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Autore: Ellies    19/07/2013    1 recensioni
Non era come nascondere le sigarette, il telefono con messaggi privati, o una storiella di una notte. Qui c'era in ballo la sua persona, i suoi sentimenti, il suo intero modo d'essere. Non voleva più nascondere se stesso alle persone che -teoricamente- lo amavano per ciò che era.
Genere: Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Coming out of the closet.



Il ragazzo, seduto sul letto, si stava tormentando le mani da quelle che gli parevano ore, ormai. La sua stanza non gli era mai sembrata un luogo più confortevole e sicuro, ed era pronto a restarci anche per un intero mese, se fosse servito a non dover affrontare la sua famiglia.

Non era obbligato a farlo, dopotutto. Era una sua scelta, per liberarsi finalmente del peso che portava dentro di sé. Ma se, alla fine, conservava quel segreto da così tanto, perché non poteva continuare a nasconderlo?

Anzi, a nascondersi.

Non era come nascondere le sigarette, il telefono con messaggi privati, o una storiella di una notte. Qui c'era in ballo la sua persona, i suoi sentimenti, il suo intero modo d'essere. Non voleva più nascondere se stesso alle persone che -teoricamente- lo amavano per ciò che era.

Si alzò di scatto dal letto, determinato, per poi risedersi immediatamente, subito dopo.

Le parole del padre gli tornarono in mente, chiare e dirette come un fulmine. Lui sapeva. Ne era certo. Sospettava qualcosa.


“Chi è questo ragazzo con cui scambi tanti messaggi, Al?”

“C-Cosa?”

“Vi scrivete molto.”

“È un amico, papà!”


Forse fuggire in camera, agguantando il telefono, non era stata una mossa intelligente. Anzi, a dirla tutta era il modo più palese che aveva per far capire di star nascondendo qualcosa.

Ma il padre non poteva immaginare che il suo armadio fosse un cimitero, altro che scheletro. Avrebbe dovuto aprirlo, un giorno, e liberare tutti quei segreti che lo stavano opprimendo, troppi per un ragazzo di soli sedici anni. Sapeva solamente che non era facile, e di questo erano testimoni i vari tentativi di parlare con la propria famiglia, preceduti molto spesso da notti insonni e una perpetua agitazione.

Ecco perché non poteva andare avanti così, ma non poteva nemmeno parlarne tranquillamente. ‘Ehi, papà, devo dirti un paio di cose. Sai quel ragazzo con cui mi scrivo giorno e notte? Beh, è il mio ragazzo. Oh, sì, dimenticavo: sono gay e stiamo insieme da un anno, un mese e quindici giorni.’

Decisamente non era il modo migliore.

Si abbandonò sul letto, chiudendo gli occhi e lasciando che le mani sudate passassero tra i suoi capelli, spettinandoli più di quanto non lo fossero normalmente.

Poi, aprì di scatto le palpebre, afferrando il telefono e componendo un semplice messaggio.

Forse non era ancora pronto; forse era semplicemente un codardo. Ma di una cosa era certo: ora aveva bisogno di un'unica persona.



~



Il telefono vibrò sul materasso, il quale attutì il suono e lo rese quasi impercettibile alle orecchie del biondo. Sdraiato sul letto -o meglio, rannicchiato-, il ragazzo stava cercando in tutti i modi di riposare. Chiudere gli occhi, smettere di pensare, lasciare tutto il mondo fuori dalla sua testa.

Inutile dire che non ci stava riuscendo per niente.

Non si mosse di un millimetro, allungando solo la mano, tastando il lenzuolo per trovare la fonte della sua distrazione. Una volta individuata la consistenza dura e fredda del telefono, lo agguantò e lesse il semplice messaggio che gli era arrivato.


“Niente di nuovo sul fronte occidentale.”


Si ritrovò a sorridere a quelle parole. Non sapeva nemmeno quando il suo ragazzo avesse cominciato a utilizzare quella frase per indicare che non ce l'aveva fatta. Nonostante tutto, la trovava perfettamente adeguata: alla fine erano nel bel mezzo di una guerra. Che fosse con le armi o con le parole, si trattava pur sempre di conquistare qualcosa, e ottenere un risultato. Una vittoria, e quindi una liberazione, oppure una sconfitta, una nuova oppressione. Le due cose si assomigliavano terribilmente.


“Vuoi incontrarmi?”


Le dita avevano tracciato automaticamente quelle due semplici parole sulla tastiera del telefono. Suonavano come una sorta di preghiera, come ogni volta, ormai. Non si vedevano da settimane, si scambiavano solamente troppi messaggi che non riuscivano a compensare la mancanza l'uno dell'altro. Se avessero chiesto loro perché non si incontrassero, non avrebbero nemmeno saputo rispondere.

Da quando il suo ragazzo aveva voluto fare coming out con la sua famiglia, gli aveva lasciato il suo spazio. Non ne sapeva esattamente il motivo, ma forse era perché conosceva la sensazione che si provava nel momento in cui si sta per fare una confessione così grande.

Anche lui ci stava provando, ma non ne sentiva il bisogno impellente come lui, che non riusciva più a tenere questa cosa nascosta si suoi parenti. Troppi parenti, per giunta.

Lui... Lui viveva bene anche senza che i suoi genitori e suo fratello sapessero che era gay. Era una cosa sua, intima, personale, e non si sentiva ancora motivato a dirlo loro, nonostante li amasse. Erano la sua famiglia, e non aveva nulla di più caro al mondo, tranne il suo amore, ma non era ancora pronto a renderli partecipi di una cosa di tale importanza. Il telefono vibrò di nuovo solo pochi secondi dopo.


“Sì. Al solito posto.”

Aveva paura. Paura che quella freddezza, che dietro ad un messaggio poteva anche essere normale, si trasferisse nel loro rapporto. Non aveva ancora capito perché si fossero allontanati tanto, ma non gli piaceva.

Voleva semplicemente indietro il suo ragazzo, la sua storia, i sentimenti profondi e vissuti, e le parole sussurrate sulle labbra e non lette su di uno schermo.

Gli mancava respirare il suo amore. Ma avrebbe aspettato, per lui.

Si stava per alzare, quando un nuovo messaggio interruppe il corso dei suoi pensieri.


“Ti amo.”


E in quel momento capì quanto davvero valesse la pena aspettare.

“Anche io.”
   
 
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