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Autore: _Polx_    23/07/2013    5 recensioni
Il fronte nemico si staglia all'orizzonte dell’immensa pianura come una macchia di petrolio sudicia e indelebile.
Il luccichio delle armature avversarie è visibile anche a quella distanza.
La battaglia è alle porte.
Genere: Drammatico, Guerra | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Il sole comincia appena a colpire l’ampia pianura, quasi voglia schernirsi di loro. L’aria ferma e leggera prefigura il sopraggiungere di una giornata limpida dopo la tempesta.
La zona in cui si terrà la battaglia è l’unico aspetto positivo che i Ribelli possano vantare in quello scontro: per un esercito preparato a combattere su ampie aree, la vasta Valle presenta un buon punto a favore. La Setta, al contrario, preferisce di gran lunga agire in territori chiusi e ben controllabili, opportunità che i Ribelli eviteranno di offrire loro.
È impensabile sperare in un accerchiamento della Setta ai lati poiché il suo numero soverchiante di uomini non farebbe altro che trasformare tale tattica, da sempre punto fermo nella strategia ribelle, in pura condanna per qualsiasi folle tenti di adottarla.
Bisogna dunque far sì che la Setta non prenda iniziativa e utilizzi tale tecnica contro coloro che più di tutti hanno imparato a sfruttarla e modellarla a seconda delle esigenze: l’esercito ribelle deve mantenersi sufficientemente ampio da non permettere al nemico di chiudersi ai lati e accerchiarlo, ma necessita anche di calcolare al meglio il distanziamento fra le sue forze armate per non provocare brecce da cui sia possibile penetrare.
Driu e Sefièl hanno riflettuto a lungo sulle varie tattiche d’azione, ma in un caso di simile svantaggio nulla pare sufficientemente adeguato, quindi si è deciso di tentare il tutto per tutto: è risaputo che i draghi, al contrario delle aquile nemiche, impieghino più tempo a spiccare il volo a causa della loro mole, perciò si è optato di posizionare le grandi bestie alate sulla sommità della scarpata, accanto ad arcieri e balestre, mentre fanteria e cavalleria occupano i piedi dell’altura.
Il fronte nemico si staglia all’orizzonte dell’immensa pianura come una macchia di petrolio sudicia e indelebile.
Il luccichio delle armature avversarie è visibile anche a quella distanza.
Nonostante intuisca già cosa accadrà di lì a poco, Driu non riesce a trattenere un sospiro amareggiato. Sa bene come la Setta scelga i propri combattenti e le armi da far usare loro.
Certo, per lui non sarà un problema: come Sefièl, oltre che le formidabili doti concessegli dall'oscuro potere della Setta cui un tempo appartenevano, ha a disposizione tutta l’agilità e l’esperienza nel combattimento di anni trascorsi a solcare campi di battaglia.
Sono gli altri soldati a preoccuparlo. Si tratta certo di uomini addestrati e, chi più chi meno, pronti alla guerra, ma il nemico di quel giorno non sarà un comune avversario e il solo pensiero di quale reazione possano avere a tale scoperta lo atterrisce.
Un fruscio alla sua destra lo riscuote. Quando si volta, scorge l’enorme dragona vermiglia della sorella, i muscoli marmorei tesi e gonfi per l’impazienza, le narici dilatate e frementi che inspirano enormi quantità d’aria ad un ritmo, nonostante tutto, ancora regolare e ben moderato.
Sulla possente groppa, Sefièl si erge dritta e maestosa in tutta la sua combattiva eleganza. Senza preavviso, si volta verso di lui e gli sorride in un misto di emozione adolescenziale ed esperto tentativo di mantenere la calma.
Lui cerca di ricambiare, con scarsi risultati.
«Come ai vecchi tempi» dice lei.
Driu annuisce e torna a guardare avanti a sé.
Savràn sembra quasi sonnecchiare sotto di lui. Non dovrebbe stupirlo un comportamento simile da parte di una viverna, bestia selvaggia e famelica, eppure non riesce a ignorare la sorta di smarrimento che prova di fronte a tanta freddezza.
L’urlo di battaglia si fa più forte. Il fronte nemico si avvicina velocemente.
Néonel raggiunge i due in groppa a Neìf: «siamo pronti all’attacco, Generale».
«Allora andiamo» Driu sprona Savràn che si lancia giù dalla scarpata su cui il gruppo di cavalieri di drago rimane silenziosamente appostato in attesa del via.
Plana al di sopra dei fanti e della cavalleria, dando chiaro ordine d’attaccare.
Il mugghio dei nemici si confonde con quello amico. Il grido delle aquile si sovrappone ai ruggiti dei draghi e presto ognuno si ritrova ad annaspare nella mischia.
Sefièl e Néonel procedono affiancati nella loro carica mentre Driu rimane in disparte, ancora convinto che la furia della viverna sia troppo bruta per affiancarla a qualche alleato che, nella foga, può essere scambiato per preda.
Ormai, però, è chiaro anche a lui che l’integrazione nell'esercito del suo nuovo destriero alato sia completa, così cede al desiderio di tornare a combattere tra le prime file dei fanti, tra i comuni uomini, e non in groppa a macchine di morte che possono egregiamente funzionare anche in autonomia.
Fa abbassare di quota Savràn e vi si lancia con agilità, lasciandolo per conto proprio a vedersela con le aquile.
Estrae lo spadone dal fodero e comincia ad avanzare velocemente verso le ultime file nemiche, dove i comandanti della Setta combattono riparati dallo scudo degli altri soldati.
Proprio come si aspettava, non vi è un solo nemico che non sia più possente ed equipaggiato di lui, il che la dice lunga.
Le mostruose armature trafiggono coi loro lunghi aculei i guerrieri così distratti da avvicinarsi eccessivamente, ma per Driu questo è nulla.
Una volta consapevoli della sua sorprendente bravura, gli alleati che agiscono lì accanto si avvicinano a lui nella speranza di trovarne protezione.
Se da una parte, però, l’essere un guerriero modello si rivela una delle migliori armi per uscirne vincitore, dall’altra costringe presto Driu a vedersela con una notevole massa di nemici che si fanno avanti per togliere di mezzo uno dei principali pericoli.
Non si scompone. Il suo obbiettivo è raggiungere i pezzi grossi della Setta e non vi è ostacolo che possa fermarlo.
Mette la spada avanti a sé come fosse uno scudo e la fa mulinare trasformandola in un’elica tagliente e implacabile. Non riesce a tenere il conto di quanti tentino di colpirlo alle spalle, dalla parte dell’occhio cieco, ma per loro è sempre pronto un contrattacco ben assestato che li raggiunge preciso e distruttivo.
Ciò che più colpisce è il suo apparente quanto totale distacco dal sangue e dalla morte che lo circondano. Tutti in battaglia gridano, sbraitano, imprecano. Lui no. Lui combatte come una macchina senza urlare, fremere, reagire in alcun modo. Il suo volto è una maschera statica, seria e impenetrabile. 
Amici e nemici cominciano ad averne paura, temendo che sia una sorta di demone o spirito maligno chiamato dai Ribelli per devastare senza riserve gli oppositori.
La realtà è che Driu odia lasciarsi coinvolgere eccessivamente dalla frenesia della situazione. Quelli che ha di fronte non sono mostri, ma uomini. Quanti “sé stesso” sta uccidendo? Quante persone con alle spalle un penoso passato o una famiglia distrutta? Se vi pensasse, non riuscirebbe a batterne uno solo.
Un uomo dietro di lui esce dalla sua visuale e solleva la mazza pronto a colpirlo in piena nuca.
“Giù!».
Driu si abbassa istintivamente e, quando si volta, vede uno spadone a doppio taglio penetrare l’armatura dell’aggressore e fuoriuscirne dal petto, grondante sangue.
L’arma si ritrae con un copioso zampillo e il corpo cade a terra, scoprendo la figura di Sefièl.
«Se non ci fossi io a guardarti le spalle» sorride la donna.
Driu si muove in meno di un secondo. Si volta, torce il braccio del nemico e ne ruba il giavellotto per lanciarlo in direzione della sorella.
Sefièl sente i capelli scompigliarsi al tocco dell’aria smossa dalla lancia e, subito dopo, un gorgoglio seguito da un tonfo.
«Senti chi parla» ironizza lui.
  Anche Néonel si distingue nella zuffa. Dopo i primi scherni per il suo aspetto infantile e mingherlino, tutti si sono dovuti ricredere. Ormai nessuno osa più mancargli di rispetto.
A metà battaglia, decide di raggiungere i propri superiori a terra, così sprona il suo drago Neìf a sporgersi all’indietro e, non appena la via si libera dagli intralci dello scattante corpo cobalto, lui si lascia cadere nel vuoto.
Spalanca le braccia a mezz’aria, unendo i piedi per darsi maggior spinta.
Quando è a pochi passi da terra, piroetta all’indietro e atterra sul nemico da lui inquadrato. Il pugnale penetra nella gola dell’uomo come un coltello nel burro e, prima che il corpo stramazzi al suolo, Néonel si lancia su una seconda vittima e non si ferma un solo istante fino a che non raggiunge i suoi due Generali, balzando da un nemico all’altro senza quasi toccare terra.
Non impiega molto a scorgere Driu e Sefièl nella mischia. Quando sono insieme quei due sembrano un unico, imbattibile strumento di guerra. Si affiancano colpendo i nemici con abili e mirati attacchi che si alternano tra di loro in una distruttiva danza di morte.
Li raggiunge con un unico balzo e la lotta riprende a tre. Improvvisamente, però, un maestoso destriero, nero come la notte, attraversa al galoppo sfrenato la confusione della battaglia. Sulla sua groppa, vi è un guerriero minuto e sottile come mai se ne sono visti nell’esercito della Setta, ma la sua abilità nel falciare i nemici dall’alto della propria cavalcatura corvina è terrificante.
Il caos che provoca è totale e i tre finiscono col separarsi.
Driu si ritrova sulla scia del cavaliere nero e lo segue, deciso a togliere di mezzo un intralcio all’azione dei propri uomini già in difficoltà.
In lontananza sente la voce di Serfmèk sovrastare la confusione e farsi largo con un ordine secco. È un ragazzo senza ombra di dubbio impulsivo e non ancora maturo, ma non può esservi critica capace di sminuirne il talento tattico e gli anni di studi trascorsi alla base dei Ribelli, così ha preso le veci dei Comandanti. I suoi superiori, nel frattempo, tentano di portare a termine la missione cruciale: abbattere i pilastri dell’esercito nemico.
Driu ha ormai raggiunto il proprio bersaglio, per un qualche motivo allontanatosi dalla calca pressante che si estende per buona parte della Valle.
Una piccola sporgenza di roccia si erge poco più avanti e lui decide di utilizzarla a proprio favore. Corre in quella direzione e, raggiunto il vertice del dislivello, si dà la spinta necessaria per balzare contro il destriero. Investe il cavaliere ed entrambi stramazzano a terra, rotolando nella polvere come pietre inanimate.
Lo schianto col suolo li separa di nuovo. Il guerriero nemico perde l’elmo e Driugmùndur ne riconosce il viso giovane e delicato: Hivelhin.
Lui freme non appena incrocia lo sguardo di lei. Negli occhi della ragazza non può essere scorto altro che puro terrore. Questo spiega il perché sia fuggita quando s’è imbattuta in Driu: la paura di avere un nuovo faccia a faccia con lui era troppa.
Ma forse vi è anche dell’altro. È vergogna quella che si vede impressa nelle sue iridi cineree? È sottomissione quella smorfia che le si disegna sul volto?
Driu non vorrebbe, ma la compassione e il dubbio prendono il sopravvento. A che età quella giovane ha conosciuto la distruzione della guerra e del tradimento? Come può la sua mente essere considerata matura e totalmente autonoma? Eppure è proprio lei uno di quei pilastri con cui i Generali Ribelli devono fare i conti. In realtà Hivelhin non c’entra nulla con tutto questo. Lei fa esattamente ciò a cui lui stesso per lungo tempo è stato costretto a sottoporsi: obbedire agli ordini.
Driu potrebbe quindi ucciderla senza pietà, abbandonandone il corpo alla polvere cui presto tornerebbe a far compagnia, ma cosa ne otterrebbe? Può scordare tutti gli insegnamenti appresi nel corso degli anni? Certo. Può ignorare la coscienza e agire come dettatogli dall’ira. Può trovare il coraggio di scordare le mille belle parole inculcate nella testa di ogni suo singolo soldato. Ma non lo farà.
Distano ancora diversi metri e, mentre lui si erge immobile e composto accanto all’elmo sfuggitole nella foga dell’azione, la ragazza scalpita incerta e angosciata. Pare voglia attaccare da un momento all’altro, ma il panico ne blocca i muscoli e la mente.
«Pace, Hivelhin» tenta di placarla lui.
«Non mi avrai» sbraita lei «non riuscirai a uccidermi».
«Infatti non è ciò che voglio» insiste l’altro, abbassando lo spadone fino a infossarne la punta nel terreno.
Lo sguardo della ragazza si fa ancor più smarrito e incredulo: come può dirle questo?
«Non mi inganni» lo aggredisce di nuovo.
«Non mi credi?» Driu lancia lo spadone lontano da sé, slaccia la cintura dei pugnali da lancio e del coltellaccio che tiene a tracolla e getta via anche quella. È poi il turno dell’inutilizzata mazza, scaraventata a metri di distanza.
«Sono disarmato» afferma poi, allargando le braccia. Le lascia ricadere lungo i fianchi con gesto misurato: «cosa potrei farti?».
«Stai mentendo! Nascondi ancora qualche diavoleria nella tua armatura traditrice».
«Sai che non è così» fa un passo avanti e lei punta immediatamente la spada contro di lui, la mano tremante dal panico: «fermo dove sei!».
Driu si blocca, mostrando i palmi delle mani aperti e apparentemente innocui: «calmati, Hivelhin. Ti sto dando un’opportunità che non ti si ripresenterà una seconda volta. La Setta ti ha ingannata. Non hai ottenuto nulla di ciò che a lungo ti hanno promesso. Ogni tua eroica impresa è stata ignorata, ogni tuo sacrificio deriso. Hai l’opportunità di finirla, Hivelhin, fuggire da quell’inferno senza doverti più guardare alle spalle. Fidati di me».
Il volto della  giovane si contrae in una smorfia simile all’espressione corrucciata che precede il pianto, ma nessuna lacrima sgorga dai suoi occhi: «come puoi perdonarmi?» mugola. Questo è il grande quesito: come può Driu perdonare l'assassina della sua amata figlia, una delle più grandi combattenti che l'esercito ribelle abbia mai vantato, l'unico erede che lui abbia mai avuto?
«Non è ciò che ho detto, infatti, ma ti capisco. Fuggi. Vattene da qui».
Hivelhin è pervasa da un inspiegabile moto d’ira e, con un urlo folle, si scaraventa contro di lui.
Driu ruota appena il piede sinistro per farvi perno e alza l’altro così da parare il colpo di spada con lo schiniere e far sfuggire l'arma dalla mano della ragazza. Colpisce poi la giovane col tallone speronato, in pieno viso.
Hivelhin finisce a terra, disarmata e singhiozzante.
Non appena si volta, la punta della propria spada le si para avanti agli occhi, immobile e affilata.
«Vattene, non te lo ripeterò un’altra volta» è un sibilo che esce a fatica dai denti serrati di Driugmùndur.
Lei tituba ancora, totalmente disorientata.
«Vattene!» il ruggito non riesce più a trattenerla. Balza in piedi barcollante e corre il più velocemente possibile lontano da quell’incubo.
  
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