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Autore: Edelvais    25/07/2013    5 recensioni
Partecipa al contest "Keep calm and ship Clato" di Moustache.
Clove indietreggiava a quattro zampe, gli occhi fissi sulla pietra grossa quanto una pagnotta che Tresh reggeva nella mano destra, pronto a trasformarla nell’arma del suo assassinio. Il ragazzo, che da quella prospettiva le sembrava ancora più massiccio e imponente, le si avvicinò tremante di rabbia, ansioso di vendicare l’ingiusta morte di Rue. Clove non si sarebbe mai aspettata una fine simile; fin dall’inizio degli Hunger Games, la fiducia nel suo talento bellicoso le aveva fatto credere che sarebbe almeno arrivata in finale, e che avrebbe avuto molte probabilità di vincere.
Ma la vittoria non era mai stata il suo principale obiettivo…

[Cato/Clove]
Genere: Introspettivo, Romantico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Cato, Clove
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Madness

 
 
 
 
 
 
I, I can’t get this memories out of my mind,
it’s some kind of madness, it started to evolve

I, I tried so hard to let you go
But some kind of Madness is swallowing me whole.

And now, I need to know: is this real love?
Or is it just Madness keeping us afloat?

 
                             Madness, Muse
 
 
 
 
« Cato! CATO! »

Clove indietreggiava a quattro zampe, gli occhi fissi sulla pietra grossa quanto una pagnotta che Tresh reggeva nella mano destra, pronto a trasformarla nell’arma del suo assassinio. Il ragazzo, che da quella prospettiva le sembrava ancora più massiccio e imponente, le si avvicinò tremante di rabbia, ansioso di vendicare l’ingiusta morte di Rue. Clove non si sarebbe mai aspettata una fine simile; fin dall’inizio degli Hunger Games, la fiducia nel suo talento bellicoso le aveva fatto credere che sarebbe almeno arrivata in finale, e che avrebbe avuto molte probabilità di vincere.
Ma la vittoria non era mai stata il suo principale obiettivo…
 
«E così hai intenzione di proporti volontario per questa edizione? » chiese senza staccare gli occhi scuri dal cielo terso.
Cato non si stupì di quella domanda, ma voltò comunque il viso verso di lei, cercando di scavare nel suo sguardo, in cerca di risposte. Risposte ai suoi taciti interrogativi, che lo assillavano per ormai troppo tempo.
 
“T’importa qualcosa di me?”
 
In fondo stava andando incontro a un rischio di morte non trascurabile – nonostante fosse perfettamente in grado di affrontare i Giochi – e almeno si sarebbe aspettato che Clove tentasse di dissuaderlo.
Invece sembrava totalmente indifferente alla sua decisione.
 
« Sì » rispose il ragazzo, tornando a specchiarsi nella volta turchese.
Con la coda dell’occhio, però, scrutò la reazione di Clove.
Niente.
Il suo viso rimase imperscrutabile, segnato dal suo solito cruccio scocciato.
 
“Allora non le interessa la mia vita. Se dovessi morire, lei avrebbe soltanto perso un compagno di caccia, niente di più”.
 
A questo pensiero, Cato si sentì morire dentro.
Il silenzio ripiombò nella quiete del prato deserto su cui i due ragazzi erano seduti, intenti ad ammirare il clima assolato che incombeva nel loro Distretto.
Cato chiuse gli occhi, appoggiando la schiena sull’erba fresca. Non doveva pensarci.
 
Intanto, Clove colse quel prezioso istante in cui il ragazzo aveva abbassato la guardia e spostò lo sguardo su di lui; era bellissimo. La brezza mattutina gli accarezzava le gote arrossate, scompigliandogli i capelli biondi, e in quel momento Clove pensò che nessuno avrebbe mai associato quella figura all’apparenza rilassata al vero istinto battagliero che era in lui, e che l’aveva portato alla decisione di partecipare agli Hunger Games.
Clove si sentì travolta come da un moto di affetto verso quel ragazzo, che non l’aveva mai delusa in tutti quegli anni trascorsi a cacciare e a prepararsi per l’Arena. E capì che avrebbe dovuto proteggerlo.
Dagli altri come da se stesso. Perché Clove sapeva che dietro quella maschera di ghiaccio, Cato era estremamente fragile.
 
«Parteciperò anch’io » disse infine.
 
Vide Cato riaprire gli occhi di scatto, risollevarsi da terra e fissarla con sguardo vacuo, confuso.
Forse aveva capito male. O magari si era assopito per alcuni minuti e quella frase se l’era solo immaginata.
«Scusami? »
«Parteciperò anch’io agli Hunger Games » ripeté la ragazza con decisione.
 
No, non se l’era immaginata.
 
« Sì, certo. Magari il prossimo anno o… »
« Cato, parteciperò alla settantquattresima edizione dei Giochi ».
Il ragazzo scosse la testa, incredulo e arrabbiato al tempo stesso. Che cosa le era preso? Era forse uscita di senno?
« Non lo farai » s’impose con un cipiglio severo e inflessibile.  Normalmente quando assumeva quel genere di espressione con le altre persone, si ritrovava a essere l’unica forma di vita in un raggio di un chilometro nel giro di dieci secondi. Ma lei era diversa; Clove non aveva mai avuto paura di lui.
« Invece sì. Che cosa pensi che possa fermarmi? »
«Ti fermerò io ».
Clove rimase interdetta, esitando per alcuni secondi, poi tornò all’attacco.
« È una mia decisione, tu non hai il diritto di - »
« No Clove, hai ragione, non ne ho il diritto; ma non pensare che me ne importi qualcosa. Tu non parteciperai! » la interruppe Cato.
« Ormai ho deciso ».
Cato si alzò in piedi, furibondo. Lo stesso fece Clove, decisa a fronteggiarlo.
« Perché? Clove, saremo costretti a ucciderci a vicenda! »
Esatto. Quello era ciò che avrebbero dovuto fare se fossero stati due concorrenti normali. Ma Clove avrebbe partecipato solo per proteggerlo, non si sarebbe mai sognata di ucciderlo.
Se lui era così determinato a partecipare, lei l’avrebbe accompagnato alla vittoria, anche se proteggerlo avrebbe significato morte certa. Ma ormai non aveva più niente da perdere, eccezion fatta per Cato, e non si sarebbe mai permessa di vederlo morire senza tentare nulla per evitarlo.  Avrebbe anche potuto supplicarlo di rinunciare, ma non voleva piegare il suo orgoglio a tanto. E poi, era perfettamente consapevole che ogni parola spesa in quell’intento sarebbe stata vana. Proprio come lei, quando Cato si metteva in testa una cosa, non c’era verso di fargli cambiare idea.
In quel momento, Clove poté vedere i suoi occhi luccicare di rabbia, pretenziosi di una spiegazione.
 
“Voglio solo proteggerti” pensò, priva del coraggio che le sarebbe occorso per dirlo ad alta voce.
 
« Non ti importa niente di… » Cato si interruppe, lo sguardo ancora piantato su quello di Clove.
 
… Noi?, avrebbe concluso il ragazzo, se avesse avuto abbastanza fegato per farlo.
 
Il ragazzo sospirò, esasperato.
Tutto ciò era drammaticamente buffo; quando si trattava di combattere, Cato aveva il coraggio e la tempra di un leone. E ora? Perché non riusciva a dirle che era tutto ciò che gli rimaneva? Perché le parole gli morivano in gola? Avrebbe voluto stringerla a sé e implorarla di ascoltarlo, di rinunciare a quella follia, invece si ritrovava in piedi davanti a lei, rigido come un palo, con i piedi come incollati al suolo, incapaci di compiere qualsiasi movimento.
Il fatto era che aveva paura. Aveva una paura tremenda di essere respinto.
Clove, come anche lui, non era mai stata particolarmente affettuosa, e Cato non avrebbe saputo dire se potesse piacerle. O perlomeno interessarle un minimo.
Invece, se prima era indeciso, ora non aveva più dubbi: Clove era talmente indifferente a lui che aveva persino deciso di proporsi anche lei volontaria per gli Hunger Games, in modo che di loro due solo uno avrebbe avuto la possibilità di tornare a casa.
Cato non voleva dirlo, ma l’unica cosa che lo spingeva a partecipare ai Giochi oltre alla gloria che avrebbe acquisito, era la vita di agi promessa ai vincitori. Se avesse vinto, avrebbe potuto chiedere a Clove di andare a vivere con lui al Villaggio dei Vincitori, salvandola da una prospettiva di una vita misera e infelice.
Le avrebbe dato tutto ciò di cui aveva bisogno.
Le avrebbe dato l’amore.
Invece lei aveva deciso di rovinare tutto, facendo crollare il sogno di Cato come un castello di carte.
 
« Cosa, Cato? Di cosa mi dovrebbe importare? » domandò Clove, insistendo con lo sguardo su quello di Cato.
Quest’ultimo deglutì a vuoto, poi si fece coraggio, rendendosi conto che forse quello era l’unico modo per salvarla dalla sua decisione avventata. L’unico modo per salvarli entrambi. Lentamente, prese il viso della ragazza fra le sue mani, continuando a fissarla negli occhi.
I suoi bellissimi occhi, scuri come la notte. Sentirla così vicina gli stava dando un senso di pace e completezza che non aveva mai provato in vita sua.
Clove non si mosse di un millimetro, così confusa da non riuscire nemmeno a distogliere lo sguardo in tempo prima di affogare nell’azzurro degli occhi di Cato. Il suo cervello l’aveva completamente abbandonata, lasciandola in uno stato catatonico tale da farla sembrare in trance.
 
« Di noi, Clove » rispose Cato, dopo un intervallo di tempo che sembrava infinito.
 
Un attimo dopo, Clove sentì le labbra di Cato premere contro le sue, in un bacio che esprimeva tutto ciò che non era riuscito a comunicarle a parole.
Lei rimase immobile, mentre avvertiva dentro di sé una battaglia di emozioni contrastanti, e si sentì avvolgere dal calore di quel semplice contatto, cullata dalla consapeolezza di essere amata.
Ma se con questo Cato pensava di dissuaderla dal lanciarsi nell’Arena, si sbagliava di grosso. Perché in quel momento Clove ebbe la certezza di aver scelto la via giusta. L’avrebbe protetto ad ogni costo.
 
« Non cambierò idea » mormorò non appena si furono allontanati.
Lui continuò a fissarla interdetto. Clove si aspettò un accesso d’ira; invece lui si limitò a scuotere la testa con esasperazione, forse arreso alla decisione della ragazza.
« Non riesco a capirne il motivo. Così di punto in bianco… Che cosa ti è preso? È una cosa seria, maledizione! » aggiunse rabbiosamente.
« Non è stata una decisione presa su due piedi. Ci ho riflettuto » replicò Clove con stizza.
Cato la considerava una stupida? Credeva che non sapesse a cosa andava incontro?
« E allora dimmelo! Dimmi perché vuoi rovinare tutto! » esplose il ragazzo.
Clove avrebbe tanto voluto confessarglielo, come aveva fatto Cato pochi secondi prima  –  a modo suo, ma almeno lui aveva trovato il coraggio –  ma aveva il timore di essere presa in giro. Cato l’avrebbe derisa sicuramente.
“Proteggermi? Io non ho bisogno di protezione; io sono invincibile. Quei ragazzini degli altri Distretti devono solo pregare che io sia così clemente da riservare loro una morte veloce e indolore”.
Sentiva già le sue parole di scherno, seguite dallo schiaffo della sua risata beffarda.
Ma lui era troppo fiducioso delle sue doti, e Clove sapeva che nelle scorse edizioni non erano mancati dei soggetti molto simili a lui – soprattutto provenienti dal loro Distretto – i quali, troppo convinti della loro superiorità, erano finiti con l’abbassare la guardia il tempo che bastò agli altri concorrenti per eliminarli.
E Cato aveva bisogno di lei per evitare di fare la loro stessa fine.
 
Clove non rispose e abbassò lo sguardo a terra. Sapeva che avrebbe rovinato tutto. Sapeva anche che Cato teneva a lei e il gesto di poco prima ne era una dimostrazione; e si sentiva tremendamente in colpa per quella decisione che lo avrebbe fatto soffrire così tanto.
Ma non avrebbe cambiato idea.
 
Cato sospirò, poi disse con freddezza: « Ci vediamo alla Mietitura ».
Clove udì i suoi passi allontanarsi, e sentì un vuoto enorme prendere posto dentro di lei, lasciandola senza fiato.
 


« Cato, ti prego! » gridò ancora.
Clove si sentiva come un animale braccato dal suo cacciatore, e si rese conto che era esattamente così che dovevano essersi sentiti tutti i concorrenti morti nell’Arena fino a quel momento.

 
Dove sei, Cato?, pensò mentre guardava la morte tenderle la mano. Tresh fece un altro passo verso di lei, e impugnò meglio la pietra, pronto a scagliarla contro la ragazza. Perché non sei qui a salvarmi?
 
La prospettiva della morte imminente non la spaventava come avrebbe dovuto. Tutto ciò di cui Clove aveva paura in quel momento, era di morire senza dire addio a Cato. Senza rivelargli il vero motivo per cui si era ostinata a partecipare agli Hunger Games.



Quando Clove aveva stretto la mano a Cato durante la Mietitura, davanti a tutto il Distretto 2, avrebbe voluto morire seduta stante. Era come se lo sguardo furente e deluso del ragazzo le stesse scavando nell’anima, alla ricerca di risposte. Si era sentita quasi spogliata dai suoi occhi chiari, che la stavano osservando traboccanti di frustrazione e disperazione.
Durante il viaggio in treno per Capitol City, Cato non aveva accennato a rivolgerle la parola. E Clove non avrebbe potuto chiedere punizione peggiore per quella sorta di tradimento.
 

Urlare non serviva più a niente, Clove lo sapeva; Cato si era fiondato alla ricerca del Ragazzo Innamorato, e ormai doveva essere fuori dalla portata delle sue grida.
 

Dopo l’intervista, dirigendosi verso la sua camera, Clove incrociò Cato nel corridoio e gli rivolse un’occhiata colpevole, quasi di scuse.
Il ragazzo si fermò davanti a lei, perfetto nel suo completo elegante, e la squadrò per un lungo attimo.
« Sei… bellissima » biascicò mentre un evidente rossore si faceva largo nelle sue gote.
A Clove venne una strana voglia di ridere di gusto; com’era buffo! Nessuno avrebbe riconosciuto in lui il ragazzo che sapeva trafiggere un nemico con una lancia ad una distanza impossibile.
Quelle erano anche le prime parole che le aveva rivolto dalla Mietitura.
« Anche tu » rispose la ragazza con un sorriso.
Cato le rivolse un ultimo sguardo, poi fece per andarsene, voltandole le spalle. Ma Clove, con un rapido scatto, gli afferrò il polso, obbligandolo a fermarsi, e in un attimo fece congiungere le loro labbra.
Nel frattempo, Cato decise che aveva resistito abbastanza, e le abbracciò la schiena, stringendola a sé.
« Mi dispiace » sussurrò Clove, ancora aggrappata alle sue spalle.
Cato le accarezzò la guancia con le dita, percorrendo lentamente i lineamenti morbidi della ragazza, quasi a volerseli imprimere nella memoria.
« C’è ancora tempo per noi » le rispose, trascinandola dentro la sua stanza.
Non si sarebbe lasciato sfuggire quella che forse era l’ultima occasione di sentirla pienamente sua. Lo stesso pensò Clove, che non esitò a spedire all’inferno il vestito rosso cremisi, lanciandolo da qualche parte nella camera. Cato si era arreso al loro infausto destino, e si rese conto che anche loro erano una coppia di Innamorati Sventurati. E forse anche gli unici che non fingevano di amarsi.
E quella sera non dissero più nulla, perché ogni carezza, sospiro o sguardo avevano essi stessi la forza di mille parole dette gridando. Così, insieme, raggiunsero il paradiso. Si addormentarono distesi l’uno accanto all’altra, quando perfino i loro occhi si stancarono di incontrarsi. 
 



Clove si destò da quel ricordo così bello da toglierle il respiro, e sentì improvvisamente pizzicarle gli occhi lucidi. Si sforzò di ricacciarle indietro, pensando che non avrebbe dovuto lasciarsi sopraffare dalle lacrime in quel momento. Non voleva che Cato la giudicasse una codarda, quando, dopo la sua vittoria, avrebbe rivisto i Giochi.
Tresh esibì una smorfia di furore misto a determinazione, e calò con forza la pietra sul capo della ragazza, guardandola stramazzare al suolo. Ma la fine non era ancora giunta per Clove. Sentì Tresh intimare con voce ovattata alla Ragazza di fuoco di andarsene da lì. Il respiro le si fece sempre più faticoso, e anche la vista la stava abbandonando rapidamente.
Avrebbe voluto continuare a chiamare il nome di Cato, ma dalla sua gola uscì solamente un rantolo confuso.
Il dolore alla testa era insopportabile, e la ragazza desiderò che tutto finisse, incapace di resistere ancora a quella sofferenza atroce.
Improvvisamente, udì qualcuno avvicinarsi di corsa per poi inginocchiarsi accanto al suo corpo.
Aprì debolmente gli occhi e lo vide: il suo volto perfetto era straziato da un’espressione disperata.
« Cato… » sussurrò Clove con uno sforzo immane.
Il ragazzo le prese il volto tra le mani, accostando la sua fronte a quella di Clove.
« Clove, mi dispiace… mi dispiace tanto… Mi sono allontanato e ho lasciato che ti facessero questo! È tutta colpa mia, tutta colpa mia ».
Vide le lacrime solcare il suo viso per poi atterrare sulle guance di Clove, e la sua afflizione le provocò più dolore di un’accoltellata.
« Avremmo potuto vincere insieme, saremmo potuti tornare entrambi se solo non ti avessi abbandonata per cercare quel verme » continuò a incolparsi fra i singhiozzi.
« Perdonami » disse Clove con il volto bagnato dalle lacrime di Cato mischiate alle sue . « Io volevo solo proteggerti, sapevo a cosa andavo incontro ».
« Io avrei dovuto proteggerti » replicò Cato, ma Clove quasi non lo sentì.
La testa faceva sempre più male, e il dolore lancinante stava solo aumentando il suo desiderio di morire per placare la sofferenza. Sentiva la fine sempre più prossima.
« Ti amo, Clove » disse Cato prendendole una mano.
La ragazza sorrise debolmente. « Ti amo, Cato ».
Clove chiuse gli occhi.
« Non lasciarmi, Clove » gemette disperato. « Resta con me».
« Sempre » rispose Clove, mentre avvertiva le forze scivolare via dal suo corpo e l’oscurità arrampicarsi su di lei, desiderosa di trascinarla nel baratro della morte.
Cato si chinò su di lei e le posò un bacio sulle labbra fredde.
Clove aveva chiuso gli occhi per sempre.
Il ragazzo si lascò cadere all’indietro e cominciò a dare sfogo alla sua disperazione. Un pianto angosciato si disperse nel verde dell’Arena, ma a Cato non importava di farsi sentire dagli altri. Non aveva nemmeno la forza per impugnare la sua lancia, e avrebbe seriamente preferito che qualcuno lo sentisse e mettesse fine a quello strazio.
 


Dopo l’annuncio di Claudius Templesmith sul cambio di regola dei due vincitori, Cato era subito corso alla ricerca di Clove. Sarebbero potuti tornare a casa entrambi.
L’aveva trovata china sulla riva del lago, intenta a riempire la borraccia di acqua.
Lei si voltò con un coltello stretto in pugno, che abbassò non appena riconobbe Cato.
« Possiamo farcela entrambi » esordì lui.
Clove curvò le labbra in un sorriso esultante. « Insieme ».
Con due falcate il ragazzo l’aveva raggiunta e avvolta nelle sue braccia.
« Insieme » ripeté prima di baciarla, imprimendo in quel contatto tutta la felicità che quel cambio di regola aveva provocato in lui.
 


Invece eccola lì, la sua compagna, distesa inerme e immobile sull’erba. Avrebbero dovuto vincere entrambi, tornare al loro Distretto e ricominciare una nuova vita, ma ora era tutto cambiato.
In quel momento sentì il cannone sparare, e seppe che non poteva lasciare che l’hovercraft la portasse via da lui. Cato sarebbe andato con lei. L’avrebbe raggiunta, e allora avrebbero potuto essere felici insieme.
Al diavolo i Giochi, al diavolo la gloria e la sopravvivenza. Non aveva più nulla per cui combattere, nulla per cui vivere.
Estrasse un coltello dalla giacca di Clove, e dopo aver percorso con lo sguardo il suo profilo, sentì la lama affondare nel suo petto, guidata dalla sua stessa mano. Con un ultimo respiro soffocato, si accasciò sopra il corpo di Clove. E in quel momento, seppe che finalmente avrebbero avuto tutta l’eternità a loro disposizione.
 
E un altro colpo di cannone squarciò il silenzio tombale che era sorto nell’Arena, quasi a voler commemorare la morte di un amore messo a tacere troppo presto. 













Buonasera a tutti ^^
Questa è la mia prima fanfiction su questo fandom, scritta per il contest Keep calm and ship Clato di Moustache.
Che altro? Be', spero vi sia piaciuta, e ringrazio in anticipo chiunque leggerà/recensirà questa storia :)
Buona serata!

Ed







   
 
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