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Autore: King_Peter    19/07/2013    5 recensioni
Oreste ha appena ucciso sua madre Clitemnestra e il suo amante Egisto che, al ritorno dalla guerra di Troia, avevano tagliato la gola ad Agamennone, re d'Argo.
Attraverso le mie parole voglio far rivivere questo tratto di Orestea, opera di Eschilo, dalla vendetta per ordine di Apollo, sino all'assoluzione da parte di Atena nella sua città.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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dei Delitti e delle Pene
 
Sono qui, macchiato del sangue rosso, vivido, di mia madre Clitemnestra e di quello del suo amante Egisto. Le mie mani hanno mosso la daga, veloce, hanno mossa la lama che ha trafitto la carne avvelenata, putrefatta dinanzi al sacrilegio dell’adulterio, del delitto contro il proprio marito.
Pilade mi intima di muovermi, dobbiamo lasciare la reggia d’Argo per rifugiarci a Delfi, alla casa del dio della profezia.
È stato lui ad ordinarmi di fare ciò che ho appena compiuto.
Gli dico di aspettare, di controllare se viene qualcuno. Si allontana.
Non posso non fuggire da quella che un tempo chiamavo casa, dal seno che mi ha nutrito, dalle mura che hanno visto il sangue di mio padre.
Mi fermo, altero, davanti al corpo di mia madre, le sue vesti bianche mutate in rosse, la bocca storta in una smorfia di dolore, gli occhi spalancati davanti alla morte.
Guardo il petto di Egisto, nudo, ferito all’altezza del cuore, vedo la mano portata alla spada di bronzo.
Stanno lì, vicini anche dopo la morte, come marito e moglie, come assassina e complice.
Sento che dovrei provare rabbia, frustrazione, ma non ce la faccio. Sento solo pena e una punta di disgusto che mi lascia l’amaro in bocca, come una sorta di breve rimorso.
Ho esitato a colpire il petto che mi ha nutrito, l’ho fatto però. Pilade mi ha ricordato il male che mi aveva fatto, l’ordine di Apollo, la mia conversazione con Elettra sulla tomba di Agamennone, nostro padre assassinato da colei che ci aveva dato alla luce.
Sorvolo per l’ultima volta quei corpi, privi di umanità, poi sento uno strano ronzio nelle orecchie, come un sibilo continuo, un mormorio perpetuo.
All’inizio non vi faccio affidamento, poi, per la strada per Delfi, i bisbigli mi trafiggono come lame, aprendo nella carne ferite profonde, sofferenze patibili solo nell’Oltretomba.
Chiedo a Pilade, con un filo di voce, se le sente anche lui. Scuote la testa, mi dice di no, non le sente e non sa il perché, ma intuisce che centra la furia di qualche divinità, ostile.
Figure spettrali, dalle chiome di serpenti e la bocca mostruosa, contorta in smorfie animalesche, mi danzano davanti agli occhi, ripetendomi che sono un matricida, un assassino di madre.
 
{ … }
 
Non ce la faccio più, crollo in ginocchio dinanzi al tempio del figlio di Zeus, Apollo, tappandomi le orecchie con le mani, sperando di non sentirle, ma mi accorgo subito che è solo un misero desiderio. Quelle voci hanno qualcosa di magico, mi stanno logorando lentamente, conducendomi alla pazzia.
Non ho più la forza di lottare contro di loro, voglio abbandonarmi, morire.
Debole.
Chiudo gli occhi, urlo al cielo, agli dei, alla mia stessa vita.
Pilade non sa che fare, mi sta vicino, ma non sa che fare. Caccia un urlo, spalanca la bocca, meravigliato da qualcosa.
Alzo leggermente gli occhi, stanchi.
Una figura bionda sta scacciando le tre figure infernali, si può sentire il suo potere spandersi per l’aria, dolce odore, forse nettare degli dei.
Apollo.
Chino il capo, in segno di rispetto, mentre Pilade mi aiuta ad alzarmi, tenendomi per non cadere di nuovo nella polvere, ai piedi del dio.
Gli chiedo cosa mi sta succedendo, con un filo di voce, quasi allo stremo. Risponde che erano le Erinni, le divinità che assalgono coloro che si macchiano del sangue della propria famiglia.
Scuote leggermente la testa bionda al vento, nei suoi occhi si legge la determinazione, mista alla preoccupazione.
A denti stretti, borbotta che devo scappare ad Atene, che i piani si stavano compiendo perfettamente, che lì mi sarei lavato della mia colpa.
Per la prima volta guardai il dio del sole con una sorta di disgusto nello sguardo, misto a rabbia.
Lui mi sorride, di rimando, e scompare, trasportato dal vento, dalla dolce brezza marina.
Sono solo una pedina nelle loro mani? La mia vita non conta, paragonata alla loro, chi mi assicura che ad Atene non troverò la morte?
I sussurrii paiono acquietati, adesso.
 
{ … }
 
Atene, città della Signora della conoscenza, si erge solitaria, possente su uno sperone di roccia, alto, ripido, a specchio sulle acque calme del Mare Egeo.
Più mi avvicino alla città, alle sue porte, mi i mormorii si fanno forti, come se abbiamo paura di essere annientati.
I cittadini ateniesi mi scherniscono, mi lanciano pietre, ma non osano uccidermi. Dicono che merito la punizione delle Erinni, che non sono un uomo degno della vita, dono degli dei.
Adesso le posso vedere, ancora. Posso vedere anche il fantasma di mia madre, i suoi capelli neri appena sbiaditi, evanescente alla luce del sole.
Incita gli Ateniesi a punirmi, di rendermi pazzo per l’eternità.
Si fronteggiano: una parte chiede che venga istituito un processo contro di me, l’altra dice che devo essere punito con la pazzia, senza sentire ragioni.
D’accordo comune, istituiscono un processo, non equo naturalmente. Mi ritrovo migliaia di occhi puntati addosso. Mi sento nudo, spogliato della mia dignità, mi stringo nel mantello porpora.
Una lacrima scende lungo il mio viso, bagnando la terra.
Chiudo gli occhi, non voglio vedere le tre figure mostruose volteggiare vittoriose in cerchio, sulla mia testa, non voglio vedere il fantasma di mia madre ridere, quel fantasma per il quale avevo provato anche rimorso.
La popolazione fa baldoria, hanno tutti deciso che devo essere lasciato al mio destino, che devo essere uccido dalle Erinni.
L’aria si spacca, la luce del sole si spegne, il disco solare si nasconde dietro alle nuvole del cielo, improvvisamente cupo.
Apro gli occhi. Apollo, armato d’arco d’argento e frecce in spalla, parla con gli Ateniesi, improvvisamente spaventati, timorosi del dio del sole.
Dice loro che ho seguito il volere degli dei, dice che ho vendicato mio padre, Agamennone, dice loro che ho fatto finalmente giustizia.
I cittadini incitano a gran voce un processo contro di me, seppur timorosi del dio al quale erano andati a bruciare offerte sacrificali, sperando di calmare la furia che campeggiava sul suo viso.
Apollo ci pensa su, corrugando la fronte in un’espressione pensosa, poi accetta. La popolazione sembra sollevata, sicura di vincere, ma aggiunge di farmi da difensore.
Le Erinni planano vicino a lui, ritrovandosi faccia a faccia, gracchiando che gli dei olimpici non devono immischiarsi nelle faccende di quelli infernali.
Apollo ha tutta l’aria di volere bruciare con un solo sguardo.
Gli Ateniesi sostengono, seppur moderatamente, le tre divinità infernali, feroci, imparziali.
I sussurri si riaccendono nelle mie orecchie, non mi abbandonano. Crollo di nuovo a terra, nella polvere, graffiando la terra con le unghie, urlando, creando silenzio tra la popolazione e sorrisetti sghembi sui volti delle tre.
Apollo è infuriato, lo sento da come l’aria si fa calda, trasportando la sua rabbia ovunque, facendo correre nel panico la gente che adesso urlava, spaventata che il dio li incenerisse.
L’aria si spacca nuovamente, il cielo tuona pesantemente. Compare una figura femminile, dai capelli corvini raccolti sotto un elmo d’oro, dal pennacchio cremisi, stringendo in mano una lancia.
Gli Ateniesi si inchinano, riconoscendola loro patrona che ordina che venga istituito un nuovo tribunale, in modo che possa essere giustiziato in modo equo.
L’Areopago.
Le Erinni sono l’accusa. Adesso le loro voci si sono spente, nelle mie orecchie. Apollo mi difende, Atena fa da giudice, vigile.
Mi da ragione, mi assolve e placa le Erinni assicurando loro onori all’interno della città di Atene. Sono libero.
Atena mi sorride, poi scompare assieme ad Apollo.
Ho di nuovo la mia vita, perché allora sento un peso dentro di me, all’altezza del cuore?
 
 

*Writer's Angle*
Ed ecco un'altra delle mie opere tristi. Non so, l'altro giorno stavo sfogliando libri, senza senso, e mi è venuta l'idea di scrivere di Oreste, il figlio di Agamennone e Clitemnestra, che ha vendicato, per ordine degli dei, la morte di suo padre.
Per questo verrà punito dalle Erinni, divinità infernali che perseguitano e portano alla pazzia colui che si macchia del sangue di famiglia.
Spero di aver descritto al meglio le sensazioni che prova Oreste! ^^

King_Peter
 
  
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