Film > La strada per El Dorado
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Autore: Purrrkwood    22/07/2013    6 recensioni
“In sostanza stai cercando qualcuno che ti permetta di scolarti tutto il vino che ti riesce e che ti faccia arrivare vivo al mattino, senza corpi estranei piantati nella schiena e con i vestiti asciutti.”
“Mi sembra ovvio.”

All' ombra di una nave pronta a salpare ci sono due vite divise e destinate a congiungersi. C'è Tullio, che vuole continuare ad osservare la vita dall' esterno, per paura e abitudine. E c'è un estraneo dai capelli biondi, che decide di fargli cambiare idea.
[TullioxMiguel | One Shot]
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Miguel, Tullio
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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La mancanza di fanficiton in questa sezione è qualcosa di brutto e cattivo ç___ç

Ok, ho scritto questa roba rifiutandomi di andare a dormire, perché dormire è mainstream e questi due mi riempiono di feels ogni volta che vedo il film. 

Diciamo che voglio bene a questa fanfiction, perché è la prima cosa che ho scritto dopo lo hiatus forzato per l' esame di maturità, e mi sento realizzata all' idea di avere riaperto word. Sì, sono una gran esaltata. Ma amo la coppia, tanto <3

The things you do to me 

La prima volta sente solo il suo nome.

E’ seduto al solito posto, nel solito sfasciato caffè. Rigira lentamente il solito bicchiere di tequila tra le dita, ne osserva il contenuto ondeggiare e immagina che quello sia il mare e che una nave stia solcando quelle onde; una nave con lui sopra, pronta per portarlo verso la fortuna, verso la ricchezza. Un’ enorme, sconfinata ricchezza.

León continua a parlare, come se niente fosse: pulisce un bicchiere e parla, serve da bere e parla. E intanto Tullio pensa perché, anche se si trova in un mare di alcool, anche quella nave di certo fa pagare un biglietto. Soldi. Monete sonanti, ciò che lui va a cercare è proprio ciò che gli serve per partire. Per uno come lui è un problema da nulla: un’ incursione nella casa giusta, al momento giusto, e con un po’ di fortuna ci scapperebbe anche un guadagno. Preferirebbe fregare qualche allocco ad una partita a carte, ma per fare soldi sul serio bisogna andare nei posti che contano e non è nemmeno il caso di provarci, gli riderebbero dietro: troppo giovane, lo scambierebbero per un tagliaborse e nel più roseo dei casi lo sbatterebbero fuori, dritto nel cortile dei maiali. Ma una bella casa non ha un’ età minima, anzi, minore è l’ età maggiore è la gloria quando iniziano a girare le voci nei sobborghi più malfamati. Sarebbe semplice come bere quella stramaledetta tequila. Il problema è che, a causa di un manipolo di idioti che non saprebbero rubare nemmeno a un cieco, la gente dei piani alti si è messa in allarme: le case sono meglio sorvegliate e Tullio sa che entrare da solo equivarrebbe a consegnarsi di propria spontanea volontà alle guardie locali – e tanto varrebbe allora spararsi da sé e conservare un minimo di dignità.

“Ti dico, amigo, se ti serve una spalla, io te la trovo in breve” alza gli occhi all’ improvviso quando si accorge che León si sta rivolgendo nuovamente a lui. Inarca un sopracciglio: “Ma davvero?”

“Non ti fidi più di me? Tu mi offendi, sì. Ma mi stai simpatico. Non sei l’ unico a volersene andare, voi ragazzi potete fare più fortuna a Barcellona o a Valencia, che qui. O Madrid, perché non Madrid?”

“Madrid fa schifo” Tullio scola ciò che resta del liquore “Polvere, caos, troppe guardie e poche possibilità di fuga. Preferisco stare vicino al mare, mi piace l’ atmosfera.”

“Sì, sì. Lo vuoi questo nome o no?”

In realtà lui vorrebbe restarsene per conto suo, senza doversi sobbarcare la compagnia di qualcun altro, qualcuno che non conosce e che tenterà di derubarlo alla prima occasione buona. La sola idea di dividere il proprio oro con un’altra persona lo riempie di indignazione, ed è certo che sarebbe così anche se si trattasse del suo migliore amico. Ovvio, se ne avesse uno.

Se avesse amici.

“E’ uno corretto, sì. Mezzo matto, ma leale. Scommetto cinquanta pesetas che te lo fai amico.” León sembra quasi leggergli nella mente. Non se ne stupirebbe, visto che è la persona con la quale ha trascorso più tempo negli ultimi anni, forse quella più vicina ad un vero amico. L’ ultimo che lo ha trattato con affetto è stato suo padre, quando era ancora vivo e lui aveva ancora tredici anni e tanta voglia di vivere. Non che adesso desideri la morte, è troppo orgoglioso ed egoista per non voler essere vivo, ma è piuttosto sicuro di non avere più quella scintilla negli occhi che aveva un tempo. Si è spenta quando si è reso conto che suo padre ha vissuto per tutta la vita in maniera onesta, e alla fine è stato ricompensato con un’ agonia di sette giorni tra i deliri della febbre. Si è spenta quando ha visto spegnersi il suo ultimo legame con il mondo.

Ricorda le sue ultime parole: “Ne vale la pena, figlio mio, ne vale la pena!”. Non gli ha spiegato di cosa, non ne ha avuto il tempo, ma non ha importanza. Qualunque cosa fosse, Tullio è certo che prima o poi si sarebbe reso conto del contrario; non c’è nulla che valga davvero la pena di impegnarsi.

Getta la testa all’ indietro e sospira. Se suo padre lo vedesse ora riderebbe di lui. Sei troppo serio, ragazzo! Preoccupati di meno, per lamentarsi c’è la vecchiaia. E di colpo si sente vecchio.

***

E’ ufficiale: lo odia.

Miguel lo fissa divertito, appollaiato su un muro di pietra, mentre fa ondeggiare nella mano il sacco con la sua parte di bottino. Hanno avuto poco tempo, ma hanno recuperato il necessario per il viaggio e anche molto di più. Tullio non lo ammette, ma quel biondo un po’ picchiato ha occhio per riconoscere le cose di valore. Peccato che per il resto sia totalmente idiota. Ha ancora nella testa l’ imprecazione che gli è sfuggita tra i denti stretti quando l’ ha visto lanciarsi dal tetto della casa senza nemmeno una corda; prima che la sua caduta fosse frenata da un provvidenziale ramo, Tullio lo ha visto spiaccicarsi al suolo con poca eleganza. Miguel non ha battuto ciglio, come se il suo gesto fosse stato perfettamente normale e fosse idiota lui a non capirlo.

“Allora, a quando la partenza?” Tullio vorrebbe strapparglielo, quel sorriso. C’è qualcosa in esso che lo fa uscire di senno e per lui, che ha sempre cercato di rimanere calmo e impassibile, è semplicemente inaccettabile. Ci vogliono alcuni secondi prima che il suo cervello elabori effettivamente la domanda.

“Quando ti pare,” risponde “I soldi li hai, puoi prendere un cavallo, una nave, puoi buttarti da un ponte, sei libero.”

“Non viaggerei a cavallo nemmeno per dieci volte questa roba” il denaro nel sacco tintinna “Quelle bestie mi odiano, perdipiù  il necessario per sopravvivere e difendersi dai banditi costa più di un viaggio in nave. Almeno in nave il cibo è garantito. E spero non ti offenderai se rifiuto la proposta del ponte. Tu dove andrai?”

“Dove mi pare.”

“Ti imbarchi e scendi quando trovi un porto che ti ispira?”

“Più o meno.”

“Non sei un tipo molto loquace.”

“No.”

Miguel alza le spalle. Sorride, di nuovo, e Tullio prova il forte desiderio di strangolarlo, di nuovo. La cosa peggiore è che sa che non finirà quella sera, perché sarebbe troppo bello fare soldi e liberarsi di tutti i problemi in una notte sola. Vorrebbe scappare, prima che sia troppo tardi, ma non fa in tempo a evitare la proposta. Quella proposta:

Viaggiamo insieme?

“Insomma, io sono solo come un cane, tu sei solo come un cane: potremmo rimediare, no? Non mi importa granché della destinazione, perciò se hai idee mi adeguo volentieri.” Ed eccola lì, la bastarda: la compassione. La vede negli occhi del suo socio, che non è stupido, ma semplicemente uguale agli altri. Miguel è al tempo stesso suo simile e suo opposto: è uno squattrinato senza una casa e forse pure senza una famiglia, come tanti altri che popolano i sobborghi di ogni città. Eppure sorride, e vorrebbe che sorridesse pure lui.

Ma Tullio non può. Ha dimenticato come si sorride e non ha alcuna voglia di imparare di nuovo. Non ha alcuna voglia di dare una possibilità a quell’ allocco dai capelli di grano, che si comporta come se fossero migliori amici nonostante si conoscano da nemmeno un giorno. E non ha voglia di lasciarsi riempire il cuore di grandi speranze e di abbandonarsi ai sogni, per poi rimanere deluso al momento del risveglio. Sarebbe bello e terribilmente piacevole lasciar cadere quel muro così opprimente, che lo protegge e lo soffoca al tempo stesso, chiudendosi su di lui come una coperta che non lo fa respirare, ma non può. E’ diventato parte di lui, cucito sulla sua pelle con fili invisibili che a volte sente tirare; e se cercasse di rimuoverlo si strapperebbe lui stesso. Non può tagliare i fili in nessun modo e allora li accetta come se ci fossero sempre stati. Lascia che lo controllino come una marionetta perché, in tutta sincerità, è molto più facile in questo modo. Non è soddisfacente, ma è facile.

Miguel, che tira la coperta-muro verso di sé, non riesce a vedere quei fili e ogni parola, ogni simbolico strattone, apre una ferita. E Tullio non può, semplicemente non può. Il respiro si accorcia, le mani tremano.

E Tullio scappa.

***

Tullio cammina.

Miguel cammina.

Tullio comincia a innervosirsi.

Miguel si sta divertendo da morire.

Si è dato dello stupido, quando ha riconosciuto quei capelli biondi sul ponte della nave: in fondo era troppo ovvio che lo avrebbe seguito e ora sa che sarà difficile levarselo di torno. Tutti quanti si erano sempre arresi davanti al suo totale rifiuto di stringere anche il più sottile legame, ma lui no. Miguel sembra aver fatto solenne giuramento di essere la sua ombra e, da quando si sono imbarcati quattro giorni prima, non è mai passata un’ ora intera senza che la sua sagoma entrasse nel campo visivo dell’ altro. Tullio vorrebbe gettarlo a mare, assieme al suo fottuto istinto da infermiera premurosa che si prende cura del malato con pazienza, senza scoraggiarsi se questo rifiuta la cura. Miguel viola i suoi spazi, gli nega il silenzio e la solitudine, lo nutre a forza di sorrisi e battute spiritose. E continua a tirare imperterrito i fili, e Tullio è costretto a seguire quegli strattoni per non farsi troppo male.

Si volta di scatto e il suo sguardo, a quanto pare, è abbastanza pieno d’ odio da fare arrestare il suo secondo incomodo all’ istante.

“Quale parte di ‘lasciami in pace’ non ti è chiara?” sibila, il volto così vicino a quello dell’ altro che riesce a sentire il calore del suo respiro.

“Quella in cui mi dici di lasciarti in pace nonostante sia palese che desideri il contrario.”

La risposta lo spiazza. No, lo fa incazzare.

“Non so come funzioni dalle tue parti, ma se ti dico ‘vattene’ significa ‘vattene’, non ‘rimani con me e diventa mio amico’. Se volessi questo te lo chiederei. Vai a importunare qualcun altro.”

“Ha! Lo farei se potessi, sai? Ma sei l’ unico che conosco qui e sai che non amo la solitudine.” Miguel fa una smorfia e Tullio ghigna. Non sorride, ghigna, perché di sorridere non è capace.

“Oh, non hai nemmeno un’ amico? Sono certo che con quel bel faccino potresti trovare in fretta qualche donna da intrattenere. Lo avrai fatto di sicuro altre volte.”

“Ovvio. E mica solo con le donne. Il problema è che, non so se l’ hai notato, ci siamo imbarcati su una nave piena di gente… non lo so, non ti sembrano strani? Se faccio amicizia con qualcuno di quelli ti dico io cosa succede, succede che mi ubriaco, mi lascio sfuggire qualcosa di compromettente e mi risveglio a mollo. O morto. O morto e a mollo.”

“In sostanza stai cercando qualcuno che ti permetta di scolarti tutto il vino che ti riesce e che ti faccia arrivare vivo al mattino senza corpi estranei piantati nella schiena e con i vestiti asciutti.”

“Mi sembra ovvio.”

C’è una pausa di silenzio, pochi lunghissimi secondi in cui, in angolo remoto della sua mente, Tullio si rende conto che non è veramente possibile vincere uno scontro verbale con Miguel. Che perlomeno lui non può farlo e mai potrà con il carattere che si ritrova. Miguel è scherzi pungenti ed energia inesauribile e non importa quanto cattivi saranno i suoi commenti, quei sorrisi maledetti saranno sempre più forti.

Miguel ha sovvertito le sue leggi della logica con risposte prive di senso. E per Tullio il senso e la logica ferrea sono sempre stati un punto fisso. Da qualche parte sente uno scricchiolio: è il rumore delle sue convinzioni che si crepano e minacciano di crollare sotto i colpi del nemico. Non è possibile, non è umanamente possibile che esista un tale livello di stupidità.

Lo fissa un’ ultima volta.

E scoppia a ridere.

Non è una delle sue solite risatine sarcastiche, prive di gioia se non di quella falsa di aver sopraffatto qualcuno. Non è il suo ghigno sadico di fronte ad un avversario stracciato e dilapidato delle sue fortune. Sta ridendo. E’ qualcosa che credeva di aver dimenticato, che era rimasto sepolto sotto anni passati a indossare maschere scomode e che ora riemerge con un impeto tale da scuoterlo fisicamente; e che sia dannato se quella sensazione non gli piace da impazzire. Quando riapre gli occhi li scopre velati dalle lacrime, ma anche attraverso di esse vede che il sorriso di Miguel si è allargato talmente tanto da non sembrare quasi umano. Forse Miguel non è umano, perché nessun uomo normale si ostinerebbe tanto a perdere il proprio tempo con il caso patologico che riconosce di essere diventato.

Poi le labbra tornano a incurvarsi verso il basso. Il suono della propria risata gli risuona ancora nelle orecchie e Tullio si congeda con un saluto frettoloso, più imbarazzato che altro. Mentre percorre il ponte della nave sente il vento sulle guance e si accorge di averle letteralmente in fiamme. Accelera il passo, fino alla sua cabina, si getta di peso sul proprio giaciglio e rimane immobile a fissare il soffitto. Il silenzio è rotto dalle onde che si infrangono contro lo scafo, da alcune voci ovattate al di là della parete e da una domanda silenziosa.

Che diavolo mi hai fatto?

***

“Non voglio essere di troppo.”

Miguel parla non appena scendono dalla nave, quando ancora nessuno dei due si è abituato ad avere la terraferma sotto i piedi e tutto sembra ancora ondeggiare al ritmo di una corrente invisibile. Tullio si gira di scatto e lui è lì, in piedi, con il sacco dei suoi pochi effetti sulla spalla e un’ espressione imbarazzata.

“In che senso?” il fatto è che ormai ha smesso di farsi domande sul perché quel biondo idiota fosse sempre al suo fianco, ormai è diventato tutto normale. Lo ha accettato come si accetta di avere gli occhi di un determinato colore: è così e basta. E sul momento non capisce dove l’ altro voglia arrivare.

“Forse avevi ragione tu, dovrei imparare a farmi i fatti miei. Non riesco a stare a lungo con qualcuno proprio per questo motivo, tendo a diventare terribilmente appiccicoso e a lungo andare, giustamente, si stancano tutti. Volevo chiederti scusa.”

‘Scusa..,. la mente di Tullio lavora come non ha mai lavorato, scusa per essere stato una palla al piede, per aver violato le sacre leggi della tua riservatezza, per non essermene andato quando me lo hai chiesto, per aver cercato di strappare i fili…

“Il fatto è che quando incontro qualcuno che mi piace non riesco a trattenermi…”

…Per averti forzato ad essere mio amico, per averti costretto a sopportare tutti i miei sorrisi…

“Ma ammetto che nemmeno a me piacerebbe se mi costringessero ad essere qualcuno che non sono.”

Per esserti stato accanto senza motivo, quando ormai tutti si erano rifiutati.

“Grazie.” Si accorge di averlo detto quando vede gli occhi dell’ altro allargarsi e sul suo volto comparire l’ espressione di chi non è sicuro di aver sentito bene. Si rende conto che forse dovrebbe dire anche qualcos’ altro.

“In realtà forse era quello che mi serviva.”

No aspetta, cosa?

“Sono solo da così tanto tempo che non so più come si sta in compagnia e a dire il vero… credo che mi mancasse”

Che diavolo mi hai fatto?

Miguel lo guarda come se non avrebbe potuto dargli una risposta migliore e Tullio sente di essere in qualche modo fregato. Eppure non gli importa. Non riesce a spiegarsi il motivo per cui, di punto in bianco, inizia ad apprezzare quella vicinanza, lui che due settimane prima era solo e convinto che lo sarebbe rimasto per sempre, prigioniero dei suoi fili invisibili e della sua coperta. Invece ora si muove e scopre che i fili si sono allentati, come un pezzo di stoffa che tirandolo troppo si deforma.

“E adesso cosa vuoi, dunque?”

Tullio fa spallucce. Non è il caso di farsi troppe domande, è convinto che sia tutto un sogno;  vuole svegliarsi il più tardi possibile e nel frattempo divertirsi come se non esistesse un domani.

“Essere vergognosamente ricco. Ti va bene come risposta?”

Sembra di sì.

“Fintanto che si divide e ci si diverte.”

“Sei un superficiale del cazzo.”

“Ah, tu no?”

E cosa diavolo è quella voglia di ridere che continua a crescergli nel petto? Gli fa paura, o forse gli piace. Cerca di convincersi che è l’ eccitazione per il cambio di vita, per la sua nuova casa, ma la verità è che le farfalle nello stomaco non le sente quando posa gli occhi sulle bancarelle del porto o sulle vie piene di gente.

Semplicemente, non lo ammetterà mai.

***

Lo ammette più o meno un mese dopo.

Lo fa in una serata calda di inizio autunno, quando ancora fa abbastanza caldo da far credere che l’ estate durerà in eterno. Lo fa mentre entrambi sono seduti su un vecchio muro di pietra e dominano la piazza sottostante con i loro sguardi, quando Miguel gli da una pacca sulla spalla abbastanza forte da farlo cadere – per fortuna dal lato giusto.

“La tua solita fortuna.” Miguel gli allunga la mano per aiutarlo a rialzarsi, ma quando è in piedi si dimentica di averla stretta. Se ne dimenticano entrambi, in realtà, sembra che all’ improvviso il mondo intero sia stato chiuso in una bolla e loro siano rimasti fuori

“Sarei sopravvissuto solo per prenderti a calci.”

In quel bel faccino che ti ritrovi.

“La cosa interessante è che non ne dubito minimamente.”

In ogni centimetro del tuo corpo.

Ogni.

Fottuto.

Centimetro.

Se ne accorge tardi, delle mani. Di quello e del fatto che si sono avvicinati l’ uno all’ altro e di nuovo Tullio sente il suo respiro sul viso, stavolta però molto più veloce e  nervoso di quando lo provocava divertito sulla nave. Pensa che tutto quanto non abbia senso, che sia tutto uno scherzo del destino che si diverte a prendersi gioco di lui. Per un attimo pensa che sia tutto sbagliato, che non dovrebbe trovarsi lì, in quella posizione, con quella persona; che sarebbe dovuto rimanere a casa a lasciarsi scivolare la vita addosso, perché era dannatamente più facile che accettare l’ ondata di emozioni che lo investe ora.

Del tuo bellissimo corpo.

“Devo cinquanta pesetas a León, se mai lo rivedremo.” Sussurra quelle parole ad occhi socchiusi, il cuore che batte a mille.

“Perché?” Miguel socchiude appena le labbra e Tullio le chiude con le sue. Lo fa senza accorgersene, è un gesto puramente istintivo e irreale. Poi tutto diventa vero: sono vere le mani di Miguel che si stringono sui suoi fianchi e sulla sua schiena, che lo tirano a sé come se ci fosse ancora una distanza da annullare; è vera la consistenza della sua pelle sotto le dita e il gemito soddisfatto che produce quando Tullio lo solleva per farlo sedere sul muretto. Stringe la stoffa della sua camicia e la tira; ed eccoli lì, i fili, che alla fine si strappano uno a uno, come se fossero di seta, e la sua coperta invisibile che vola via trasportata dal vento, assieme all’ odore del mare. Assieme a tutto ciò che è stato prima di quel momento.

In quel momento, Tullio dell’ oro si è completamente scordato.

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Non ho molto da dire, in genere la mia capacità di scrivere note finali nelle one-shot è nulla.

Però queste sono note finali. Oooohh...

A chi vuole lascio la mia pagina ----> qui <---- a chi non vuole pure, perchè c'è.

<3 <3

Tikal.

   
 
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