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Autore: Doineann Liath    01/08/2013    1 recensioni
Le risate della figlia; gli occhi azzurri che rispecchiavano il viso della persona che le stava dinnanzi come un lungo fiume d’estate; i capelli ricci e biondi che brillavano come l’oro giallo al sole; quei sorrisi così dolci da contagiare anche la più depressa delle persone.
La madre, Violetta, si ricorda tutto.
“Pronto? Pronto?!” la segretaria del servizio minori stava ormai perdendo le staffe per il silenzio di quella trentaseienne single che non aveva il coraggio di pronunciare manco un parola.
Era abbastanza giovane, ma tutte quelle frustrazioni sembravano le avessero aggiunto minimo otto o nove anni in più. Era visibilmente distrutta da tutto quanto.
Genere: Generale, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Le risate della figlia; gli occhi azzurri che rispecchiavano il viso della persona che le stava dinnanzi come un lungo fiume d’estate; i capelli ricci e biondi che brillavano come l’oro giallo al sole; quei sorrisi così dolci da contagiare anche la più depressa delle persone.
La madre, Violetta, si ricorda tutto.
“Pronto? Pronto?!” la segretaria del servizio minori stava ormai perdendo le staffe per il silenzio di quella trentaseienne single che non aveva il coraggio di pronunciare manco un parola.
Era abbastanza giovane, ma tutte quelle frustrazioni sembravano le avessero aggiunto minimo otto o nove anni in più. Era visibilmente distrutta da tutto quanto.
La donna dall’altra parte della cornetta riattaccò con tale forza da far sobbalzare Violetta. Il classico “tutu” del telefono la riportò alla dura realtà. Vive in una via di Bologna dimenticata dal mondo, così come il condominio, così come lei. Il suo aspetto fisico preoccupa molti medici: troppo magra del normale, dicono, farà fatica a reggersi in piedi in un futuro giorno
Senza indugiare afferra un ennesimo cioccolatino dalla scatola, così, giusto per mandare via la depressione e per avere un sapore dolce in bocca mescolato a quello del fumo.
La tv sintetizzata su un canale oscurato; il tichettio dell’orologio che si faceva sentire pesantemente.
Sospira e mugugna qualcosa che nemmeno lei riesce a capire. A un certo punto esce di casa, lasciando la tv accesa e il disordine in salotto.
Sale in macchina, mette in moto. Poco dopo si ritrova in un negozio di giocattoli, molto frequentato. Era il preferito della figlia.
Guarda le madri tenere per mano i figli, sorridono, ridono e scherzano. Indicano ogni secondo un gioco diverso che pare affascinarli molto, lo desiderano. Poi, si allontanano, lasciando Violetta sola nel reparto peluches.
Cerca disperatamente di ricordare l’animale preferito della figlia: buio più totale, non se lo ricorda.
Prende quindi il primo che le capita a tiro: un castoro con dei buffi denti che sporgevano da quel musetto paffuto.
Poi, qualcuno le tira la maglia dal basso e Violetta sobbalza spaventata. Era una bambina dai capelli corvini, gli occhi verdi e il vestito del medesimo colore. Gli occhi sono lucidi e piange, al petto stringeva un leone di peluche quasi più grande di lei.
“Mi scusi signora, ma ha mica visto la mia mamma?” le chiede con la voce tenera e acuta, lo sguardo triste, come se Violetta potesse conoscere la sua mamma. In tutta risposta lei rimane in silenzio.
“Ha detto che potevo comprare un gioco ma adesso non la trovo più.. E’ bellissima e gentile, l’ha forse vista, signora?” di certo quelle informazioni non potevano bastarle per riconoscerla. Come sono ingenui i bambini.
“No, non l’ho vista” la sua risposta è secca, ma in fondo si fa intenerire da quella bimba sperduta.
La bambina si strofina gli occhi con i pugni chiusi tirando su con il naso, così Violetta si china sulle ginocchia in modo di avere la sua stessa altezza, per non farla sentire a disagio.
“Possiamo cercarla insieme, la tua mamma” le propone con un sorriso.
“Si! Per favore signora, mi aiuti.”
Così, tenendosi la mano iniziano a setacciare il negozio, ma sembrava che le ricerche non dessero buoni frutti..
“E’ lei?”
“No”
“E’ lei?”
“No”.
Continuarono finché il negozio non dovette chiudere. Giunte fuori, non c’era più nessuna auto, esclusa quella di Violetta.
Guarda con timore la bambina, che stringeva ancora quel leoncino ed era quasi sul punto di piangere.
A Violetta venne in mente un gesto un po azzardato, prese in braccio la bimba senza la benché minima fatica. Era leggera come l’aria.
La porta poi fino alla macchina, rassicurandola. Era al sicuro con lei, non l’avrebbe mai abbandonata e si sarebbe presa cura di lei finché non avrebbe ritrovato la sua mamma. La pone con cura su uno dei sedili posteriori e la guarda: Non sa neanche il suo nome.
“Io mi chiamo Lena, e lei signora?” le chiede, stritolando quasi quel povero peluche.
“.. Io mi chiamo Violetta.. Ascolta, che ne dici di andare alla stazione della polizia e informarli che sei qui con me e di contattare la tua mamma? Così sarà più facile per noi trovarla” mentre le confidava questa sua idea le allacciava la cintura di sicurezza.
“La ringrazio tanto, ma non la possono trovare, è tarda sera ormai” le risponde in tutta tranquillità.
“E allora?”
“E allora sarà già tornata là, quando cala il sole diventiamo più vulnerabili ed è pericoloso per noi” le spiega, come se fosse la cosa più ovvia del mondo.
Violetta annuisce e basta, magari quella bimba era talmente stanca che stava iniziando a delirare.
Non da molto speso a quella risposta e mise in moto. Non ci volle molto prima di arrivare alla stazione e appena parcheggiato, informò la bimba dell’arrivo, ma non ottenne alcuna risposta. Dopo vari tentativi si girò e non vide altro che il leone, la cintura ancora allacciata e una piuma bianca e morbida sul sedile. Era leggera come l’aria.
  
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