È durante la notte che le paure più profonde reclamano un
posto tra i pensieri felici, è quando il sole scompare oltre l’orizzonte che il
timore di non poter più rivedere la sua luce risanante comincia a logorare
l’animo di coloro che apprezzano la luce, è l’insieme di istanti che precede
l’avvento della mezzanotte che arreca più disturbo a chi nel buio ha paura di
dormire, crescere, sognare. Ad Hailey succedeva ormai troppo spesso di
ritrovarsi ad osservare fuori dalla finestra della sua camera con tra le mani
stretta in una morsa la coperta ormai stropicciata del letto. I suoi occhi
azzurri vagavano attraverso le luci della città, passando per i fari delle auto
fino al campanile in fondo alla strada che scandiva i secondi di quella fredda
e lunga notte d’Inverno. Lei vedeva la lancetta dei secondi continuare
imperterrita il suo percorso, eppure il tempo sembrava essersi fermato da
troppe ore visto che, per quanto meravigliosa, la luna continuava a regnare
incontrastata nel cielo nero e quel bagliore candido e tetro non faceva che
turbare ulteriormente la fanciulla senza sonno. Rimase in quella posizione
ancora per qualche minuto, poi decise finalmente di alzarsi per andare a
preparare qualcosa di caldo, era necessario un po’ di sollievo in quel luogo
avvolto dall’oscuro braccio della notte. Una tazza di tè sarebbe stata l’ideale
se lo sguardo non le fosse andato su un piccolo biglietto attaccato al frigo
che le ricordò il motivo per cui stesse soffrendo tanto:
«Rimango
a lavorare in biblioteca stasera, sai che con te vicina non riesco a scrivere
mai niente. Domani ti porterò la colazione, Ti amo»
Strinse i pugni cercando di non pensare al fatto di essere
sola in casa e con un po’ di coraggio si preparò quel tè rilassante che riempì
la camera di un gradevole aroma alla pesca. Si legò i lunghi capelli scuri in
una treccia che spostò su una spalla e dopo un profondo sospiro sorseggiò la
tisana attendendo le prime luci dell’alba.
Trascorse dunque un’altra ora tra il tacito ed agghiacciante silenzio del buio
e l’insonnia di Hailey che poggiando la testa sullo schienale della comoda
poltrona rossa del soggiorno, capì di essere destinata a sentir trascorrere
sulla propria pelle ogni secondo che la divideva da chiunque avesse lasciato
quel biglietto, in una tortura psicologica che allungava drasticamente la
durata di qualcosa che nella sua testa non sembrava finire più. Prese anche il
cellulare dalla tasca sbirciando tutti i nomi della rubrica con l’idea di
chiamare qualcuno ma a quell’ora della notte avrebbe soltanto rischiato di
rovinare la nottata di chi beatamente stava riuscendo a chiudere occhio. Poggiò
allora la tazza ed il telefonino sul tavolo di vetro e con nervosismo cominciò
a camminare per casa finché non si fermò nuovamente alla stessa finestra da cui
poteva ammirare l’orologio del campanile ancora fermo sulle due e mezza.
«Accidenti…».
Nulla, il tempo sembrava essersi fermato e quella notte si
stava per qualche motivo mostrando più buia di molte altre, o magari era
soltanto la sensazione di una ragazza che proprio non riusciva a lasciarsi
vincere dalla comodità del dolce dormire.
Sentì un click provenire dal soggiorno, Hailey sussultò ed
afferrando un paio di forbici dal bagno vicino, cambiò stanza circospetta
cercando di capire cosa avesse causato quel rumore nel profondo della notte.
Giunti a quell’ora non poteva neppure più definirsi sicura di ciò che stesse
vivendo, l’insonnia giocava spesso brutti scherzi e quando la realtà si
mischiava al mondo dei sogni cominciavano i veri incubi. Non vi era apparentemente
nulla, tutto era in ordine come lei lo aveva lasciato, nessun oggetto fuori
posto, eppure qualcosa aveva attirato la sua attenzione proprio in quel punto
della casa. Si voltava a destra e sinistra con la sensazione di essere
osservata, stringeva stretta l’arma improvvisata e battendo quasi i denti per
la paura provava a darsi la forza di continuare la perlustrazione fino alla
finestra che dava sulla strada. Allungò lo sguardo guardando giù: le strade
erano illuminate come al solito, sporadiche auto tornavano da chissà dove verso
casa per concedersi il riposo che lei proprio non riusciva a conquistare e se
non fosse stato per un singolo uomo incappucciato che osservava proprio verso
casa sua, sarebbe stata una tranquilla nottata. Lo scambio di sguardi fu
evidente, quell’ombra sotto il leggero nevischio che cominciò a battere sulle
strade era rivolto di sicuro verso casa della fanciulla insonne e come fuochi
fatui nella notte, i suoi occhi brillavano di luce propria. Hailey si allontanò
dalla finestra spaventata ma quando si poggiò sulla mensola della cucina, il
frastuono di piatti che si infrangevano al suolo le fece portare una mano alla
bocca per soffocare un grido.
«Chi c’è in casa?!».
Corse verso la porta d’ingresso per chiamare aiuto ma per
quanto potesse mettere forza, la maniglia non girava e nel soggiorno cominciò a
soffiare un gelido vento che non proveniva sicuramente dalle finestre chiuse.
La ragazza puntò le forbici davanti a sé giurando di attaccare qualsiasi cosa
stesse provocando quel caos e proprio quando sembrava aver trovato il coraggio
di fare qualche passo in avanti, il tavolo di vetro al centro della stanza si
alzò in volo per poi distruggersi alla parete sospinto da una forza innaturale.
«Basta! Basta!».
Hailey cedette spaventata nei pressi dell’ingresso e con le
lacrime agli occhi invocò con tutto il fiato che aveva in corpo il nome di
colui che in quella notte così lunga e tenebrosa l’aveva lasciata da sola.
«Lucas! Lucas, ti prego!».
I muri vennero attraversati da improvvise crepe, il lampadario
sul tetto cadde, i quadri sembrarono prendere vita, in particolare uno che
ritraeva una tipica scena di caccia cominciò a riprodurre i versi dei cervi
trafitti dalle frecce dei cacciatori. Poco dopo saltò la corrente ed anche la
minima fonte di luce venne inghiottita dall’oscurità che stava lentamente
placando la sua fame. Poi una voce, nel delirio di distruzione e caos,
riecheggiò tra i vetri al suolo e le mura sfregiate, volando fino alle orecchie
della fanciulla raggomitolata in se stessa che continuava a ripetere quel nome.
«Non
avere paura, tu puoi ascoltarmi».
Hailey alzò il viso rigato dal suo pianto cercando chi avesse
pronunciato quelle parole ma trovò solo un insieme di suoni e versi che insieme
al buio le stavano torturando l’anima. Lanciò le forbici verso l’oscurità e
provò nuovamente ad aprire la porta senza riuscirci: era stanca e provata,
profonde occhiaie le contornavano gli occhi azzurri e facevano contrasto con la
sua pelle così candida e pura, ma ancora non mollava.
«Che cosa vuoi da me?!».
«Non avere paura, tu puoi ascoltarmi».
Ancora quelle parole, giunte nello stesso modo in cui erano
arrivate la prima volta: profonde, dirette, echeggianti, come fossero nate
direttamente nel corpo della donna, nella sua mente. Poi le sue palpebre si
fecero improvvisamente pesanti, strana sensazione per lei, e la porta
d’ingresso si rese in breve un comodo appoggio per permettere lo scorrere delle
ore e l’epilogo di una notte lunga e spaventosa, mentre i suoni si placavano,
le grida dei cervi cessavano ed il buio diveniva quasi confortevole. Poi ancora
una voce, quella voce, ma più forte, decisa, improvvisa:
«Hailey, Svegliati!».