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Autore: fanny_rimes    31/07/2013    12 recensioni
Buio. Regina riusciva a scorgere solo oscurità, in qualunque direzione guardasse.
Sentiva mormorii indistinti intorno a lei, pianti e lamenti, ma rimase chiusa nel suo silenzio.
Non era più la loro regina. Non era più nulla.
“Ho perso la mia identità” pensò, lasciandosi invadere dalla tristezza.
Spazzatura, ecco cos’era diventata. E la spazzatura non deve preoccuparsi di consolare i suoi amici: deve solo starsene lì, ad aspettare la decomposizione.
Avevano dormito al suo fianco, riempito i suoi giorni con stupore infinito.
E ora se ne erano andate.
Genere: Commedia, Fantasy, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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C'era una volta, in una soffitta lontana lontana, un castello di bambole vecchio e polveroso, dove i suoi abitanti vivevano abbandonati a se stessi.
La vecchia Regina era una splendida bambola di cera che, seppur consunta dagli anni, aveva conservato intatta la sua bellezza. Soprattutto, spiccava in lei quell’eleganza e quella raffinatezza tipiche delle donne d’altri tempi.
Era nata negli anni ’50 e, per lungo tempo, era stata una bambola molto ricercata. Le due bambine che l’avevano acquistata litigavano sempre per giocare con lei e non la lasciavano mai sola, nemmeno per un momento.
Erano inseparabili loro tre, e lo erano state per molto, molto tempo.
Purtroppo, anno dopo anno, il progresso e le nuove invenzioni delle case produttrici di giocattoli l’avevano resa una bambola ormai obsoleta e lei era finita a passare i suoi giorni in quella buia e umida soffitta abbandonata, insieme ad altri “vecchi” giocattoli fuori moda.
Una mattina, Regina stava poltrendo pigramente sul suo bel trono dorato, quando Elisabeth, la sua fedele dama di compagnia, irruppe nella stanza.
«Sua Altezza!» esclamò. «Ho delle brutte notizie!»
La bambola impallidì – nei limiti che il suo viso di cera le consentiva – e si raddrizzò sulla sua scranna reale.
«Di quali cattive nuove sei latrice? Coraggio, parla» la esortò lei.
«Bé, sembra che “Carmencita” abbia sentito dire da “Betty Boop” che la signora Mamma ha ordinato alle Bambine di ripulire la soffitta dai vecchi giocattoli!» raccontò tutto d’un fiato. Gesticolava animatamente e, dai suoi occhi, traspariva il panico che provava nell’aver appreso la notizia.
Regina si sfiorò distrattamente i capelli bruni, cercando di mantenere un’espressione tranquilla.
«Non angustiarti così, Elisabeth. E’ da tempo immemore che siamo confinati qui, in questa prigione di polvere. Confido nel fatto che le Bambine, rivedendoci, rimembrino le allegre e spensierate giornate di giuochi trascorse insieme e decidano di riprenderci nelle loro stanze.»
La donna sembrò più serena: si proferì in un profondo inchino e lasciò la sala del trono.
Rimasta sola, la bambola si abbandonò ai suoi pensieri: “Era questo quello che era diventata? Un giocattolo vecchio, abbandonato in soffitta, che presto avrebbe dovuto abbandonare il suo castello?”
Percorse la grande sala fino a raggiungere un enorme specchio a tutta altezza: i suoi occhi di vetro la scrutavano dal centro del suo viso pallido. Si raddrizzò la corona e si risistemò i capelli, che spuntavano scomposti dalla sua acconciatura ottocentesca. Le tornarono in mente le giornate in cui le Bambine passavano ore a pettinarli e ad acconciarli, e quando pregavano la signora Nonna di cucire per lei abiti meravigliosi; ora invece era costretta a indossare un vestito logoro e malconcio, l’unico che possedeva da ormai troppo tempo.
Spesso, aveva sognato i tempi passati, quando la speranza era alta e la vita degna di essere vissuta.
Aveva sognato che l'amore non muore mai.
Invece, troppo in fretta, giorno dopo giorno e inesorabilmente, le Bambine avevano iniziato a essere attratte da altri giocattoli più moderni.
Poi, un pomeriggio, era arrivata Lei: Barbara Millicent Roberts, anche conosciuta come Barbie.
Lei, con i suoi capelli lisci e lunghissimi, che si prestavano ad ogni tipo di acconciatura; Lei, con quel fisico mozzafiato, le gambe lunghe, la vita stretta e il suo costume zebrato che avrebbe fatto arrossire anche una cortigiana.
 
Regina trascorse la mattinata tentando di convincersi che tutto sarebbe andato per il meglio.
Era ancora adagiata pigramente sul suo trono, quando la porta della soffitta venne spalancata.
La luce improvvisa le ferì gli occhi da troppo tempo abituati a vivere nella semioscurità di quella stanza.
Rimase immobile, mentre dentro di lei l’agitazione cominciava a crescere.
Quando le bambine furono di fronte a lei, dovette fare appello a tutto il suo autocontrollo per non balzare giù dalla sua seduta: quelle non erano le sue bambine! O meglio, erano sempre Anne e Marie, le due gemelle con cui era vissuta, solo che erano… grandi, molto più grandi di come le ricordava.
Su per giù dovevano avere circa tredici o quattordici. Non indossavano i soliti abitini colorati con cui Regina le ricordava, ma jeans attillati e piccole maglie che lasciavano scoperto l’ombelico.
“Quella stupida Barbie aveva contagiato anche loro!”
«Coraggio, vediamo di sbrigarci, non voglio passare tutto il pomeriggio in questo buco polveroso» esclamò Anne, mentre afferrava un grosso sacco nero.
L’altra sorella si avvicinò al mucchio di giocattoli e alla casa, accatastati in un angolo.
«Pattini a rotelle?»
«Neanche ci stanno più… e poi abbiamo i rollerblade!»
«Peluche vari?»
«Buttali via, con tutta la polvere che c’è qui sopra, rischiamo di prenderci qualcosa!»
Regina rabbrividì, mentre Teddy veniva infilato nel sacco insieme agli altri.
«Il sacco no, il sacco no» piagnucolava sommessamente una bambola accanto a lei.
«Il castello delle bambole? Lo teniamo?» disse Marie, chinandosi a osservarlo più da vicino. «Barbie principessa ci starebbe benissimo.»
Regina sospirò di sollievo: avrebbe dovuto dividere il suo castello con quell’oca, ma sempre meglio che rimanere in quella soffitta abbandonata.
«Va bene» concluse l’altra, ma butta via tutte le vecchie bambole che ci sono dentro.
Regina sussultò, mentre Marie la afferrava con una mano.
Stava abbandonando per sempre la sua gabbia di polvere, diretta verso un posto sconosciuto.
 
Buio. Regina riusciva a scorgere solo oscurità, in qualunque direzione guardasse.
Sentiva mormorii indistinti intorno a lei, pianti e lamenti, ma rimase chiusa nel suo silenzio.
Non era più la loro regina. Non era più nulla.
“Ho perso la mia identità” pensò, lasciandosi invadere dalla tristezza.
Spazzatura, ecco cos’era diventata. E la spazzatura non deve preoccuparsi di consolare i suoi amici: deve solo starsene lì, ad aspettare la decomposizione.
Avevano dormito al suo fianco, riempito i suoi giorni con stupore infinito.
E ora se ne erano andate.
Ma poi arrivò il dolore: avvertì il sacco venire trascinato per la strada, il rumore delle auto, le voci dei passanti, poi qualcuno afferrarli e scagliarli lontano con violenza.
Avevano fatto appena pochi metri a bordo di quello che doveva essere il camion dei rifiuti, quando avvertì il colpo: il camion prese una buca e sterzò bruscamente, il sacco venne sbalzato con forza, rotolando fuori dal cassone, sull’asfalto.
Regina non ebbe nemmeno il tempo di rendersi conto dell’accaduto. Tutto ciò che riuscì a sentire fu il colpo sordo dell’impatto con la strada e un dolore lancinante alla gamba. La collana che indossava si strappò, spargendo piccole perle lucenti attorno al suo corpo. Quando abbassò gli occhi, al posto di una delle sue gambe, c’era solo un mucchietto di schegge di cera.
 
«Incivili! Ecco cosa sono!»
Regina scorse le urla, anche se alle sue orecchie giunsero ovattate. «Correre così, su una strada tanto trafficata! Ehi, Max, dammi una mano!» aggiunse la voce, rivolta a qualcuno poco distante.
Regina non ricordava da quanto tempo era distesa sull’asfalto, quando una mano si posò su di lei.
La bambola sollevò gli occhi e si ritrovò faccia a faccia con una buffa vecchina. aveva il viso rugoso, con una crocchia di capelli grigi raccolti dietro a nuca.
Vide le sue sopracciglia aggrottarsi, poi mormorare: «Giocattoli?!»
In quel momento, suo nipote - un ragazzino magro e allampanato - si avvicinò, rivolgendole un’occhiata interrogativa.
«Su, figliolo, non stare lì impalato!» lo rimbeccò la donna. «Portiamo alla casa famiglia qui vicino, loro saranno contenti di ricevere tutti questi giocattoli.»
Il ragazzo raccolse il sacco malvolentieri e seguì la nonna, che ancora stringeva tra le mani la bambola.
Regina non si preoccupò di dove stavano andando: da quando aveva lasciato il suo castello, era caduta in una sorta di “stato di apatia” e nulla sembrava attirare la sua attenzione.
I due giunsero alla casa famiglia in pochi minuti. Nel cortile, alcuni bambini correvano calciando un grosso pallone; poco più in là, un paio di ragazzine si divertivano a saltare la corda.
«Buongiorno, signora Genovesi!» esclamò una donna, appena varcarono il portone d’ingresso.
«Buongiorno a lei» rispose l’altra. «Guardi un po’ cosa le ho portato stamani.»
La vecchia signora fece un cenno al nipote, che poggiò sul pavimento il sacco, mostrandone il contenuto.
«Ma è pieno di giocattoli!» constatò la donna. «La ringrazio tanto, signora…»
«Non ringrazi me. Li ho trovati abbandonati per la strada. Ringrazi piuttosto qualche bambina viziata che stamattina ha deciso di buttarli via nella spazzatura, senza pensare, invece, di regalarli a qualcuno meno fortunato.»
Ci fu una pausa.
«I bambini ne saranno felicissimi» disse la donna, con espressione raggiante. «Quella è…» fece poi, indicando Regina.
«Si è rotta» riferì la signora Genovesi. «Che peccato, è davvero una bella bambola. Me ne ricorda una che desideravo tanto quando era giovane.» La vecchina sembrò perdersi un istante tra i ricordi. «Sono sicura che una delle bambine la apprezzerà» concluse, porgendola alla donna di fronte a lei.
Poggiò una mano sulla spalla del nipote, che se ne stava in piedi accanto alla scrivania posta in un angolo «Andiamo, Max, torniamo a casa.»
Nonna e nipote lasciarono l’edificio e avevano quasi voltato l’angolo, quando sentirono una voce alle loro spalle. «Signora Genovesi!»
La direttrice della casa famiglia li raggiunse correndo. Si fermò a riprendere fiato, poggiando le mani sulle ginocchia. In una di essere stringeva la bambola di cera.
«Signora Genovesi» ripeté. «Ci ha portato tanti giocattoli e la ringrazio tantissimo.»
L’anziana signora agitò una mano, come a sminuire la cosa. «Ecco, io vorrei che questa la tenesse lei. Ho notato che le piaceva tanto e mi farebbe piacere che la prendesse.»
«Be’…» La vecchina parve imbarazzata. «Quando ero giovane, desideravo tanto ballare,poiho avuto un incidente.» Indicò la sua gamba destra, la stesa che Regina si era rotta poco prima. «Questa bambola è proprio come me.»
«A maggior ragione, voglio che la tenga lei» insisté la direttrice. «Lo consideri un ringraziamento per tutto quello che ha fatto per noi.»
 
Regina osservò l’anziana signora dall’alto del comò su cui era stata riposta. Quella dolce adorabile donna che le aveva ridato una vita. Le aveva dato il ripiano dell’argenteria.
«Perché tu vali molto di più» le aveva detto.
“Tu mi ha salvato da migliaia di paure, hai asciugato le mie lacrime”pensò, mentre l’altra si avvicinava.
«Ora sì che sei vestita come ti si addice» constatò la donna, ammirandola.
Regina lanciò un’occhiata furtiva al suo abito nuovo, di seta e merletti, che la donna aveva cucino apposta per lei. La sua corona era stata lucidata, i sui capelli lavati e spazzolati.
Nella stanza, una vecchia radio suonava le note di una canzone allegra e la signora la raccolse tra le mani delicatamente, iniziando a danzare lentamente.
Regina era felice, e sapeva che anche i suoi amici lo erano, circondati dall’affetto dei bambini della casa famiglia.
Aveva sognato come sarebbe stata la sua vita, diversa da quell’inferno che stava vivendo.E la realtà, adesso, era più bella di quel sogno.
Finalmente si sentiva amata, come non lo era da molto, molto tempo.


NOTE: La storia ha partecipato al secondo turno del Contest a turni e squadre - La sfida dei grandi autori.
Questa è stata la  valutazione:

Concorrente: Fanny_Rimes 
Squadra: bianca 
Giudice responsabile: Andrea 
Titolo storia: Come una regina 
Pacchetto utilizzato: 1600 
Grammatica e Sintassi: 15/15 
Stile e Lessico: 10/10 
Originalità: 10/10 
Uso del prompt: 7/10 
Caratterizzazione Personaggio: 13/15 
Giudizio Personale: 5/5 
Tot:60/65 
Valutazione 
Una bella favola, dai toni soavi e nostalgici, una favola graziosa e molto garbata. Uso del prompt molto semplice ed è un peccato. Per il resto tutto completato e composto in ottima maniera. Lavoro adatto e molto originale. 


Questo era il mio pacchetto: 1600
EPOCA 1950 
GENERI commedia – generale - avventura 
CANZONE I Dreamed a dream di Susan Boyle 
RAITING verde-giallo 
PAROLE perle – radio – pallone - argenteria 

 

   
 
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