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Autore: Cornfield    21/07/2013    2 recensioni
Perché tu urli, ma nessuno pare sentirti.
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Syd Barrett
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Il profumo intenso del caffè viene catturato dalle mie narici per poi disperdersi nel vuoto del mio corpo. Vuoto. Perché non c’è niente di niente lì. Troppa capienza vuota. Troppi pensieri vuoti. Io non penso.
Prendo la caffettiera e verso un po’ di quel liquido caldo e oscuro nella tazzina di porcellana frantumata. Il caffè si riversa così sul pavimento polveroso. Sembra sangue. Il sangue  dei cuori ardenti, degli artisti, della carne in decomposizione e delle anime innocenti che pur di guadagnarsi qualche pagnotta lavorano in squallidi bar da quattro soldi.
Mi sdraio sulla macchia di sangue e faccio finta che la macchia provenga dalle mie vene, dal mio stesso schifoso cuore che pulsa soltanto grazie a farmaci, psicofarmaci, svariate droghe e vodka. Sarebbe bello morire, un giorno. Potrei pianificare la mia morte. Potrei disegnare uno schema, per poi sputarci sopra e ingoiarlo. Sarebbe davvero un’idea carina.
Quale sarebbe la causa del delitto? Lo schema potrebbe inevitabilmente finirmi in gola e soffocarmi. Ucciso dal suo stesso pianificatore di morte. E risuscitato. Sei geniale Syd.
Dovrei presentarmi bene però all’arrivo della polizia. Un tatuaggio col simbolo del nazismo sul mio petto ci starebbe davvero bene. E’ nero come un ragno epilettico, come un ragno che mi scortica l’anima. E’ divertente.
Ma quale polizia? Nessuno chiamerà la polizia. Io non potrò chiamarla, poiché a quell’ora sarò riversato nella mia personale macchia di caffè e l’omino senza pancia mi avrà già portato in quella valle, dove scorrono fiumi e fiumi di tanto altro caffè, tantissimo caffè, tanto caffè. Sorrido. E’ ovviamente un sorriso vuoto, finto, cucito sulle labbra, freddo come una lama incandescente. Ho scordato di sapere come si sorride.
E allora se nessuno chiamerà la polizia, rimarrò per sempre lì. Da solo. Come un uomo vegetale. Come ho sempre voluto. La mia carne putrida, il mio sangue putrido, le mie ossa putride verranno spazzate via dal respiro dei dimenticati. E i dimenticati mi prenderanno per mano. E io non farò altro se non essere uno di loro, un dimenticato. Perso nella memoria di vecchi conoscenti. Persi nei cuori infranti. In un incubo. In una scatola vuota. “Che cos’è questa scatola zio Sam?” “Non saprei.” E nessuno lo saprà mai.
Mi alzo improvvisamente.
Una goccia di sudore mi accarezza il viso. Mi immobilizzo e deglutisco. Respiro affannosamente. Piano piano apro il cassetto cercando di fare meno rumore possibile. Non deve sapere che io sono qui.
Tra siringhe vuote, scontrini, targhette ed elastici trovo il mio cucchiaio arrugginito. Ci strofino sopra le unghie per produrre quel rumore fastidioso. Quel rumore che sa di morte e cerume e quella ruggine di merda che a contatto con la mia mano mi fa fottutamente rabbrividire. Riesco così a rilassarmi momentaneamente.
La sua presenza tuttavia è ancora nella stanza. Lo sento. Sento che vuole ghermirmi con le sue ossute braccia.
Cominciano a tremarmi le mani. La vista comincia ad offuscarmi. Provo un forte senso di nausea che mi perfora il cervello.
Non mi avrà mai.
“DOVE SEI BRUTTO FIGLIO DI PUTTANA!”
La sua presenza è qui. Il pazzo è qui. Il pazzo è nella mia testa. C’è qualcuno nella mia testa ma non sono io. Io non ci sono.
Io sono altrove.
Io non esisto.
Deve andare via. Deve portare via la sua sporca faccia vuota lontano da me. La sua faccia vuota. La sua faccia falsa.
Non voglio vedere la tua faccia che in un lamento si spegne lentamente.
Perché quando una diga si romperà a causa della dirompente forza del mare, quando un fiore seccherà e si trasformerà in filo spinato, quando non ci sarà posto in nessuna collina, quando il vento sussurrerà preghiere masochiste diventerò pazzo.
Oltre l’arcobaleno.
Oltre i giocattoli in soffitta.
Non posso sopportarlo più. Devo andarmene in un’altra parte di nessuna parte.
Prendo le chiavi della macchina che a causa delle mani ancora tremanti mi cadono tre volte consecutive. Mi fiondo velocemente in macchina e la accendo. Raggiungo la massima velocità. Ma non è abbastanza. Devo scappare. Perché il pazzo è qui. Continuo a spingere e continuerò a spingere finché il piede non si ritorcerà. Continuo e continuerò a grattare cucchiai arrugginiti finché le unghie non diventeranno cibo per gatti e continuerò a pianificare la mia morte finché non morirò. O forse la pianificherò ancora. Per diventare ancora più morto.
Mi fermo davanti a quel posto che so benissimo come si chiama, ma per me ora è solo un posto. Non è niente. Troppe etichette. Troppi nomi. Perché mi chiamo Syd? Non potevo chiamarmi Brian?  Syd è un nome da pazzo. Ma io non sono pazzo. Solo il pazzo vuole farmi credere che io sia pazzo.
Entro.
Una leggera melodia arriva fino alle mie orecchie. Anzi, qualcosa, una cosa arriva fino alle mie cose. Non esistono i nomi, non abbiamo nomi. Ognuno può nominarsi come cazzo vuole.
“Syd..” Una cosa sussurra debolmente il mio coso.
Il pazzo mi ha chiamato.
“Non mi chiamo Syd.”
“Dobbiamo dirti una cosa Syd.”
Perché si ostina a chiamarmi Syd? Chi è Syd? Sta sbagliando persona. Perché io non sono una persona.
“Mi chiamo Brian.”
“Brian..”
Riconosco quella voce.
Non è il pazzo.
Non è Syd che ha parlato.
Non è Brian.
E’ Roger.
“Brian sei fuori dalla band.” Stenta a dirlo.
A quale Brian si riferisce?
Credo non si riferisca al mio Brian.
Ho voglia di caffè.
“Dov’è la macchina del caffè?”
“Non c’è una macchina del caffè qui.”
“Però ho voglia di caffè.”
Il mio interlocutore sospira.
Probabilmente anche lui vorrebbe del caffè.
“Roger, non sei in grado di… farlo.”
Rick si avvicina a me.
O forse il coso si avvicina a me.
Non lo so.
Non so più niente.
Brian ora vuole uscire da qui.
Vuole uscire dalla prigione che lui stesso si è creato.
“Syd sei fuori dalla band. Non sei più il nostro chitarrista. Non produrrai più canzoni. Non suonerai più con noi.” Mormora velocemente.
Quante scuse per un caffè. Io voglio solo un po’ di caffè, voglio solo versarmelo addosso. Mi hanno cacciato dalla band perché voglio un po’ di caffè? Ridicolo.
“Non avete il caffè quindi?”
“No.”
“E perché non ce l’avete?”
Lo sguardo di Rick diventa penetrante e ossessivo, furioso.
“Sei arrabbiato perché voglio del caffè?”
“No, Syd.”
“Perché lui continua a seguirmi?”
“…”
“Perché mi chiamo Brian?”
“No. Perché sei pazzo.”
“Cosa?”
“Sei pazzo Syd. La droga ti ha fuso il cervello. Tu sei pazzo.”
La sua voce è tremante. Trattiene le lacrime.
“Mi dispiace.”
Esco dal coso.
Entro in macchina.
Vado a 40 km orari.
Ormai non serve più niente correre.
Perché il pazzo mi ha preso e ora mi tiene orgogliosamente tra le sue braccia.
Perché.
Io.
Sono.
Pazzo.
Andato.
Folle.
Mi hanno esportato via le palle.
E sono pazzo.
E sono andato.
E sono folle.
E lo sono ancora.
Andato.
Folle.
Pazzo.
Vedo cose che la gente non vede, sento cose che la gente non sente, limono con cose che la gente non limona mai.
Non sono normale.
Ecco, ora la diga è completamente distrutta, il fiore è solo un confine pungente, le colline sono tutte occupate, il vento è il mio unico consiglio.
Diverso.
Sono diverso da tutti gli altri coglioni. Eppure anche io sono coglione.
Probabilmente ora il mio sguardo sarà completamente vuoto. Vuoto, lo sguardo di un pazzo non riflette niente nelle sue pupille perché non ha più il coraggio di farlo, perché perfino quel sasso potrebbe diventare un drago sputa merda. Sputami addosso drago. Merda più merda non fa differenza.
Ora sopprimimi in quell’ammasso di merda. Non è esattamente il modo in cui ho pianificato di morire, ma è quello che merito.
Stai parlando da solo Syd. Nessuno raccoglie le tue grida, neanche il vento masochista.
Sei solo.
E questo lo avevi programmato.
O forse non sei solo.
Ci sei tu.
E la tua pazzia.
Syd, tu sei pazzo.
  
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