PUNTO 1: cliccare su codesto link ---> https://www.youtube.com/watch?v=-3D5FwwtNVM e ascoltare la canzone mentre leggerete
PUNTO 2: Ripetere il punto uno ogni volte che si aggiornerà questa storia.
BUON DIVERTIMENTO! :)
Dark Lake era la tipica e pacifica cittadina dove tutti si
conoscevano e sembrava più una grande famiglia felice che una comunità. Il nome
poteva incutere paura, ma esso era dato dal grande lago dove la città si
affacciava. Era chiamato così per il semplice fatto che gli indiani, i quali un
tempo vivevano lì, credevano fosse la dimora di una terribile creatura degli
inferi. Oltre quella stupida leggenda, la città era solare e adorabile con le
sue piccole casette. Essa era divisa in due zone:
Il centro con tutti i negozi, i luoghi pubblici e le case
costruite una accanto all’altra, come se si stessero abbracciando.
Poi c’era la zona residenziale dove si trovavano le ville di
ricchi milionari che d’estate si godevano il clima tranquillo del posto,
staccando dallo smog delle metropoli e i sei castelli. In realtà non erano dei
castelli, ma la gente li chiamava così per la loro grandezza e il lusso al loro
interno. Un tempo, furono costruite da sei nobili famiglie, le stesse che
fondarono Dark Lake. Al loro interno, tra meravigliosi dipinti e ambienti
lussuosi, vivono ancora i discendenti di queste famiglie. Hanno perso il loro
titolo nobiliare, ma la gente del posto li rispetta come se niente fosse
cambiato.
Duncan era nato nell’ospedale di Dark Lake la mezzanotte tra
il 22 e il 23 luglio. Era il figlio del titolare della banca, un certo Benjamin
Brown, un uomo ligio al dovere e al
lavoro. Aveva ricci capelli neri sempre ordinati e severi occhi neri, nascosti
da un paio di occhiali da lettura.
Di sua madre non si
sapeva molto, solo che era stata abbandonata nella foresta quando era ancora
una neonata. L’unica cosa che aveva con se era un biglietto con su scritto un
nome, il suo.
Evelyne.
Nome molto insolito che però la vecchia donna che la prese
con sé decise di darle. Ella era molto alta (sfiorava i due metri), aveva
lunghi capelli biondi e grandi occhi acqua marina di cui la sclera era quasi
assente, eccezion fatta per una sottile striscia bianca attorno alla pupilla.
Il piccolo Duncan aveva lo stesso colore d’occhi della
madre, ma i tratti erano quelli del padre. Egli era un bambino molto
dispettoso, amante degli scherzi soprattutto verso suo padre.
Queste due anime,
insieme ad altre quattro, scopriranno il segreto che giace nelle viscere del
lago.
E niente sarà più
come prima.
Duncan e Gwen, 8
anni
Doveva correre se
voleva arrivare in orario.
Ancora pochi metri e
le spettrali cime degli alberi sarebbero comparse ai suoi occhi. Le sue gambe
correvano senza sentire la fatica, guidandolo verso un sentiero nascosto che
s’inoltrava nella foresta. Il bambino percorse quel sentiero con tranquillità,
ignorando le demoniache mani legnose che sembrava volessero prenderlo. Dopo
aver superato un grosso masso e aver aggirato un ramo particolarmente basso, il
moro si ritrovò a salire una piccola collinetta. Lì, un albero di mele guardava
le cime dei suoi simili dall’alto, come un dio greco. Ai suoi piedi, una
bambina della stessa età di Duncan, lo attendeva con una forbice in una mano e
uno specchio nell’altra.
- Devi farmi un
favore. – Disse la bambina, senza neanche salutare l’amico e porgendogli in
malo modo le forbici.
Egli capì subito le
sue intenzioni.
Si frequentavano da
appena un anno, ma da come leggevano l’uno i pensieri dell’altra, sembravano
amici di vecchia data.
La mora si sedette
ai piedi del melo, facendo posto dietro di lei a Duncan. Il bambino prese una
ciocca nera della bambina e cominciò il suo lavoro. L’unico rumore che si
sentiva erano le lame delle forbici che tagliavano mano a mano sempre più
capelli. Passarono vari minuti, dopo che anche l’ultima ciocca superflua cadde
sul prato assieme alle sue gemelle.
Il moro prese lo
specchio e mostrò all’amica il suo lavoro.
Della lunga cascata
di capelli che prima circondava e nascondeva quasi completamente il viso bianco
di Gwen non rimaneva più niente. Al suo posto ora c’era un taglio corto e che
lasciava completamente scoperto il suo viso. Ella si guardò per un po’, girando
la testa da destra a sinistra, per osservare meglio quella nuova lei. Si girò e
sorrise al bambino.
- Saresti bravo come
parrucchiere. – Sussurrò, in una chiara presa in giro.
Il bambino la guardò
anch’egli, rispondendo al suo attacco:
- E tu hai un futuro
come spaventapasseri con quelle occhiaie. –
I due risero di
gusto, prima di stendersi sul prato.
- Perché li hai
voluti tagliare? – La domanda ingenua di Duncan arrivò improvvisamente, così
come il vento dal lago.
- Assomigliavo
troppo a mia madre, dovevo fare qualcosa. Dovresti farlo anche tu sai? –
- In che senso? –
Domandò il bambino.
- Assomigli troppo a
tuo padre. Sembrate due sosia! – Esclamò ella.
Il bambino prese lo
specchio da terra e cominciò a osservare il suo gemello riflesso su quella
superficie liscia. Fece una smorfia di disgusto nel costatare quello che aveva
detto l’amica.
Se non fosse stato
per il colore degli occhi, sarebbe stato la versione bambina di suo padre. Si
guardò per un altro po’ allo specchio, finché una folle idea attraversò il suo
cervello.
- Secondo te come
starei con i capelli verdi? –
- Da schifo. –
Furono le lapidarie parole di Gwen.
Il silenzio regnò
sovrano, finché un’altra pazza idea attraversò, questa volta, il cervello della
mora.
- E se ti facessi i
capelli alla moicana? –
- Spiegati. –
Lei si sedette a
gambe incrociate e invitò il bambino ad imitarla.
- I moicani sono una
tribù d’indiani del Nord America, caratterizzati da un particolare taglio di
capelli. Ti dico solo che tuo padre avrebbe un infarto vedendoti conciato come
loro. – Spiegò Gwen mentre i suoi occhi si illuminavano.
- Si ma io non
rinuncio ai capelli verdi! - Esclamò deciso lui, come a chiudere l’argomento.
- Va bene, facciamo
così: se tu ti tingi i capelli di verde, devi per forza tagliarteli come i
moicani. Promesso? – Disse lei, sputando sul palmo della sua mano destra e
porgendola a Duncan. Il bambino sputò anch’egli sulla sua mano e strinse quella
dell’amica in una forte stretta.
- Promesso. – Disse,
con la luna e le poche stelle del cielo a fare da testimoni.
Duncan e Gwen, 16
anni
Il vento soffiava
furioso, la chioma del melo si muoveva secondo il volere di Eolo. La pioggia
aumentò, fino a diventare un potente acquazzone.
Gwen si nascose nel
giubbino, alla ricerca di calore. La sua mano destra, quella che reggeva
l’ombrello nero, era congelata. Ma lei avrebbe aspettato anche tutta la notte.
La sua mente viaggiò
agli avvenimenti di quei giorni, all’incidente. Il pullman della scuola era
sbandato ed era precipitato giù per il Burrone dei lamenti, un grosso buco nel
terreno dove si sentivano come dei lamenti ogni volta che lo attraversava il
vento. Era stato l’incidente più sconvolgente di tutti. La maggior parte dei
bambini, di età compresa tra i sei e sette anni, feriti e traumatizzati a vita.
Il conducente del veicolo scomparso nel nulla. Cinque feriti gravi, due morti.
Suo fratello e la
maestra che li aveva accompagnati.
Evelyne.
Il rumore di uno
scontro e una bestemmia urlata senza vergogna alcuna, le fecero capire che era
arrivato.
Si asciugò veloce
una lacrima e si girò, appena in tempo per incrociare gli occhi con quelli
acquamarina di Duncan. Il ragazzo era bagnato fradicio e lo dimostrava la sua
cresta verde collassata su se stessa. Il ragazzo aveva il fiatone e si tastava
una parte della fronte, dove probabilmente aveva sbattuto contro il ramo basso
alla fine del sentiero.
- Stavi piangendo? –
Le chiese.
- Mi era entrata una
cosa nell’occhio… - Si giustificò lei. Il punk si avvicinò furtivo e
l’abbracciò lentamente, come a non farla spaventare per quell’improvvisa
dimostrazione d’affetto.
- Mi dispiace per
tuo fratello. – Mormorò, affondando il viso tra i suoi capelli.
- Mi dispiace per
tua madre. – Biascicò lei, nascondendo il viso sul petto dell’amico, per non
fargli vedere i suoi occhi pronti per piangere un’altra volta.
Quando entrambi si
furono calmati, si sciolsero dall’abbraccio e Gwen gli offrì un posto vicino a
lei, sotto l’ombrello.
Guardarono per
un’infinità di tempo le cime spoglie degli alberi sotto di loro finché, come un
fulmine a ciel sereno, Duncan disse:
- Ho deciso di
andarmene. –
La ragazza lo guardò
attentamente, nella speranza di trovare un sorriso che significasse che quello
che aveva sentito era solo uno dei suoi tanti scherzi.
Niente.
Osservò i tratti del
suo viso, il suo piercing all’sopraciglio e l’improbabile pizzetto che si era
fatto crescere. Osservò il taglio alla moicana e la cresta verde, simbolo della
promessa che si erano fatti da bambini, e infine osservò i suoi occhi
acquamarina, persi a guardare il vuoto.
- Perché? – Chiese
solamente.
- Non ho niente che
mi tenga ancora intrappolato qui. – Ed era vero. Duncan odiava quella città e
la vita che aveva quasi quanto lei.
Entrambi non sopportavano
i loro rispettivi genitori. Odiavano la vita che erano costretti a fare lì, si
sentivano con le mani legate, non potevano fare niente. Evelyne e David erano
le uniche due persone che erano riuscite a crearsi un posto speciale nei loro
cuori e a tenerli a Dark Lake. Ma ora che erano morti, l’unica cosa da fare era
andarsene.
La ragazza appoggiò
la mano libera sulla sua spalla, in un tacito consenso a quella sua volontà. Egli
le sorrise, poco prima che un’ennesima idea si accendesse nel suo cervello.
- Perché non vieni
con me? Anche tu non hai più niente di importante qui… -
- Non posso. –
Duncan alzò il sopracciglio, non capendo ma Gwen arrivò subito in suo aiuto.
- Trent. –
Trent, il suo
ragazzo.
Forse l’unico essere
umano di sesso maschile, eccezion fatta per lui e David, che era stato capace
di ritagliarsi un posto nel cuore della ragazza.
Duncan la guardò
intensamente. I capelli corti, cui Gwen aveva provveduto a tingere alcune ciocche
verde petrolio. Gli occhi, due pozzi d’ossidiana che s’illuminavano ogni volta
che la sentiva parlare del suo gruppo preferito e la sua pelle bianca che
risaltava incredibilmente con il suo modo di vestirsi da dark.
Le mostrò un sorriso
sghembo, il suo marchio.
Lei lo imitò per poi
sputare sul palmo della sua mano sinistra e porgendogliela.
- Promettimi che ti
farai sentire. –
Egli sputò sul palmo
della sua mano e strinse quella dell’amica in una forte stretta.
- Promesso. – Disse.
La luna e le poche stelle del cielo gli furono da testimoni.
Angolo dell'Autrice:
Eccomi
ritornata! Questa volta con una nuova fantastica storia! Anche se non
si vede dalla lunghezza, questo è un prologo.
La canzone che accompagnerà questa storia è Wide Awake di
Katy Perry, qui trovate la traduzione (il ritornello in corsivo):
Sono sveglia
Sono sveglia
Sì, ero al buio
Stavo cadendo giù
Con il cuore aperto
Sono sveglia
Come ho fatto a leggere le stelle così male
Sono sveglia
Ed ora è chiaro
Che tutto ciò che vedi
Non sempre è ciò che sembra
Sono sveglia
Sì, ho sognato per così tanto tempo
Vorrei aver saputo allora
Quello che so adesso
Non mi sarei immersa
Non mi sarei inchinata
La gravità fa male
L'hai resa così facile
Fino a quando mi sono svegliata
Sul cemento
Sono caduta dal settimo cielo
Sto precipitando dall'alto
Mi sto lasciando andare stasera
Si, sto cadendo dal settimo cielo
Sono sveglia
Non perdo il sonno
Ho raccolto ogni pezzo
E sono atterrata in piedi
Sono sveglia
Non ho bisogno di niente per completare me stessa
Sono sveglia
Si, sono nata di nuovo
Fuori dalla fossa dei leoni
Non devo far finta
Ed è troppo tardi
La storia è finita adesso, è la fine
Vorrei aver saputo allora
Quello che so adesso
Non mi sarei immersa
Non mi sarei inchinata
La gravità fa male
L'hai resa così facile
Fino a quando mi sono svegliata
Sul cemento
Sono caduta dal settimo cielo
Sto precipitando dall'alto
Mi sto lasciando andare stasera
Si sto cadendo dal settimo cielo
Rombo di tuono
Castelli in rovina
Sto cercando di resistere
Dio sa che ho provato
A vedere il lato positivo
Ma non sono più cieca...
Sono sveglia
Sono sveglia
Sono caduta dal settimo cielo
Sto precipitando dall'alto
Mi sto lasciando andare stasera
Si, sto cadendo dal settimo cielo
Sono sveglia
Sono sveglia
Sono sveglia
Sono sveglia
Sono sveglia
Vi consiglio di leggerla ogni volta prima di leggere un capitolo di Dark Lake.
Sarò anche assillante, ma questa canzone ha dentro di sè proprio il significato nascosto di questa long.
Lasciate tante recensioncine piccine piccò!
Un bacione:^.^: