga alle regole del nostro gioco. Lui sorride e si volta sul fianco per guardarmi meglio.
“Non vedevi l’ora, vero?”
“Io ho condiviso con te un sacco di cose negli ultimi giorni. Tu, invece, continui a fare il bel tenebroso che nasconde segreti...”
“Med, la mia vita è una noia. Non ho segreti.”
“Quindi non avrai problemi a raccontarmi di tuo nipote.”
“Non c’è nulla da dire. È il figlio di mio fratello...”
Per quanto cerchi di mostrarsi indifferente, però, la sua voce lascia trapelare una punta di irritazione, facendomi intuire che ho toccato un tasto dolente. Se io fossi una persona migliore, a questo punto opterei per concedergli la sua privacy e cambierei argomento; ma essendo io femmina e, nello specifico, piena di curiosità riguardo a diversi argomenti che Alex evita con maestria, decido che è quantomeno equilibrato che - per una volta - sia lui a parlare di sé.

“Okay... E allora dimmi che problema hai con tuo fratello.”
“Non c’è modo di farti mollare la presa?”
“Non questa volta.”
“Perché ti importa tanto?”
“Perché abbiamo fatto un patto... Dobbiamo conoscerci per capire se possiamo piacerci o se devo tornare ad odiarti. Ma fino ad oggi l’unica che ha condiviso intimi segreti sono io.”
La mia insistenza potrebbe essere rischiosa considerando che, alla fine, Alex ha spesso reagito male alle mie pressioni, ma se non lo spingo a raccontarmi qualcosa di sé rimarremo incastrati in questo limbo dove lui si fa strada nella mia vita, evitando di farsi conoscere e usando il sesso per distrarci l’uno dall’altra.
Lui resta in silenzio, probabilmente riflettendo sul da farsi: ho paura che ora che abbiamo consumato si sentirà in diritto di fare un passo indietro, sfruttando un’intimità diversa per mantenere le distanze.

“Alex, non fraintendermi, fare sesso con te ha superato di gran lunga le mie aspettative ed è stato divertente.” mormoro mettendomi a sedere accanto a lui, un po’ oppressa dall’atmosfera tesa che si sta creando “So che sono stata io a spingere per darci dentro a prescindere dalla nostra compatibilità...”
“Sono commosso.” mi interrompe lui, cercando di distrarmi ancora una volta da ciò che vorrei sapere.
“Alex, io ho bisogno di sapere qualcosa di te.”
“Tu sei solo curiosa.”
Mentre parla le sue labbra si increspano in un sorriso appena accennato, come se questa cosa lo divertisse:
“Ovviamente! Perché non vuoi parlarne?”
“Perché è complicato. Ed è personale.”
“E le cose che racconto io sono di dominio pubblico, invece?”
“È diverso...”
“Certo, tu sei speciale; io, invece, sono la povera stronza che deve renderti partecipe di tutto.”

La mia strategia non funziona e non funzionerà: Alex mi manipola e io glielo lascio fare. Ogni conversazione è magistralmente guidata da lui, dove e come vuole.
L’irritazione nella mia voce è evidente e comincio a perdere la pazienza; non dovrebbe essere così difficile. Alex voleva che ci conoscessimo, quando - a dirla tutta - a me sarebbe bastato farci sesso e levarmi lo sfizio; ma lui ha fatto resistenza e l’ha portata su un piano diverso e, senza saper bene come, ho iniziato a voler esplorare quel livello di intimità anche io.
Ma le sue proteste cominciano a spazientirmi: se non è disposto a raccontarmi di sé, non vedo perché io dovrei farlo con lui.
“Fammi capire: stai cercando di litigare?”
“Sto cercando di parlare...”
“Di me...”
“Perché? È vietato? Si può parlare solo di me, dei miei problemi e dei miei disagi?”
I suoi occhi si allontanano dal mio viso e si concentrano sulla parete di fronte.
“Non è quello...”
“E allora dimmi tu che cazzo è!”
“Mio fratello è un tasto delicato, Med...”
“Alex, con te tutto è un tasto delicato. Devo tirarti fuori tutto con le pinze.”
Lui torna a guardarmi e, con il viso che d’improvviso si contorce in un’espressione furba, ribatte:
“Non tutto.”

Allusione sessuale. Ovviamente. Ora che l’abbiamo fatto il sesso diventerà un escamotage per non rispondere.

“Veramente anche lì ho dovuto faticare, Mr. Sono troppo sensibile quindi mi si intimidisce il pisello!”
Lui scoppia a ridere e, senza preavviso, mi scaraventa un cuscino in faccia.
“Ma come ti vengono?”
“Non lo so, è un dono naturale.”

Lentamente si mette a sedere e, dandomi le spalle, mi invita a seguirlo in salotto.
Sarei tentata di chiedere perché non possiamo parlarne qui, ma lui si dirige verso la porta senza aspettare una risposta e io mi trovo a seguirlo in silenzio; dall’ingresso della mia stanza lo osservo aprire il frigorifero per estrarne una Coca-Cola e una bottiglia d'acqua.
“Mio fratello è un pessimo padre.”
Lo dice con una voce così naturale, come se mi avesse appena detto che è pronta la cena, che un brivido mi percorre lo stomaco e mi chiedo se mi sono davvero avventurata in un territorio troppo difficile da gestire.
“Perché?”
“Perché Andie non è al centro del suo mondo. Adam è al centro del mondo di Adam. Nessun’altro.”
Mentre parla i suoi occhi evitano i miei; spinge piano l'acqua verso di me e attende che mi metta a sedere su uno degli sgabelli.
“Essere egocentrici non è necessariamente un crimine genitoriale, Alex...”
“No. Ma quando ti perdi la nascita di tuo figlio perché sei troppo occupato a festeggiare una promozione e troppo ubriaco per portare la tua compagna in ospedale, lo è.”

Oh, che bella merda d’uomo.

“Non credi di essere troppo duro?”
“No.”

Memo per me stessa: Alex potrebbe essere un moralista. Forse un mormone.

“Io avevo 21 anni quando Andie è nato e mi sono ritrovato in una sala parto ad assistere alla nascita di un bambino non mio, semplicemente perché mio fratello non sentiva la necessità di crescere... Il giorno dopo mio padre è dovuto andare a svegliarlo e a comunicargli nuovamente che era diventato papà perché lui era così ubriaco la sera prima che non se ne ricordava neanche.”
“D’accordo, te lo concedo. È da stronzi, però...”
“Med, senza offesa, ma non ho chiesto un tuo parere. Hai voluto sapere del rapporto tra me e Adam, e io te ne ho parlato.”
“Parlato... che parolone. M’hai detto due frasi in croce.”
“Tu non ti accontenti mai?”
“Che è successo la sera in cui ti ha chiamato e mi hai mollato per andare da lui?”

Alla mia domanda, lui si irrigidisce, forse cogliendo erroneamente un’accusa nelle mie parole.
“Suonava meglio nella mia testa.”
Alex sorride appena, concentrandosi sulla linguetta della lattina che sembra non volersi aprire: io ne approfitto per godermi un po’ la visuale del suo petto nudo e il ricordo della sua pelle sulla mia poche ore fa torna a girovagare nella mia mente. E per qualche secondo fatico a capacitarmi di averci finalmente fatto sesso. Due volte. Il che attenua i dubbi di essere stata mediocre.

“Aveva bisogno di uno strappo a casa...” si limita a borbottare prima di incontrare il mio sguardo insoddisfatto e reagire con una leggera risata.
“Non vorrai che ti sveli tutto in un colpo solo? Perderei il mio fascino...”
“Alex...”
“Aveva promesso ad Andie di guardare il basket con lui, ma se ne è ricordato troppo tardi e non era in condizioni di guidare.”
“Perché?”
“Festeggiamenti per l’ennesimo contratto concluso. Alcool...”

Improvvisamente ho la sensazione di capire perché non ho mai visto Alex ingerire neppure una goccia di vino: o è quello, o è una questione religiosa.
Gli Amish bevono? Magari lui è la Amish che aspettavo sotto mentite spoglie. No, forse è Sikh; ma io che cazzo ne so di Sikhismo? Nulla. I Sikh vietano l'alcol? Esistono? O è una religione che mi sono inventata? Potrebbe essere: so a malapena la storia di Gesù e l'ora di religione l'ho sempre prontamente saltata. Non mi volevano neanche cresimare, figuratevi.

“Sei Sikh?”
Chiaramente la sua reazione è di confusione; non volevo chiederglielo davvero. Ora penserà che il sesso mi rende instabile e non ne faremo più.
“Che cosa?!”
Sono un’imbecille: ero riuscita a fargli sputare qualche rospetto e ora lo confondo. Devo avere una malattia autoimmune che mi disattiva l’intelligenza o qualcosa del genere. Non posso essere così cretina di natura.
“Lascia perdere... Quindi la colpa di Adam è di festeggiare i suoi successi professionali in momenti sbagliati?”

“No, è di essere un cazzaro. È di non aver imparato nulla dai suoi errori. È di essere un padre assente. È di essere un papà e di comportarsi ancora come un ragazzino... hai un figlio di sette anni e ti concedi ancora di ubriacarti troppe volte? Sei una testa di cazzo.”
“Alex, sei troppo duro.”
“No, per nulla. Sono solo un cretino che ancora gli dà una mano quando quello si comporta come un egocentrico e insensibile coglione.”
“Qualcosa in comune forse l’avete, se ripenso a certe tue reazioni passate.” borbotto sottovoce, sperando che non mi senta, prima di chiedere:
“Pensi sia un alcolizzato?”
“No... Il suo vero problema è di essere un irresponsabile.”

Ecco, e adesso? Cosa devo dire? Perché, perché ho dovuto parlare di cose serie a tutti i costi? Ora io dovrei dare una risposta intelligente, saggia, imparziale; invece penso solo che non c’è niente di male in un goccetto ogni tanto e che Alex è un giudicone.

“Okay...” Bisbiglio appoggiando la bottiglia d’acqua che non ho neppure aperto e ,aggirando il bancone - al quale ormai sono legati i ricordi più impuri della mia vita - lo raggiungo: le sue spalle sono tesissime e il suo sguardo mi evita con cura. Dalla sua posa capisco che, effettivamente, mi sono addentrata in un argomento molto delicato per Alex e, anche se non sono sicura di capire o condividere fino in fondo le sue ragioni, sono contenta che si sia deciso a mostrarmi qualcosa in più di sé. Benché non sia stata esattamente una decisione spontanea.

D'accordo, ho particolarmente forzato la mano e non ne sono fiera, ma stavamo finendo in una spirale infinita di déjà-vu che non portavano a nessuna progressione.
Cercando di essere delicata, stringo le dita attorno alla sua vita e lo invito a voltarsi, accompagnando i suoi fianchi contro il bancone e intrappolandolo tra le mie braccia, come ha fatto più volte lui con me. Capisco perché i maschi lo facciano; ti fa sentire in una posizione di dominanza, come se la persona che hai di fronte si stesse abbandonando a te.

Lui porta i palmi delle mani sul mio collo e strofina un paio di volte le dita sulle mie guance, studiandomi: vedo nei suoi occhi che vorrebbe mandarmi a cagare e non posso certo biasimarlo. Eppure, per qualche ragione, ingoia l'evidente rancore che le mie pressioni hanno causato. Mentre lo contemplo di rimando, ripenso a quello che mi ha detto, a quello che è successo nelle ultime settimane e a ciò che mi ha detto Bet.
Quindi, senza frenare la lingua e in modo assolutamente insensato, gli domando:

“Vieni in montagna da Bet con noi due giorni?”
Sembra per un secondo stupito dalla mia idea; io non ho ancora avuto il tempo di rendermi conto delle implicazioni di questa proposta quando lui, sorridendo, risponde:

"Quando?"
"Domenica e lunedì..."

“Devo controllare i miei turni, ma il lunedì siamo chiusi, quindi non vedo perché no.”

Oddio.



AN: Eccoci alla fine. Se anche questa volta avete resistito fino qui, io vi stimo immensamente.
Inutile inizare di nuovo con le mie più sentite scuse per aver fatto passare così tante settimane: purtroppo i miei impegni accademici di questo anno sono stati molto più complessi e prolungati di quanto mi sarei mai aspettata e da aprile fino ad una settimana fa sono stata immersa in una sessione d'esame infinita - che ha risucchiato ogni mia giornata e ogni minuto non speso per le lezioni.
Non di meno, però, mi scuso con voi. Vi ringrazio anche di cuore per la pazienza e per non aver abbandonato questa storia, nonostante la mia lentezza nell'aggiornare e nel rispondere alle vostre spnedide recensioni, che sono una costante fonte di ispirazione e che mi ricordano perché non posso abbandonare TuttoTondo :D
A costo di essere ripetitiva, come sempre non posso non ringraziare la persona che si pippa ogni volta i miei capitoli da correggere e che si fa grasse risate imbattendosi nei miei orrori di battitura. Non solo! Ogni volta che vado nel panico per le mie insicurezze, che mi faccio prendere dallo sconforto e dai dubbi, lei è lì... A cazziarmi, a confortarmi, a confrontarsi con me per trovare le "falle" e gli errori nella trama (negli sviluppi futuri) e a essere la persona e la beta spettacolare che è: Letizia. Inutile dirvi che in questo capitolo è stata esattamente tutte le cose sopra elencate... anche più del solito. Grazie di cuore, piccola psycho!
E, per finire, due cose: TuttoTondine, siete parte del cuore pulsante di questa storia... grazie per ogni giorno che reistete e che sostenete Med e tutto il contorno (me in particolare!).

Visto che sono in ritardo di un giorno e che non ho potuto mantenere la promessa di un regalo musicale, questo capitolo - e i suoi contenuti - sono dedicati alla piccola Morgana: happy B-day, piccoletta! Grazie anche a te di essere ancora qui... a minacciarmi e a ricattarmi.




   
 
Leggi le 12 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Romantico / Vai alla pagina dell'autore: MedOrMad