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Autore: Alessia_Way    05/08/2013    2 recensioni
'Andrà meglio, Gee. Andrà meglio' si ripeteva e sorrideva, sorrideva speranzoso, mentre si lasciava la vita alle spalle e la abbandonava, mentre si addormentava per finire in un sonno che non sarebbe mai finito, sarebbe durato per sempre e lo faceva felice perché sarebbe andato tutto bene, sia per lui che per tutti gli altri. Dopotutto, ‘la speranza è l'ultima a morire’.
Genere: Drammatico, Malinconico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Gerard Way | Coppie: Frank/Gerard
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Hope Dies Last

Stava sdraiato nel suo comodo letto della sua misera e disordinata stanza. Era un ragazzo troppo disinteressato all’ordine e sua madre non gli diceva nulla. Quest’ultima, invece, era troppo disinteressata al figlio. Difficile da credere, ma era così.
Si chiedeva il perché, tutte le volte che gli capitava di pensare, ciò equivaleva ad averla nei pensieri ogni momento. Si poteva dedurre che amava pensare, anche a cose parecchio tristi come questo.
Molti dicono ‘In depressione non si pensa, si è troppo occupati a essere depressi, vuoti di qualsiasi cosa, non si combatte nemmeno per uscirne’.  Lui, invece, era depresso ma pensava, anche troppo per i suoi gusti. Era solo vuoto di sentimenti. Eppure pensava a pensieri felici ma non riuscivano nemmeno a strappargli un sorriso, la maggior parte delle volte. Si paragonava quindi ad un bicchiere mezzo pieno e mezzo vuoto per quello.
Seppur speciale, come la sua amata nonna diceva, lui era sempre la via di mezzo tra giusto e sbagliato e, di come andavano le cose, era sempre la scelta sbagliata. Scelta sbagliata perché? Forse da quando i suoi genitori avevano divorziato anni fa, la madre era sempre nervosa con tutti ma soprattutto con lui perché gli urlava contro che era un errore; forse quando passava il weekend con il padre questi gli ripeteva che non avrebbe mai combinato nulla di buono nella sua esistenza; forse quando il fratello minore Mikey gli ripeteva che lo odiava per la minima cosa; forse quando tutti gli studenti del suo liceo, compresi i suoi compagni di classe, lo insultavano per il ragazzo grasso che era; forse quando Frank non lo degno più di un solo sguardo.
Ah già.. Frank. La sua fiamma da quasi due anni ma solo da qualche mese erano diventati migliori amici, solo che… Di punto in bianco l’aveva evitato del tutto. Che anche lui lo vedesse così sbagliato? Così tanto da non rivolgergli più la parola? Quel pensiero, forse più di tutti gli altri, lo soffocava fino a farlo stare male, come ad ucciderlo. Era quello che lo preoccupava molto: essere la scelta sbagliata per il suo migliore amico, che amava. Ma gli faceva male anche che quando lo picchiavano, gli ridevano in faccia mentre gli urlavano ‘gay’ in modo spezzante. Lo feriva parecchio come tutti gli altri insulti che gli buttavano addosso. Eppure li aveva trascritti tutti nel suo diario, uno per uno:
Gay/Frocio
Grasso
Idiota
Buono a nulla
Essere schifoso
Sbagliato/Inadatto
Di troppo
Depresso
Solo
Per lui gli insulti non erano che parole. E allora, vi chiederete, perché sta così male? Perché ogni singolo termine gli era urlato contro con odio, disprezzo, mentre lo picchiavano, macchiavano di sangue, di cicatrici e di lividi profondi  la sua pelle candida. Lo feriva più di tutto sapere che le persone intorno a lui sapessero che era solo. Non pensava di notasse all’esterno, tentava di non farlo a vedere dalla sua espressione, non pensava che sul suo viso rotondo ci fosse davvero stampata l’aria della solitudine.
Sapeva di essere solo, anche se aveva la sua amata nonna che purtroppo si trovava in ospedale per problemi al cuore, quindi non abitava con lui come faceva spesso. Tentava di andare da lei per farle visita più spesso ma sua madre era troppo occupata a pensare a se stessa. Non aveva mai tempo per niente, non aveva tempo per lui. Anzi, non aveva tempo per entrambi i figli.
Era deprimente pensare tutto ciò, almeno al suo parere, mentre fissava il suo interessante soffitto e si chiedeva che cosa avesse fatto si sbagliato nella sua esistenza. Eppure non aveva combinato nulla di grave: leggere fumetti in biblioteca forse? O canticchiare mentre dipingeva o studiava? O starsene in camera tutto il giorno mentre ascoltava musica? O perché non andava a trovare troppo spesso la sua nonna? O perché fumava e beveva poche volte da qualche anno, un po’ troppo frequentemente? O forse solo perché esisteva.
Immediatamente sentì le loro voci, le voci che lo torturavano durante il giorno e la notte, erano i suoi incubi che non lo lasciavano un solo istante, nemmeno quando disegnava perché i suoi capolavori,  lo erano sempre stati anche se tristi, erano cupi come lui. Erano le voci dei suoi genitori, di suo fratello, dei suoi compagni di classe e di coloro che lo picchiavano, che gli dicevano di tutto, sentiva ogni cosa che gli urlavano tutti i santi giorni: era grasso, brutto, sempre di troppo, il frocio della scuola, era soprattutto quello solo.
Ciò gli stingeva lo stomaco, lo faceva tremare perché tratteneva troppo le lacrime. Ma poi si lasciava andare ad un silenzioso pianto disperato, disperato e pieno di dolore. E non smetteva di tremare quando la sensazione di essere completamente solo lo uccideva, si impossessava di lui fino a stremarlo. Si ritrovava nel letto, tremante, rannicchiato su se stesso e talvolta sanguinante dai polsi. A sua madre nascondeva anche quello, con la semplice scusa del nervosismo gli sanguinava dal naso. Ma questo, alla madre non importava di certo. Non le importava che il figlio stesse tentando il suicidio o che avesse bisogno di aiuto. Era costretto a fare tutto da solo, come sempre.
E mentre  si ritrovava a pensare queste cose, era intatto, niente sangue, niente lacrime, sdraiato nel suo comodo letto a guardare il soffitto della sua stanza. Sorrideva, sapete? Sorrideva in modo macabro, quasi malsano perché non era un sorriso vero e felice. Immaginate un sorriso macabro sul volto pallido fino a far paura, tondo per quei chili che portava, solcato da occhiaie pesanti, immobile con le mani al petto, le dita intrecciate. I capelli nero corvino gli incorniciavano il volto pallidissimo peggio in un lenzuolo e lo rendeva ancora più spaventoso. Sembrava un morto, vivente. Ma non ancora per molto.
Aveva appena finito di disegnare una sua solita scena di morte. Era del sangue su un corpo morto, solo questo. Non aveva usato nemmeno la musica per distrarsi. Non aveva usato nulla, sono una matita e dei colori, il bianco, il grigio, il nero e il rosso. Quello sarebbe stato il suo ultimo disegno, prima di tutto.
Fra mezz'ora sarebbe stato il suo diciottesimo compleanno. Non l'avrebbe festeggiato, gli sembrava troppo per lui.
Controllò il suo cellulare per vedere l'ora e mancavano sempre meno di trenta minuti al fatidico giorno. Lo poggiò sulla propria pancia, troppo grassa e pesante e prese dal cassetto del suo comodino una boccetta  scura di liquido trasparente. Indovinate? Sonnifero. Lesse le modalità d'uso: 'Usare preferibilmente il medicinale diluito con acqua'. Non continuò, sapeva che sarebbe stato letale non seguire le indicazioni e gli bastava questo.
Si perse a guardare la bottiglia, con quel sorriso macabro sul volto mentre la rigirava fra le dita sottili e affusolate, anch'esse pallide e perfettamente pulite. Aveva fatto una doccia dopo aver finito il disegno con la pittura. Si disse che voleva andare a letto completamente pulito, profumato, con i capelli ben a posto. Si sentiva bene dopo quella doccia che lo aveva pulito quasi di ogni sporcizia, di ogni graffio oramai cicatrizzato. Non aveva tracce di sangue e le cicatrici del giorno precedente erano cicatrizzate. Però non erano pallide come la sua pelle e questo non gli piacque. Voleva essere perfettamente bianco in ogni zona del corpo, ma doveva andargli bene assolutamente. Deglutì e lasciò perdere, come se avesse represso quella cattiva sensazione di sporco.
Indossava solo i boxer e una maglietta neri attillati, proprio come i suoi capelli. Lo rendevano la peggior immagine mai vista, ma gli piaceva e questo era importante.
Ricontrollò l'ora: mancava un quarto d'ora. Non si tirò su nemmeno per prendere la penna a terra, era quella che scriveva meglio. Ne prese un dal comodino con un foglio. Si rendeva conto che era quella peggiore, anch'essa nera ma doveva scrivere. Ci pensò, una frase ad effetto voleva imprimere su quel foglio e lo fece dopo aver guardato la boccetta di sonnifero sul suo petto. Scrisse con la sua calligrafia ordinata 'Merci pour le venin'. In francese, si disse, avrebbe reso tutto più macabro. Gli piacque e avrebbero letto sicuramente. E la penna che scriveva in modo tratteggiato perché rovinata e quasi finita, rendevano la frase sbiadita e poco leggibile, come se stesse per andare via come lui.
Poggiò il foglietto sul comodino con la penna accanto, riprese il cellulare e si rese conto che mancavano cinque minuti. Si re impossessò della boccetta di sonnifero, la aprì e prese il contagocce che era riempito fino a un quarto, non superava la fascetta prevista per una dose adatta. Esagerò paurosamente, la superò per più della metà. Aprì la bocca e sulla lingua, premendo l'estremità del contagocce, lasciò cadere ad una ad una le gocce. Richiuse la boccetta e mandò giù il medicinale, dopo averlo posato accanto al foglietto del comodino. Ricongiunse le mani al petto e chiuse gli occhi mentre sorrideva nuovamente in quel modo malsano. E si mise a pensare, nuovamente. Pensò al futuro che non avrebbe mai avuto, perché sapeva che non ci sarebbe mai arrivato. Pensò ad una possibile carriera da pittore, o da fumettista come gli era sempre piaciuto alla Dark Horse Comics, la sua casa editrice preferita, data la sua innata bravura per il disegno, iniziata da bambino grazie alla nonna e perfezionata da grande. O una carriera da cantante in una band, aveva una gran bella voce ma non se ne vantava nemmeno. Gli piaceva cantare sotto la doccia o mentre studiava con la musica a palla in camera, la sua voce la sentivano tutti ed era davvero piacevole ascoltarla, lo pensavano tutti ma erano troppo orgogliosi per dirgli 'Ehy Gerard, sai che canti benissimo?'. Avrebbe imparato sicuramente a suonare la chitarra che non sapeva nemmeno maneggiare, ma gli piaceva molto come strumento, anche il pianoforte gli piaceva e voleva perfezionarlo, perché ascoltava e guardava la madre che lo suonava in casa e aveva imparato a leggere le note. Arrivò addirittura a pensare ad un possibile futuro accanto alla persona che amava, magari Frank, il piccolo Frankie che non aveva smesso di amare, nemmeno quando lo aveva abbandonato, non avrebbe mai smesso di amare quel ragazzino, lo chiama teneramente 'nano' e faceva incazzare il diretto interessato ma sotto sotto lo faceva ridere.
Sorrise leggermente di più a quel pensiero, il sorriso si era trasformato in qualcosa di più vero, e una lacrima gli uscì dall'occhio destro che bagnò velocemente la tempia, mentre si sentiva intorpidito dal sonnifero.
Il suo cellulare suonò, avvisandogli che era il giorno del suo compleanno. Si aspettò un messaggio d'auguri, spesso lo faceva felice riceverne qualcuno ma stiamo parlando di anni e anni fa, quando tutto era più semplice. Non arrivò mai, nemmeno quell'anno. Lasciò che il sonnifero facesse effetto, si sentiva bruciare leggermente dentro la gola, forse perché il medicinale era stato digerito senza acqua. Non era un dettaglio importante perché lentamente sentiva le palpebre pesanti e le chiuse in modo lento, senza lottare e si disse che sarebbe andato tutto bene una volta finito. 'Andrà meglio, Gee. Andrà meglio' si ripeteva e sorrideva, sorrideva speranzoso, mentre si lasciava la vita alle spalle e la abbandonava, mentre si addormentava per finire in un sonno che non sarebbe mai finito, sarebbe durato per sempre e lo faceva felice perché sarebbe andato tutto bene, sia per lui che per tutti gli altri. Dopotutto, ‘la speranza è l'ultima a morire’.
Non avrebbe mai più saputo che sua madre era troppo disperata per il divorzio del marito per occuparsi dei figli con lucidità, ma amava quel figlio, il primo che aveva avuto, lo amava perché era speciale dopotutto, come aveva sempre ripetuto la nonna; non avrebbe mai saputo che Mikey era troppo orgoglioso per mostrargli il suo affetto, per dirgli che gli voleva bene, per dirgli che era la sua fonte i ispirazione; non avrebbe mai saputo che il padre era del tutto impazzito per il dolore della separazione dalla moglie e soffriva di aggressività e non voleva rivolgersi a suo figlio in quel modo, lo amava comunque: non avrebbe mai saputo che tutti i ragazzi che lo picchiavano si scaricavano su di lui per colpa del bullismo da parte delle famiglie, che odiavano chiunque ma non lo facevano apposta; non avrebbe mai saputo che Frank si era allontanato da lui perché lo amava e se lo avessero visto al suo fianco lo avrebbero picchiato e aveva paura, ma amava incondizionatamente quel ragazzo. Gerard non avrebbe mai saputo che, sotto quell'odio contro di lui, era il ragazzo più amato da qualsiasi persona lo aveva circondato fino a quel momento.



Vi ricordate di me, vero? 
Sono ritornata alla carica con una nuova storia, anche se 'alla carica' non si direbbe visto che non so se ritornerò del tutto. Ho avuto un qualche problema strettamente personale, nulla di grave ma avevo deciso di smettere di scrivere, anche per la poca ispirazione. Però, questa ritorna e ho tentato di mettere giù qualcosa che di felice non ha molto. Spero vi sia piaciuta perchè è una tematica per me forte, scrivendola mi veniva sinceramente da piangere. Non siate cattive con me, davvero c.c Amo Gerard, ma l'ispirazione mi porta a questo!
Ringrazio una mia cara amica che mi ha spinta a tornare a scrivere, soprattutto di buttare giù quest'idea. So che sta leggendo per cui vorrei dirle grazie.
Adios, non so quando ritornerò <3
Alessia_Way
   
 
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