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Autore: Janet Mourfaaill    12/02/2008    17 recensioni
Light sta per morire, e ricorda la sua prima confessione. Scopre che non aveva mai adorato quel Dio superiore che dicevano lo proteggesse e lo amasse. Voleva solo prendere il suo posto.
Genere: Malinconico, Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Light/Raito
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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L’Atto di Dolore


Brancolo nel buio, il corpo stremato per le percosse e le ferite profonde.
Gli occhi non vedono, le mani non portano peso, dalla mia espressione non trapela dolore, dalla mia bocca non escono parole.
Così solo in questo luogo sconosciuto, da indurmi a pensare che il nulla mi darebbe più conforto.
Ma non m’importa, non mi è mai interessato essere circondato dalla gente. Io sono di più. Voglio di più.
Forse più della morte non c’è nulla, ma comunque devo provare. Ed è questione di minuti.
Il non sapere dove io mi trovi, ancora una volta, non mi è di peso alcuno. Per le mie gambe non vi sono sentieri sconosciuti. Per la mia mente non vi sono silenzi insensati.
Questo è il silenzio dell’attesa.
Non sento nemmeno il mio cuore. Non vedo che ombre.
Respiro ma non produco suono alcuno. Cammino ma non odo i miei passi.
Mi accascio al suolo – o forse no? – esausto.
Forse è quando l’uomo sta per perdere se stesso che si ritrova. Sì, perché forse si era già perduto, e nemmeno lo sapeva.
Forse è quando l’uomo sta per dimenticare tutto che ricorda.
E qui, su questo suolo gelido – o forse caldo? – io sto ricordando.

- Raito, facciamo tardi. Mettiti il cappotto, su. –
- Sì, mamma. -
Mi diressi verso mia madre, svogliato ma diligente. Lei mi sorrise come faceva sempre, finendo di truccarsi, e uscimmo di casa assieme, come tutti i Giovedì pomeriggio.
- Cavolo, fa freddo. – Brontolai aggrottando le sopracciglia e stringendo la sciarpa attorno al collo infreddolito.
- Oh, arriviamo subito. Lo sai che la chiesa è a due passi da casa. – Mi rispose mia madre facendomi l’occhiolino.


Un tremito mi scuote, violento. Non ho né freddo né caldo. Non provo né tristezza né rimpianto. Ma sto ricordando o morendo? Forse entrambe le cose.

- Oh, per fortuna. Sinpu Akira non se n’è ancora andato. Aspettami qui, Raito. – Mi disse mia madre dirigendosi verso un uomo che ci dava la schiena, occupato nel riordinare dei libretti su delle panche di legno. Mia madre e l’uomo parlarono per un po’, poi mi vennero incontro, sorridenti.
- Ciao Raito. - Mi salutò il Prete gentilmente. - Come sei cresciuto dall’ultima volta che ti ho visto. Ormai hai, quanti, tredici anni? – - Quattordici. – Lo corressi io, senza enfasi. Lui annuì, continuando a guardarmi. – Allora, sei pronto per la confessione? – Chiese poi con un gesto che mi invitava a seguirlo.
Io annuii guardando di soppiatto mia madre. Non stava più sorridendo.
- Beh, allora cosa aspettiamo? – Rise l’uomo poggiandomi una mano sulla spalla. – Lei vorrà confessarsi dopo, Signora Yagami? -
- Sì, aspetto prima che Raito finisca, però. Faccia pure. – Disse lei sedendosi immediatamente su una panca.
- Seguimi. – Disse Sinpu Akira.
Entrammo in un piccolo stanzino dove sulla destra vi era una sedia di legno con davanti un inginocchiatoio, e di fronte un’altra sedia con a fianco una piccola scrivania. Mi inginocchiai.
Sinpu Akira disse una preghiera iniziale e recitò un passo del Vangelo, poi si rivolse a me con un’inusuale durezza. - Dunque, Raito. Parla pure. -
Inspirai.
- Ho degli strani desideri. – Scandii lentamente, senza guardarlo negli occhi.
Lui annuì piano, portandosi una mano alla bocca, pensoso.
- È qualcosa che… vorrei fare. – Dissi cercando di restare il più distaccato possibile.
- Che cosa vorresti fare, Raito? – Mi chiese, incolore.
Esitai.
- Vorrei poter avere il mondo nelle mie mani. – Dissi poi tutto d’un fiato. Lui non pareva eccessivamente stupito dalle mie parole.
- Non c’è nulla di strano in ciò che dici, Raito. – Sospirò massaggiandosi le tempie. – Vorresti poter controllare ciò che ti accade, ciò che accade agli altri, magari prevenire i crimini, impedire la morte delle persone… Non è qualcosa di negativo. – Tentò di incoraggiarmi, sorridendo appena.
- No, non mi sono spiegato. – Ripetei con foga. – Io vorrei che il mondo fosse mio. Che fossi io a governarlo. Come un Dio. – Conclusi la frase a metà tra l’enfatico e l’imbarazzato.
- Un Dio. – Ripeté Sinpu Akira dopo un breve silenzio.
Non dissi nulla.
- Ma perché, Raito? – Mi chiese in un tono cantilenante che mi irritò. – Perché vorresti sostituirti a Dio? Egli ti ha dato una così bella famiglia, ti ha dato la vita, gli amici e le gioie. Non ti basta tutto ciò? -
Non parlai, in un primo momento, poi sospirai e risposi – Certo, mi basta. –
- Dio è tuo padre. Lui ti ha creato e ti ama. Sei sotto la sua protezione, non hai bisogno di sostituirti a lui. Lui sa già qual è la strada migliore per te. -
Annuii senza guardarlo.
Silenzio.
- C’è qualcos’altro? -
Esitai.
– No. – Dissi poi con convinzione. Lui parve sorpreso.
- Ricordati del Signore, Raito. Ricordati che siamo tutti nelle sue mani, e che perdona sempre. Lui perdona i nostri peccati. Lui risiede qui – e indicò il mio cuore – e sa tutto di te. – Sorrise.
Rimasi in silenzio.
- Ora recitami l’Atto di Dolore. – Disse, sospirando.

Sto aspettando.
Aspetto che arrivi, aspetto di partire.
Perché ho peccato. Contro Dio, contro gli uomini, contro di me.

- Mio Dio, mi pento e mi dolgo con tutto il cuore, dei miei peccati… -

Perché ho voluto sovrastare Dio. Superarlo.

- … perché peccando ho meritato i tuoi castighi… -

E forse ci sono anche riuscito, per un solo istante. Glorioso, infinitesimale.

- … E molto più perché ho offeso te, infinitamente buono, e degno di essere amato sopra ogni cosa. -

Sopra di te, Dio, non c’era posto, per me? E sarei io, l’egoista?

- …Propongo con il tuo Santo aiuto, di non offenderti mai più… -

Non c’eri, nella mia caduta. Mi dicevano che mi conoscevi. Mi dicevano che mi sorreggevi. Ma è per te che sono caduto, è sotto i tuoi occhi che sono stato distrutto.

- …E di sfuggire alle occasioni prossime di peccato… -

Non ho più luoghi in cui nascondermi. Perché mi vedi, non è così? Non mi hai mai protetto, non mi hai mai salvato. Mi guardavi, guardavi come distruggevo, aspettando solo il giorno in cui sarei rimasto solo.
Il giorno in cui avrei perso, perché rimanevo solo io da distruggere.

- …Signore… -

Non ho bisogno del tuo perdono. Non mi servono le preghiere per essere salvato.

- … Misericordia... -

Ho già consumato le mie pene vivendo.

Alzai gli occhi su di lui, guardandolo, finalmente. Non era che un prete.

- Perdonami. -
  
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