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Autore: whitelola    03/08/2013    0 recensioni
[Jack White]
[Jack White/The White Stripes]
"Sapeva che sarebbe successo prima o poi, erano mesi che rimandava quel momento ma ormai la data prefissata era arrivata e anche questa volta Jack non aveva lasciato nulla al caso: due come loro, due come le persone, che erano state sufficienti per dare vita a quel sogno durato più di dieci anni.
Controllò uno dei tanti orologi appesi alle pareti, ormai Ben doveva aver pubblicato il comunicato ufficiale, di lì a poco si sarebbe scatenato l’inferno.
C’erano una miriade di ragioni per lo scioglimento dei White Stripes ma nessuna di queste sarebbe stata spiegata al mondo e soprattutto, nessuna di queste si sarebbe avvicinata minimamente alla realtà."
Genere: Sentimentale, Song-fic | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Ciao!! Mi chiamo Lola e non ho mai pubblicato in questa sezione.
Direi che sono circa due anni che sto lavorando a questa ff e non mi sono mai decisa a pubblicarla per una serie di motivi, primo tra tutti il fatto che mi si è cancellata dal pc quando era praticamente terminata.
Ho deciso di ricominciare da capo e pian piano sta prendendo forma in modo totalmente diverso.
Perchè Jack White??
Perchè lo adoro, è un genio, un artista di quelli di un'altra epoca e poi perchè ha creato insieme a Meg, quello che è diventato il mio gruppo preferito di sempre. L'immediatezza, la creatività e anche quel pizzico di pazzia che hanno dato questi due alla muica mondiale, rimane per me unico e inimitabile. Non ci saranno mai più altri White Stripes, non ci saranno mai più canzoni come Seven Nation Army.
Non sono sicura che questa sia una songfic ma ho pensato di metterla sotto questa categoria perchè parte da un momento molto particolare e delicato, ovvero una performance tra le più commoventi che io abbia mai visto. Da questo spaccato di vita, che è stato solo rubato dalle telecamere (e che vi prego di guardare prima di iniziare a leggere), prende il volo la mia fantasia, che si snoderà in vari momenti della vita e della carriera di questi personaggi, per tentare di sviscerarne il rapporto spesso misterioso e unico.
Ci tengo a specificare che ci saranno riferimenti alla realtà conosciuta da tutti ma nulla di quello che leggerete è scritto per offendere i protagonisti e l'intera storia è frutto solo della mia fantasia.
Buona lettura!
Lola






"White Moon" (Under Great White Northern Lights)



02/02/2011
Nashville (Tennessee)
 
Accese l’ennesima sigaretta, i sigari li aveva finiti già da un pezzo.  Erano anni che aveva smesso di aspirare quella roba, da quando si era accorto che gli rovinava la voce e lui ci lavorava con la sua voce.
Sapeva che doveva succedere prima o poi, erano mesi che rimandava quel momento ma ormai la data prefissata era arrivata e anche questa volta, non aveva lasciato nulla al caso:  due come loro, due come le persone, che erano state sufficienti per dare vita a quel sogno durato più di dieci anni.
Controllò uno dei tanti orologi appesi alle pareti, ormai Ben doveva aver pubblicato il comunicato ufficiale, di lì a poco si sarebbe scatenato l’inferno.
C’erano una miriade di ragioni per lo scioglimento dei White Stripes ma nessuna di queste sarebbe stata spiegata al mondo e soprattutto, nessuna di queste si sarebbe avvicinata minimamente alla realtà.
Ora che tutto era finito, ora che non c’erano più porte aperte, né possibilità di tornare sui propri passi, era arrivato il momento dei bilanci. Dopo essere rimasto mesi a valutare le conseguenze economiche, le possibilità pratiche e artistiche della fine di quell’avventura, Jack sentiva ora più che mai, la necessità di fare i conti con se stesso e  con il proprio passato.
Lasciò che la cenere cadesse sui tasti del pianoforte, sfiorandoli appena con mani tremanti.
Non era certo di essere pronto a dar voce a quei pensieri, che aveva cercato per tanto tempo di seppellire nel profondo della sua anima. Gli anni erano riusciti ad aggiungere strati alla sua corazza: progetti, esperienze, soddisfazioni  e anche qualche difficoltà, lo avevano reso l’uomo che ora stava lì, solo nel proprio studio, nella propria casa discografica. 
Jack White: musicista, compositore, cantante, produttore, ambasciatore, padre, marito, amico.  
Passo dopo passo aveva guadagnato fama e rispetto e poteva dirsi felice dell’uomo che era diventato;  aveva lavorato con i musicisti migliori del mondo, collaborando con alcuni dei miti della sua infanzia come Bob Dylan e Loretta Lynn, gli stessi che oggi lo consideravano ormai come un figlio. Aveva scritto il theme di 007 e vinto una quantità imbarazzate di premi,  girando il mondo chissà quante volte. Eppure non si sarebbe mai sentito arrivato, non avrebbe mai gettato la spugna, perché la musica era l’essenza stessa della sua vita ed era con la stessa passione e lo stesso sacrificio, che voleva continuare a lavorare.
Già, ma se ripensava a come tutto era iniziato, non si vedeva solo, come ora in quella stanza.
Non lo era mai stato.  
Cos’era rimasto del giovane John Gillis, l’ultimo dei dieci figli di una famiglia dai saldi principi cattolici?
La sua era stata un’infanzia strana, circondato da tutti i fratelli più grandi di lui, si sentiva più come se avesse undici genitori invece di due.
La musica era entrata subito nella sua vita, dai canti di chiesa, alle mille influenze musicali che sentiva in casa e che lui assorbiva come una spugna. Amava particolarmente le vecchie canzoni country e i classici del rock degli anni ‘50, come si poteva rimanere fermi di fronte a quel ritmo?
Passava le giornate dietro ai piatti della sua batteria, per la gioia dei vicini di casa, i quali non ne potevano più di quella testa calda, così diversa da tutti i suoi fratelli.
Sì, perché il primo amore di Jackie era la batteria, si sarebbe sempre sentito un batterista. Se aveva iniziato ad avvicinarsi alla chitarra e via via a tutti gli altri strumenti, era solo per ovviare al fatto che due batteristi sarebbero stati troppi in una sola band.
E così la sua passione aveva iniziato a controllare la sua vita, aveva persino rinunciato ad entrare in seminario, dal momento che non gli avrebbero permesso di portare la sua chitarra elettrica.
Aveva iniziato ad imparare il lavoro di tappezziere presso il negozio di Brian, quando era ancora un ragazzino ed  aveva deciso di andare a vivere con un paio di amici, dedicando tutto il tempo libero ai suoi gruppi.
Era stato allora che aveva iniziato a capire che forse c’era altro: l’essenza della musica, il blues, quello che affondava le sue radici nella terra, nel lavoro e nella storia del suo paese. Era poco più di un adolescente ma sapeva perfettamente che tutto quello che desiderava, tutto quello che lo faceva stare bene  era comporre, ascoltare, adattare e riportare in vita la musica.
Il suo lavoro gli avrebbe fatto pagare le bollette ma era la sua passione a nutrirlo ogni giorno e a renderlo vivo.
Da allora erano passati vent’anni e sentiva che in lui la fiamma era ancora accesa, non avrebbe potuto fare altro, era come se non avesse scelta.
Il fumo della sigaretta lo avvolse, mentre lasciava scorrere le dita sui tasti; le note invasero la stanza, con il loro pesante carico di ricordi.
Pensò a Meg, chiedendosi come stava vivendo quel momento così fondamentale nella vita di entrambi; la immaginò nel giardino di Detroit, mentre giocava con i suoi adorati cani, o forse seduta a gambe incrociate sulla sua poltrona preferita, intenta a fumare una sigaretta dietro l’altra e a bere un caffè nero.
Ripensò all’ultima volta che si erano incontrati lì allo studio, al suo viso stanco e al suo sorriso quasi irriconoscibile e poi ripensò invece alla prima volta, in quella sera di dicembre di tanti anni prima.
Le parole uscirono graffiandogli la gola, come quella sera in Nova Scotia.
 
 
 
 
14 luglio 2007
Nova Scotia (Canada)
 
 
“White moon, white moon
breaks open the tomb
of a deserted cartoon that I wrote.
Creature come, creature, creature
my own double feature
as I'm warming the bleachers at home.”

 
Era una fresca sera di luglio quella in cui avevano festeggiato il decimo anniversario del loro gruppo… O forse sarebbe stato più corretto dire, del suo gruppo.
Già, perché allora Meg sembrava lontana anni luce da tutto quello che invece lui si ostinava a portare avanti. Allora più che mai quel muro alzato dalla sua compagna di una vita, sembrava essere cresciuto a dismisura per separarli.
E proprio lì, al culmine di un faticoso tour durato mesi e  portato giorno e notte in ogni paesino sperduto
del Canada, le loro strade si erano incrociate di nuovo per un attimo.
Un attimo infinito, intenso, schiacciante… terribile.
Jack non amava cantare quella canzone durante i loro concerti, risvegliava in lui emozioni troppo difficili da nascondere.
Ma quella sera era stata l’apoteosi dei loro dieci anni di carriera, il concerto era stato così coinvolgente che Jack ancora stentava a crederci. Aveva ancora nelle orecchie il suono delle cornamuse mischiato alle urla assordanti della gente, che lo pregava di ballare con Meg, non smentendo uno dei tanti riti ripetuti in quei dieci anni.
Il pubblicò se n’era andato, lasciandoli sfiniti, storditi e svuotati.
Avevano festeggiato con tutti i loro amici, avevano brindato davanti agli obbiettivi, senza riuscire a nascondere un certo imbarazzo per quell’incursione nella loro vita privata.
Ed era stato allora, quando le luci si erano spente e la maggior parte della crew era impegnata a smontare l’attrezzatura, che erano rimasti lui e Meg erano rimasti soli di fronte a quel pianoforte nero.
Emmett e gli altri ragazzi, impegnati nel documentario della tournèe canadese, lo avevano incalzato perché suonasse qualcosa. La cornice del teatro vuoto era stupenda, c’era qualcosa di magico nell’aria, qualcosa che persino loro, ormai vicini alla coppia da mesi, riuscivano a sentire.
E così, come migliaia di altre volte, si era seduto davanti alla tastiera, con la presenza silenziosa di Meg al proprio fianco.
Non immaginava che sarebbe stato così intenso, la sua voce faticava ad uscire, mentre le dita non riuscivano a fermarsi. Poteva sentire i sospiri appena percettibili della donna, poi uno sguardo fugace e le aveva viste: le stesse lacrime, che  gli bruciavano ancora la gola, gli occhi, il petto.
Aveva interrotto bruscamente l’ultima nota, allontanando lo sguardo per recuperare il controllo. Erano troppe le cose che avevano ripreso ad agitarsi nel suo cuore.
L’aveva guardata nascondersi dietro ai lunghi capelli castani e si era sentito in difficoltà, lui che aveva sempre cercato di evitare qualsiasi contatto di fronte alle telecamere, lui che si era sempre trattenuto, attenendosi rigorosamente a quella storia dei fratelli.
Ma poi non ce l’aveva fatta: al diavolo il film! Al diavolo le telecamere! L’aveva stretta a sé vinto dall’emozione, aveva tentato di calmarla con quelle poche parole sussurrate tra i suoi capelli, aprendo così uno squarcio nel sipario, dietro al quale si erano nascosti per anni.
Avrebbero dato la colpa allo stress del tour, alle emozioni per la celebrazione dei dieci anni del gruppo, avrebbero tirato fuori qualsiasi storia se necessario.  Del resto Jack era un mago in quel campo, sapeva creare realtà fasulle, delle quali persino lui riusciva a convincersi.
Ma che senso aveva ancora mentire a se stessi?
Era stato un lungo e faticoso percorso il loro, un percorso iniziato quando erano entrambi due ragazzini inesperti e pieni di fiducia nel futuro e che quella sera vedeva il suo culmine e il suo termine.
Non ci sarebbero stati più i White Stripes.
Non ci sarebbero più stati i fratellini White.
Non ci sarebbero più stati Jack e Meg.
  
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